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La nonviolenza e' in cammino. 444
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 444
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 12 Dec 2002 18:47:00 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 444 del 13 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Gilgamesh e Aschenbach sull'orlo del cratere (con undici proposte pratiche per impedire la catastrofe) 2. Michele Nardelli, abitare il conflitto 3. Ileana Montini, Radhia 4. Benito D'Ippolito, tre quartine sul concetto di coscienza 5. Vandana Shiva, in lode allo sterco di vacca 6. Letture: Gioconda Belli, Il paese sotto la pelle 7. Letture: Fatema Mernissi, Islam e democrazia 8. Letture: Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini 9. Letture: David Maria Turoldo, Nel lucido buio 10. Riletture: Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia 11. Riletture: Virgilia D'Andrea, Chi siamo e cosa vogliamo. Patria e Religione 12. Riletture: Giulio A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare 13. Riletture: Maria Rosaria Manieri, La fondazione etica del socialismo 14. Riletture: Emilia Rensi, Atei dell'alba 15. Riletture: Rossana Rossanda, Anche per me 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GILGAMESH E ASCHENBACH SULL'ORLO DEL CRATERE (CON UNDICI PROPOSTE PRATICHE PER IMPEDIRE LA CATASTROFE) Quando fu scatenata la prima guerra del Golfo scrivemmo che i bombardamenti cruentissimi su alcune delle piu' antiche citta' del mondo, la', tra il Tigri e l'Eufrate, su alcuni dei luoghi in cui la civilta' umana mosse i primi passi, erano anche l'equivalente siimbolico dell'uccidere i progenitori, del recidere le radici, dell'annichilire la civilta' umana tutta, ab ovo. Un'intrapresa la cui follia criminale e' ad ognuno evidente. Dove fu scritto il codice di Hammurabi, dove per la prima volta Gilgamesh incontro' il dolore e la morte, nella patria da cui tutti pellegrini proveniamo, il portare la morte definitiva, la devastazione senza scampo, lo scempio fin delle tombe, la fine irreversibile. Lo diciamo in timore e tremore: nell'orrore e nella catastrofe del 1991 fummo comunque, noi genere umano, fortunati: non si scateno' un conflitto planetario, altre forze distruggitrici oltre quelle cola' agenti (e tra esse assassina l'italiana aviazione) non si scatenarono. Ma ora una nuova guerra del Golfo si prepara, ed il suo principale promotore ha gia' detto che e' nel novero delle possibilita' l'uso delle armi nucleari, non piu' solo l'uranio impoverito che gia' tanta strage ha provocato ma le testate atomiche tout court, ovvero lo scatenamento di un conflitto senza confini e senza regole, in cui l'intera civilta' umana e' messa in pericolo. Vi e' qualcosa in questa follia che ricorda non solo il terribile ciclo tebano, ma anche truci miti nordici: il crepuscolo degli dei; e dolenti emblemi della fine di una cultura, quella occidentale, come Aschenbach a Venezia. * C'e' una poesia di Primo Levi, io la sentii leggere da Ernesto Balducci a Viterbo, seduto al suo fianco, un giorno in cui tra le lacrime - commemoravamo appunto Primo Levi, che da poco ci aveva lasciati orfani - in molti giurammo a noi stessi che avremmo proseguito la sua lotta, che mai piu' avremmo permesso che tornasse Auschwitz, che tornasse Hiroshima. In quella poesia, La bambina di Pompei, il grande testimone della dignita' umana concludeva: "Potenti della terra padroni di nuovi veleni, / Tristi custodi segreti del tuono definitivo, / Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo. / Prima di premere il dito, fermatevi e considerate". Io non so se tra i potenti della terra vi sia qualche persona la cui mente, non dico la cui anima, non sia del tutto offuscata; qualcuno che si renda conto a quale distretta siamo giunti, su quale "crinale apocalittico" tutti ci troviamo. Se vi e', e' il momento di rivelarsi, di agire, di fare quanto e' in potere di chi governa le relazioni internazionali o comunque su esse puo' influire per via diplomatica, politica ed economica, affinche' la guerra non si dia. Domani potrebbe essere troppo tardi. * Ma devo essere sincero, non ho mai avuto nessuna fiducia nei potenti. Mai, nessuna. E quindi questa incombenza e' nostra: siamo noi, gente semplice, persone senza potere, che dobbiamo impedire la guerra. E per impedire la guerra dobbiamo muovere da due convinzioni: che quand'anche le nostre forze fossero spaventosamente inadeguate, tutte dobbiamo suscitarle e investirle nel compito dell'ora: impedire la guerra. E massime noi che godiamo di molti privilegi e che dobbiamo adesso spenderli senza risparmio per questo compito che l'intera umanita' concerne: impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera. Noi che viviamo in uno dei paesi il cui orientamento avra' un peso enorme nel decidere lo scatenamento o meno della guerra; noi che siamo parte di quella porzione ridottissima dell'umanita' la cui opinione e' "opinione pubblica", conta; noi che abbiamo strumenti di comunicazione potentissimi (anche questo computer su cui sto scrivendo, che non e' neppure mio ma che uso da anni; anche questa posta elettronica che ci consente di parlarci fra tanti ad un costo risibile); ebbene, noi piu' di altri abbiamo un dovere grande: impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera. Se sapremo far vincere in italia il rispetto della legalita' costituzionale che ripudia la guerra; se sapremo costringere il potere esecutivo e il potere legislativo e il capo dello stato a riconoscere e quindi proclamare che il popolo e la legge, la Repubblica insomma, impediscono al'lItalia di avallare e di aderire alla guerra; allora questo avra' un peso e potra' indurre altre popolazioni a chiedere ai loro governanti un analogo pronunciamento. In Italia e' possibile, oltre che necessario. E' la legge fondamentale del nostro ordinamento che lo afferma, quella legge che "hanno scritto i pugni dei morti": la Costituzione figlia della Resistenza; quell'articolo 11 che la guerra ripudia; impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera. * Ma come riuscirci? No, non sara' facile, e gia' troppi errori abbiamo fatto. Si tratta di conquistare casa per casa, persona per persona, la maggioranza del popolo italiano ad un pronunciamento esplicito: impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera. No, non sara' facile, e di contro vi sara' una propaganda tanto menzognera quanto abile che cerchera' di convincere ancora una volta che la guerra e' igiene e belta'. Si tratta allora di elaborare modalita' di azione adeguate, ma esse discendono dalla chiarezza e nettezza di posizioni, necessitano della forza della verita', altrimenti non riusciremo a impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera. * E per dirlo una volta di piu', questo a nostro modesto avviso occorre: I. Sul piano della consapevolezza: a) ricordare incessantemente a tutti che la guerra consiste sempre di omicidi di massa, consiste dell'uccisione di tanti esseri umani; b) ricordare incessantemente a tutti che una guerra come quella che si va preparando puo' rapidamente evolvere in guerra nucleare e in guerra mondiale, senza fronti e senza frontiere, mettendo in pericolo l'umanita' intera; c) ricordare incessantemente a tutti, e soprattutto ai nostri decisori politici, che la legge fondamentale dello stato italiano proibisce la partecipazione italiana a questa guerra ed anzi vincola l'Italia ad opporsi ad essa. II. Sul piano delle scelte di principio: d) ricordare incessantemente a tutti che occorre opporsi al terrorismo, alle dittature e alle guerre, e che ci si puo' opporre efficacemente ad uno dei tre elementi solo se ci si oppone anche agli altri due, poiche' terrorismo, dittature e guerre si alimentano reciprocamente; e) convocare tutti coloro che vogliono difendere il diritto alla vita di tutti gli esseri umani, la legalita' costituzionale e il diritto internazionale, la pace e il futuro dell'umanita', ad un impegno limpido ed intransigente contro la guerra; f) ma questo impegno contro la guerra sara' credibile e quindi persuasivo e quindi efficace solo se sara' davvero limpido ed intransigente, e per essere tale esso deve consistere nella scelta teorica e pratica dell'accostamento alla nonviolenza come opposizione la piu' rigorosa alla violenza. Non e' piu' ammissibile alcune ambiguita' da parte di alcuno, i cialtroni e i mascalzoni devono essere allontanati dal movimento per la pace con la massima chiarezza. III. Sul piano delle cose da fare con la massima urgenza: g) una campagna immediata e capillare di accostamento, formazione e addestramento alla nonviolenza per tutte le persone che vogliono impegnarsi per la pace; h) la preparazione di azioni dirette nonviolente per cercar di bloccare operativamente la macchina bellica; azioni dirette nonviolente cui possono partecipare solo persone adeguatamente preparate, rigorosamente disciplinate, fedeli fino in fondo alla nonviolenza; i) la preparazione di una campagna di massa a livello nazionale di disobbedienza civile che miri a bloccare la catena di comando politica ed amministrativa di quei poteri golpisti e stragisti che cercassero di precipitare l'Italia in guerra con cio' infrangendo la Costituzione cui pure hanno giurato fedelta'; l) la preparazione di uno sciopero generale che si ponga come obiettivo le dimissioni di quel governo, di quel parlamento e di quel capo dello stato golpisti e stragisti che decidessero la partecipazione dell'Italia alla guerra; m) una campagna di presentazione di denunce penali a carico dei golpisti e stragisti, da presentare massivamente a tutte le istanze giudiziarie ed a tutti gli apparati delle forze dell'ordine, affinche' vengano arrestati, processati e puniti secondo la legge quei governanti, quei legislatori e quel capo dello stato golpisti e stragisti che decidessero di violare la Costituzione decidendo la partecipazione italiana alla guerra. * Il tempo e' poco, molto cio' che occorre fare. E' necessario cominciare subito. E per cominciare lanciamo un appello ancora al governo, al parlamento, al capo dello stato: dicano subito, dicano chiaro, dicano forte, che il nostro paese e' ancora uno stato di diritto fondato sulla Costituzione dellla Repubblica Italiana che "ripudia la guerra"; dicano subito, chiaro, forte all'Unione Europea, all'Onu, al governo americano che l'Italia per sua legge fondamentale non partecipera' a questa guerra, che l'Italia per sua legge fondamentale a questa guerra si oppone. Lo dicano subito, lo dicano chiaro, lo dicano forte. Senza equivoci e senza sotterfugi. Ancora rivolgiamo loro questo appello. Ma noi tutti frattanto prepariamoci, nessuna attesa e' piu' ammissibile, un difficile compito ci attende: difendere la legalita' costituzionale e il diritto internazionale, la democrazia e la civile convivenza, la pace e la civilta' umana, impedire la guerra, fare quanto in nostro potere per salvare innumerevoli vite umane. 2. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: ABITARE IL CONFLITTO [Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn at tin.it) per averci messo a disposizione il testo della sua relazione all'importante convegno dell'Osservatorio sui Balcani sul tema "Abitare il conflitto", svoltosi a Rovereto il 7-8 dicembre 2002. Michele Nardelli e' impegnato nell'esperienza trentina di "Solidarieta'" ed in quella dell'Osservatorio sui Balcani] "Le peggiori atrocita' possono scaturire da cio' che e' apparentemente innocuo, dalla 'normale' passivita' che puo' caratterizzare la vita quotidiana di milioni di individui nella societa' di massa: la triste verita' e' che il male e' compiuto il piu' delle volte da coloro che non hanno deciso di essere o agire ne' per il male ne' per il bene" (Hannah Arendt, La banalita' del male) * Accadono talvolta strane coincidenze, che potremo definire come cogenti casualita'. Una di queste e' che proprio nei giorni in cui ragionavamo sul tema di questo convegno a partire dall'attualita' della riflessione attorno alla "banalita' del male", si stava svolgendo a Belgrado un simposio internazionale sul pensiero di Hannah Arendt. Sara' che i fili della ricerca politica e culturale sulle nuove guerre ormai s'intrecciano in una trama che affonda le proprie radici nei "pensieri altri" del Novecento e che tali eresie riverberano solo ora la luce del proprio passaggio, ma e' indubbio che se si ricercano risposte non scontate alla guerra prepotentemente ritornata al centro della storia, il messaggio arendtiano mostra intatta la propria forza ed attualita'. Lo e' a maggior ragione per noi che non abbiamo inteso organizzare un convegno sul pensiero filosofico della Arendt, quanto invece indagare un terreno che riteniamo sempre piu' ineludibile di riflessione, dove tale pensiero, nel tempo dove tutto si gioca sull'emotivita' che segue gli avvenimenti piu' tragici e sull'emergenza, diviene lo spunto per ragionare sull'elaborazione del conflitto, ovvero sulla parte remota e spesso rimossa dei conflitti. Quella che si affida allo scorrere del tempo quando avremmo dovuto capire che il tempo non e' galantuomo, quella che non si vuol vedere quando il manicheismo ci acceca nel dividere il mondo fra bene e male, quella che demolisce le nostre vecchie categorie interpretative per le quali la guerra si ostinerebbe ad essere la continuazione della politica con altri mezzi. Capiamoci. Di fronte alle logiche imperiali seguite all'89 come risposta alla crisi dei modelli sociali novecenteschi (tanto quelli usciti sconfitti, quanto quelli considerati vittoriosi), di fronte alla guerra come strumento di dominio e di esclusione, forte sarebbe la tentazione di dividere il mondo in buoni e cattivi, in impero del male e in moltitudini di donne e uomini che rivendicano il proprio diritto alla vita. Ed e' il rischio che corriamo quando indichiamo la guerra come una discriminante morale, trascurando di indagare i conflitti, anche nelle loro degenerazioni, come qualcosa che ci riguarda e che ci portiamo dentro. * E a questo proposito, vorrei proporvi una pagina di Stanislao Zuleta, intitolata Sulla guerra. "Per contrastare la guerra con una ancorche' remota possibilita' di successo, e' necessario cominciare a riconoscere che il conflitto e l'ostilita' sono fenomeni tanto costitutivi dei legami sociali come l'interdipendenza stessa e che la nozione di una societa' armoniosa e' una contraddizione in termini. Lo sradicamento dei conflitti e il loro dissolvimento in una convivenza fraterna non e' una meta raggiungibile, ne' desiderabile nella vita personale - in amore o in amicizia - ma nemmeno nella vita collettiva. E' necessario, invece, costruire uno spazio sociale e legale dove i conflitti possano manifestarsi e svilupparsi, senza che l'opposizione all'altro porti alla sua eliminazione, uccidendolo, rendendolo impotente o riducendolo al silenzio. E' vero che un passo molto importante per raggiungere questo e' il superamento delle 'contraddizioni antinomiche' fra le classi e delle relazioni di dominazione fra le nazioni. Ma non e' sufficiente ed e' molto pericoloso credere che lo sia... perche' allora si cerchera' inevitabilmente di ridurre tutte le differenze, le opposizioni e i confronti a una sola differenza, una sola opposizione, un solo confronto... ovvero il tentativo di negare i conflitti interni e ridurli ad un conflitto esterno; con il nemico, con l''altro' assoluto: l'altra classe, l'altra religione, l'altra nazione; ma questo e' il meccanismo piu' intimo della guerra e il piu' efficace, dato che e' quello che genera 'la felicita' della guerra'. I diversi tipi di pacifismo parlano abbondantemente dei dolori, delle disgrazie e delle tragedie della guerra - e questo a ragione, anche se nessuno lo ignora - pero' sono soliti tacere sopra quest'altro aspetto tanto inconfessabile e tanto decisivo, che e' la felicita' della guerra. Perche' se si vuole evitare all'uomo il destino della guerra bisogna cominciare con il confessare serenamente e severamente la verita', la guerra e' festa. Festa della comunita' finalmente unita nel piu' intimo dei vincoli, dell'individuo finalmente sciolto in essa e liberato dalla sua solitudine, dalla sua particolarita' e dai suoi interessi; capace di dare tutto, perfino la sua vita. Festa del potersi approvare senza remore e senza dubbi di fronte al perverso nemico, di credere stoltamente di avere ragione e di credere ancor piu' stoltamente che possiamo testimoniare la verita' con il nostro sangue. Se non si tiene conto di cio', la maggior parte delle guerre sembrano stravaganze irrazionali, perche' tutto il mondo sa in anticipo la sproporzione che esiste fra il valore di quello che si vuole ottenere ed il valore di quello che si e' disposti a sacrificare... Bisogna dire che le grandi parole solenni: l'onore, la patria, i principi, servono quasi sempre per razionalizzare il desiderio di abbandonarsi a questa sbornia collettiva. I governi lo sanno e per negare il dissenso e le difficolta' interne, impongono ai loro sudditi l'unita', mostrando loro, come diceva Hegel, la figura del padrone assoluto: la morte. La scelta data e' fra la solidarieta' e la sconfitta. E' triste, senza dubbio, - prosegue Zuleta - la morte dei ragazzi argentini e il dolore dei loro parenti e quello dei ragazzi inglesi e dei loro; pero' e' forse ancora piu' triste vedere la gioia momentanea del popolo argentino unito dietro a Galtieri e quella del popolo inglese dietro a Margaret Thatcher. Se qualcuno mi obiettasse che il riconoscimento preventivo dei conflitti e delle differenze, nonche' della loro inevitabilita' e convenienza, rischierebbe di paralizzare in noi la decisione e l'entusiasmo nella lotta per una societa' piu' giusta, organizzata e razionale, gli risponderei che per me una societa' migliore e' quella capace di migliori conflitti. Di riconoscerli e contenerli. Di vivere, non malgrado essi, ma produttivamente e intelligentemente con essi. Che solo un popolo scettico sulla festa della guerra, maturo per il conflitto, e' un popolo maturo per la pace". * L'idea di scavare nei conflitti per farli evolvere in maniera intelligente e nonviolenta nasce pero' anche dall'esperienza concreta nel cuore delle nuove guerre. Chi di noi in questi anni e' stato attore di cooperazione internazionale si e' reso conto di quanto il proprio agire toccasse solo in superficie le dinamiche dei conflitti e di come fosse difficile fare buona cooperazione senza diplomazia popolare. Ne abbiamo parlato diffusamente nel convegno sui dieci anni di aiuti e cooperazione con il sud est Europa. Rilevando come troppo spesso la comunita' internazionale appaia chiusa nella propria autoreferenzialita' e dipendente dal ciclo dell'emergenza. Percio' si ricostruiscono le case, ma non c'e' il tempo ne' la capacita' per sostenere la ricostruzione delle comunita'... Intrisa di economicismo e' l'idea che il miglioramento delle condizioni sociali possa di per se' guarire le ferite lasciate dalla degenerazione violenta dei conflitti. Per questo motivo, ragionando sulla rinascita materiale di quelle terre, abbiamo individuato i territori e le comunita' come spazio di sviluppo autosostenibile, dove dimensione sociale, economica, ambientale e civile si intersecano e si rafforzano a vicenda. E dunque abbiamo proposto, a partire dalla primavera scorsa, un percorso per dar vita ad un Manifesto dello sviluppo locale nei Balcani. Per questo stesso motivo abbiamo voluto dedicare il presente convegno alla necessita' di abitare i conflitti, di indagarne le origini, di conoscerne gli attori, di "mettersi in mezzo", anche come simbolica interposizione se occorre, ma soprattutto nello scardinare dal di dentro la logica della guerra e i suoi comportamenti, siano essi il chiudersi a riccio per difendersi dall'aggressione (vera o presunta che sia) o la santificazione del sacrificio ("l'anima di fanciulla e' necessaria al guerriero... per il fatto che il suo ruolo principale nella nostra mitica narrazione bellica e' quello di vittima e non quello di vincitore", come ci spiega Ivan Colovic). In altre parole, il bisogni di interrogarsi sulla guerra moderna come "malattia della civilta'", per usare l'espressione della nostra amica Nicole Janigro, come esito del lungobreve XX secolo e delle premesse positivistiche dei pensieri che si sono confrontati lungo il Novecento, sulla perdizione dell'uomo moderno schiacciata fra promesse mancate e delirio dell'homo faber. Su quella combinazione di modernita' e barbarie, di guerre stellari e carneficine, dove il soldato - che tendenzialmente non muore mentre a morire sono i civili - ha la faccia pulita ed inespressiva del professionista americano che fa il suo lavoro (ma non era anche la tesi di Eichmann al processo di Gerusalemme?) e insieme quella brutale del generale serbo che accarezza il ragazzino di Srebrenica prima di dare il via alla mattanza. E ai bulldozer nordamericani che seppelliscono decine di migliaia di morti nel deserto dell'Iraq corrisponde la "zampata ultima" del guerriero balcanico che toglie ogni velo sulle guerre patriottiche. * Figlie di una stessa crisi di civilta', modernita' e barbarie si rincorrono, s'intrecciano, ma non riescono a nascondere il loro vuoto, il loro rimosso, il loro non elaborato. "Le nuove guerre - scrive la Janigro - condotte in nome dell'umanita', appaiono sempre pero' idealmente deboli, tanto da dover essere, ogni volta di nuovo, alimentate con le ragioni del passato. E' la Shoah il peccato originale della postmodernita', la metafora del male da sconfiggere e da evitare...". Cosi' che si puo' solo essere a favore della guerra, se in gioco e' l'umanita'. Quella "crisi di civilta'" che incontriamo non solo lungo le lande desolate dei moderni dopoguerra, ma anche nelle periferie delle metropoli, laddove ricompare la pulizia etnica e dove, come afferma Akbar Ahmed, tutti diventano primitivi e selvaggi. Allora indagare sulla guerra significa ragionare sulla condizione dell'uomo contemporaneo, sulla perdita d'identita', sullo spaesamento. E capire che oggi la guerra, pure bandita dalle Carte internazionali, e' rientrata a far parte della nostra vita quotidiana come della normalita' del nuovo ordine internazionale. Dentro questo duplice campo díindagine vorremmo scavare. In primo luogo ponendo la questione, visto che il tema dell'elaborazione del conflitto e' il grande assente nella gran parte dei progetti di cooperazione internazionale. Quanti interventi umanitari, quante case e scuole ricostruite, quanti progetti di sviluppo sono stati realizzati nei tanti dopoguerra, lungo le moderne tragedie del nostro tempo. E quanto tempo invece e' stato dedicato alla ricostruzione della pace? Della pace non come "assenza di guerra", ma della pace piu' solida che si puo' chiamare riconciliazione? Quante guerre appena sopite ci stiamo trascinando, dove le cause profonde non sono state rimosse e nella coscienza collettiva come nell'animo delle persone cova ancora la paura, anticamera della vendetta? Quanti conflitti armati sono destinati e riesplodere, piu' violenti e brutali di prima? Di questo parleremo diffusamente negli studi di casi che oggi saranno proposti. In secondo luogo, facendo divenire la tematica dell'elaborazione del conflitto un passaggio decisivo dell'impegno per la pace, del cooperare, del fare diplomazia dal basso. * Elaborare il conflitto significa rendersi conto di cio' che e' accaduto e accade al di la' della propria collocazione dentro il conflitto medesimo. Prendere coscienza della reale partita che si sta giocando attorno a te e con te, comprendere ad esempio che nella vicenda balcanica degli anni '90 la questione etnica e' stata solo lo strumento per garantire base di massa ad una guerra pensata dalla nomenklatura come forma di accumulazione primaria e come logica di potere nel succedere a se stessa. O, in altre parole, della manifestazione post moderna dei processi di finanziarizzazione dell'economia globalizzata che trovano proprio nelle aree deregolate del pianeta i luoghi del loro manifestarsi estremo. E poi, riappropriarsi dei processi. Trovare il punto d'incontro fra le diverse storie e le diverse verita'. Raccontarsi le proprie vicende di "nemici" per scoprire l'amaro e comune destino. E questo vale tanto per le donne profughe bosniache e serbe che si raccontano intorno ad un tavolo a Prijedor, come per quell'anonimo soldato contadino iracheno messo in un sacco di plastica dalle mani di un soldato a stelle e strisce che di li' a qualche mese morira' di cancro per esposizione ad uranio impoverito. E per non dover continuare a sentirci dire "i morti seppelliscano i morti", quasi che le ferite potessero rimarginarsi senza essere medicate. Parliamo con cautela di riconciliazione e ancor piu' di perdono, sfere che investono una dimensione personale oltre che pubblica. Per quanto concerne quest'ultima, si tratta di processi complessi che richiedono un grande equilibrio e una grande capacita' di compromesso. L'esperienza sudafricana ci insegna che il compromesso "puo' costituire il punto di partenza di un processo che conduce alla fine assai piu' lontano di quanto i primi passi lascino intuire. Le decisioni politiche sul futuro non avvengono nel vuoto, ma sono ancorate alla realta' storica. Una casa puo' essere costruita solo con i mattoni che abbiamo a disposizione in quel momento" (Charles Villa-Vicencio). Abbiamo imparato dalle vicende del secolo scorso che tali processi devono avvenire nel cuore delle societa', nell'elaborazione culturale collettiva piu' che nei tribunali, laddove si risponde piu' al bisogno ostentato di vendetta che non all'indagine approfondita sulle cause e sulle responsabilita' individuali e collettive. Come ci ricorda Marcello Flores, "I risultati complessivi della giustizia dei vincitori sono stati, tranne forse che sul piano simbolico, largamente deludenti: il numero dei responsabili dei crimini che ha pagato il proprio conto con la giustizia e' stato cosi' esiguo da apparire ridicolo...; le vittime non si sono sentite risarcite mentre i persecutori si sono sentiti perseguitati piu' del lecito; la societa' e' stata apparentemente pacificata ma ha lasciato divisioni che sono periodicamente riemerse con risentimenti, lacerazioni e desideri di vendetta" (Marcello Flores, Verita' senza vendetta). Inviterei la signora Carla Del Ponte ad andare la prossima estate come una qualsiasi cittadina a Guca, nel cuore della Serbia centrale, dove ogni anno si svolge il "Dragacewski Sabor", il grande festival degli ottoni e di musica zigana, per capire cosi' il rancore profondo, il ventre del nazionalismo, il retroterra di quei "signori della guerra" che gli risultano inspiegabilmente imprendibili. Le immagini di Radovan Karazdic e di Ratko Mladic come icone della nazione serba calpestata non si eliminano nei tribunali, quand'anche conosciamo le loro responsabilita' e ne possiamo auspicare la consegna alla giustizia penale. Il problema sta nella capacita' di una comunita' nazionale di guardarsi dentro, di ricostruire i tratti di un risorgimento nazionale che e' fatto di negoziazione, di leggi e di strumenti di risarcimento, ma anche ed in primo luogo di elaborazione del conflitto e di riconciliazione. Quel che ci proponiamo non e' dunque un'altra traccia possibile di impegno per la pace, ma una chiave crediamo ineludibile per leggere ed agire dentro i conflitti del nostro tempo. 3. COSTRUTTRICI DI PACE. ILEANA MONTINI: RADHIA [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: Ileana.montini at tin.it) per questo articolo. Ileana Montini e' un'intellettuale e militante di grande acutezza e tenace impegno per la dignita' umana. Un suo profilo abbiamo pubblicato sul n. 439 di questo notiziario] Radhia Ben Amara e' tunisina di Tunisi, ha 37 anni e dal 1987 risiede in Italia. Da sei anni e' sposata con un italiano, abita a Cervia (Ra) e ormai parla un italiano con forte accento romagnolo. Radhia ha un diploma preso nel suo Paese in materie turistiche, ma non e' di turismo che si occupa in Romagna dove abita. Si occupa di "Oasi donne" e del "Centro servizi per lavoratori stranieri" della CGIL di Cervia. Suo marito, per sposarla (lei e' mussulmana, anche se non praticante: "Non mangio il maiale - mi dice - ma bevo il vino") ha dovuto fare "un atto di vendita di religione", rinunciando alla cattolica acquisita con il battesimo. Ci tiene a presentare la Tunisia come un paese piu' aperto degli altri, dove il chador e' addirittura proibito, e le donne possono divorziare ed ereditare. I suoi fratelli, pero', non sono aperti come il padre e pretendevano di controllare la sua virtu'. Nel 1999 ha fondato l'associazione interculturale "Mammafrica" e ha ottenuto dal Comune di Cesena una sede. Non e' stato facile convincere le donne e i mariti, ma c'e' riuscita. Sono 14, hanno una presidente (lei), una vicepresidente e una segretaria. Radhia racconta che alla prima riunione si presentarono i mariti. In un secondo tempo e' riuscita a fare le riunioni con le donne, ma di pomeriggio. L'associazione si prefigge di "diffondere la conoscenza di usi e costumi di altre culture" mediante cene etniche, spettacoli di danze di vari paesi, sfilate di costumi tradizionali, mercatini di oggettivistica, seminari e dibattiti, sostegno scolastico, stand gastronomici e corsi d'alfabetizzazione. Radhia descrive un mondo di donne magrebine mussulmane in Italia che appaiono come delle recluse in casa. Gli uomini permettono alle donne di lavorare, ma non di recarsi da sole dal medico, anzi dalla medica, perche' non devono spogliarsi davanti ad un maschio. Non vedono di buon occhio l'uscita di casa perche' potrebbero incontrare donne italiane, "notoriamente libere di costumi" e pertanto in contrasto con l'invito coranico al decoro e alla virtu'. Lei stessa non e' molto gradita ai suoi connazionali che "regrediscono" anche quando si tratta di tunisini. E' del resto comprensibile: le donne rappresentano, sono la garanzia, dell'identita' collettiva e del sentimento di appartenenza alla comunita' delle origini. Nelle donne c'e' ambivalenza: da una parte il desiderio di imitare le occidentali, per emanciparsi e raggiungere un po' di parita' superando i ruoli tradizionali, dall'altra il timore di perdere i connotati rassicuranti della tradizione e l'accettazione degli altri: dal marito ai parenti. Mi racconta di un'algerina che ha sposato un italiano e quando lui parte per lavoro, nella valigia gli mette i preservativi per eventuali avventure. Ma mi racconta anche di una marocchina che sta aiutando ad ottenere il divorzio perche' non accetta che il marito le imponga la seconda moglie. Con le lei le donne si confidano anche per il sesso. Descrivono una realta' che e' stata delle nostre nonne: subiscono spesso il desiderio del marito perche', probabilmente, la sottomissione non e' propriamente un buon terreno per il reciproco, gioioso abbandono. Spesso si tratta di matrimoni combinati dai parenti quasi alla nascita. Emerge anche una difficolta' d'incontro e di scambio tra donne italiane e mussulmane dell'area del Magreb. Radhia sottolinea l'impossibilita' per una di noi di stabilire uno scambio confidenziale sincero: le donne mussulmane non si aprono, sono diffidenti, forse si vergognano e temono il giudizio negativo. Lei aveva progettato un bagno turco e aveva chiesto un finanziamento alla provincia di Cesena-Forli' e alla regione. L'aveva pensato come un luogo d'incontro anche con le italiane, con il nome di "Sapore hammam (pane) e culture". Le donne mussulmane avrebbero potuto accedervi perche' e' un luogo di purificazione assai diffuso e "naturale" nei paesi mussulmani. Il costo elevatissimo e l'impossibilita' di trovare degli sponsor, ha fermato, per il momento l'iniziativa. C'e' anche il problema dei figli nati in Italia che rifiutano l'identita' tradizionale dei genitori. Un ragazzo chiedeva a Radhia perche' la sua mamma non si veste come lei, in modo occidentale, moderno. E definiva l'abbigliamento della madre con una frase stereotipo nostrana: "la mia mamma si veste come una zingara!". 4. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: TRE QUARTINE SUL CONCETTO DI COSCIENZA [Nel trentesimo anniversario della legge 772 del 15 dicembre 1972 che ha riconosciuto e introdotto nella legislazione italiana l'obiezione di coscienza al servizio militare, il Centro di ricerca per la pace di Viterbo promuove un'iniziativa che ha anche il significato di contributo al percorso delle "Dieci parole della nonviolenza" promosso dal Movimento Nonviolento; tema dell'incontro il concetto di "coscienza". Le piste di riflessione che saranno particolarmente proposte ed esplorate sono le seguenti: a) coscienza come scienza dell'insieme, come conoscere insieme, come riconoscersi; responsabilita', condivisione, convivenza; b) alla scuola di Antigone; c) l'obiezione di coscienza ovvero l'affermazione della coscienza. Per l'occasione il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha composto il testo seguente] E' la coscienza scienza dell'insieme e insieme e' riconoscersi cosciente dialogo dell'io e del tu, e al niente opporre l'esserci e l'aprirsi seme. Di Antigone la scuola dura e chiara ti convoca a sapere che sei tu il responsabile di cio' che piu' ti preme: la tua azione non sia avara. Nell'ora della scelta, che non cessa, per buffo paradosso l'obiezione netta della coscienza e' affermazione della coscienza netta, in pace espressa. 5. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: IN LODE ALLO STERCO DI VACCA [Dal sito www.zma.org/italy riprendiamo questo recente intervento di Vandana Shiva, tradotto da Barbara Cerboni. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002] In India si adora lo sterco di vacca col nome di Lakshmi, la dea dell'abbondanza. Gobur-dhan puja significa, letteralmente, il culto dell'abbondanza (dhan) dello sterco di vacca (gobur). Lo sterco di vacca e' adorato perche' e' la fonte della rinnovata fertilita' della terra e quindi della sostenibilita' della societa' umana. La mucca e' stata sacralizzata in India perche' e' una specie con un ruolo chiave per gli ecosistemi agricoli - e' la chiave della sostenibilita' dell'agricoltura. Quando la Monsanto e i portavoce dell'industria delle biotecnologie, spacciandosi per "agricoltori", mi presentarono al World Summit of Sustainable Development a Johannesburg con dello sterco di vacca, accettai il loro "premio" come tributo alla coltivazione biologica e all'agricoltura sostenibile. La piccola delegazione di coltivatori giunti al World Summit of Sustainable Development da tutta l'Africa, ha rifiutato gli OGM e i prodotti chimici, e si e' impegnata per l'agricoltura biologica e per la difesa dei diritti dei coltivatori. Stanno liberamente scegliendo tipi di sementi che possono conservare e tecnologie che siano sostenibili. Le organizzazioni di coltivatori in India e in Africa stanno dicendo no agli OGM sulla base della loro liberta' di scegliere l'agricoltura biologica, e questo significa essere liberi dalla contaminazione genetica che deriva dalle coltivazioni OGM. La contaminazione genetica deruba i coltivatori della loro liberta' di essere privi di OGM. I brevetti ed i diritti di proprieta' intellettuale sulle sementi derubano i coltivatori della loro liberta' di conservare, scambiare, sviluppare sementi. I coltivatori sono trattati come "ladri" e "criminali" per il fatto di esercitare i loro diritti. L'esempio piu' eclatante e' quello di Parcy Schmeiser, i cui campi di canola furono contaminati dalla canola geneticamente modificata della Monsanto, e fu intentata una causa contro di lui per "furto" di geni. Questo e' il motivo per cui quelli di noi che coltivano secondo i parametri biologici, e vogliono mantenere la propria liberta' di coltivare e di difendere i diritti dei coltivatori, si stanno opponendo alle irresponsabili multinazionali che vorrebbero diventare le proprietarie della vita sulla terra e delle sementi, contaminare i nostri raccolti e il nostro cibo, ed avere il controllo totale dell'agricoltura e dei coltivatori. * Le sementi geneticamente modificate e i prodotti chimici sono una minaccia alla sopravvivenza dei coltivatori, una minaccia alla salute dei consumatori, e una minaccia all'ambiente. I coltivatori del Punjab e dell'Andhra Pradesh si stanno suicidando perche' i costosi prodotti chimici e le sementi delle multinazionali Monsanto/Mahyco li hanno spinti a contrarre debiti abissali e impossibili da saldare. Le affermazioni della Monsanto e dei suoi apologeti come Swaminathan Iyer (che mi ha chiamata "assassina verde" nel "Times of India" del 22 settembre 2002, perche' pratico e promuovo l'agricoltura biologica) sul fatto che gli OGM possano sfamare il mondo, sono assolutamente false. Il cotone Bt della Monsanto ha fallito in tutta l'India nel suo primo anno di coltivazione commerciale. A Khargone, nel Madhya Pradesh, il cotone Bt e' un fallimento al 100% e i coltivatori stanno chiedendo un risarcimento. In Maharastra, il raccolto di Bt e' andato male su 30.000 ettari e i coltivatori stanno chiedendo un risarcimento di cinque miliardi di Rupie. In Gujarat, a Bhavnagar, a Surendranagar e a Rajkot il cotone Bt e' stato distrutto da una pesante infestazione di vermi parassiti; proprio per tenere sotto controllo questa peste il cotone era stato manipolato con il gene che produce la tossina del Bt (1). Il cotone Bt geneticamente modificato non e' un miracolo, e' una truffa per i coltivatori. In Rajasthan, il mais ibrido che secondo la Monsanto doveva produrre dai 20 ai 50 quintali per acro, sta producendo 1,5 - 1,7 quintali per acro, e in piu' richiede un uso intensivo di acqua e di prodotti chimici, aggravando i problemi di irrigazione e la carestia. Le affermazioni pseudoscientifiche delle irresponsabili multinazionali delle biotecnologie come la Monsanto stanno uccidendo i nostri coltivatori, la nostra agricoltura, la nostra biodiversita'. L'agricoltura biologica sta raddoppiando o anche triplicando la produttivita' delle coltivazioni, aumentando il reddito dei coltivatori e proteggendo la salute pubblica e l'ambiente. Questo e' il motivo per cui la rivista "Time" ha identificato il movimento Navdanya (2) come pioniere del nuovo secolo affermando che "In India per lo meno, Navdanya impone uno standard ecocompatibile che l'impresa agricola puo' riuscire a seguire. La sfida per l'ingegneria genetica e' di creare sementi adatte ad ambienti particolari che permettano ai coltivatori di ridurre, e non aumentare, l'uso di prodotti chimici" ("Time", 26 agosto 2002, Seeds of self Reliance, p. 36). La Monsanto e coloro che l'appoggiano traggono i loro profitti vendendo e promuovendo veleni, sementi tossiche e controllo aziendale. Movimenti come Navdanya celebrano la biodiversita', la liberta' dei coltivatori, e lo sterco di vacca. Le multinazionali e i loro portavoce si stanno disperando perche' la gente sta cominciando a capire le loro bugie e i loro inganni. Con l'agricoltura biologica che cresce in tutto il mondo, e la sempre maggiore evidenza dei fallimenti e della non sostenibilita' dell'ingegneria chimica e genetica, le lobbies dell'industria chimica si stanno disperando. I loro attacchi diretti a me li vedo come un sintomo della loro disperazione causata dal fallimento e dalla non sostenibilita' dell'agricoltura industriale e aziendale, dal fallimento nel risolvere il problema della fame e nel migliorare i guadagni dei coltivatori. I sistemi sostenibili stanno crescendo perche' offrono soluzioni reali alle crisi dovute alla fame e alla poverta'. E lo sterco di vacca, le biomasse e la biodiversita' sono il cuore della sostenibilita' e sono l'alternativa biologica nonviolenta all'ingegneria chimica e genetica. Dal punto di vista ecologico, la mucca ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo della civilta' indiana. Sia materialmente che concettualmente, il mondo dell'agricoltura indiana ha costruito la sua sostenibilita' sulla conservazione dell'integrita' della mucca, considerandola inviolabile e sacra, vedendola come madre della prosperita' dei sistemi alimentari. L'integrazione del bestiame con la coltivazione e' stato il segreto dell'agricoltura sostenibile. Il bestiame svolge una funzione critica nella catena alimentare trasformando la materia organica in una forma facilmente utilizzabile dalle piante. Secondo K. M. Munshi, primo ministro indiano dell'agricoltura dopo l'indipendenza, "la madre mucca e il Nandi (3) non sono adorati invano. Sono gli agenti primordiali che arricchiscono la terra - i grandi trasformatori naturali della terra -, sono in grado di fornire la materia organica che, opportunamente trattata, diventa la piu' importante fonte nutritiva. In India, tradizione, sentimento religioso e bisogni economici si sono sforzati di mantenere una popolazione di bestiame sufficientemente ampia per mantenere questo ciclo, solo grazie alla nostra consapevolezza". * Un secolo fa, Sir Alfred Howard, il padre della moderna agricoltura sostenibile, scrisse nel suo importante testo "An Agricultural Testament", che "nell'agricoltura asiatica ci troviamo di fronte ad un sistema di coltivazione contadino che, negli elementi essenziali, si stabilizzo' rapidamente. Quello che si pratica oggi nei piccoli campi dell'India e della Cina, e' nato molti secoli fa. Le consuetudini agricole orientali hanno superato la prova piu' difficile - si puo' dire che siano stabili quasi quanto quelle delle foreste originarie, delle praterie, o dell'oceano". Howard identifica i principi dell'agricoltura sostenibile nella rinnovabilita', come si e' visto nelle foreste originarie. L'Agricultural Testament e' una registrazione delle pratiche che hanno mantenuto la fertilita' della terra in India nei secoli. Le registrazioni storiche indicano che le terre alluvionali delle pianure del Gange hanno prodotto buoni raccolti anno dopo anno, senza perdere fertilita'. Secondo Howard, questo e' stato possibile perche' e' stato raggiunto un perfetto equilibrio tra il bisogno di concime per un dato raccolto e i processi naturali che recuperano la fertilita'. La conservazione della fertilita' della terra e' stata raggiunta attraverso una combinazione di coltivazioni miste a rotazione con coltivazioni di leguminose, un equilibrio tra coltivazioni e bestiame, aratura leggera e poco profonda, e concimazione organica. Questo e' il motivo per cui organizziamo le "Letture Commemorative di Howard" il 2 ottobre, in ricordo dell'India come terra d'origine dell'agricoltura nonviolenta e sostenibile. La lettura di quest'anno e' stata fatta da Fukuoka, teorico agricolo giapponese, e presieduta dal dr. Tewolde Egziabher, Ministro dell'Ambiente etiope, che ha portato i negoziati sulla sicurezza biologica alle Nazioni Unite. Howard vide nei contadini indiani una conoscenza dell'agricoltura molto piu' avanzata di quella occidentale. Riconobbe il segreto dell'uso sostenibile della terra in India nel ritorno di materia organica e di humus alla terra. E' stato sempre mantenuto un equilibrio tra il bestiame e le coltivazioni allo scopo di mantenere il ciclo alimentare e il ritorno di materia organica alla terra. Il metodo delle coltivazioni miste fa parte di un adattamento ai criteri della natura, secondo cui cereali come il miglio, il grano, l'orzo e il mais sono alternati ritmicamente, provvedendo al nutrimento e dando cosi' migliori risultati rispetto alle monocolture; Howard nota che "questo e' un altro esempio in cui i contadini dell'Est hanno anticipato, agendo opportunamente, uno dei problemi che la scienza occidentale solo ora sta cominciando a riconoscere". La conservazione della biodiversita' e l'agricoltura biologica stanno aumentando la produzione di cibo del 200-300%. L'intensificazione della biodiversita', non dell'uso dei prodotti chimici, e' la via che permettera' all'agricoltura indiana di andare avanti. La coltivazione biologica e' necessaria per aumentare la produzione di cibo e per rafforzarne la sicurezza, per conservare risorse naturali - terra, acqua, biodiversita' -, per migliorare il reddito dei coltivatori e il benessere, per proteggere i mezzi di sostentamento rurali, prevenire l'indebitamento, fermare il debito che sta portando l'agricoltura al suicidio. Crea liberta' dal debito, dalla dominazione e dalla malattia. * Le multinazionali stanno creando poverta' deviando il sudato guadagno dei contadini e dei coltivatori verso l'industria delle sementi e dei pesticidi. Le nuove sementi, oltre ad essere costose sono anche ecologicamente vulnerabili a malattie e infestazioni, portando a maggiori perdite di raccolto e ad un maggiore uso di prodotti chimici. Queste sono tecnologie assassine, indesiderabili e non necessarie. L'attentato delle multinazionali all'agricoltura e' basato su affermazioni false e pseudoscientifiche. Le tecnologie violente dell'ingegneria genetica e dei pesticidi tossici, e la promozione disonesta e criminale di questa poverta', creano capitale e tecnologie non sostenibili, e stanno anche portando alla morte dei nostri coltivatori e alla distruzione delle nostre sicurezze ecologiche ed alimentari. Queste sono tecnologie primitive, rozze e obsolete, efficienti nella distruzione, non nella produzione. Le tecnologie agricole del futuro devono lavorare per le persone, non per le multinazionali, devono lavorare con la natura, non contro di essa. Se i coltivatori e l'agricoltura vogliono avere un futuro, allora deve essere biologico. Ne' il pianeta, ne' la povera gente puo' permettersi le perdite, l'inefficienza, gli inganni, l'inquinamento e la violenza dei prodotti chimici e dell'ingegneria genetica. * Note della traduttrice 1. Bacillus thuringensis, e' un batterio del suolo che produce una tossina insetticida. 2. Movimento fondato da Vandana Shiva nel 1991, per la protezione della diversita' e l'integrita' delle risorse viventi, soprattutto delle sementi locali. 3. Nandi, il toro usato dalla divinita' Shiva come veicolo; i tori vengono utilizzati dai contadini nei lavori agricoli. 6. LETTURE. GIOCONDA BELLI: IL PAESE SOTTO LA PELLE Gioconda Belli, Il paese sotto la pelle, Edizioni e/o, Roma 2000, 2002, pp. 480, euro 8,50. Gioconda Belli, la grande scrittrice nicaraguense, racconta la sua vita e la sua lotta contro tutte le oppressioni. 7. LETTURE. FATEMA MERNISSI: ISLAM E DEMOCRAZIA Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, pp. 222, euro 12. Un utilissimo libro della grande intellettuale marocchina. 8. LETTURE. PIETRO POLITO: L'ERESIA DI ALDO CAPITINI Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001, pp. 202, euro 14,46. Una raccolta di saggi che si compongono in una acuta e densa monografia. Con una prefazione di Norberto Bobbio. 9. LETTURE. DAVID MARIA TUROLDO: NEL LUCIDO BUIO David Maria Turoldo, Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002, pp. 160, euro 7,50. Una bella raccolta di "ultimi versi e prose liriche" del grande sacerdote, poeta, maestro e testimone di pace; con ampio, utile apparato critico. 10. RILETTURE. MARIO COLUCCI, PIERANGELO DI VITTORIO: FRANCO BASAGLIA Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, pp. 336, euro 13,43. Utilissima monografia (ma naturalmente di Franco Basaglia, uno dei piu' grandi dei pensatori ed operatori della liberazione del Novecento e' indispensabile leggere anche almeno la raccolta degli Scritti, edita in due volumi da Einaudi per le cure di Franca Ongaro Basaglia). 11. RILETTURE. VIRGILIA D'ANDREA: CHI SIAMO E COSA VOGLIAMO. PATRIA E RELIGIONE Virgilia D'Andrea, Chi siamo e cosa vogliamo. Patria e Religione, Ipazia, Ragusa 1986, pp. 48. Due conferenze della pensatrice, educatrice e militante libertaria (Sulmona 1890 - New York 1933). 12. RILETTURE. GIULIO A. MACCACARO: PER UNA MEDICINA DA RINNOVARE Giulio A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 520. Una raccolta degli scritti 1966-1976 del grande medico, scienziato e militante democratico (1924-1977), una delle figure piu' alte della vita civile e della riflessione morale del nostro paese. 13. RILETTURE. MARIA ROSARIA MANIERI: LA FONDAZIONE ETICA DEL SOCIALISMO Maria Rosaria Manieri, La fondazione etica del socialismo, Dedalo, Bari 1983, pp. 84. Un'agile monografia sulla riflessione di Francesco Saverio Merlino, socialista libertario vissuto tra Ottocento e Novecento. 14. RILETTURE. EMILIA RENSI: ATEI DELL'ALBA Emilia Rensi, Atei dell'alba, La Fiaccola, Ragusa 1973, 1991, pp. 138, lire 7.000. La pensatrice ed educatrice "erasmiana" e libertaria scomparsa all'inizio dello scorso decennio e la cui opera meriterebbe uno studio e una valorizzazione che ancora mancano, ripercorre in questo saggio alcuni luoghi della riflessione filosofica e religiosa delle antiche culture classiche e orientali. 15. RILETTURE. ROSSANA ROSSANDA: ANCHE PER ME Rossana Rossanda, Anche per me, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 208. Una bella raccolta di scritti dal 1973 al 1986 della grande intellettuale di straordinario impegno civile, morale, culturale. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 444 del 13 dicembre 2002
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