La nonviolenza e' in cammino. 440



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 440 del 9 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace, contro la "teologia della guerra"
2. Andrea Cozzo, sulle importanti questioni poste da Giancarla Codrignani
3. Severino Vardacampi, su due questioni poste dall'editoriale di Giancarla
Codrignani
4. Rete di Lilliput, no alla guerra
5. Peppe Dell'Acqua, in difesa della legge 180
6. Baldino Graziano, una lettera a sostegno della "ragionevole proposta" per
salvare le vite dei migranti oggi condannati a morire nei nostri mari
7. Joan V. Bondurant, l'obiettivo del satyagraha
8. Laura Boella, una scelta di Hannah Arendt
9. Riccardo Orioles, da "Tanto per abbaiare" n. 155
10. Riletture: Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie
di donne. 1940-1945
11. Riletture: Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo
Capitini
12. Riletture: Giuliana Martirani, Progetto Terra
13. Riletture: Patrizia Campagna, Progetto Terra. Repertorio
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CONTRO LA "TEOLOGIA DELLA GUERRA"
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo
intervento. Lidia Menapace, gia' partecipe della Resistenza, e' tra le
figure piu' vive e piu' lucide della cultura e della prassi che invera pace,
dignita' umana, nonviolenza; tra le sue opere: (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001]
Segnalo il bel volume di Massimo Toschi, L'angelo della pace. Il Vangelo nel
tempo della guerra, "Quaderni di Missione oggi" n. 5, che raccoglie e ordina
in un discorso organico e continuato una riflessione teologica sulla pace e
sulla guerra e avverte documentatamente della ripresa di una "teologia della
guerra" che Giovanni Paolo II deriva da Pio XII, invece di dare sviluppo e
conclusione al discorso interrotto del Concilio Vaticano II, che si arresto'
su pressione dei vescovi americani e del medioriente, prima di dichiarare
sempre illecita la guerra nell'eta' dei mezzi di distruzione di massa.
Attraverso la crepa dell'"ingerenza umanitaria" si arriva a giustificare gli
interventi armati. Il bel testo mi e' venuto subito in mente quando ho visto
che pochi giorni fa il papa ha ricevuto in pompa magna la Marina militare
italiana col ministro della guerra Martino in occasione della festa di Santa
Barbara: inaudito!
La santabarbara e' il deposito delle munizioni e tipico appunto delle navi
da guerra. La stessa santa e' anche protettrice dei vigili del fuoco, i
quali operano delle "ingerenze umanitarie" che evidentemente Vaticano e
Italia considerano meno importanti; la Marina militare invece si', che
attacca persino le carrette del mare che portano esseri umani disperati
verso le nostre coste...
Gli effetti del rilancio della teologia della guerra si vedono subito: lo
scandalo di una chiesa che ignora il vangelo si presenta di nuovo ai nostri
occhi. Puo' darsi che sia ricattata da Bush sulla questione dei preti
sessualmente violenti o da Berlusconi sulla questione dei finanziamenti alle
scuole private e alla chiesa stessa con l'otto per mille: ma lo scandalo e'
profondo.
Aggiungo che "per giunta e buon peso" come dice un proverbio delle mie
parti, adesso viene sconsigliato di ammettere al sacerdozio i credenti gay.
Di bene in meglio!
Intanto gli insegnanti di religione passano avanti a tutti i precari della
scuola che dopo aver fatto concorsi e scalato graduatorie infinite vengono
sorpassati da insegnanti della scuola privata e da insegnanti di religione
senza concorso.
I favori e gli scambi assomigliano molto allo scandalo dei mercanti nel
tempio, verso i quali Gesu' Cristo ebbe un comportamento ai limiti della
violenza, quando li scaccio' a staffilate dal tempio del quale facevano
mercato.

2. RIFLESSIONE. ANDREA COZZO: SULLE IMPORTANTI QUESTIONI POSTE DA GIANCARLA
CODRIGNANI
[Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per questo
intervento. Andrea Cozzo insegna all'Universita' di Palermo, ove tiene un
modulo di "Teoria e pratica della nonviolenza"; ha dato vita con altri,
cinque anni fa, al "Seminario nonviolenza", un gruppo di studio e azione che
si riunisce presso la Facolta di Lettere. Tra le sue opere: Tra comunita' e
violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci,
Roma 2001]
Accolgo con un po' di timidezza e in punta di piedi l'invito gentile ad
intervenire sulle importanti questioni poste da Giancarla Codrignani nella
sua "Lettera ai pacifisti dimezzati" pubblicata sul n. 437 di "La
nonviolenza in cammino". Davvero non ne ho la competenza e temo che, anche
per il tempo che ho a disposizione, mi possa mancare la chiarezza
concettuale sufficiente. Tuttavia, credo pure che possa essere un buon segno
"esporsi" a dire la propria anche in un campo in cui ci si sente insicuri,
purche' si parli con rispetto ed umilta'.
*
Per vedere in che modo si puo' declinare la nozione di genere all'interno
del pensiero (e della pratica) della nonviolenza, menzionerei subito, magari
un po' pericolosamente, le  parole di Gandhi sul rapporto tra la la "forza
della verita'" (satyagraha) nel gioco dei conflitti, anche di quelli
macrosociali, e i comportamenti all'interno della famiglia: "questa dottrina
del satyagraha non e' nuova; e' solo un estendere al mondo della politica le
leggi che regolano la vita familiare. I disaccordi in famiglia vengono di
solito risolti con la legge dell'amore. Chi ha ricevuto un'offesa ha tanto
riguardo verso gli altri che sopporta l'offesa, senza essere in collera con
coloro che non accettano le sue idee. (...) cerca di non trasformare in
principi cose di poca importanza, ma cerca di andare d'accordo con il resto
della famiglia, sforzandosi di ottenere la pace per se' senza disturbare
quella degli altri. Pertanto la sua azione, se resiste o si rassegna, e'
sempre diretta al bene comune della famiglia. (...) Sento che le nazioni non
possono essere unite, ne' le loro attivita' possono condurre al bene
dell'umanita', a meno che la legge della vita familiare non venga accettata
nei rapporti internazionali, in altre parole nel campo politico. Le nazioni
possono dirsi civili solo nella misura in cui obbediscono a tale legge"
(Mohandas Gandhi, La forza della nonviolenza, Emi, Bologna 2002, IV ed., pp.
42-43).
E ancora: "la regola d'oro e' di essere amici di tutto il mondo e di
considerare l'umanita' intera come una stessa famiglia" (L'arte di vivere,
Emi, Bologna 1993, p. 95).
Il motivo del comportamento in famiglia e del sentimento verso la famiglia
come criterio per stabilire il comportamento e sentimento nonviolenti e'
ricorrente anche in altri. Vinoba, ad esempio, vi fa riferimento per
spiegare  sia il funzionamento dell'amministrazione fiduciaria sia il
concetto di villaggio ideale. Anche oggi, gli ultimi gandhiani dell'India,
Krishnammal e il marito Jagannathan, sono chiamati rispettivamente, Amma e
Appa ("mamma" e "papa'").
*
E' chiaro che il modello familiare non e' da scambiare con un modello
familistico e patriarcale: la famiglia funziona sia da metafora e valore
simbolico per intendere il rapporto affettivo piu' totale e fiducioso, sia
da luogo concettuale per pensare, come giustamente richiede Giancarla
Codrignani, "l'attraversamento dei conflitti". E' proprio la piu' specifica
distinzione di genere che Gandhi mette al lavoro nelle lotte concrete.
Ad esempio, in Teoria e pratica della nonviolenza (Einaudi, Torino 1973, pp.
205-9, da cui le citazioni immediatamente seguenti) si puo' leggere della
particolare funzione assegnata alle donne.
Innanzitutto dal punto di vista delle capacita': "in questa guerra
nonviolenta, il contributo delle donne deve essere maggiore di quello degli
uomini. (...) Se per forza si intende la forza bruta, allora e' vero che la
donna e' meno forte dell'uomo. Ma se per forza si intende la forza morale,
allora la donna e' infinitamente piu' forte dell'uomo. (...) Se la
nonviolenza e' la legge della nostra esistenza, il futuro e' delle donne".
Poi dal punto di vista simbolico nella strategia comunicativa con
l'avversario, in quanto "le donne non potranno mai essere sospettate di far
violenza o di voler fare violenza a coloro ai quali la loro azione si
rivolge", nonche' dal punto di vista della effettiva capacita' comunicativa:
"chi meglio delle donne puo' riuscire a far presa sul cuore della gente?".
Questa modalita' comunicativa che puo' "far presa sul cuore della gente" e'
forse quella che proprio noi maschi conosciamo poco, in quanto abituati a
coltivare piu' il valore "forte" della razionalita' che quello "debole"
dell'affettivita', piu' il linguaggio universalizzante che quello umile e
parziale, piu' il tono (e il modo) assertivo che quello dell'ascolto attivo,
piu' il concetto di "parita'" scandito sul parametro maschile che quello di
differenza.
*
Nell'ambito del buddhismo e' stato scritto da una donna che e' importante
trovare sentieri spirituali che sviluppino le donne "come donne, non come
entita' asessuate, che devono rinnegare la loro natura intrinseca per essere
accettabili in campo spirituale", e che, se "a livello assoluto la vera
natura della mente non possiede caratteristiche sessuali, a livello relativo
i mezzi  per raggiungere l'illuminazione devono essere adattati
all'individuo" (T. Allione, Donne di saggezza, Ubaldini, Roma 1985, p. 49).
Probabilmente dobbiamo ancora riconoscere che pure nella nonviolenza c'e',
benche' a volte solo implicito (per cui e' bene fare il lavoro di
esplicitazione), un posto importante per la distinzione di genere che spesso
noi invece tendiamo ad ignorare.
Anche al livello categoriale: il gandhiano "seguire la verita' quale
ciascuno la vede", ma sempre da porre in gioco nell'incontro con gli altri,
ad esempio, e' poi molto lontano da quel "partire da se'" che le donne della
comunita' filosofica "Diotima" (La sapienza di partire da se', Liguori,
Napoli 1996) hanno rivendicato come fondamentale per un pensiero concreto,
attivo, non arrogantemente universalistico ma umile, legato alla
soggettivita', anche fisica appunto, ed attento alle differenze?
La negoziazione e il compromesso, e l'accoglienza, che tanta importanza
giocano nella nonviolenza, non sono forse categorie squisitamente femminili?
Anche in ambito piu' strettamente costruttivo, la capacita' femminile di
fondare immediatamente alternativa e' lampante: individuando il carattere
sessista delle banche tradizionali e dei loro metodi di prestito Muhammad
Yunus, nella fondazione di Grameen Bank, che presta a tassi bonificati e
solo a famiglie poverissime, si e' rivolto quasi esclusivamente alle donne:
"la pratica ci ha dimostrato che le donne si adattano meglio e piu'
rapidamente degli uomini al processo di autoassistenza. Sono piu' attente,
si preoccupano di costruire un futuro migliore per i figli, dimostrano
maggiore costanza nel lavoro. Il lavoro affidato a una donna per la gestione
familiare rende piu' di quando passa per le mani dell'uomo" (Muhammad Yunus,
Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 2002, p. 88).
Abbiamo bisogno delle donne, dunque. Eccome. Abbiamo bisogno del loro aiuto,
del loro numero, delle loro modalita', dei loro insegnamenti.
Si tratta di valorizzare la differenza che permetta "quello stile di
politica e di economia 'al femminile', del prendersi cura, della
corresponsabilita' e del servizio, indispensabile oggi alla storia umana,
per vivere nel terzo millennio e nella 'civilta' della tenerezza'" (Giuliana
Martirani, Il drago e l'agnello, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi)
2002, II ed., p. 248).
*
Forse si tratta, anche, di dare maggiore spazio in noi maschi alla nostra
parte femminile (riconosciuta dalla psicologia odierna, oltre che dalla
filosofia orientale, ad esempio dal taoismo), e ancor piu' alla nostra parte
materna (per quanto questa possa essere soltanto pensata). Gandhi lo faceva.
Della modalita' femminile, anzi materna, nel rapporto che egli instaurava
con gli altri e testimone particolare Vinoba (Vinoba, Gandhi. La via del
maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 23): "parlava
come una madre, rispondeva come una madre e cosi' la gente si rivolgeva a
lui senza esitare. Cosi' si esprimeva la sua compassione. Tra i bambini era
un bambino. Tra le donne, una di loro. Gli parlavano sinceramente. Ognuno lo
considerava membro della propria famiglia. Tutti quelli tra noi che gli
erano vicini lo chiamavano Bapu [cioe': padre]. Piu' tardi l'intero paese
prese a chiamarlo Bapu e poi Padre della Nazione. Ma quando penso a Bapu,
penso a lui piu' come a una madre che come a un padre. Il nostro libro sacro
dice: 'La gloria della madre e' mille volte quella del padre'. Bapu era una
madre piu' che un padre".
Secondo lo stesso Vinoba, del resto, "la base del satyagraha e' l'amore,
(...) esso dovrebbe esprimere amore materno. (...) Cosa fa una madre? Dice
al bimbo di svegliarsi e se il bimbo non ascolta lo scuote. Il tocco della
mano che segue alla parola non e' un atto di violenza bensi' d'amore" (op.
cit., pp. 74-75).
Anche Capitini ha parlato in modo analogo: "Riguardo ad esseri umani la
nonviolenza e' l'appello continuo e intenso alla comprensione, alla
spontaneita', alla capacita' che ha l'altro essere umano di giungere ad una
decisione razionale. Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un
fondamento piu' saldo che per ogni altro essere: basta che io pensi che
colui che incontro, potrebbe essere mio figlio: (...) io penso che sempre
nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui
io mi senta madre di lui; che debbo abituarmi a costituire costantemente
questo atteggiamento del mio intimo; che, insomma, almeno per una volta,
esaurite e sfogate se si vuole, tutte le altre possibilita', io debbo
domandarmi: 'ma mi sono anche considerato pur per un istante madre di
costui? Come agirei se fossi sua madre, certo una madre non stolta, ma
pronta a vedere che cosa c'e' a favore di lui, a sperare per lui?'. La
nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita' altrui, e' anche un
potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva, si svolga, e come
un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro esiste, un
appassionamento alla radice" (Il messaggio di Aldo Capitini, a cura di G.
Cacioppo, Lacaita, Manduria 1977, pp. 226-227).
E in Teoria della nonviolenza (Quaderni di "Azione Nonviolenta" n. 6,
Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980, p. 16) diceva: "dire un tu
ad un essere concreto e individuato; e' avere interessamento, attenzione,
rispetto, affetto per lui; e' avere gioia che esso esista, che sia nato, e
se non fosse nato, noi gli daremmo la nascita: assumiamo su di noi l'atto
del suo trovarsi nel mondo, siamo come madri".
La nonviolenza, come e' noto, e' antica come le montagne; forse e' meno noto
che gli strumenti della nonviolenza si possono considerare ben vecchi
proprio "se pensiamo che le madri li hanno sempre usati" (Aldo Capitini,
Rivoluzione aperta, Parenti, Firenze 1956).

3. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: SU DUE QUESTIONI POSTE DALL'EDITORIALE
DI GIANCARLA CODRIGNANI
[Severino Vardacampi e' schivo un collaboratore del Centro di ricerca per la
pace di Viterbo]
Mi sembra che l'editoriale di Giancarla Codrignani apparso sul notiziario n.
437 del 6 dicembre, ripreso e sviluppato dall'editoriale di Lidia Menapace
apparso sul notiziario n. 438 del 7 dicembre, ponga questioni decisive.
Vorrei provare a segnalarne due.
*
La prima: una questione, diciamo cosi', immediata e contingente: la
necessita' di contrastare le derive maschiliste, autoritarie, militariste e
violentiste che possono distruggere il movimento per la pace, e questo
soprattutto in un momento come quello attuale in cui il movimento per la
pace dovra' fronteggaiore il pericolo di una nuova guerra che potrebbe
presto diventare una vera e propria guerra mondiale quantunque "asimmetrica"
che potrebbe mettere in pericolo l'umanita' intera (nell'eta' atomica
indagata da Guenther Anders ogni guerra puo' innescare la catastrofe del
genere umano).
E' questione da non sottovalutare, e su questo foglio da anni si cerca di
apportare qualche contributo di chiarezza e di proposta. Che vorrei provare
a riassumere cosi':
a) ci si puo' opporre con efficacia alla guerra solo se si e' un movimento
effettualmente, concretamente costruttore di pace, e quindi non subalterno
alla cultura maschilista, totalitaria e guerrafondaia; occorre quindi essere
un movimento che si opponga a tutte le violenze, e che nel suo stesso
esistere non riproduca modalita' autoritarie, carrieriste, militariste,
violentiste.
A questo fine il contributo del movimento delle donne, della cultura delle
donne, del pensiero e delle pratiche delle donne, e' semplicemente
fondamentale. Che molti maschi non se ne accorgano e' cosa che inquieta
enormemente me e credo tutte le persone ragionevoli.
b) Occorre che il movimento che si oppone alla guerra e vuole impegnarsi per
la giustizia e la dignita' umana faccia la scelta della nonviolenza come
forma di opposizione intransigente a tutte le violenze; solo la scelta della
nonviolenza consente di essere un movimento per la pace adeguato alla
terribile situazione del mondo di oggi.
E per fare la scelta della nonviolenza occorre mettersi all'ascolto e alla
scuola delle grandi esperienze storiche della nonviolenza, e tra esse
decisive mi sembrano due: la Resistenza al fascismo (che e' stata nella sua
grandissima parte esperienza di resistenza nonviolenta - questa e' la
verita' storica, ben diversa dalle ricostruzioni cinematografiche di una
industria culturale maschilista, bellicista, gravemente fascistizzante e
narcoticamente consumistica), e le lotte dei movimenti delle donne per la
dignita' umana, per l'ambiente, per la convivenza, per la pace (e infiniti
esempi ed innumerevoli nomi potrebbero essere fatti).
Il fatto che molti dicano di essere vicini alla nonviolenza e poi ne
ignorino pressoche' tutto, e lo dimostrano proprio soprattutto negando
valore e dimenticando completamente le rilevantissime esperienze nonviolente
di pensiero e di azione delle donne, e' sintomatico di un'ambiguita' morale,
di un obnibilamento cognitivo, di una insipienza politica che sono
sconcertanti e le cui conseguenze sono e non possono non essere nefaste.
c) Solo se si fa la scelta preliminare e fondante della nonviolenza sara'
possibile opporsi concretamente alla guerra, in modo non subalterno, in modo
non rituale, in modo non ridicolo e recuperato a priori dal potere bellicoso
e bellicista; solo se si fa la scelta della nonviolenza si possono poi fare
le cinque cose che occorre fare davvero e innanzitutto:
- azioni dirette nonviolente che contrastino operativamente ed efficacemente
la macchina bellica (come l'esperienza delle mongolfiere della pace nel
'99);
- una campagna di massa di disobbedienza civile vera che miri a bloccare la
catena di comando dei poteri politici ed amministrativi fedifraghi e
fuorilegge, golpisti e stragisti, che alla guerra trascinassero il nostro
paese;
- la preparazione di uno sciopero generale che provochi la caduta del
governo e lo scioglimento del parlamento che violando la Costituzione
italiana aderissero alla guerra immorale e illegale;
- la campagna di denunce penali da presentare a tutte le forze dell'ordine
ed a tutte le magistrature per chiedere l'arresto e il processo e la
punizione dei golpisti stragisti per violazione della Costituzione e crimini
di guerra e contro l'umanita';
- e prioritariamente (perche' per far tutto questo occorre una preparazione
severissima e partecipatissima ed autenticamente intimamente trasformatrice)
una formazione e un addestramento di massa alla nonviolenza: ai valori
logici, ermeneutici ed assiologici della nonviolenza, alle tecniche
deliberative ed operative della nonviolenza, alle strategie della
nonviolenza, alle metodiche e progettualita' della nonviolenza (e lasciamo
che siano i cretini a brigare per finire in tivu' o sui giornali, ed
asteniamoci nel modo piu' rigoroso dal fare le pagliacciate che piacciono ai
mass-media e agli insensati e comici ideologi che confondono la realta' con
quello che i padroni delle tivu' fanno vedere sugli schermi - appunto:
schermi).
Ma per far queste cose che a me paiono necessarie e le sole ad un tempo
utili e praticabili quantunque almeno in parte difficilissime e di esito
incerto ("di esito incerto": e' la formula con cui Giaime Pintor definisce
la sua "impresa" nell'ultima lettera al fratello Luigi - e riecheggiava
quella "intrapresa risicata" del testamento politico dell'amato Pisacane),
e' indispensabile mettersi alla scuola della cultura e della prassi del
movimento delle donne, delle tradizioni teoretiche ed esperienziali dei
movimenti femministi, delle proposte ermeneutiche e politiche in senso
forte - arendtiano - che dalle acquisizioni e proposte della cultura delle
donne dell'ultimo secolo a tutti noi vengono come dono grande e illuminante
orientamento.
Se non si accolgono nel campo delle nostre risorse teoretiche e
comportamentali le idee e le pratiche grandi di movimenti come ad esempio
quello delle Madri e Nonne di Plaza de Mayo, o le donne in nero, o le lotte
delle donne in India; e le esperienze e riflessioni di figure come Etty
Hillesum, Virginia Woolf, Simone Weil, Hannah Arendt, Simone de Beauvoir; e
Germaine Greer, Franca Ongaro Basaglia, Luce Irigaray, Rigoberta Menchu',
Aung San Suu Kyi, Vandana Shiva e molte altre; ebbene, se non si fa tesoro e
non si valorizza questa ricchezza, il nostro accostamento alla nonviolenza
non sara' tale ma solo autoinganno; e il nostro agire per la pace sara'
cosi' inane ed intimamente falso che meglio sarebbe non far nulla invece che
far cose peggio che inutili, controproducenti ed autolesioniste.
*
La seconda questione (ma di questa scrivero' molto piu' frettolosamente, non
voglio sottrarre troppo spazio): non e' possibile essere movimento per la
pace, e ancor meno e' possibile essere persone amiche della nonviolenza, se
non si parte dalla lettura e discussione e meditazione delle Tre ghinee di
Virginia Woolf, se non si coglie la crucialita' di quell'analisi che
connette maschilismo, fascismo e  guerra. Chi pensa di potersi opporre alla
guerra senza opporsi anche al fascismo e al maschilismo e' peggio che un
illuso: e' uno sciocco e un malandrino. Chi pensa di poter essere
antifascista senza lottare contro l'ideologia e le prassi patriarcali e
maschiliste non e' una persona seria, non e' una persona ragionevole, non e'
una persona onesta.
Cosi' come tutti siamo dovuti passare, scrisse quell'esule e non fallava,
attraverso il torrente di fuoco (feuer-bach: Feuerbach), ugualmente tutti
dobbiamo passare attraverso la riflessione di Virginia Woolf, altrimenti il
nostro parlare di pace e di nonviolenza e' solo chiacchiera e fumisteria:
potremo pure ingannare noi stessi, ma non inganneremo nessun altro, e non
fermeremo la guerra (che, scrisse Gandhi, e' sempre omicidio di massa) ne'
rovesceremo l'ingiustizia strutturale che oggi vampirizza e strazia e uccide
innumerevoli esseri umani e devasta ed inquina e soffoca nella morte
quest'unico mondo che abbiamo.
*
Queste due cose essenziali mi pare di aver colto da quanto Giancarla
Codrignani e Lidia Menapace hanno scritto.
Vorrei sperare che molte altre e molti altri su questo intervenissero,
almeno sul nostro notiziario.

4. INCONTRI. RETE DI LILLIPUT: NO ALLA GUERRA
[Dagli amici della Rete di Lilliput (per contatti: e-mail:
ufficiostampa at retelilliput.org; sito: www.retelilliput.org) riceviamo e
diffondiamo]
"La guerra deve diventare un tabu' per l'umanita'". Con queste parole il
missionario comboniano Alex Zanotelli e Gino Strada di Emergency hanno
aperto a Vico Equense i lavori dell'Assemblea programmatica di Rete Lilliput
che definira' le campagne prioritarie per il 2003.
Il rifiuto della guerra e' la priorita' numero uno sulla quale tutto il
movimento italiano sta lavorando in maniera coordinata dopo la grande
manifestazione del 9 novembre a conclusione del Forum Sociale Europeo.
Zanotelli ha ricordato davanti ad una platea di 350 persone provenienti da
tutta Italia come "il conflitto contro l'Iraq costera' ai soli Stati Uniti
dai 250 ai 1.250 miliardi di dollari mentre basterebbero 13 miliardi di
dollari l'anno per risolvere il problema della fame e dell'accesso ai
farmaci in tutto il pianeta". Dati che indicano come il governo del mondo
sia nelle mani di un gruppo di potere asservito agli interessi economici e
geopolitici dominanti.
Per Gino Strada, che dal 1994 opera in paesi teatro di conflitti armati come
l'Afghanistan e l'Iraq, "il problema della guerra non e' contingente ma e'
qualcosa di strutturale. La guerra contro l'Iraq, e le prossime annunciate
contro gli "stati canaglia" dalla cosiddetta dottrina Bush, servono a
mantenere gli stili di vita di un'esigua minoranza. Se tutti non hanno gli
stessi diritti, questi diritti diventano privilegi.
La Rete Lilliput riunita in assemblea e' convinta che la costruzione della
pace dipenda da ogni singolo cittadino e dai suoi gesti concreti. Come
ricorda Massimiliano Pilati referente del gruppo Nonviolenza "le azioni
quotidiane sono basilari per cambiare questo sistema economico di
sfruttamento. Adottare uno stile di vita sobrio, utilizzare prodotti dal
basso impatto ambientale e sociale, togliere i propri risparmi dalle banche
che agevolano il mercato delle armi, sono gesti personali ma molto concreti
per costruire un'economia alternativa di giustizia".
Da Vico Equense, sulla penisola sorrentina, Rete Lilliput invita tutti gli
italiani a partecipare alle mille fiaccolate che il 10 dicembre
illumineranno le strade del nostro paese nell'ambito della giornata
dell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il
sostegno alla campagna "Fuori l'Italia dalla guerra" e' di vitale importanza
per far comprendere al governo che la maggioranza degli italiani, nel
rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione, e' contro la guerra.

5. DIRITTI UMANI. PEPPE DELL'ACQUA: IN DIFESA DELLA LEGGE 180
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 dicembre 2002 riprendiamo questo
articolo. Peppe Dell'Acqua, tra i protagonisti dell'esperienza del movimento
di psichiatria democratica, e' direttore del Dipartimento di salute mentale
di Trieste]
Caro giornalista,
con questa lettera, che tante volte avrei voluto scriverti, vorrei
rivolgermi ai tanti amici con cui so di condividere la fede nella democrazia
e molte battaglie per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza alle
fasce piu' deboli della popolazione.
Vorrei parlare a quanti, di fronte al rischio di cancellazione della legge
180, vogliono assumere posizioni di equilibrio neutrale, riconoscendo (e chi
non la riconosce) la sofferenza che vivono le persone con disturbo mentale e
le loro famiglie e ritenendo la chiusura dei manicomi come causa di quella
sofferenza.
A quegli amici che dichiarano ideologica ed utopica la 180 e che sono
convinti che i malati di mente, cosi' li chiamano senza imbarazzo, vanno
collocati in luoghi dignitosi che, per carita', non diventino "lager".
Non c'e' imbarazzo nelle tue affermazioni perche' pensi al dolore delle
famiglie, perche' pensi all'evidenza di troppe risposte mancate. Perche',
come me, pensi di avere a cuore il destino delle persone con disturbo
mentale.
Eppure se tu avessi potuto attraversare, con me e con loro, gli ultimi
trent'anni della storia psichiatrica italiana, forse qualche sicurezza la
perderesti.
E proveresti imbarazzo perche' quella legge (che io temo tu conosca poco),
con un gesto assolutamente semplice e umanamente comprensibile, con un
semplice atto di giustizia, ha restituito a quelle persone ridotte a "matti
da legare" lo statuto di cittadini, il diritto ad esistere dentro quel
contratto sociale da cui erano stati definitivamente espulsi in modo del
tutto improprio, anche se "giustificabile" per la cultura scientifica del
XIX secolo.
Perche' oggi in Italia, grazie a quella legge, i soprusi che i malati e le
loro famiglie continuano a subire sono riconosciuti per quello che sono:
ingiustizie che, proprio perche' esiste quella legge, sono finalmente
riconoscibili come tali.
Le persone ancora legate ai letti, le porte chiuse, le mortificazioni
corporali, gli abbandoni intollerabili sono gli oltraggi a quel diritto di
cittadinanza, che oggi, quando viene violato o negato, genera imbarazzo,
obbliga a nascondersi, a trovare scuse.
E allora faresti fatica a liquidare cosi' in fretta la questione, pensando a
una malattia che ancora si ritiene invalidante perche' non si sa di che cosa
si sta parlando e ci si fida di parole di cui non si legge il significato.
Proveresti imbarazzo perche' avresti visto troppe persone "dementi"
riaversi, rimontare, rimettersi a parlare di se', di te, di tutti noi,
rimettersi a guardare oltre il muro dietro cui la psichiatria aveva sepolto
vive le loro storie.
Conosceresti molti uomini e donne che oggi lavorano, hanno una famiglia,
svolgono compiti di responsabilita', frequentano i teatri, i cinema,
leggono, scrivono, giocano a calcio. Insomma amano fare le stesse cose che
tu ami.
Avresti visto che le persone con schizofrenia guariscono, e vogliono vivere
e si battono per non essere mai piu' discriminate.
*
"Voglio che la gente capisca che io sono proprio come tutti gli altri. Sono
una persona e voglio essere trattata come tale. Nessuno dovrebbe pensare di
mettermi in una scatola con l'etichetta" ha detto con commozione Nadia, a un
convegno delle associazioni di persone con disturbo mentale.
Solo perche' non sei stato la', allora, continui a non sapere che quella
sofferenza che chiamiamo "malattia mentale" non risponde ad alcun decorso
inesorabile, ma che ben diversamente si gonfia, si piega o si frantuma a
seconda di come la si guarda, la si ascolta; di come ci si avvicina a chi vi
e' rimasto intrappolato. Che la malattia mentale non e' un'entita'
granitica, un'evidenza biologica, un'ipoteca irreversibile sulla condizione
umana. Che le ferite, le storture, i sobbalzi dell'esistenza di questi
uomini e donne assomigliano ai nostri, che quel dolore ci riguarda ed e'
comprensibile, come lo e' tutto cio' che appartiene all'umanita' che e' in
noi.
E solo dato che non sei stato la', continui a ignorare che la malattia si
nutre dell'abbandono, della violenza, dell'incomprensione, eppure riesce a
stemperarsi fino a sfaldarsi quando il diritto di cittadinanza che quella
legge oggi sancisce si tramuta in appartenenza: nel diritto di esistere,
abitare, lavorare, avere relazioni. E che oggi non e' piu' possibile
spacciare la violenza, l'usurpazione, il controllo per pratica terapeutica
perche' c'e' sempre, da qualche parte, qualcuno che finisce per smentirlo:
un operatore, un volontario, un sindaco, una madre, un fratello, un semplice
cittadino che sa. Una persona che chiede aiuto, che pretende di parlare, di
capire, di essere ascoltata. Che chiede ostinatamente di guarire. Un padre o
una madre che pretendono un figlio da amare e non qualcuno di cui avere
paura, qualcuno di cui disfarsi, una povera cosa da abbandonare altrove.
*
Conosceresti, se invece fossi stato con me nei luoghi della follia, i
sussulti, le tribolazioni, lo smarrimento della "scientificita'
psichiatrica" perche' avresti incontrato i suoi cedimenti mille volte.
Riconosceresti che l'inguaribilita' e la cronicita' nascondono l'incapacita'
della psichiatria di vedere i propri limiti e l'inerzia che le impedisce di
inventarsi strategie nuove e diverse.
Avresti visto Servizi di Salute Mentale fasulli, inesistenti, grotteschi nel
loro disimpegno, nella loro sciatteria, nella loro stupidita'; e ti
accorgeresti della falsita' di chi intende far ricadere sulla legge la
responsabilita' di questi fallimenti.
Ma avresti visto anche centri di salute mentale territoriali funzionanti,
residenze comunitarie, gruppi di convivenza diffusi in tutte le regioni
italiane, e sapresti quanto e' stata ricca e faticosa la costruzione di una
alternativa all'internamento, alla deprivazione, all'abbandono
istituzionale, la costruzione di una risposta adeguata al bisogno di
relazioni che le persone finalmente manifestano.
Avresti incontrato migliaia di maestri, educatori, accompagnatori, attori,
imprenditori, scrittori sempre molto motivati che hanno dato vita alle
cooperative sociali: esperienze che sono oggi uno strumento irrinunciabile
di emancipazione, di rimonta, che meglio dovrebbe essere conosciuto e
alimentato.
Avresti frequentato le tante associazioni formate da persone con disturbo
mentale, da familiari, da cittadini che, al di la' delle strumentalizzazioni
che tu stesso inconsapevolmente alimenti, rappresentano il segno piu'
evidente del cambiamento.
Riconosceresti che, nei fatti, una legge quadro, come e' la legge 180, ha
avuto a Trieste, nella nostra regione e in molti altri luoghi in Italia
applicazioni pratiche esemplari.
E ti fideresti di quanto segnala l'Organizzazione Mondiale della Sanita' che
indica l'esperienza del nostro paese come uno dei pochissimi eventi
innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale. E per questo
diventa ancora piu' colpevole la disattenzione dello stato e dei governi
locali nel corso di tutti questi anni.
Riconosceresti cosi' anche quello che manca:
- investimenti materiali e risorse umane finalmente adeguati, stimabili
intorno a quel 5% della spesa sanitaria da destinare alla salute mentale. Da
anni ormai lo richiedono tutte le associazioni e gli stessi governatori
regionali;
- un impegno tangibile da parte delle regioni per rafforzare le reti dei
servizi comunitari, attivando centri di salute mentale aperti 24 ore su 24,
7 giorni su 7, e residenze comunitarie come da vent'anni succede a Trieste,
per popolazione ed aree definite;
- un'azione di vigilanza perche' i servizi ospedalieri di diagnosi e cura, i
servizi dell'emergenza, non siano situati nei sottoscala degli ospedali ne'
diventino bunker inesorabili e terrificanti;
- un'assunzione di responsabilita' da parte del mondo accademico per
garantire un insegnamento coerente con il modello di organizzazione dei
servizi che il nostro paese ha individuato e cerca di realizzare;
- il coinvolgimento degli enti locali perche' promuovano programmi di
formazione e di inserimento lavorativo delle persone con disturbo mentale,
soprattutto i piu' giovani.
Tutte cose gia' possibili grazie alla 180 e al progetto obiettivo.
*
Forse allora sapresti tutto questo che non sai perche' troppe volte abbiamo
dimenticato di chiamarti in causa. Di farti vedere che cosa e' davvero
successo. E cosi' tu hai visto soltanto l'abbandono delle persone in nome di
una liberta' che era solo indifferenza e arroganza. Hai visto la supponenza
dei tecnici, le negligenze delle amministrazioni, la miopia dei politici.
Hai incontrato mille volte la falsa coscienza di una democrazia che si
elargisce facilmente a chi ci assomiglia molto, a chi e' forte e ha il
potere. Ma che si concede con riserva a tutti gli altri, soprattutto a chi
si e' convinti di dover diversamente considerare. Come la persona con
disturbo mentale e la sua famiglia, che piu' di altri rischiano di perdere
contrattualita', potere, credibilita', ascolto, comprensione.
L'irruzione della malattia mentale fa perdere soggettivita', rende
debolissimo il diritto e finisce per "giustificare" interventi al limite
della legalita', soprusi, gesti violenti. La legge 180 ha voluto impedire
che questi gesti banali e drammaticamente automatici avessero legittimita'
formale, avessero autorita' giuridica.
*
"La liberta' e' terapeutica" scrivemmo sui muri del manicomio di Trieste che
si apriva, "la cittadinanza e' terapeutica" ha ribadito il cardinale Martini
in un recente convegno della Caritas a Milano.
Ma riconoscere questa cittadinanza e questa liberta', che la legge
garantisce formalmente, non significa credere che queste persone siano gia'
libere, a dispetto degli innumerevoli condizionamenti affettivi, cognitivi,
relazionali, sociali che la loro sofferenza e lo sgomento che suscita
portano con se'.
Significa invece, come ricorda la Consulta di bioetica, che con
straordinaria lucidita' si e' espressa su questi temi, aiutarle a diventare
libere.
Come vedi e' possibile riproporre tutta la questione senza nulla di assoluto
e di ideologico. A una condizione pero': che le persone con disturbo mentale
continuino ad essere considerate cittadini. Persone come tutte le altre, la
cui dignita' e il cui valore devono costituire un limite invalicabile per
l'operato delle organizzazioni, delle tecniche, delle amministrazioni.
Se perdessimo questa rotta, come sembra minacciare il vento
controriformista, si finirebbe per spostare tutele e garanzie dai "matti" e
le loro famiglie ad una piatta ed anacronistica difesa dell'ordine sociale,
per proteggere in realta' la supponenza e gli interessi dei mercati e delle
lobby professionali. Legalizzeremmo di nuovo la violenza e l'abbandono da
cui gia' ora, con tanta difficolta', devono difendersi le persone con
disturbo mentale e le loro famiglie. Una miriade di persone che, nonostante
la 180, devono battersi quotidianamente contro tanti nemici, spesso lontani
e invisibili, ma sempre molto piu' forti di loro. Ministri, politici,
tecnici, sindacati, amministratori locali, giudici, preti, giornalisti,
uomini comuni che troppo spesso le hanno considerate oggetti, pensando che
non avessero niente da dire, negando sempre le loro storie. Condannandole ad
un'estraneita' irreversibile.

6. RIFLESSIONE. BALDINO GRAZIANO: UNA LETTERA A SOSTEGNO DELLA "RAGIONEVOLE
PROPOSTA" PER SALVARE LE VITE DEI MIGRANTI OGGI CONDANNATI A MORIRE NEI
NOSTRI MARI
[Baldino Graziano e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di
Viterbo]
Cari amici,
a sostegno della "ragionevole proposta" di consentire a tutti l'ingresso
legale in Italia e di istituire un servizio di trasporto pubblico e gratuito
per le donne e gli uomini aventi diritto ai sensi dell'art. 10, comma terzo,
della Costituzione della Repubblica Italiana, vorrei riassuntivamente
evidenziare quanto segue:
I. cesserebbero le stragi di migranti nei nostri mari, ergo si salverebbero
migliaia di vite umane;
II. cesserebbero gli enormi arricchimenti dei poteri mafiosi che oggi
gestiscono monopolisticamente lucrandovi giganteschi profitti il trasporto
di esseri umani in fuga da fame, guerre, persecuzioni;
III. cesserebbe la piaga della clandestinita' in Italia, che condanna
centinaia di migliaia di persone a una vta di paura, solitudine e soprusi,
ed alimenta l'insicurezza di tutti;
IV. si risparmierebbero ingentissime risorse pubbliche oggi sperperate con
risultati catastrofici;
V. si migliorerebbe il rapporto tra Italia e sud del mondo (e quindi anche
tra Europa e sud del mondo);
VI. si promuoverebbe l'incontro, il dialogo e la crescita tra e delle
culture (e la storia d'Italia, e il suo patrimonio monumentale, e' forse il
simbolo piu' evidente di quanto fecondo sia l'incontro e l'intreccio di
diverse culture);
VII. si promuoverebbero ed invererebbero la democrazia, lo stato di diritto,
i diritti umani;
VIII. si realizzerebbe una politica italiana all'altezza della mondialita',
della solidarieta' tra e con tutta l'umanita' (esigenza ineludibile nell'era
della globalizzazione);
IX. si disarmerebbe la propaganda dei violenti e dei terroristi;
X. si toglierebbero ai poteri criminali molte vittime effettuali e
potenziali, salvando cosi' molti esseri umani dal divenire bersaglio o
complici di attivita' criminali;
XI. si restituirebbe valore e vigore alla legalita', applicando finalmente
la Costituzione della Repubblica Italiana.
Non mi sembra piccola cosa.
Un cordiale saluto.

7. MAESTRE. JOAN V. BONDURANT: L'OBIETTIVO DEL SATYAGRAHA
[Da Joan V. Bondurant, Satyagraha e Duragraha: i limiti della violenza
simbolica, in "Quaderni Satyagraha" n. 1, primo semestre 2002, p. 31. Joan
V. Bondurant, docente universitaria, e' forse la piu' importante studiosa di
Gandhi; vive a Tucson, Arizona. Tra le opere di Joan F. Bondurant
fondamentale e' Conquest of Violence. The Gandhian Philosophy of Conflict,
Princeton University Press, Princeton 1958, nuova edizione riveduta 1988]
L'obiettivo del satyagraha e' la trasformazione costruttiva delle relazioni
in un modo che non solo produce un cambiamento di politica, ma assicura
anche la trasformazione della situazione che ha condotto al conflitto.

8. MAESTRE. LAURA BOELLA: UNA SCELTA DI HANNAH ARENDT
[Da Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995, p. 210. Laura
Boella e' docente di storia della filosofia morale all'Universita' di
Milano, tra le massime studiose di Gyorgy Lukacs, Ágnes Heller, Ernst Bloch,
Hannah Arendt; e' impegnata nella ricostruzione del pensiero femminile nel
Novecento; fa parte della redazione della rivista filosofica "aut-aut". Tra
le opere di Laura Boella: Il giovane Lukacs, De Donato, Bari 1977;
Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977; Ernst Bloch.
Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; Dietro il paesaggio. Saggio su
Simmel, Unicopli, Milano 1987; Parole chiave della politica, Mantova 1995;
Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Feltrinelli,
Milano 1995; Morale in atto, Cuem, 1997; Cuori pensanti. Hannah Arendt,
Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; con
Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Cortina, Milano 2000; Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo,
Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva, Tre Lune, Mantova 2000. Hannah Arendt e'
nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl,
Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima
e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici
politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle
questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in
difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt:
tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso
ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione
dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le
origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita
Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt:
fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella,
Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della
politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores
d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente
e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di),
Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro
sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann,
Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato
iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
Ribadendo la separazione di verita' e significato, Hannah Arendt conferma la
sua scelta per il filosofare socratico come esercizio maieutico del render
conto delle parole piu' abusate e della loro misura nascosta. Chiedendo
infaticabilmente: che cosa vuoi intendere, quando dici questo, quando usi le
parole bellezza, giustizia, felicita', amore? Socrate non raggiunge nessuna
verita' definitiva, si limita a scongelare i significati rappresi e
atrofizzati, eliminando spesso quelli inservibili o sterili.

9. INFORMAZIONE. RICCARDO ORIOLES: DA "TANTO PER ABBAIARE" N. 155
[Dalla rivista diffusa per e-mail di Rioccardo Orioles, "Tanto per
abbaiare", n. 155 del 2 dicembre 2002 (per richieste: ricc at libero.it)
riprendiamo i seguenti fulminanti articoli. Riccardo Orioles e' il
giornalismo come dovrebbe essere, l'impegno civile nel campo
dell'informazione come si dovrebbe fare]
Informazione 1. Il migliore commento che ho trovato finora sul processo
Andreotti: "Uno puo' pensare cio' che vuole sulla condanna di Andreotti per
omicidio. Pero', per farsi un'opinione, deve avere degli elementi. Al terzo
giorno di servizi sulla vicenda, i commenti continuano a irridere la Corte
d'Assise di Perugia che avrebbe condannato il mandante e scagionato i
killer. Le cose non stanno cosi'.
Semplicemente, la Corte ha stabilito che per uno dei due uomini indicati
come presunti killer non c'erano abbastanza riscontri alle accuse dei
pentiti. Per l'altro i riscontri c'erano, solo che nel frattempo e' stato a
sua volta ammazzato, e quindi e' uscito dal processo.
Queste cose le ho sapute da uno degli avvocati di parte civile della
famiglia Pecorelli. Il quale mi ha anche spiegato quali sono i riscontri
contro Andreotti: si tratta delle dichiarazioni di due testimoni
attendibili, Chiara Zossolo e Franca Mangiavacca.
Non e' stato difficile. Ho telefonato a questo avvocato e mi ha spiegato
tutto. Ho impiegato un quarto d'ora. I miei colleghi dei Tg non hanno ancora
trovato il tempo. Speriamo domani".
La firma e' di Michele Gambino, uno dei piu' noti giornalisti investigativi
italiani (e' stato lui, una decina di anni fa, a scoprire il caso delle
false fosse comuni in Romania. Si occupa di mafia da vent'anni). La notizia
pero' non sta nel commento in se', ma nel fatto che per trovarlo ho dovuto
andare su un piccolo sito di satira e informazione alternativa,
www.pipponews.it. Sui giornali italiani, evidentemente, per un giornalista
come Gambino non c'e' piu' posto. Il bavaglio, evidentemente, non tocca solo
a Santoro.
*
Informazione 2. Censurata da Rai e Mediaset l'inchiesta di Antonio Mazzeo
sui retroscena mafiosi (appalti e cosche) del deragliamento di quest'estate
a Rometta in Sicilia. Bookmark: http://www.terrelibere.it
*
Cronaca. Rubati documenti d'archivio dalla sede di don Ciotti a Torino.
Svuotato da ignoti (ma tecnologicamente ferrati) ladri il computer di
"Libera" a Roma. L'altra settimana avevano messo le mani sul computer di uno
dei magistrati di Palermo. Cosa stanno cercando di sapere?

10. RILETTURE. ANNA BRAVO, ANNA MARIA BRUZZONE: IN GUERRA SENZA ARMI. STORIE
DI DONNE. 1940-1945
Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne.
1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. VIII + 214, lire 25.000. Un libro
utilissimo.

11. RILETTURE. CLARA CUTINI (A CURA DI): UNO SCHEDATO POLITICO: ALDO
CAPITINI
Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale
Umbra, Perugia 1988, pp. 304.Le carte del fascicolo su Aldo Capitini nella
serie "Schedati" del fondo "Questura di Perugia" conservato nell'Archivio di
Stato di Perugia. Una lettura per molti versi assai istruttiva.

12. RILETTURE. GIULIANA MARTIRANI: PROGETTO TERRA
Giuliana Martirani, Progetto Terra, Emi, Bologna 1989, pp. 422, lire 30.000.
Fondato sulla serie di articoli di una rubrica tenuta su "Nigrizia", un
testo utile sia per l'accostamento che per l'approfodnimento dei temi dello
sviluppo, dell'ambiente, della pace.

13. RILETTURE. PATRIZIA CAMPAGNA: PROGETTO TERRA. REPERTORIO
Patrizia Campagna, Progetto Terra. Repertorio, Emi, Bologna 1989, pp. 142,
lire 20.000. Un volume complementare al precedente, che segnala sui medesimi
temi e con la stessa articolazione libri, riviste, video, mostre, materiali,
indirizzi utili.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 440 del 9 dicembre 2002