La nonviolenza e' in cammino. 444



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 444 del 13 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Gilgamesh e Aschenbach sull'orlo del cratere (con undici proposte
pratiche per impedire la catastrofe)
2. Michele Nardelli, abitare il conflitto
3. Ileana Montini, Radhia
4. Benito D'Ippolito, tre quartine sul concetto di coscienza
5. Vandana Shiva, in lode allo sterco di vacca
6. Letture: Gioconda Belli, Il paese sotto la pelle
7. Letture: Fatema Mernissi, Islam e democrazia
8. Letture: Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini
9. Letture: David Maria Turoldo, Nel lucido buio
10. Riletture: Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia
11. Riletture: Virgilia D'Andrea, Chi siamo e cosa vogliamo. Patria e
Religione
12. Riletture: Giulio A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare
13. Riletture: Maria Rosaria Manieri, La fondazione etica del socialismo
14. Riletture: Emilia Rensi, Atei dell'alba
15. Riletture: Rossana Rossanda, Anche per me
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GILGAMESH E ASCHENBACH SULL'ORLO DEL CRATERE (CON UNDICI
PROPOSTE PRATICHE PER IMPEDIRE LA CATASTROFE)
Quando fu scatenata la prima guerra del Golfo scrivemmo che i bombardamenti
cruentissimi su alcune delle piu' antiche citta' del mondo, la', tra il
Tigri e l'Eufrate, su alcuni dei luoghi in cui la civilta' umana mosse i
primi passi, erano anche l'equivalente siimbolico dell'uccidere i
progenitori, del recidere le radici, dell'annichilire la civilta' umana
tutta, ab ovo.
Un'intrapresa la cui follia criminale e' ad ognuno evidente. Dove fu scritto
il codice di Hammurabi, dove per la prima volta Gilgamesh incontro' il
dolore e la morte, nella patria da cui tutti pellegrini proveniamo, il
portare la morte definitiva, la devastazione senza scampo, lo scempio fin
delle tombe, la fine irreversibile.
Lo diciamo in timore e tremore: nell'orrore e nella catastrofe del 1991
fummo comunque, noi genere umano, fortunati: non si scateno' un conflitto
planetario, altre forze distruggitrici oltre quelle cola' agenti (e tra esse
assassina l'italiana aviazione) non si scatenarono.
Ma ora una nuova guerra del Golfo si prepara, ed il suo principale promotore
ha gia' detto che e' nel novero delle possibilita' l'uso delle armi
nucleari, non piu' solo l'uranio impoverito che gia' tanta strage ha
provocato ma le testate atomiche tout court, ovvero lo scatenamento di un
conflitto senza confini e senza regole, in cui l'intera civilta' umana e'
messa in pericolo.
Vi e' qualcosa in questa follia che ricorda non solo il terribile ciclo
tebano, ma anche truci miti nordici: il crepuscolo degli dei; e dolenti
emblemi della fine di una cultura, quella occidentale, come Aschenbach a
Venezia.
*
C'e' una poesia di Primo Levi, io la sentii leggere da Ernesto Balducci a
Viterbo, seduto al suo fianco, un giorno in cui tra le lacrime -
commemoravamo appunto Primo Levi, che da poco ci aveva lasciati orfani - in
molti giurammo a noi stessi che avremmo proseguito la sua lotta, che mai
piu' avremmo permesso che tornasse Auschwitz, che tornasse Hiroshima. In
quella poesia, La bambina di Pompei, il grande testimone della dignita'
umana concludeva: "Potenti della terra padroni di nuovi veleni, / Tristi
custodi segreti del tuono definitivo, / Ci bastano d'assai le afflizioni
donate dal cielo. / Prima di premere il dito, fermatevi e considerate".
Io non so se tra i potenti della terra vi sia qualche persona la cui mente,
non dico la cui anima, non sia del tutto offuscata; qualcuno che si renda
conto a quale distretta siamo giunti, su quale "crinale apocalittico" tutti
ci troviamo. Se vi e', e' il momento di rivelarsi, di agire, di fare quanto
e' in potere di chi governa le relazioni internazionali o comunque su esse
puo' influire per via diplomatica, politica ed economica, affinche' la
guerra non si dia. Domani potrebbe essere troppo tardi.
*
Ma devo essere sincero, non ho mai avuto nessuna fiducia nei potenti. Mai,
nessuna.
E quindi questa incombenza e' nostra: siamo noi, gente semplice, persone
senza potere, che dobbiamo impedire la guerra.
E per impedire la guerra dobbiamo muovere da due convinzioni: che
quand'anche le nostre forze fossero spaventosamente inadeguate, tutte
dobbiamo suscitarle e investirle nel compito dell'ora: impedire la guerra.
E massime noi che godiamo di molti privilegi e che dobbiamo adesso spenderli
senza risparmio per questo compito che l'intera umanita' concerne: impedire
la guerra, che e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera.
Noi che viviamo in uno dei paesi il cui orientamento avra' un peso enorme
nel decidere lo scatenamento o meno della guerra; noi che siamo parte di
quella porzione ridottissima dell'umanita' la cui opinione e' "opinione
pubblica", conta; noi che abbiamo strumenti di comunicazione potentissimi
(anche questo computer su cui sto scrivendo, che non e' neppure mio ma che
uso da anni; anche questa posta elettronica che ci consente di parlarci fra
tanti ad un costo risibile); ebbene, noi piu' di altri abbiamo un dovere
grande: impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte per
l'umanita' intera.
Se sapremo far vincere in italia il rispetto della legalita' costituzionale
che ripudia la guerra; se sapremo costringere il potere esecutivo e il
potere legislativo e il capo dello stato a riconoscere e quindi proclamare
che il popolo e la legge, la Repubblica insomma, impediscono al'lItalia di
avallare e di aderire alla guerra; allora questo avra' un peso e potra'
indurre altre popolazioni a chiedere ai loro governanti un analogo
pronunciamento.
In Italia e' possibile, oltre che necessario. E' la legge fondamentale del
nostro ordinamento che lo afferma, quella legge che "hanno scritto i pugni
dei morti": la Costituzione figlia della Resistenza; quell'articolo 11 che
la guerra ripudia; impedire la guerra, che e' questione di vita o di morte
per l'umanita' intera.
*
Ma come riuscirci?
No, non sara' facile, e gia' troppi errori abbiamo fatto.
Si tratta di conquistare casa per casa, persona per persona, la maggioranza
del popolo italiano ad un pronunciamento esplicito: impedire la guerra, che
e' questione di vita o di morte per l'umanita' intera.
No, non sara' facile, e di contro vi sara' una propaganda tanto menzognera
quanto abile che cerchera' di convincere ancora una volta che la guerra e'
igiene e belta'.
Si tratta allora di elaborare modalita' di azione adeguate, ma esse
discendono dalla chiarezza e nettezza di posizioni, necessitano della forza
della verita', altrimenti non riusciremo a impedire la guerra, che e'
questione di vita o di morte per l'umanita' intera.
*
E per dirlo una volta di piu', questo a nostro modesto avviso occorre:
I. Sul piano della consapevolezza:
a) ricordare incessantemente a tutti che la guerra consiste sempre di
omicidi di massa, consiste dell'uccisione di tanti esseri umani;
b) ricordare incessantemente a tutti che una guerra come quella che si va
preparando puo' rapidamente evolvere in guerra nucleare e in guerra
mondiale, senza fronti e senza frontiere, mettendo in pericolo l'umanita'
intera;
c) ricordare incessantemente a tutti, e soprattutto ai nostri decisori
politici, che la legge fondamentale dello stato italiano proibisce la
partecipazione italiana a questa guerra ed anzi vincola l'Italia ad opporsi
ad essa.
II. Sul piano delle scelte di principio:
d) ricordare incessantemente a tutti che occorre opporsi al terrorismo, alle
dittature e alle guerre, e che ci si puo' opporre efficacemente ad uno dei
tre elementi solo se ci si oppone anche agli altri due, poiche' terrorismo,
dittature e guerre si alimentano reciprocamente;
e) convocare tutti coloro che vogliono difendere il diritto alla vita di
tutti gli esseri umani, la legalita' costituzionale e il diritto
internazionale, la pace e il futuro dell'umanita', ad un impegno limpido ed
intransigente contro la guerra;
f) ma questo impegno contro la guerra sara' credibile e quindi persuasivo e
quindi efficace solo se sara' davvero limpido ed intransigente, e per essere
tale esso deve consistere nella scelta teorica e pratica dell'accostamento
alla nonviolenza come opposizione la piu' rigorosa alla violenza. Non e'
piu' ammissibile alcune ambiguita' da parte di alcuno, i cialtroni e i
mascalzoni devono essere allontanati dal movimento per la pace con la
massima chiarezza.
III. Sul piano delle cose da fare con la massima urgenza:
g) una campagna immediata e capillare di accostamento, formazione e
addestramento alla nonviolenza per tutte le persone che vogliono impegnarsi
per la pace;
h) la preparazione di azioni dirette nonviolente per cercar di bloccare
operativamente la macchina bellica; azioni dirette nonviolente cui possono
partecipare solo persone adeguatamente preparate, rigorosamente
disciplinate, fedeli fino in fondo alla nonviolenza;
i) la preparazione di una campagna di massa a livello nazionale di
disobbedienza civile che miri a bloccare la catena di comando politica ed
amministrativa di quei poteri golpisti e stragisti che cercassero di
precipitare l'Italia in guerra con cio' infrangendo la Costituzione cui pure
hanno giurato fedelta';
l) la preparazione di uno sciopero generale che si ponga come obiettivo le
dimissioni di quel governo, di quel parlamento e di quel capo dello stato
golpisti e stragisti che decidessero la partecipazione dell'Italia alla
guerra;
m) una campagna di presentazione di denunce penali a carico dei golpisti e
stragisti, da presentare massivamente a  tutte le istanze giudiziarie ed a
tutti gli apparati delle forze dell'ordine, affinche' vengano arrestati,
processati e  puniti secondo la legge quei governanti, quei legislatori e
quel capo dello stato golpisti e stragisti che decidessero di violare la
Costituzione decidendo la partecipazione italiana alla guerra.
*
Il tempo e' poco, molto cio' che occorre fare. E' necessario cominciare
subito.
E per cominciare lanciamo un appello ancora al governo, al parlamento, al
capo dello stato: dicano subito, dicano chiaro, dicano forte, che il nostro
paese e' ancora uno stato di diritto fondato sulla Costituzione dellla
Repubblica Italiana che "ripudia la guerra"; dicano subito, chiaro, forte
all'Unione Europea, all'Onu, al governo americano che l'Italia per sua legge
fondamentale non partecipera' a questa guerra, che l'Italia per sua legge
fondamentale a questa guerra si oppone.
Lo dicano subito, lo dicano chiaro, lo dicano forte. Senza equivoci e senza
sotterfugi. Ancora rivolgiamo loro questo appello.
Ma noi tutti frattanto prepariamoci, nessuna attesa e' piu' ammissibile, un
difficile compito ci attende: difendere la legalita' costituzionale e il
diritto internazionale, la democrazia e la civile convivenza, la pace e la
civilta' umana, impedire la guerra, fare quanto in nostro potere per salvare
innumerevoli vite umane.

2. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: ABITARE IL CONFLITTO
[Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn at tin.it) per averci messo
a disposizione il testo della sua relazione all'importante convegno
dell'Osservatorio sui Balcani sul tema "Abitare il conflitto", svoltosi a
Rovereto il 7-8 dicembre 2002. Michele Nardelli e' impegnato nell'esperienza
trentina di "Solidarieta'" ed in quella dell'Osservatorio sui Balcani]

"Le peggiori atrocita' possono scaturire da cio' che e' apparentemente
innocuo, dalla 'normale' passivita' che puo' caratterizzare la vita
quotidiana di milioni di individui nella societa' di massa: la triste
verita' e' che il male e' compiuto il piu' delle volte da coloro che non
hanno deciso di essere o agire ne' per il male ne' per il bene"
(Hannah Arendt, La banalita' del male)
*
Accadono talvolta strane coincidenze, che potremo definire come cogenti
casualita'. Una di queste e' che proprio nei giorni in cui ragionavamo sul
tema di questo convegno a partire dall'attualita' della riflessione attorno
alla "banalita' del male", si stava svolgendo a Belgrado un simposio
internazionale sul pensiero di Hannah Arendt.
Sara' che i fili della ricerca politica e culturale sulle nuove guerre ormai
s'intrecciano in una trama che affonda le proprie radici nei "pensieri
altri" del Novecento e che tali eresie riverberano solo ora la luce del
proprio passaggio, ma e' indubbio che se si ricercano risposte non scontate
alla guerra prepotentemente ritornata al centro della storia, il messaggio
arendtiano mostra intatta la propria forza ed attualita'.
Lo e' a maggior ragione per noi che non abbiamo inteso organizzare un
convegno sul pensiero filosofico della Arendt, quanto invece indagare un
terreno che riteniamo sempre piu' ineludibile di riflessione, dove tale
pensiero, nel tempo dove tutto si gioca sull'emotivita' che segue gli
avvenimenti piu' tragici e sull'emergenza, diviene lo spunto per ragionare
sull'elaborazione del conflitto, ovvero sulla parte remota e spesso rimossa
dei conflitti. Quella che si affida allo scorrere del tempo quando avremmo
dovuto capire che il tempo non e' galantuomo, quella che non si vuol vedere
quando il manicheismo ci acceca nel dividere il mondo fra bene e male,
quella che demolisce le nostre vecchie categorie interpretative per le quali
la guerra si ostinerebbe ad essere la continuazione della politica con altri
mezzi.
Capiamoci. Di fronte alle logiche imperiali seguite all'89 come risposta
alla crisi dei modelli sociali novecenteschi (tanto quelli usciti sconfitti,
quanto quelli considerati vittoriosi), di fronte alla guerra come strumento
di dominio e di esclusione, forte sarebbe la tentazione di dividere il mondo
in buoni e cattivi, in impero del male e in moltitudini di donne e uomini
che rivendicano il proprio diritto alla vita. Ed e' il rischio che corriamo
quando indichiamo la guerra come una discriminante morale, trascurando di
indagare i conflitti, anche nelle loro degenerazioni, come qualcosa che ci
riguarda e che ci portiamo dentro.
*
E a questo proposito, vorrei proporvi una pagina di Stanislao Zuleta,
intitolata Sulla guerra.
"Per contrastare la guerra con una ancorche' remota possibilita' di
successo, e' necessario cominciare a riconoscere che il conflitto e
l'ostilita' sono fenomeni tanto costitutivi dei legami sociali come
l'interdipendenza stessa e che la nozione di una societa' armoniosa e' una
contraddizione in termini.
Lo sradicamento dei conflitti e il loro dissolvimento in una convivenza
fraterna non e' una meta raggiungibile, ne' desiderabile nella vita
personale - in amore o in amicizia - ma nemmeno nella vita collettiva.
E' necessario, invece, costruire uno spazio sociale e legale dove i
conflitti possano manifestarsi e svilupparsi, senza che l'opposizione
all'altro porti alla sua eliminazione, uccidendolo, rendendolo impotente o
riducendolo al silenzio.
E' vero che un passo molto importante per raggiungere questo e' il
superamento delle 'contraddizioni antinomiche' fra le classi e delle
relazioni di dominazione fra le nazioni. Ma non e' sufficiente ed e' molto
pericoloso credere che lo sia... perche' allora si cerchera' inevitabilmente
di ridurre tutte le differenze, le opposizioni e i confronti a una sola
differenza, una sola opposizione, un solo confronto... ovvero il tentativo
di negare i conflitti interni e ridurli ad un conflitto esterno; con il
nemico, con l''altro' assoluto: l'altra classe, l'altra religione, l'altra
nazione; ma questo e' il meccanismo piu' intimo della guerra e il piu'
efficace, dato che e' quello che genera 'la felicita' della guerra'.
I diversi tipi di pacifismo parlano abbondantemente dei dolori, delle
disgrazie e delle tragedie della guerra - e questo a ragione, anche se
nessuno lo ignora - pero' sono soliti tacere sopra quest'altro aspetto tanto
inconfessabile e tanto decisivo, che e' la felicita' della guerra. Perche'
se si vuole evitare all'uomo il destino della guerra bisogna cominciare con
il confessare serenamente e severamente la verita', la guerra e' festa.
Festa della comunita' finalmente unita nel piu' intimo dei vincoli,
dell'individuo finalmente sciolto in essa e liberato dalla sua solitudine,
dalla sua particolarita' e dai suoi interessi; capace di dare tutto, perfino
la sua vita. Festa del potersi approvare senza remore e senza dubbi di
fronte al perverso nemico, di credere stoltamente di avere ragione e di
credere ancor piu' stoltamente che possiamo testimoniare la verita' con il
nostro sangue. Se non si tiene conto di cio', la maggior parte delle guerre
sembrano stravaganze irrazionali, perche' tutto il mondo sa in anticipo la
sproporzione che esiste fra il valore di quello che si vuole ottenere ed il
valore di quello che si e' disposti a sacrificare...
Bisogna dire che le grandi parole solenni: l'onore, la patria, i principi,
servono quasi sempre per razionalizzare il desiderio di abbandonarsi a
questa sbornia collettiva.
I governi lo sanno e per negare il dissenso e le difficolta' interne,
impongono ai loro sudditi l'unita', mostrando loro, come diceva Hegel, la
figura del padrone assoluto: la morte. La scelta data e' fra la solidarieta'
e la sconfitta.
E' triste, senza dubbio, - prosegue Zuleta - la morte dei ragazzi argentini
e il dolore dei loro parenti e quello dei ragazzi inglesi e dei loro; pero'
e' forse ancora piu' triste vedere la gioia momentanea del popolo argentino
unito dietro a Galtieri e quella del popolo inglese dietro a Margaret
Thatcher.
Se qualcuno mi obiettasse che il riconoscimento preventivo dei conflitti e
delle differenze, nonche' della loro inevitabilita' e convenienza,
rischierebbe di paralizzare in noi la decisione e l'entusiasmo nella lotta
per una societa' piu' giusta, organizzata e razionale, gli risponderei che
per me una societa' migliore e' quella capace di migliori conflitti. Di
riconoscerli e contenerli. Di vivere, non malgrado essi, ma produttivamente
e intelligentemente con essi. Che solo un popolo scettico sulla festa della
guerra, maturo per il conflitto, e' un popolo maturo per la pace".
*
L'idea di scavare nei conflitti per farli evolvere in maniera intelligente e
nonviolenta nasce pero' anche dall'esperienza concreta nel cuore delle nuove
guerre.
Chi di noi in questi anni e' stato attore di cooperazione internazionale si
e' reso conto di quanto il proprio agire toccasse solo in superficie le
dinamiche dei conflitti e di come fosse difficile fare buona cooperazione
senza diplomazia popolare.
Ne abbiamo parlato diffusamente nel convegno sui dieci anni di aiuti e
cooperazione con il sud est Europa. Rilevando come troppo spesso la
comunita' internazionale appaia chiusa nella propria autoreferenzialita' e
dipendente dal ciclo dell'emergenza. Percio' si ricostruiscono le case, ma
non c'e' il tempo ne' la capacita' per sostenere la ricostruzione delle
comunita'...
Intrisa di economicismo e' l'idea che il miglioramento delle condizioni
sociali possa di per se' guarire le ferite lasciate dalla degenerazione
violenta dei conflitti.
Per questo motivo, ragionando sulla rinascita materiale di quelle terre,
abbiamo individuato i territori e le comunita' come spazio di sviluppo
autosostenibile, dove dimensione sociale, economica, ambientale e civile si
intersecano e si rafforzano a vicenda. E dunque abbiamo proposto, a partire
dalla primavera scorsa, un percorso per dar vita ad un Manifesto dello
sviluppo locale nei Balcani.
Per questo stesso motivo abbiamo voluto dedicare il presente convegno alla
necessita' di abitare i conflitti, di indagarne le origini, di conoscerne
gli attori, di "mettersi in mezzo", anche come simbolica interposizione se
occorre, ma soprattutto nello scardinare dal di dentro la logica della
guerra e i suoi comportamenti, siano essi il chiudersi a riccio per
difendersi dall'aggressione (vera o presunta che sia) o la santificazione
del sacrificio ("l'anima di fanciulla e' necessaria al guerriero... per il
fatto che il suo ruolo principale nella nostra mitica narrazione bellica e'
quello di vittima e non quello di vincitore", come ci spiega Ivan Colovic).
In altre parole, il bisogni di interrogarsi sulla guerra moderna come
"malattia della civilta'", per usare l'espressione della nostra amica Nicole
Janigro, come esito del lungobreve XX secolo e delle premesse positivistiche
dei pensieri che si sono confrontati lungo il Novecento, sulla perdizione
dell'uomo moderno schiacciata fra promesse mancate e delirio dell'homo
faber. Su quella combinazione di modernita' e barbarie, di guerre stellari e
carneficine, dove il soldato - che tendenzialmente non muore mentre a morire
sono i civili - ha la faccia pulita ed inespressiva del professionista
americano che fa il suo lavoro (ma non era anche la tesi di Eichmann al
processo di Gerusalemme?) e insieme quella brutale del generale serbo che
accarezza il ragazzino di Srebrenica prima di dare il via alla mattanza. E
ai bulldozer nordamericani che seppelliscono decine di migliaia di morti nel
deserto dell'Iraq corrisponde la "zampata ultima" del guerriero balcanico
che toglie ogni velo sulle guerre patriottiche.
*
Figlie di una stessa crisi di civilta', modernita' e barbarie si rincorrono,
s'intrecciano, ma non riescono a nascondere il loro vuoto, il loro rimosso,
il loro non elaborato. "Le nuove guerre - scrive la Janigro - condotte in
nome dell'umanita', appaiono sempre pero' idealmente deboli, tanto da dover
essere, ogni volta di nuovo, alimentate con le ragioni del passato. E' la
Shoah il peccato originale della postmodernita', la metafora del male da
sconfiggere e da evitare...".  Cosi' che si puo' solo essere a favore della
guerra, se in gioco e' l'umanita'.
Quella "crisi di civilta'" che incontriamo non solo lungo le lande desolate
dei moderni dopoguerra, ma anche nelle periferie delle metropoli, laddove
ricompare la pulizia etnica e dove, come afferma Akbar Ahmed, tutti
diventano primitivi e selvaggi.
Allora indagare sulla guerra significa ragionare sulla condizione dell'uomo
contemporaneo, sulla perdita d'identita', sullo spaesamento. E capire che
oggi la guerra, pure bandita dalle Carte internazionali, e' rientrata a far
parte della nostra vita quotidiana come della normalita' del nuovo ordine
internazionale.
Dentro questo duplice campo díindagine vorremmo scavare.
In primo luogo ponendo la questione, visto che il tema dell'elaborazione del
 conflitto e' il grande assente nella gran parte dei progetti di
cooperazione internazionale. Quanti interventi umanitari, quante case e
scuole ricostruite, quanti progetti di sviluppo sono stati realizzati nei
tanti dopoguerra, lungo le moderne tragedie del nostro tempo. E quanto tempo
invece e' stato dedicato alla ricostruzione della pace? Della pace non come
"assenza di guerra", ma della pace piu' solida che si puo' chiamare
riconciliazione? Quante guerre appena sopite ci stiamo trascinando, dove le
cause profonde non sono state rimosse e nella coscienza collettiva come
nell'animo delle persone cova ancora la paura, anticamera della vendetta?
Quanti conflitti armati sono destinati e riesplodere, piu' violenti e
brutali di prima?
Di questo parleremo diffusamente negli studi di casi che oggi saranno
proposti.
In secondo luogo, facendo divenire la tematica dell'elaborazione del
conflitto un passaggio decisivo dell'impegno per la pace, del cooperare, del
fare diplomazia dal basso.
*
Elaborare il conflitto significa rendersi conto di cio' che e' accaduto e
accade al di la' della propria collocazione dentro il conflitto medesimo.
Prendere coscienza della reale partita che si sta giocando attorno a te e
con te, comprendere ad esempio che nella vicenda balcanica degli anni '90 la
questione etnica e' stata solo lo strumento per garantire base di massa ad
una guerra pensata dalla nomenklatura come forma di accumulazione primaria e
come logica di potere nel succedere a se stessa. O, in altre parole, della
manifestazione post moderna dei processi di finanziarizzazione dell'economia
globalizzata che trovano proprio nelle aree deregolate del pianeta i luoghi
del loro manifestarsi estremo.
E poi, riappropriarsi dei processi. Trovare il punto d'incontro fra le
diverse storie e le diverse verita'. Raccontarsi le proprie vicende di
"nemici" per scoprire l'amaro e comune destino.
E questo vale tanto per le donne profughe bosniache e serbe che si
raccontano intorno ad un tavolo a Prijedor, come per quell'anonimo soldato
contadino iracheno messo in un sacco di plastica dalle mani di un soldato a
stelle e strisce che di li' a qualche mese morira' di cancro per esposizione
ad uranio impoverito.
E per non dover continuare a sentirci dire "i morti seppelliscano i morti",
quasi che le ferite potessero rimarginarsi senza essere medicate.
Parliamo con cautela di riconciliazione e ancor piu' di perdono, sfere che
investono una dimensione personale oltre che pubblica.
Per quanto concerne quest'ultima, si tratta di processi complessi che
richiedono un grande equilibrio e una grande capacita' di compromesso.
L'esperienza sudafricana ci insegna che il compromesso "puo' costituire il
punto di partenza di un processo che conduce alla fine assai piu' lontano di
quanto i primi passi lascino intuire. Le decisioni politiche sul futuro non
avvengono nel vuoto, ma sono ancorate alla realta' storica. Una casa puo'
essere costruita solo con i mattoni che abbiamo a disposizione in quel
momento" (Charles Villa-Vicencio).
Abbiamo imparato dalle vicende del secolo scorso che tali processi devono
avvenire nel cuore delle societa', nell'elaborazione culturale collettiva
piu' che nei tribunali, laddove si risponde piu' al bisogno ostentato di
vendetta che non all'indagine approfondita sulle cause e sulle
responsabilita' individuali e collettive. Come ci ricorda Marcello Flores,
"I risultati complessivi della giustizia dei vincitori sono stati, tranne
forse che sul piano simbolico, largamente deludenti: il numero dei
responsabili dei crimini che ha pagato il proprio conto con la giustizia e'
stato cosi' esiguo da apparire ridicolo...; le vittime non si sono sentite
risarcite mentre i persecutori si sono sentiti perseguitati piu' del lecito;
la societa' e' stata apparentemente pacificata ma ha lasciato divisioni che
sono periodicamente riemerse con risentimenti, lacerazioni e desideri di
vendetta" (Marcello Flores, Verita' senza vendetta).
Inviterei la signora Carla Del Ponte ad andare la prossima estate come una
qualsiasi cittadina a Guca, nel cuore della Serbia centrale, dove ogni anno
si svolge il "Dragacewski Sabor", il grande festival degli ottoni e di
musica zigana, per capire cosi' il rancore profondo, il ventre del
nazionalismo, il retroterra di quei "signori della guerra" che gli risultano
inspiegabilmente imprendibili.
Le immagini di Radovan Karazdic e di Ratko Mladic come icone della nazione
serba calpestata non si eliminano nei tribunali, quand'anche conosciamo le
loro responsabilita' e ne possiamo auspicare la consegna alla giustizia
penale. Il problema sta nella capacita' di una comunita' nazionale di
guardarsi dentro, di ricostruire i tratti di un risorgimento nazionale che
e' fatto di negoziazione, di leggi e di strumenti di risarcimento, ma anche
ed in primo luogo di elaborazione del conflitto e di riconciliazione.
Quel che ci proponiamo non e' dunque un'altra traccia possibile di impegno
per la pace, ma una chiave crediamo ineludibile per leggere ed agire dentro
i conflitti del nostro tempo.

3. COSTRUTTRICI DI PACE. ILEANA MONTINI: RADHIA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: Ileana.montini at tin.it) per questo
articolo. Ileana Montini e' un'intellettuale e militante di grande acutezza
e tenace impegno per la dignita' umana. Un suo profilo abbiamo pubblicato
sul n. 439 di questo notiziario]
Radhia Ben Amara e' tunisina di Tunisi, ha 37 anni e dal 1987 risiede in
Italia. Da sei anni e' sposata con un italiano, abita a Cervia (Ra) e ormai
parla un italiano con forte accento romagnolo. Radhia ha un diploma preso
nel suo Paese in materie turistiche, ma non e' di turismo che si occupa in
Romagna dove abita.
Si occupa di "Oasi donne" e del "Centro servizi per lavoratori stranieri"
della CGIL di Cervia.
Suo marito, per sposarla (lei e' mussulmana, anche se non praticante: "Non
mangio il maiale - mi dice - ma bevo il vino") ha dovuto fare "un atto di
vendita di religione", rinunciando alla cattolica acquisita con il
battesimo. Ci tiene a presentare la Tunisia come un paese piu' aperto degli
altri, dove il chador e' addirittura proibito, e le donne possono divorziare
ed ereditare. I suoi fratelli, pero', non sono aperti come il padre e
pretendevano di controllare la sua virtu'.
Nel 1999 ha fondato l'associazione interculturale "Mammafrica" e ha ottenuto
dal Comune di Cesena una sede. Non e' stato facile convincere le donne e i
mariti, ma c'e' riuscita. Sono 14, hanno una presidente (lei), una
vicepresidente e una segretaria.
Radhia racconta che alla prima riunione si presentarono i mariti. In un
secondo tempo e' riuscita a fare le riunioni con le donne, ma di pomeriggio.
L'associazione si prefigge di "diffondere la conoscenza di usi e costumi di
altre culture" mediante cene etniche, spettacoli di danze di vari paesi,
sfilate di costumi tradizionali, mercatini di oggettivistica, seminari e
dibattiti, sostegno scolastico, stand gastronomici e corsi
d'alfabetizzazione.
Radhia descrive un mondo di donne magrebine mussulmane in Italia che
appaiono come delle  recluse in casa. Gli uomini permettono alle donne di
lavorare, ma non di recarsi da sole dal medico, anzi dalla medica, perche'
non devono spogliarsi davanti ad un maschio.
Non vedono di buon occhio l'uscita di casa perche' potrebbero incontrare
donne italiane, "notoriamente libere di costumi" e pertanto in contrasto con
l'invito coranico al decoro e alla virtu'. Lei stessa non e' molto gradita
ai suoi connazionali che "regrediscono" anche quando si tratta di tunisini.
E' del resto comprensibile: le donne rappresentano, sono la garanzia,
dell'identita' collettiva e del sentimento di appartenenza alla comunita'
delle origini.
Nelle donne c'e' ambivalenza: da una parte il desiderio di imitare le
occidentali, per emanciparsi e raggiungere un po' di parita' superando i
ruoli tradizionali, dall'altra il timore di perdere i connotati rassicuranti
della tradizione e l'accettazione degli altri: dal marito ai parenti.
Mi racconta di un'algerina che ha sposato un italiano e quando lui parte per
lavoro, nella valigia gli mette i preservativi per eventuali avventure.
Ma mi racconta anche di una marocchina che sta aiutando ad ottenere il
divorzio perche' non accetta che il marito le imponga la seconda moglie.
Con le lei le donne si confidano anche per il sesso. Descrivono una realta'
che e' stata delle nostre nonne: subiscono spesso il desiderio del marito
perche', probabilmente, la sottomissione non e' propriamente un buon terreno
per il reciproco, gioioso abbandono. Spesso si tratta di   matrimoni
combinati dai parenti quasi alla nascita.
Emerge anche una difficolta' d'incontro e di scambio tra donne italiane e
mussulmane dell'area del Magreb. Radhia sottolinea l'impossibilita' per una
di noi di stabilire uno scambio confidenziale sincero: le donne mussulmane
non si aprono, sono diffidenti, forse si vergognano e temono il giudizio
negativo.
Lei aveva progettato un bagno turco e  aveva chiesto un finanziamento alla
provincia di Cesena-Forli' e alla regione. L'aveva pensato come un luogo
d'incontro anche con le italiane, con il nome di "Sapore hammam (pane) e
culture".
Le donne mussulmane avrebbero potuto accedervi perche' e' un luogo di
purificazione assai diffuso e "naturale" nei paesi mussulmani. Il costo
elevatissimo e l'impossibilita' di trovare degli sponsor, ha fermato, per il
momento l'iniziativa.
C'e' anche il problema dei figli nati in Italia che rifiutano  l'identita'
tradizionale dei genitori.
Un ragazzo chiedeva a Radhia perche' la sua mamma non si veste come lei, in
modo occidentale, moderno. E definiva l'abbigliamento della madre con una
frase stereotipo nostrana: "la mia mamma si veste come una zingara!".

4. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: TRE QUARTINE SUL CONCETTO DI COSCIENZA
[Nel trentesimo anniversario della legge 772 del 15 dicembre 1972 che ha
riconosciuto e introdotto nella legislazione italiana l'obiezione di
coscienza al servizio militare, il Centro di ricerca per la pace di Viterbo
promuove un'iniziativa che ha anche il significato di contributo al percorso
delle "Dieci parole della nonviolenza" promosso dal Movimento Nonviolento;
tema dell'incontro il concetto di "coscienza". Le piste di riflessione che
saranno particolarmente proposte ed esplorate sono le seguenti: a) coscienza
come scienza dell'insieme, come conoscere insieme, come riconoscersi;
responsabilita', condivisione, convivenza; b) alla scuola di Antigone; c)
l'obiezione di coscienza ovvero l'affermazione della coscienza. Per
l'occasione il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha composto il testo
seguente]

E' la coscienza scienza dell'insieme
e insieme e' riconoscersi cosciente
dialogo dell'io e del tu, e al niente
opporre l'esserci e l'aprirsi seme.

Di Antigone la scuola dura e chiara
ti convoca a sapere che sei tu
il responsabile di cio' che piu'
ti preme: la tua azione non sia avara.

Nell'ora della scelta, che non cessa,
per buffo paradosso l'obiezione
netta della coscienza e' affermazione
della coscienza netta, in pace espressa.

5. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: IN LODE ALLO STERCO DI VACCA
[Dal sito www.zma.org/italy riprendiamo questo recente intervento di Vandana
Shiva, tradotto da Barbara Cerboni. Vandana Shiva, scienziata e filosofa
indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle
istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come
studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture
native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti
ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli
di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e
programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Opere di
Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture
della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli
1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra
madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo);
Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002]
In India si adora lo sterco di vacca col nome di Lakshmi, la dea
dell'abbondanza.
Gobur-dhan puja significa, letteralmente, il culto dell'abbondanza (dhan)
dello sterco di vacca (gobur).
Lo sterco di vacca e' adorato perche' e' la fonte della rinnovata fertilita'
della terra e quindi della sostenibilita' della societa' umana. La mucca e'
stata sacralizzata in India perche' e' una specie con un ruolo chiave per
gli ecosistemi agricoli - e' la chiave della sostenibilita'
dell'agricoltura.
Quando la Monsanto e i portavoce dell'industria delle biotecnologie,
spacciandosi per "agricoltori", mi presentarono al World Summit of
Sustainable Development a Johannesburg con dello sterco di vacca, accettai
il loro "premio" come tributo alla coltivazione biologica e all'agricoltura
sostenibile.
La piccola delegazione di coltivatori giunti al World Summit of Sustainable
Development da tutta l'Africa, ha rifiutato gli OGM e i prodotti chimici, e
si e' impegnata per l'agricoltura biologica e per la difesa dei diritti dei
coltivatori. Stanno liberamente scegliendo tipi di sementi che possono
conservare e tecnologie che siano sostenibili. Le organizzazioni di
coltivatori in India e in Africa stanno dicendo no agli OGM sulla base della
loro liberta' di scegliere l'agricoltura biologica, e questo significa
essere liberi dalla contaminazione genetica che deriva dalle coltivazioni
OGM.
La contaminazione genetica deruba i coltivatori della loro liberta' di
essere privi di OGM. I brevetti ed i diritti di proprieta' intellettuale
sulle sementi derubano i coltivatori della loro liberta' di conservare,
scambiare, sviluppare sementi.
I coltivatori sono trattati come "ladri" e "criminali" per il fatto di
esercitare i loro diritti. L'esempio piu' eclatante e' quello di Parcy
Schmeiser, i cui campi di canola furono contaminati dalla canola
geneticamente modificata della Monsanto, e fu intentata una causa contro di
lui per "furto" di geni. Questo e' il motivo per cui quelli di noi che
coltivano secondo i parametri biologici, e vogliono mantenere la propria
liberta' di coltivare e di difendere i diritti dei coltivatori, si stanno
opponendo alle irresponsabili multinazionali che vorrebbero diventare le
proprietarie della vita sulla terra e delle sementi, contaminare i nostri
raccolti e il nostro cibo, ed avere il controllo totale dell'agricoltura e
dei coltivatori.
*
Le sementi geneticamente modificate e i prodotti chimici sono una minaccia
alla sopravvivenza dei coltivatori, una minaccia alla salute dei
consumatori, e una minaccia all'ambiente.
I coltivatori del Punjab e dell'Andhra Pradesh si stanno suicidando perche'
i costosi prodotti chimici e le sementi delle multinazionali Monsanto/Mahyco
li hanno spinti a contrarre debiti abissali e impossibili da saldare.
Le affermazioni della Monsanto e dei suoi apologeti come Swaminathan Iyer
(che mi ha chiamata "assassina verde" nel "Times of India" del 22 settembre
2002, perche' pratico e promuovo l'agricoltura biologica) sul fatto che gli
OGM possano sfamare il mondo, sono assolutamente false.
Il cotone Bt della Monsanto ha fallito in tutta l'India nel suo primo anno
di coltivazione commerciale. A Khargone, nel Madhya Pradesh, il cotone Bt e'
un fallimento al 100% e i coltivatori stanno chiedendo un risarcimento. In
Maharastra, il raccolto di Bt e' andato male su 30.000 ettari e i
coltivatori stanno chiedendo un risarcimento di cinque miliardi di Rupie. In
Gujarat, a Bhavnagar, a Surendranagar e a Rajkot il cotone Bt e' stato
distrutto da una pesante infestazione di vermi parassiti; proprio per tenere
sotto controllo questa peste il cotone era stato manipolato con il gene che
produce la tossina del Bt (1). Il cotone Bt geneticamente modificato non e'
un miracolo, e' una truffa per i coltivatori.
In Rajasthan, il mais ibrido che secondo la Monsanto doveva produrre dai 20
ai 50 quintali per acro, sta producendo 1,5 - 1,7 quintali per acro, e in
piu' richiede un uso intensivo di acqua e di prodotti chimici, aggravando i
problemi di irrigazione e la carestia.
Le affermazioni pseudoscientifiche delle irresponsabili multinazionali delle
biotecnologie come la Monsanto stanno uccidendo i nostri coltivatori, la
nostra agricoltura, la nostra biodiversita'.
L'agricoltura biologica sta raddoppiando o anche triplicando la
produttivita' delle coltivazioni, aumentando il reddito dei coltivatori e
proteggendo la salute pubblica e l'ambiente. Questo e' il motivo per cui la
rivista "Time" ha identificato il movimento Navdanya (2) come pioniere del
nuovo secolo affermando che "In India per lo meno, Navdanya impone uno
standard ecocompatibile che l'impresa agricola puo' riuscire a seguire. La
sfida per l'ingegneria genetica e' di creare sementi adatte ad ambienti
particolari che permettano ai coltivatori di ridurre, e non aumentare, l'uso
di prodotti chimici" ("Time", 26 agosto 2002, Seeds of self Reliance, p.
36).
La Monsanto e coloro che l'appoggiano traggono i loro profitti vendendo e
promuovendo veleni, sementi tossiche e controllo aziendale.
Movimenti come Navdanya celebrano la biodiversita', la liberta' dei
coltivatori, e lo sterco di vacca.
Le multinazionali e i loro portavoce si stanno disperando perche' la gente
sta cominciando a capire le loro bugie e i loro inganni. Con l'agricoltura
biologica che cresce in tutto il mondo, e la sempre maggiore evidenza dei
fallimenti e della non sostenibilita' dell'ingegneria chimica e genetica, le
lobbies dell'industria chimica si stanno disperando. I loro attacchi diretti
a me li vedo come un sintomo della loro disperazione causata dal fallimento
e dalla non sostenibilita' dell'agricoltura industriale e aziendale, dal
fallimento nel risolvere il problema della fame e nel migliorare i guadagni
dei coltivatori.
I sistemi sostenibili stanno crescendo perche' offrono soluzioni reali alle
crisi dovute alla fame e alla poverta'. E lo sterco di vacca, le biomasse e
la biodiversita' sono il cuore della sostenibilita' e sono l'alternativa
biologica nonviolenta all'ingegneria chimica e genetica.
Dal punto di vista ecologico, la mucca ha avuto un ruolo centrale nello
sviluppo della civilta' indiana. Sia materialmente che concettualmente, il
mondo dell'agricoltura indiana ha costruito la sua sostenibilita' sulla
conservazione dell'integrita' della mucca, considerandola inviolabile e
sacra, vedendola come madre della prosperita' dei sistemi alimentari.
L'integrazione del bestiame con la coltivazione e' stato il segreto
dell'agricoltura sostenibile.
Il bestiame svolge una funzione critica nella catena alimentare trasformando
la materia organica in una forma facilmente utilizzabile dalle piante.
Secondo K. M. Munshi, primo ministro indiano dell'agricoltura dopo
l'indipendenza, "la madre mucca e il Nandi (3) non sono adorati invano. Sono
gli agenti primordiali che arricchiscono la terra - i grandi trasformatori
naturali della terra -, sono in grado di fornire la materia organica che,
opportunamente trattata, diventa la piu' importante fonte nutritiva. In
India, tradizione, sentimento religioso e bisogni economici si sono sforzati
di mantenere una popolazione di bestiame sufficientemente ampia per
mantenere questo ciclo, solo grazie alla nostra consapevolezza".
*
Un secolo fa, Sir Alfred Howard, il padre della moderna agricoltura
sostenibile, scrisse nel suo importante testo "An Agricultural Testament",
che "nell'agricoltura asiatica ci troviamo di fronte ad un sistema di
coltivazione contadino che, negli elementi essenziali, si stabilizzo'
rapidamente. Quello che si pratica oggi nei piccoli campi dell'India e della
Cina, e' nato molti secoli fa. Le consuetudini agricole orientali hanno
superato la prova piu' difficile - si puo' dire che siano stabili quasi
quanto quelle delle foreste originarie, delle praterie, o dell'oceano".
Howard identifica i principi dell'agricoltura sostenibile nella
rinnovabilita', come si e' visto nelle foreste originarie. L'Agricultural
Testament e' una registrazione delle pratiche che hanno mantenuto la
fertilita' della terra in India nei secoli. Le registrazioni storiche
indicano che le terre alluvionali delle pianure del Gange hanno prodotto
buoni raccolti anno dopo anno, senza perdere fertilita'.
Secondo Howard, questo e' stato possibile perche' e' stato raggiunto un
perfetto equilibrio tra il bisogno di concime per un dato raccolto e i
processi naturali che recuperano la fertilita'. La conservazione della
fertilita' della terra e' stata raggiunta attraverso una combinazione di
coltivazioni miste a rotazione con coltivazioni di leguminose, un equilibrio
tra coltivazioni e bestiame, aratura leggera e poco profonda, e concimazione
organica.
Questo e' il motivo per cui organizziamo le "Letture Commemorative di
Howard" il 2 ottobre, in ricordo dell'India come terra d'origine
dell'agricoltura nonviolenta e sostenibile. La lettura di quest'anno e'
stata fatta da Fukuoka, teorico agricolo giapponese, e presieduta dal dr.
Tewolde Egziabher, Ministro dell'Ambiente etiope, che ha portato i negoziati
sulla sicurezza biologica alle Nazioni Unite.
Howard vide nei contadini indiani una conoscenza dell'agricoltura molto piu'
avanzata di quella occidentale. Riconobbe il segreto dell'uso sostenibile
della terra in India nel ritorno di materia organica e di humus alla terra.
E' stato sempre mantenuto un equilibrio tra il bestiame e le coltivazioni
allo scopo di mantenere il ciclo alimentare e il ritorno di materia organica
alla terra. Il metodo delle coltivazioni miste fa parte di un adattamento ai
criteri della natura, secondo cui cereali come il miglio, il grano, l'orzo e
il mais sono alternati ritmicamente, provvedendo al nutrimento e dando cosi'
migliori risultati rispetto alle monocolture; Howard nota che "questo e' un
altro esempio in cui i contadini dell'Est hanno anticipato, agendo
opportunamente, uno dei problemi che la scienza occidentale solo ora sta
cominciando a riconoscere".
La conservazione della biodiversita' e l'agricoltura biologica stanno
aumentando la produzione di cibo del 200-300%. L'intensificazione della
biodiversita', non dell'uso dei prodotti chimici, e' la via che permettera'
all'agricoltura indiana di andare avanti.
La coltivazione biologica e' necessaria per aumentare la produzione di cibo
e per rafforzarne la sicurezza, per conservare risorse naturali - terra,
acqua, biodiversita' -, per migliorare il reddito dei coltivatori e il
benessere, per proteggere i mezzi di sostentamento rurali, prevenire
l'indebitamento, fermare il debito che sta portando l'agricoltura al
suicidio. Crea liberta' dal debito, dalla dominazione e dalla malattia.
*
Le multinazionali stanno creando poverta' deviando il sudato guadagno dei
contadini e dei coltivatori verso l'industria delle sementi e dei pesticidi.
Le nuove sementi, oltre ad essere costose sono anche ecologicamente
vulnerabili a malattie e infestazioni, portando a maggiori perdite di
raccolto e ad un maggiore uso di prodotti chimici.
Queste sono tecnologie assassine, indesiderabili e non necessarie.
L'attentato delle multinazionali all'agricoltura e' basato su affermazioni
false e pseudoscientifiche. Le tecnologie violente dell'ingegneria genetica
e dei pesticidi tossici, e la promozione disonesta e criminale di questa
poverta', creano capitale e tecnologie non sostenibili, e stanno anche
portando alla morte dei nostri coltivatori e alla distruzione delle nostre
sicurezze ecologiche ed alimentari. Queste sono tecnologie primitive, rozze
e obsolete, efficienti nella distruzione, non nella produzione.
Le tecnologie agricole del futuro devono lavorare per le persone, non per le
multinazionali, devono lavorare con la natura, non contro di essa. Se i
coltivatori e l'agricoltura vogliono avere un futuro, allora deve essere
biologico. Ne' il pianeta, ne' la povera gente puo' permettersi le perdite,
l'inefficienza, gli inganni, l'inquinamento e la violenza dei prodotti
chimici e dell'ingegneria genetica.
*
Note della traduttrice
1. Bacillus thuringensis, e' un batterio del suolo che produce una tossina
insetticida.
2. Movimento fondato da Vandana Shiva nel 1991, per la protezione della
diversita' e l'integrita' delle risorse viventi, soprattutto delle sementi
locali.
3. Nandi, il toro usato dalla divinita' Shiva come veicolo; i tori vengono
utilizzati dai contadini nei lavori agricoli.

6. LETTURE. GIOCONDA BELLI: IL PAESE SOTTO LA PELLE
Gioconda Belli, Il paese sotto la pelle, Edizioni e/o, Roma 2000, 2002, pp.
480, euro 8,50. Gioconda Belli, la grande scrittrice nicaraguense, racconta
la sua vita e la sua lotta contro tutte le oppressioni.

7. LETTURE. FATEMA MERNISSI: ISLAM E DEMOCRAZIA
Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, pp. 222, euro 12.
Un utilissimo libro della grande intellettuale marocchina.

8. LETTURE. PIETRO POLITO: L'ERESIA DI ALDO CAPITINI
Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001, pp. 202, euro
14,46. Una raccolta di saggi che si compongono in una acuta e densa
monografia. Con una prefazione di Norberto Bobbio.

9. LETTURE. DAVID MARIA TUROLDO: NEL LUCIDO BUIO
David Maria Turoldo, Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002, pp. 160, euro
7,50. Una bella raccolta di "ultimi versi e prose liriche" del grande
sacerdote, poeta, maestro e testimone di pace; con ampio, utile apparato
critico.

10. RILETTURE. MARIO COLUCCI, PIERANGELO DI VITTORIO: FRANCO BASAGLIA
Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori,
Milano 2001, pp. 336, euro 13,43. Utilissima monografia (ma naturalmente di
Franco Basaglia, uno dei piu' grandi dei pensatori ed operatori della
liberazione del Novecento e' indispensabile leggere anche almeno la raccolta
degli Scritti, edita in due volumi da Einaudi per le cure di Franca Ongaro
Basaglia).

11. RILETTURE. VIRGILIA D'ANDREA: CHI SIAMO E COSA VOGLIAMO. PATRIA E
RELIGIONE
Virgilia D'Andrea, Chi siamo e cosa vogliamo. Patria e Religione, Ipazia,
Ragusa 1986, pp. 48. Due conferenze della pensatrice, educatrice e militante
libertaria (Sulmona 1890 - New York 1933).

12. RILETTURE. GIULIO A. MACCACARO: PER UNA MEDICINA DA RINNOVARE
Giulio A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, Feltrinelli, Milano
1979, pp. 520. Una raccolta degli scritti 1966-1976 del grande medico,
scienziato e militante democratico (1924-1977), una delle figure piu' alte
della vita civile e della riflessione morale del nostro paese.

13. RILETTURE. MARIA ROSARIA MANIERI: LA FONDAZIONE ETICA DEL SOCIALISMO
Maria Rosaria Manieri, La fondazione etica del socialismo, Dedalo, Bari
1983, pp. 84. Un'agile monografia sulla riflessione di Francesco Saverio
Merlino, socialista libertario vissuto tra Ottocento e Novecento.

14. RILETTURE. EMILIA RENSI: ATEI DELL'ALBA
Emilia Rensi, Atei dell'alba, La Fiaccola, Ragusa 1973, 1991, pp. 138, lire
7.000. La pensatrice ed educatrice "erasmiana" e libertaria scomparsa
all'inizio dello scorso decennio e la cui opera meriterebbe uno studio e una
valorizzazione che ancora mancano, ripercorre in questo saggio alcuni luoghi
della riflessione filosofica e religiosa delle antiche culture classiche e
orientali.

15. RILETTURE. ROSSANA ROSSANDA: ANCHE PER ME
Rossana Rossanda, Anche per me, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 208. Una bella
raccolta di scritti dal 1973 al 1986 della grande intellettuale di
straordinario impegno civile, morale, culturale.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 444 del 13 dicembre 2002