La nonviolenza e' in cammino. 463



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 463 del primo gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Movimento Nonviolento, lettera al Presidente della Repubblica per il
messaggio di fine anno
2. Ileana Montini, guerra e neoguerra
3. "Nonluoghi": un ricordo di Carlo Cassola
4. Carlo Cassola, la proposta di Gandhi
5. Angeloivano Incerti: la Resistenza fu soprattutto nonviolenta
6. Daniela Padoan, il segno della differenza
7. Laura Colombo, dimensione globale e azione in contesto
8. "Donne di Jenin": campagna di raccolta di fondi per le donne del campo
profughi, per le studentesse universitarie e per l'imprenditoria femminile
9. Una presentazione della sezione di Padova del MIR
10.. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. APPELLI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
PER IL MESSAGGIO DI FINE ANNO
[Il Movimento Nonviolento il 30 dicembre ha inviato questa lettera al
Presidente della Repubblica in occasione del consueto messaggio agli
italiani di fine anno. Per contatti con il Movimento Nonviolento: via Spagna
8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org]
Al Presidente della Repubblica
e per opportuna conoscenza:
al Presidente del Consiglio dei Ministri
al Ministro della Difesa
*
Signor Presidente della Repubblica,
nel Suo consueto e autorevole messaggio di fine anno rivolto agli italiani,
non dimentichi un forte richiamo al rispetto dell'articolo 11 della Carta
Costituzionale: "L'Italia ripudia la guerra".
La guerra preventiva, dichiarata dagli Usa all'Iraq, e' ormai imminente.
Il Presidente del Consiglio fa sapere che chiedera' il consenso del
Parlamento affinche' l'Italia fornisca il supporto militare agli alleati,
mettendo a disposizione basi e spazi aerei (ovvero, una partecipazione
diretta dell'Italia alla guerra).
Questa intenzione gia' di per se' costituisce una flagrante violazione
dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana e favorisce la
preparazione di una guerra che la legge fondamentale del nostro stato
inequivocabilmente ripudia.
E' indispensabile un Suo autorevole intervento in difesa della legalita'
costituzionale, di cui Lei e' supremo garante.
Dica, senza esitazioni e senza ambiguita', che l'ordinamento giuridico
italiano, la Repubblica Italiana, si fonda ancora sulla Costituzione che
"ripudia la guerra". Dica che nel nostra paese vige ancora la legalita'
costituzionale e repubblicana.
Richiami i ministri e i parlamentari al rispetto della Costituzione cui
hanno giurato fedelta'.
Un Suo silenzio potrebbe essere interpretato come complicita' con chi sta
preparando la guerra e una illegale partecipazione italiana.
Signor Presidente,
sia Lei a guidare la difesa della legalita' costituzionale: poiche' questo
e' attributo della Sua alta funzione istituzionale.
Sia Lei a dichiarare fuorilegge quei governanti e quei parlamentari che alla
guerra illegale e criminale volessero far partecipare anche il nostro paese
anziche' anch'essi impegnarsi - come impone il dettato costituzionale -
affinche' la guerra sia impedita.
Signor Presidente,
fin d'ora anche a Lei dichiariamo che qualora l'Italia prendesse parte alla
guerra noi ci impegneremo in difesa della Costituzione, della legalita',
della pace, del diritto alla vita di ogni essere umano.
Anche se la partecipazione italiana alla guerra consistera' "solo" nel
mettere a disposizione basi aeree in territorio italiano, noi fin d'ora ci
predisponiamo a promuovere e sostenere la campagna di obiezione di coscienza
dei cittadini e delle cittadine "Scelgo la nonviolenza" per l'opposizione
integrale alle guerre e per l'opzione per il disarmo economico e militare,
per resistere al nuovo militarismo e costruire l'alternativa nonviolenta.
Come gia' nel passato siamo disposti a compiere gesti radicali di
disobbedienza civile nonviolenta per difendere la legalita', la
Costituzione, la Repubblica, e con esse la pace e le vite degli esseri umani
dalla guerra minacciati.
Signor Presidente, Le rinnoviamo l'accorato appello: nel Suo consueto e
autorevole messaggio di fine anno rivolto agli italiani, non dimentichi un
forte richiamo al rispetto dell'articolo 11 della Carta Costituzionale:
"L'Italia ripudia la guerra".
Distintamente,
Movimento Nonviolento
fondato da Aldo Capitini nel 1961
Verona, 30 dicembre 2002

2. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: GUERRA E NEOGUERRA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini e' una lucida e "storica" intellettuale
femminista, sempre acuta nell'individuare e nitida nell'indicare
contraddizioni, ambiguita', profondita']
Comincio a provare la sgradita sensazione che quando si parla e si scrive
sulla guerra (e sulla pace), ci si continua a collocare in una modalita' di
pensiero scisso dalla realta' attuale.
Questa sgradita sensazione mi ha spinto a cercare una relazione che
Umberto Eco ha tenuto il 2 febbraio del 2002 in occasione della
presentazione della Fondazione Sant'Egidio, con il titolo Riflessioni sulla
guerra. L'ho letta e ne ho tratto materia di riflessione.
Dunque, Umberto Eco prima di tutto ci invita a evitare di usare il termine
guerra in modo univoco o generalgenerico.
Perche' nella storia, in realta', abbiamo sperimentato le paleoguerre.
Una paleoguerra si scatenava perche' i confini territoriali erano
chiaramente definiti e cosi' l'identita' del nemico.
In tempi recenti - vedi la guerra del Golfo - la guerra e' piuttosto una
neoguerra. Si puo' chiamare cosi' una guerra i cui punti fermi sono
l'incertezza del territorio e dell'identita' del nemico. Qual e' il
territorio della guerra contro il terrorismo?
Ai tempi delle paleoguerre si cercava di sconfiggere il nemico in modo da
trarne un beneficio e si accettava di pagare un prezzo anche salato in
perdite di vite  umane. E poi c'era la neutralita' di altri stati che non
traevano danno dalla guerra. Con la neoguerra, ci spiega Eco, la guerra non
e' piu' frontale a causa della natura stessa del capitalismo multinazionale.
Per esempio, nella neoguerra del Golfo abbiamo proprio provato come l'Irak
era stato armato dalle  industrie occidentali.
Infatti e' entrata in crisi la concezione che fu di Clausewitz, che
considerava la guerra come la continuazione della politica con altri mezzi.
Secondo questa visione la guerra finirebbe quando si raggiungesse uno stato
di equilibrio tale da consentire il ritorno alla politica.
Ma, in realta', gia' con le due guerre mondiali si e' visto che la politica
del dopoguerra sarebbe stata la continuazione delle premesse poste dalla
guerra.
Ma con la guerra del Golfo e' sorto un problema nuovo, quello di cercare di
non uccidere i civili, perche' a ucciderne troppi comporta la dura
riprovazione dei media. I media vendono felicita' per mestiere e non dolore,
quindi sono obbligati a fare i conti con il principio (post moderno?) del
sacrificio minimale.
Pero' con l'11 settembre inizia una nuova fase della neoguerra perche' si
dissolve per sempre il principio di frontalita'.
Il terrorismo varca i territori e le frontiere e abita i paesi occidentali.
A questo punto per discutere sulla guerra bisogna includere il terrorismo.
E se vogliamo parlare di nonviolenza e delle forme moderne di violenza,
prendiamo in considerazione quanto ci suggerisce Umberto Eco: "Ogni atto
terroristico viene compiuto per lanciare un messaggio che appunto diffonda
terrore, o come minimo inquietudine".
Che cosa si ottiene, se non un aggravamento dello stato d'inquietudine e di
paura? Secondo Eco il terrorismo dell'11 settembre ha umiliato cosi'
profondamente la gente degli Usa, da spingere l'Amministrazione a ricorrere
a nuove paleoguerre per risarcire l'opinione pubblica.
Ma la neoguerra iniziata l'11 settembre non e' stata vinta ne' risolta con
la paleoguerra afghana, perche' queste neoguerre non si possono vincere.
Punto e basta.
*
E ora veniamo a un aspetto poco considerato di violenza - di guerra -
perche', forse, richiede nuove categorie di interpretazione e lettura,
ovvero dei cambiamenti anche psicologici, da parte nostra.
Eco ci invita a pensare agli antichi scenari, quando i crociati facevano
guerra ai musulmani.
A quei tempi il potenziale bellico dei musulmani non era diverso da quello
dei cristiani. Ma allora i cristiani non avevano bisogno del ferro arabo per
fare le loro spade, mentre oggi la tecnologia di guerra ha ancora bisogno
del petrolio. E quello ce l'hanno loro.
Eco dice che non si stupirebbe se dei petrolieri occidentali, pur di
continuare a fare profitti, accettassero un mondo islamizzato.
E magari, aggiungo io, islamizzato nella linea dei fondamentalisti, cioe'
fortemente a sfavore delle donne.
Ma non e' tutto.
"Ai bei tempi andati i saraceni stavano da una parte, oltremare, e i
cristiani dall'altra. Oggi invece l'Europa e' piena di islamici, che parlano
le nostre lingue e studiano nelle nostre scuole. Se gia' oggi alcuni di loro
si allineano coi fondamentalisti di casa loro, immaginiamoci se ci
trovassimo al confronto globale. Essa sarebbe la prima guerra col nemico non
solo sistemato in casa, ma assistito dalla mutua. Si badi bene che lo stesso
problema si porrebbe al mondo islamico, che ha a casa propria industrie
occidentali, e addirittura enclaves cristiane, come l'Etiopia. Siccome il
nemico e' per definizione cattivo, tutti i cristiani d'oltremare li diamo
per perduti. La guerra e' guerra. (...) Che cosa facciamo invece a casa
nostra? Se il conflitto si radicalizza oltre misura, e crollano altri due o
tre grattacieli, o addirittura S. Pietro, si avra' la caccia al musulmano".
E che cosa accadrebbe nello schieramento nonviolento, no-global, pacifista
ecc.? Eco propone queste ipotesi: "si creerebbero all'interno del nostro
schieramento gruppi filoislamici, non per fede ma per opposizione alla
guerra, nuove sette che rifiutano la scelta dell'occidente, gandhiani che
incrocerebbero le braccia e rifiuterebbero di collaborare coi loro governi,
fanatici come quelli di Waco che inizierebbero (senza essere fondamentalisti
musulmani) a scatenare il terrore per purificare l'occidente corrotto".
Sarebbe la guerra, una guerra, una violenza, con forme inedite e che non
porterebbe a nessun vincitore.
Il bambino marocchino della seconda elementare che (in un paese della
Lombardia) ha messo in difficolta' la maestra di sinistra sputando,
improvvisamente, sul crocifisso, quale messaggio ci ha dato?
La maestra non l'ha sgridato; non gli ha detto, semplicemente, una parola.
E' rimasta, semplicemente, inebetita e impotente proprio rispetto
all'interpretazione del gesto.
L'alunno e' un bambino buono, mite, disponibile, ma da un po' di tempo
frequenta un'altra scuola, quella coranica. Fra qualche anno sara' un
adulto, appunto, italiano e marocchino; forse si ribellera' agli
insegnamenti della scuola coranica, oppure si conformera' a suo fratello
piu' grande che a una "festa de l'Unita'" ha preso il seno di una giovane
lombarda e voleva picchiarla perche' lei si e' ribellata con uno schiaffo.
Di nuovo, ritorna la tematica della pace, della violenza, della guerra, e
delle donne.

3. MEMORIA. "NONLUOGHI": UN RICORDO DI CARLO CASSOLA
[Dall'utilissimo sito di "Nonluoghi (www.nonluoghi.org) riprendiamo questo
articolo del 28 gennaio 2001, ed il testo di Cassola che riproduciamo
nell'articolo successivo]
Quindici anni fa moriva Carlo Cassola (Roma, 17 marzo 1917 - Lucca, 29
gennaio 1987).
Scrittore di primo piano, ricordato tra l'altro per il romanzo La ragazza di
Bube, premio Strega 1960 (e film girato da Comencini), Cassola fu anche un
intellettuale di forte impegno sociale, antimilitarista ed ecologista.
Gia' partigiano contro nazisti e fascisti, dedico' in particolare l'ultima
stagione della sua vita alle iniziative contro il militarismo e per la pace.
Numerosi i suoi scritti contro gli eserciti e gli armamenti, di grande
rilevanza per il mondo del pacifismo italiano il suo contributo sfociato
nella nascita, nel 1977, della Lega per il disarmo dell'Italia che due anni
piu' tardi sarebbe diventata - con la prima manifestazione contro gli
euromissili e l'unione con la Lega socialista per il disarmo unilaterale
dell'Italia - la Lega per il disarmo unilaterale. Quest'ultima sara' uno dei
principali movimenti promotori della campagna di obiezione fiscale alle
spese militari.  Tra i piu' stretti collaboratori di Cassola, in quegli
anni, c'era il giovane Francesco Rutelli, quando ancora la sua militanza era
pacifista ed ecologista.
Carlo Cassola riteneva che il rischio totale per l'umanitu' fosse
direttamente connesso alla sua organizzazione militarista e per questo
metteva in cima alla scala delle priorita' la battaglia per la
demilitarizzazione sociale.
"Noi disarmisti - scriveva -  siamo accusati di essere sognatori fuori della
realta'. Invece siamo i soli realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono
solo struzzi che hanno nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere le
conseguenze scellerate della loro politica: l'imminente fine del mondo e
l'attuale miseria del mondo".
La sua non era una utopica proposta diretta di societa' nuova, era piuttosto
il grido disperato dell'uomo che vede la comunita' sull'orlo del baratro.
Era un grido per invertire la rotta, evitare il disastro e da li' creare le
condizioni per ragionare sull'utopia ecopacifista. Insomma, uno strappo, il
disarmo unilaterale, per creare le condizioni del cammino.
Scrive Cassola nel suo saggio La rivoluzione disarmista (Rizzoli): "L'utopia
puo' diventare realta' solo mediante la rivoluzione. Un'evoluzione graduale
e pacifica e' impensabile: come puo' il male evolvere verso il bene?". E
ancora: "Sono queste vecchie, stupide e malvage istituzioni che ci portano
alla rovina. Dobbiamo distruggerle prima che sia troppo tardi. Non bisogna
distruggerle gradualmente (non ne avremmo il tempo) ma tutte d'un colpo.
Occorre un taglio netto col passato. Questo taglio netto e' appunto cio' che
chiamiamo rivoluzione".
In altre parole, la prima utopia e' la pace e da qui si potra' costruire il
resto del percorso utopico. Vengono in mente - per contrasto - i discorsi
moralisti che su vari temi (poverta', razzismo, pace, memoria) politici e
pesudointellettuali ci propinano sorvolando sulla questione di fondo:
mettere in discussione le istituzioni che nel loro grembo serbano l'embrione
del mostro. Non basta, per esempio, denunciare l'Olocausto e ripetere "mai
piu'"; bisogna piuttosto sforzarsi di vivisezionare il magma istituzionale
(i meccanismi di delega politica; di manipolazione sociale; di
deresponsabilizzazione a catena, individuale e di gruppo; di annullamento
burocratico dei sentimenti umani eccetera) che ha reso possibile questo
orrore e che puo' ancora partorire altre vergogne, altra sofferenza, altra
oscurita'.
Per ricordare Carlo Cassola e tenere viva la memoria della sua battaglia, ci
sembra che il modo migliore sia proporre un suo scritto: pubblichiamo qui
sotto un articolo comparso sul "Corriere della Sera" e ripreso online da
www.nonviolenti.org. Si tratta di uno scritto sulla figura di Gandhi (ma non
solo...) che fu pubblicato in occasione dell'anniversario della morte
violenta del padre della nonviolenza, assassinato in India il 30 gennaio
1948.
Per contattare la Lega per il disarmo unilaterale: segreteria nazionale: via
di Montechiari 15, 55015 Montecarlo (Lucca), telefono 058322345.

4. MAESTRI. CARLO CASSOLA: LA PROPOSTA DI GANDHI
[Questo articolo di Carlo Cassola apparve sul "Corriere della sera" del 28
gennaio 1978. Noi lo riprendiamo dal sito di "Nonluoghi"
(www.nonluoghi.org). Carlo Cassola (1917-1987) e' stato un grande scrittore
e un uomo strenuamente impegnato per la dignita' umana e la pace; prese
parte alla Resistenza, scrisse alcuni libri che molto commossero e
commuovono ancora, dedico' gli ultimi decenni della sua vita con sempre piu'
grande intensita' alla lotta contro la guerra, gli eserciti, le armi, per la
salvezza dell'umanita', quella salvezza che richiede una scelta decisa e
decisiva, che ha nome nonviolenza]
Trent'anni fa un fanatico induista uccise Gandhi. Scompariva cosi' colui che
Einstein avrebbe definito l'uomo politico piu' importante del nostro tempo.
Einstein questo giudizio lo formulo' a meta' del secolo, due anni dopo la
morte di Gandhi. Oggi che ci siamo inoltrati un bel po' nella seconda meta'
del Novecento, dobbiamo riconoscerne la giustezza. Le figure degli altri
statisti, anche dei maggiori, Lenin, Trotzkij, Wilson, Roosevelt, Churchill,
si sono appannate e hanno perso d'interesse per le nuove generazioni; la
stella di Gandhi non soltanto non e' tramontata, e' salita in alto e dal
mezzo del cielo abbiamo l'impressione che ci indichi la strada.
Se leggiamo le sue pagine, siamo colpiti dalla loro freschezza. Siano state
scritte anche cinquant'anni fa, non sono invecchiate. Ricordo le parole di
Carlo Levi a proposito dell'Autobiografia di Nehru, tradotta in italiano
quasi un quarto di secolo fa: "E' la prima volta che un politico da
l'impressione di essere un uomo". Avrebbe anche potuto dire: e' la prima
volta che un politico dimostra di essere un poeta. Gandhi si considerava
discepolo di un uomo che, oltre ad essere un grande politico, e' un
grandissimo poeta, forse il massimo poeta moderno: Leone Tolstoj. Non
sorprende quindi che gli scritti politici di Gandhi non siano aridi come in
genere questo tipo di letteratura, ma al contrario, vi si rintracci uno
straordinario fervore immaginativo.
*
Da bambino vidi una volta Gandhi, a Roma, durante una sua visita in Italia.
La vista di quell'uomo piccolo, macilento, con gli occhiali, mi deluse
profondamente. Avevo immaginato il campione della riscossa indiana come un
novello Sandokan, col turbante, gli occhi lampeggianti e la barba a due
punte.
Io ero un bambino e quindi potevo essere giustificato dall'eta'; ma i grandi
che si comportano come bambini non sono giustificati da niente. Il loro
infantilismo li porta a disprezzare Gandhi con la sua dottrina della "forza
della verita'" e della "nonviolenza". Essi pensano che le buone cause
possono farsi largo solo a colpi di arma da fuoco. E' l'infantilismo
generale che ha impedito al sogno di Gandhi di diventare realta': anche
nella sua stessa patria.
Egli non sognava solo l'indipendenza indiana. Questo per lui sarebbe stato
solo il punto di partenza, la condizione necessaria perche' potessero
trionfare altre cose. La nascita della nazione indiana avrebbe dovuto essere
qualcosa di assolutamente diverso dalla nascita delle altre nazioni. Egli
fece in tempo ad essere crudelmente deluso: vide le citta' e i villaggi
insanguinati dalla lotta insensata tra indu' e musulmani. Si adopero' per
far cessare quelle stragi e, come indu', considero' colpevole soprattutto la
propria parte. Questo gli procuro' l'odio dei fanatici: uno dei quali mise
fine ai suoi giorni.
Se fosse vissuto, Gandhi ne avrebbe viste di peggio. Avrebbe visto l'india
ripercorrere la strada degli Stati sovrani armati ed entrare in guerra col
Pakistan e con la Cina per futili rivalita' di confine.
La guerra tra India e Pakistan fu particolarmente turpe. Dopo pochi giorni i
due contendenti erano esausti: avevano gettato nella fornace tutto quanto
possedevano in fatto di armamento e di equipaggiamento militare: carri
armati, artiglierie, aerei da combattimento. Che dovevano essere costati un
occhio della testa a Paesi afflitti da gravissimi problemi sociali come la
fame e l'analfabetismo.
*
Gandhi, dunque, e' uno sconfitto come Trotzkj, come Wilson, come lo stesso
Lenin. Gli e' riuscito si' far conquistare l'indipendenza al suo Paese, dopo
una lotta quasi trentennale contro gli inglesi, ma non era quello il suo
scopo principale. La stessa vittoria contro i colonialisti non e' una
dimostrazione della bonta' del metodo nonviolento, ma si presta a un'amara
considerazione. Gandhi pote' aver ragione degli Inglesi usando l'arma della
disobbedienza civile perche' aveva davanti un avversario ragionevole. Ma se
avesse avuto davanti un avversario irragionevole come i nazisti?
Sappiamo bene che i fascisti disprezzavano chi non si opponeva loro con la
violenza. Essi erano subito pronti a scambiare l'ostruzionismo nonviolento
con la debolezza.
Per cui fu giusto combatterli con le loro stesse armi. Ma io vedo una
parentela, non un'opposizione tra i due tipi di lotta. Un medesimo idealismo
accomuna i membri della resistenza (violenta) al nazismo in Europa e i
membri della resistenza nonviolenta agli inglesi in India.
E' l'idealismo che dobbiamo difendere, tutti insieme, contro i miopi cultori
della Realpolitik. La differenza tra loro e noi e' una differenza di fondo;
quella tra violenti e nonviolenti no. In che consiste questa differenza di
fondo? Nel fatto che loro, i sedicenti realisti, credono che la politica
debba adeguarsi alla realta' dominante; mentre per un idealista la politica
dev'essere lo strumento che permette a una realta' emergente di diventare
dominante.
"L'utopia di oggi e' la realta' di domani" diceva Victor Hugo. Cio' che oggi
puo' sembrare utopistico, domani puo' diventare realta'. E lasciare con un
palmo di naso i fautori della Realpolitik.
Qual e' l'utopia che oggi aspira a venire alla luce? Quella della pace
perpetua. Per raggiungere quest'obiettivo, bisogna cominciare col
distruggere gli armamenti. Giacche' (e' ancora Victor Hugo a insegnarcelo)
"le guerre hanno tutte pretesti varii, ma hanno sempre la stessa causa:
l'esistenza delle forze armate. Togliete di mezzo le forze armate, e
toglierete di mezzo la guerra".
Semplice, no? Ma proprio per questo, difficilissimo a fare. Perche'? Perche'
si scontra con l'ostilita' degli indottrinati, in quanto distruggerebbe le
complicazioni delle quali vivono. "Il comunismo e' la cosa semplice che e'
difficile fare". Lo diceva Brecht. La stessa cosa puo' dirsi di tutte le
cose importanti: la poesia e' la cosa semplice che e' difficile fare, la
politica e' la cosa semplice che e' difficile fare. "Il disarmo unilaterale
dell'Italia e' l'uovo di Colombo" mi diceva un amico. Gia': le proposte
serie, essendo semplici, fanno sempre questa impressione.
*
Che cosa proponeva Gandhi? Il satyagratha, cioe' la forza della verita' e
l'ahimsa, tradotta magistralmente da Aldo Capitini con la parola
nonviolenza. Quella particella non puo' far credere che si tratti di un
semplice momento negativo. Allo stesso modo che la particella anti, al tempo
del fascismo, poteva far pensare a un'opposizione non costruttiva. Ma come
costruire qualcosa se prima non si distruggeva il fascismo?
Non dimentichiamo, per carita', che la forza di rinnovamento, vale a dire la
sinistra, ha prima di tutto il compito di distruggere il vecchio: spesso
anzi il suo compito e' solo quello. Non facciamoci fermare, per carita', dal
problema di cio' che verr? dopo. E' un falso problema: dopo, verra' per
forza qualcosa: distrutto il vecchio, ne prendera' inevitabilmente il posto
il nuovo. L'antico regime apparve improvvisamente un insieme di mostruosita'
ai francesi, che lo avevano sopportato per secoli: tra il 1789 e il 1790, la
Costituente lo distrusse. E che lo si dovesse distruggere, e' ormai ammesso
da tutti.
*
Gandhi fu l'erede spirituale di Tolstoj. Chi furono a loro volta i suoi
eredi? Secondo me, soprattutto Einstein e Russell, che nel 1955
dichiararono: "O l'umanita' distruggera' gli armamenti, o gli armamenti
distruggeranno l'umanita'".
Il dilemma davanti a cui si trova oggi il mondo non poteva essere enunciato
con maggior efficacia. Cosi' l'aspirazione alla pace di Gandhi trova il suo
specifico strumento di lotta: l'antimilitarismo.
Questa lotta deve risultare vincente a ogni costo, altrimenti il mondo salta
in aria. Per cui ai nonviolenti, che sono gli eredi diretti di Gandhi ma che
costituiscono solo gruppi sparuti, devono affiancarsi le masse, che non
hanno rinunciato all'idea della violenza ma detestano il piccolo cabotaggio
imposto dal sedicente realismo politico.

5. RIFLESSIONE. ANGELOIVANO INCERTI: LA RESISTENZA FU SOPRATTUTTO
NONVIOLENTA
[Angeloivano Incerti e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace
di Viterbo, che con questo intervento intende porre con forza alla
riflessione di tutti i nostri interlocutori un convincimento che e' decisivo
per la nostra esperienza]
Della Resistenza al nazifascismo si ha perlopiu' una visione stereotipata,
mediata da molta cattiva retorica, da rappresentazioni spettacolari, dal
tentativo sempre crescente degli apparati e delle culture militari di
appropriarsene.
Ma se andiamo a leggere le testimonianze dei resistenti, dalle lettere dei
condannati a morte ai diari e alle memorie degli antifascisti e dei
partigiani combattenti, la verita' ci si presenta chiara, nitida, luminosa:
la Resistenza e' stata eminentemente un movimento di resistenza nonviolenta
di massa.
Ed anche coloro che nella tragedia della seconda guerra mondiale e della
feroce occupazione nazifascista si sentirono costretti ad imbracciare le
armi per salvare l'umanita' dalla genocida barbarie nazifascista, sempre
mirarono a salvare le vite, sempre mirarono a suscitare coscienza e
partecipazione, sempre sentirono che cio' per cui lottavano era il diritto
alla vita di ogni essere umano.
Ed anche sul piano strettamente statistico: la grandissima parte della
Resistenza consistette nel salvare vite di perseguitati, nell'offrire scampo
a chi rifiutava di servire il nazifascismo, nel costruire alternative di
vita, nel sabotare la macchina bellica ed amministrativa nazifascista, nel
rompere le complicita' e uscire dall'apatia. La Resistenza e' stata
innanzitutto un grande evento morale: la sua decisiva efficacia anche ai
fini della sconfitta militare del nazifascismo e' stata innanzitutto questa:
la non sottomissione, la conquista di dignita', l'obiezione e la
testimonianza. Anche l'attivita' operativa partigiana non consistette tanto
negli scontri armati quanto nella formazione civile, nella presenza e nel
radicamento sul territorio e nella comunita', nella costruzione all'interno
della catastrofe bellica di una nuova umanita', di un convivere
giuriscostituente: fu pratica di liberazione integrale, molto piu' che mero
apparato militare; fu Resistenza morale, civile, politica, molto piu' che
dispositivo bellico.
Appiattire la Resistenza sul suo solo aspetto militare e bellico - che pure
vi fu, e non puo' essere sottovalutato - non rende giustizia ad essa: la
Resistenza fu molto di piu': una delle prime e piu' grandi e luminose
esperienze storiche vittoriose della nonviolenza in cammino.

6. RIFLESSIONE. DANIELA PADOAN: IL SEGNO DELLA DIFFERENZA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo intervento - forse un po' troppo entusiasta, come del
resto molti altri interventi e resoconti - sull'esperienza del Forum sociale
europeo svoltosi a Firenze]
I vialetti, i prati, le aule, ogni spazio della Fortezza da Basso esplode di
colori, striscioni, manifesti; ci sono i reduci del Vietnam contro la
guerra, i "punkabbestia" con i loro cani, e i contadini sardi. Nelle
plenarie si sente parlare in russo, in greco, in spagnolo, in tedesco, in
francese; tante lingue e tanti interpreti simultanei, tutti volontari.
Nell'edifico dove e' allestito il punto informativo ci sono stand di
centinaia di associazioni, ognuna con un proprio banchetto di libri,
magliette, manufatti.
E' una festa di volti e di colori, di musica, ma soprattutto di parole
scambiate.
Durante i tre giorni del Social Forum Europeo si svolgono parallelamente
centinaia di incontri; i piu' partecipati nelle aule delle conferenze, altri
in stanze e stanzette disseminate ovunque. Ai lavori delle plenarie tanta
gente, migliaia, tutti seduti ad ascoltare, con le cuffie, prendendo
appunti; parlano docenti, economisti, politici, giornalisti, spesso
decisamente anziani, come in un gigantesco corso universitario.
Alcuni argomenti, tra i tanti: "Il ruolo delle religioni nella critica alla
globalizzazione", "Nonviolenza, disobbedienza e diritti sociali",
"Democrazia partecipativa", "Acqua, aria, terra: l'Europa contro lo sviluppo
insostenibile", "Reti di economia solidale", "L'istruzione non e' una
merce", "Il lavoro in Europa: il lavoro e le sue trasformazioni",
"Sovranita' alimentare", "Media e guerra: il diritto all'informazione in
tempo di conflitti", "La politica come bene comune: sinistra e movimenti",
"Politica del vivere, vivibilita' della politica", "La cultura riduzionista
e la sperimentazione animale", "Salute in Europa tra equita' e accesso",
"Palestina-Israele: il conflitto, l'Europa, la solidarieta' attiva per una
pace giusta".
Se c'e' un limite, e' nel fatto che nelle conferenze e nei seminari quasi
tutto si gioca nell'ascolto: sono praticamente impossibili gli interventi,
ma la discussione prende avvio dopo, in giro per la Fortezza, e fuori,
passeggiando per Firenze, seduti nei bar. Ovunque si sentono persone che, a
coppie, a gruppetti, si scambiano opinioni e appunti.
Un gran fermento di idee, un inedito desiderio di confrontare punti di
vista, orientarsi, trovare ciascuno il taglio con cui stare dentro questo
mare di diversita', tutti pero' con alcune, semplici, irrinunciabili idee di
fondo; il rifiuto della "guerra infinita" e il sentimento quasi francescano
che gli esseri umani sono uguali, che non e' accettabile che a una parte
dell'umanita' sia consentito tutto - consumare, spostarsi liberamente, avere
una vita della mente - e che l'altra sia ridotta a poco piu' della nuda
vita.
Senza indulgere al terzomondismo, ma partendo da se', dai propri bisogni,
desideri, modi di agire politicamente. In un certo senso il discorso fatto
dal movimento e' talmente semplice e poco ideologico da costituire una forza
d'urto, un'evidenza irrefrenabile.
Questo movimento, nelle sue idee fondanti, e' soprattutto etico. Le sue
parole sono essenziali. Le sue richieste non sono volte al rovesciamento di
un ordine nemico ma indicano come fondante la presa di coscienza di
ciascuno: troviamo un altro modo di consumare, di risparmiare, di accedere
alle notizie; troviamo un altro modo per amministrare i governi, partendo da
quelli delle citta', piu' vicini alla gente; troviamo un altro modo di
dialogare con la politica istituzionale. Non c'e' estremismo in questo
movimento, c'e' anzi una grande capacita' di mediazione. Cio' che e'
rivoluzionario e' la parola volta all'esistenza dell'altro.
Andando da un incontro all'altro si sentono rimbalzare discorsi, ed e'
possibile, ciascuno secondo il proprio taglio, fare dialogare diverse voci.
Quasi mettere assieme domande e risposte, rilanci di pensiero. Con la
consapevolezza che ragionare insieme significa gia' agire politicamente.
Il Social forum di Firenze non e' un luogo di slogan, non e' il luogo di
"una sola moltitudine": sono (siamo) persone, persone e persone, vestite
diversamente, di eta' diversissime, provenienti da molti luoghi della Terra,
coinvolte in uno scambio vorticoso di lingue e idee, con la voglia di
produrre qualcosa da portare a casa soprattutto come cambiamento dentro di
se', e poi come strumento per propagare linguaggi, confrontare diversita',
individuare modi di lotta e pratiche quotidiane contro un potere economico e
culturale sempre piu' monolitico e violento.
L'idea stessa di una linea comune e di una rappresentanza e' impossibile e
impensabile: questo movimento e' la dimostrazione concreta, corporea, del
concetto di pluralita'; le innumerevoli entita' che vi partecipano creano un
ordine del discorso con il loro semplice accostarsi, senza poter essere
sommate. In questo e' una grande ricchezza e un limite solo apparente, per
chi ritiene che la politica sia un giungere a sintesi.
La progettualita' del movimento sta nell'opporsi al "mondo cosi' com'e'" con
la semplice forza dell'esistenza di ciascuno. Nel testimoniare di un'idea
con il proprio modo di esistere. In un rovesciamento dell'impotenza che sta
nella consapevolezza della propria forza unita a quella degli altri: siamo
consumatori e risparmiatori, per esempio, dunque il nostro modo di consumo e
il nostro risparmio puo' produrre azione politica.
Spesso ritorna la frase di Gandhi, "Siate il cambiamento che volete vedere
nella societa'".
Non un "andare la'" per risolvere i problemi, ma la convinzione che la
globalizzazione del capitalismo parte da qui, ed e' qui che dobbiamo
inventare forme di opposizione. Attac, per esempio, parla di una "battaglia
di autoeducazione". Questo accanto a forme di protesta collettive e anche ad
atti di disubbidienza, dei quali sono molto stati discussi modi e
possibilita', in un orizzonte che non va confuso con le azioni un po'
sgangherate dei Disubbidienti di Casarini, ma che abbraccia Gandhi e Martin
Luther King.
Piu' volte, nel corso di diversi seminari, ho sentito dire che il movimento
non e' contro l'occidente, che non guarda al Terzo mondo come qualcosa di
salvifico, ma che dobbiamo partire dal nostro essere occidentali, con cio'
che di buono la nostra cultura ha prodotto. Rendere trasparente la cultura
dell'Europa, di modo che l'Europa possa diventare un'area di resistenza
all'egemonia americana.
In quanto accade in questi giorni vedo molto forte e vitale il segno
impresso dalla politica della differenza: un partire da se', una centralita'
delle pratiche, un concetto di rete come insieme di relazioni orizzontali
che non consentono rappresentanza, un mettere al centro il plurimo, la
convinzione che il linguaggio e' gia' azione politica.
A volte nominato, piu' spesso taciuto o non saputo fino in fondo, eppure il
discorso e' passato e si e' tramutato in qualcosa di necessario a tutti,
qualcosa che sta producendo del nuovo nei discorsi. Rispondere alle accuse
di vandalismo inventando un servizio spazzini nel corteo, per esempio, e'
stato un rovesciamento nel paradosso, praticato dal femminismo e, da piu' di
vent'anni, dalle Madres.
Cio' che di piu' arretrato ho sentito nel Social forum di Firenze veniva
paradossalmente dal seminario della Marcia mondiale delle donne, dove donne
olandesi o irlandesi che parevano uscite da un film di Ken Loach parlavano
di lotta al capitalismo e di "diritti delle donne all'interno delle classi
oppresse". Rimbalzavano discorsi su emancipazione, quote e destino
svantaggiato. Volevano aprire il corteo con il loro striscione.

7. RIFLESSIONE. LAURA COLOMBO: DIMENSIONE GLOBALE E AZIONE IN CONTESTO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo anche questo intervento]
Su quello che e' stato il Social forum [svoltosi a Firenze] e' stato detto e
scritto moltissimo. Per me e' stato innanzi tutto un luogo di scambio:
l'ospitalita' di due donne generose per discussioni appassionate, i seminari
e le conferenze, le conoscenze nelle lunghe code.
E lo scambio presuppone l'incontro ed eventualmente la relazione. Non e'
difficile immaginare la facilita' di incontrarsi e intessere un abbozzo di
conoscenza in un contesto come quello del Forum, in un clima di impegno da
un lato e di festa dall'altro.
Oppure un percorso di approfondimento della relazione con le donne con cui
ho passato tre giorni intesi.
La cosa che piu' mi ha colpito e' il riconoscimento, da parte di moltissimi
oratori e oratrici, della dimensione globale del movimento, e la conseguente
chiarezza dell'urgenza di un'analisi che tenga conto di tale dimensione. E
nel contempo la necessita' di muoversi a partire dalle relazioni piu'
contigue, di radicarsi nella realta' piu' vicina per non perdersi
nell'ideologia. La posta in gioco e' alta: creare un sentire allargato, un
senso comune, perche' la gente abbia coscienza che il capitalismo non e'
l'unica possibilita', l'unico modello di vita e di societa'.
Susan George e' stata chiara: l'Occidente ha portato la politica in una
strada a senso unico, dove il capitalismo sembra l'unica alternativa (e
dunque non e' tale). Grazie ai movimenti si e' creato uno spazio di nuove
possibilita', che ora devono trovare un'attuazione. A questo punto ha
proposto di uscire a breve, entro il 2003, con qualcosa di netto contro le
privatizzazioni. Poi, guardando la platea assorta nelle cuffie di
traduzione, concentrata sugli appunti, ha detto che, affinche' il
capitalismo non sia sentito come l'unica soluzione, c'e' necessita' di
creare relazioni, c'e' urgenza di conoscenza, proprio a partire dal Forum:
ha dunque esortato a non restare chini sui quaderni, ha invitato a guardare
chi ci stava di fianco, perche' una nuova visione politica passa proprio da
questa dimensione.
Va detto che negli incontri plenari sembrava di stare a scuola: tutti con la
testa china a prendere appunti, senza nessun intervento, neppure per
manifestare un dissenso per cio' che si sentiva. Un solo esempio: al nostro
moto di stizza verso un oratore della conferenza "Movimenti e politica" di
giovedi' 7 novembre, i nostri vicini ci hanno guardate come fossimo
stravaganti, intimandoci la quiete con lo sguardo. Il nostro oratore
affermava che i movimenti sono portatori di utopia, i partiti sono animati
da pragmatismo e tesi alla conquista del potere, e sosteneva che le istanze
del movimento dovessero trovare spazio nei partiti per avere uno sbocco in
termine di leggi. Io e Vita, che non eravamo d'accordo, e spontaneamente
abbiamo rumoreggiato, siamo state intimate alla "disciplina".
Anche nelle parole di Vandana Shiva ho trovato questo dialogo tra una
dimensione globale e un'azione in contesto. Vandana sottolineava come il
linguaggio delle multinazionali parli in termini di diritti (di sfruttamento
delle risorse fondamentali della terra), mentre la gente parla di bisogni,
anzi ha dei bisogni, che trovano soddisfazione in armonia con la natura. Per
esempio la campagna "lavarsi le mani" promossa a Johannesburg sembra a prima
vista una cosa civile: chi non e' d'accordo per una maggior igiene? Invece
ha provocato molti danni alle popolazioni e ha portato molto denaro nelle
tasche delle multinazionali. Tutto questo perche' l'acqua e' inquinata:
mentre con i metodi tradizionali indiani, cioe' l'uso degli oli vegetali, le
mani si puliscono da millenni, con i saponi chimici e l'acqua inquinata con
cui le mamme si lavano, e lavano i bambini, si e' verificato il contagio di
molte malattie.
Quindi anche per Vandana e' importante continuare a portare avanti un'altra
ipotesi del mondo, che tenga conto dei bisogni delle donne e degli uomini in
carne e ossa, che non tagli fuori le esperienze concrete e i saperi
stratificati nel tempo, per non lasciare alle multinazionali il monopolio,
per far si' che la visione capitalistica non sia l'unica scelta.
Anch'io ho preso parola al seminario promosso dal gruppo Saperi del Social
forum di Firenze. Ho reso evidente la mia distanza dalle posizioni di un
insegnante, il quale disegnava un'ipotetica alternativa per un dirigente
scolastico: la scelta tra "fare i progetti" secondo i crismi della riforma
Moratti, ed essere pagati per farli, e una serie di attivita' fatte per la
scuola, senza un beneficio in termini economici.
Per me una tale alternativa non puo' porsi neppure in via d'ipotesi. Nel
senso che quello che faccio, le scelte che compio ogni giorno sul lavoro,
hanno un prezzo: il prezzo che pago per non rimanere schiacciata sulle
posizioni care all'azienda, e per esserci con tutta la mia soggettivita', e'
non ricevere aumenti di stipendio o premi. E ancora: se cercassi la mia
dimensione in termini meramente economici, potrei guadagnare molto di piu',
vendendo sul mercato le mie competenze professionali. Ma questo non mi
interessa. Il punto per me essenziale nel lavoro e' una battaglia per il
senso e per la liberta', dove il senso non e' governato dalla logica del
profitto, cara alle aziende, e la liberta' non si misura in termini di
soldi. Ho sentito netta la distanza, che per me e' segnata dalla differenza
sessuale, tra questo insegnante, che riteneva centrale la questione
economica, il puntare sui soldi come cio' che da' valore a se', e il mio
puntare su altro, dove questo altro sta in una dimensione non solo
economica, ma che riguarda l'intera sfera della vita. Certamente io sono
dentro il sistema capitalistico, in qualche modo lo sostengo lavorando, ma
non mi consegno completamente alle sue misure: potendo guadagnare molto di
piu', scelgo di non farlo; potendo dare risposte sempre in linea con
l'azienda, e avere un tornaconto, scelgo di non farlo.
Costretta a starci, scelgo (faticosamente e a tentoni) in quale modo, non
paga del fatto che sia l'unico mondo possibile, e cosi' mino la stabilita'
della scelta unica innanzitutto dentro di me.

8. INIZIATIVE. "DONNE DI JENIN": CAMPAGNA DI RACCOLTA DI FONDI PER LE DONNE
DEL CAMPO PROFUGHI, LE STUDENTESSE UNIVERSITARIE E L'IMPRENDITORIA FEMMINILE
[Dal sito www.unimondo.org riprendiamo questo appello]
Donne in Nero, Palestinian Women's Union, Palestinian Medical Relief
Committees, Women's Studies Center promuovono la campagna di solidarieta'
"Donne di Jenin".
* La situazione
Il 3 aprile 2002 l'esercito israeliano e' entrato nel campo profughi di
Jenin per compiere la sua missione di rastrellamento dei sospetti terroristi
isolando cosi' l'intera area con carri armati, bulldozer e aerei da guerra.
L'Human Rights Watch denuncia le seguenti violazioni dei diritti umani: 140
case distrutte e altre 200 rese inabitabili; 52 morti di cui 22 civili;
civili usati come scudi umani, 8 giorni di totale chiusura del campo
all'accesso di medici, ambulanze e della Croce Rossa Internazionale.
Moltissime donne del campo sono rimaste senza casa e senza fonte di reddito
e devono far fronte ai bisogni immediati delle loro famiglie. Tutto questo
quando gia' da due anni la citta' e' sotto occupazione militare e di
conseguenza vive una situazione di gravissima crisi economica che impedisce
alle ragazze di continuare i loro studi e toglie alle donne qualsiasi
risorsa da investire in progetti per il futuro.
Questa campagna nasce dalla rete di relazioni gia' esistente tra le Donne in
Nero italiane e le donne palestinesi. Le radici di questo progetto risalgono
al 1988 quando con un gruppo di donne ci recammo a Gerusalemme per costruire
relazioni con donne palestinesi e israeliane, per superare il conflitto e
l'occupazione militare israeliana, nel riconoscimento reciproco del diritto
alla sovranita', alla liberta', per due popoli e due stati.
In questi anni molti sono stati i progetti e le iniziative che abbiamo fatto
in comune. In quest'ultima Intifada a partire dal dicembre 2000, con "Io
donna vado in Palestina" molte donne, Donne in Nero e non solo, sono state
testimoni delle violazioni dei diritti, cercando con la loro presenza di
essere un argine alla violenza e alle umiliazioni subite dai palestinesi e
intessere relazioni con le forze pacifiste israeliane e il movimento sociale
palestinese.
* I promotori della campagna "Donne di Jenin"
- Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne che ripudiano ogni
forma di guerra, di terrorismo, di fondamentalismi e di violazione dei
diritti umani e civili, ricercano pratiche nonviolente per la risoluzione
dei conflitti, promuovono la diplomazia dal basso e la partecipazione attiva
della donne ai tavoli delle trattative tra le parti, dove la loro presenza
ed esperienza e' necessaria e preziosa. A muoverle e' la relazione diretta
con le donne dei luoghi difficili, palestinesi, israeliane, dei Balcani,
afghane, kurde,turche, algerine, con tutte coloro che lavorano per
l'affermazione di una politica internazionale delle donne libere da guerre,
violenze e poverta' per tutte e tutti.
- Il Women's Studies Center e' una ong palestinese di donne fondata nel 1989
per garantire uguali diritti e pari opportunita' in campo economico, sociale
e politico alle donne. Il Women's Studies Center coordina un comitato di
donne per il sostegno a studentesse universitarie palestinesi costrette ad
abbandonare l'universita' a causa dell'occupazione militare israeliana che
ha fatto crescere i costi degli studi superiori.
- La Women's Union e' un'organizzazione politica di donne palestinesi. Nate
alla fine degli anni '70, il loro obiettivo e' la crescita politica delle
donne per il loro pieno coinvolgimento nella vita pubblica e nella lotta di
resistenza nazionale. Sviluppano programmi specifici per favorire l'ingresso
delle donne nel mondo del lavoro e per far loro conoscere i loro diritti.
Nel campo profughi di Jenin si sono mobilitate in aiuto delle donne che
hanno perso assolutamente tutto sul piano materiale ma soprattutto sono
state private di qualsiasi sogno per il loro futuro e per quello delle loro
famiglie.
- I Palestinian Medical Relief Committees (Pmrc) sono dei comitati locali di
assistenza socio-sanitaria che organizzano piu' di 3.000 volontari in tutti
i territori palestinesi. Operano accanto alle strutture istituzionali
dell'Anp per far fronte all'attuale situazione di emergenza. La loro
filosofia si incentra sull'idea di societa' civile, quale soggetto ricco di
valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire la crescita
democratica del paese. Nell'area di Jenin, malgrado le difficolta'
economiche e di movimento indotte dall'occupazione militare, esistono 13
gruppi di donne gia' attivi, dotati di una propria progettualita' e di un
minimo di capacita' finanziaria.
* Come contribuire
Dai una mano anche tu alle donne palestinesi che non vogliono essere
un'altra volta profughe, che vogliono giustizia e ricostruire cio' che e'
stato distrutto dall'esercito israeliano che continua a occupare
illegalmente la loro terra: aiutiamole a progettare un futuro di convivenza
e di pace per se' e per i loro figli.
- Con 100 euro si garantisce ad un nucleo familiare del campo profughi di
Jenin (5 persone) il cibo necessario per un mese.
- Con 250 euro si garantisce ad una studentessa di Jenin un semestre di
iscrizione in una universita' palestinese.
- Con 750 euro si garantisce alle donne di un villaggio di Jenin un anno di
affitto dei locali necessari per attuare i loro progetti.
Per inviare contributi:
- versamento con bonifico bancario su c/c n. 106500, intestato a Donne in
Nero, ABI 5018, CAB 12100, presso Banca Popolare Etica Padova;
- versamento sul c/c postale n. 12182317, intestato a Donne in Nero - Banca
Etica, indicando nella causale "c/c n. 106500".
Puoi scegliere a chi dare il tuo aiuto specificando una causale tra le
seguenti:
- "Donne di Jenin/Donne del campo";
- "Donne di Jenin/Studentesse";
- "Donne di Jenin/Donne dei villaggi".
* Per informazioni e contatti
Campagna Donne di Jenin - Palestina, presso Donne in Nero, via IV novembre
149, 00197 Roma, tel. 0669950217-0669200975, fax: 0669950200, e-mail:
dinperjenin at yahoo.it

9. ESPERIENZE. UNA PRESENTAZIONE DELLA SEZIONE DI PADOVA DEL MIR
[Dal sito (http://digilander.libero.it/mirpd) della sezione di Padova del
Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) riprendiamo questa
scheda di autopresentazione]
* Un po' di storia
Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) e' un'organizzazione
non governativa a cui l'Onu ha riconosciuto lo status consultivo nel
Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc).
E' stato fondato nel 1919 in Olanda ad opera di rappresentanti europei di
chiese luterane e comunita' quacchere e si e' poi diffuso in molti paesi del
mondo.
Fino ad ora otto membri del MIR hanno ottenuto il premio Nobel per la Pace:
Jane Addams (Stati Uniti, 1931), Emily Green Balch (Stati Uniti, 1946),
Albert Luthuli (Sud Africa, 1960), Linus Pauling (Stati Uniti, 1961), Martin
Luther King (Stati Uniti, 1964), Mairead Corrigan (Irlanda del Nord, 1976),
Adolfo Perez Esquivel (Argentina, 1980), Rigoberta Menchu' (Guatemala,
1992).
Il MIR nasce anche in Italia nel 1952.
Fin dall'inizio il movimento si e' impegnato:
- a diffondere una cultura di pace e nonviolenza;
- a ottenere il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza al
servizio militare;
- rifiutando la divisione del mondo in blocchi militari e la relativa corsa
agli armamenti ha indicato concrete misure di disarmo;
- ad organizzare le prime mobilitazioni contro la detenzione e
l'installazione dei missili e delle altre armi di distruzione di massa in
Europa, e ha proposto l'obiezione alle spese militari;
- a sostenere la campagna contro l'energia nucleare sia per usi civili che
militari;
- per la riconversione dell'industria bellica e il riutilizzo ad uso civile
delle aree sottoposte a servitu' militari;
- nelle Chiese proponendo un impegno comune per la pace, la giustizia, la
salvaguardia del creato e la promozione dell'ecumenismo;
- nella campagna per la messa al bando delle mine antiuomo;
- a sostenere la campagna internazionale per una soluzione nonviolenta dei
conflitti del Kosovo.
* L'impegno del MIR a Padova
Il gruppo padovano, nato nel 1978, pur partecipando a varie iniziative a liv
ello nazionale, ha sempre cercato di intervenire nel territorio cittadino.
Esso infatti:
- divulga la pratica e i metodi nonviolenti ricercando le modalita' di
intervento della societa' civile per la soluzione dei conflitti sia
internazionali (caschi bianchi) sia locali;
- garantisce un servizio informativo sulle alternative al servizio militare
e la possibilita' di svolgere un servizio civile qualificato all'interno
della propria sede;
- organizza e promuove corsi di formazione per obiettori di coscienza e per
i responsabili degli enti di servizio civile;
- dedica attenzione al mondo della scuola e dell'universita' organizzando
momenti formativi e di riflessione sui temi della pace e della nonviolenza
anche attraverso la fornitura di diversi tipi di sussidi tra cui cd-rom;
- ha contribuito all'elaborazione della prima legge regionale sulla pace (la
legge della Regione Veneto n. 18/88) impegnandosi poi nella sua attuazione;
- in collaborazione con altre associazioni ha ottenuto la denuclearizzazione
di Padova e l'istituzione di un ufficio comunale per la pace;
- sostiene la lotta per la riconversione ad uso civile delle aree militari
cittadine;
- partecipa attivamente a quelle realta' cittadine impegnate ad umanizzare
il mondo finanziario ed economico come Spes e Banca Etica;
- ricerca modelli di consumo e di sviluppo socialmente sostenibili tali da
garantire benessere e felicita' a tutti gli abitanti del pianeta e non solo
ad una piccola parte di essi.
Il gruppo di Padova organizza corsi, conferenze e convegni pubblici nei
quartieri cittadini, nelle scuole e nelle parrocchie. I suoi membri hanno
partecipato piu' volte a trasmissioni sia radiofoniche che televisive e i
loro interventi spesso sono pubblicati nei giornali locali.
Nella sede del MIR e' disponibile al pubblico una biblioteca specializzata
sulle tematiche della pace, del disarmo, della nonviolenza, dell'obiezione
di coscienza e della Difesa Popolare Nonviolenta.
E' membro attivo del Comitato per la Pace della Regione Veneto e della
Consulta per la Pace del Comune di Padova.
La sede del MIR e' ubicata nei locali dell'ex-macello, in via Cornaro 1/A,
35128 Padova, tel. e fax: 0498075964, e-mail: mirsezpd at libero.it, sito:
http://digilander.libero.it/mirpd

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 463 del primo gennaio 2003