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La nonviolenza e' in cammino. 463
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 463
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 31 Dec 2002 22:59:11 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 463 del primo gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Movimento Nonviolento, lettera al Presidente della Repubblica per il messaggio di fine anno 2. Ileana Montini, guerra e neoguerra 3. "Nonluoghi": un ricordo di Carlo Cassola 4. Carlo Cassola, la proposta di Gandhi 5. Angeloivano Incerti: la Resistenza fu soprattutto nonviolenta 6. Daniela Padoan, il segno della differenza 7. Laura Colombo, dimensione globale e azione in contesto 8. "Donne di Jenin": campagna di raccolta di fondi per le donne del campo profughi, per le studentesse universitarie e per l'imprenditoria femminile 9. Una presentazione della sezione di Padova del MIR 10.. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. APPELLI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER IL MESSAGGIO DI FINE ANNO [Il Movimento Nonviolento il 30 dicembre ha inviato questa lettera al Presidente della Repubblica in occasione del consueto messaggio agli italiani di fine anno. Per contatti con il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org] Al Presidente della Repubblica e per opportuna conoscenza: al Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro della Difesa * Signor Presidente della Repubblica, nel Suo consueto e autorevole messaggio di fine anno rivolto agli italiani, non dimentichi un forte richiamo al rispetto dell'articolo 11 della Carta Costituzionale: "L'Italia ripudia la guerra". La guerra preventiva, dichiarata dagli Usa all'Iraq, e' ormai imminente. Il Presidente del Consiglio fa sapere che chiedera' il consenso del Parlamento affinche' l'Italia fornisca il supporto militare agli alleati, mettendo a disposizione basi e spazi aerei (ovvero, una partecipazione diretta dell'Italia alla guerra). Questa intenzione gia' di per se' costituisce una flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana e favorisce la preparazione di una guerra che la legge fondamentale del nostro stato inequivocabilmente ripudia. E' indispensabile un Suo autorevole intervento in difesa della legalita' costituzionale, di cui Lei e' supremo garante. Dica, senza esitazioni e senza ambiguita', che l'ordinamento giuridico italiano, la Repubblica Italiana, si fonda ancora sulla Costituzione che "ripudia la guerra". Dica che nel nostra paese vige ancora la legalita' costituzionale e repubblicana. Richiami i ministri e i parlamentari al rispetto della Costituzione cui hanno giurato fedelta'. Un Suo silenzio potrebbe essere interpretato come complicita' con chi sta preparando la guerra e una illegale partecipazione italiana. Signor Presidente, sia Lei a guidare la difesa della legalita' costituzionale: poiche' questo e' attributo della Sua alta funzione istituzionale. Sia Lei a dichiarare fuorilegge quei governanti e quei parlamentari che alla guerra illegale e criminale volessero far partecipare anche il nostro paese anziche' anch'essi impegnarsi - come impone il dettato costituzionale - affinche' la guerra sia impedita. Signor Presidente, fin d'ora anche a Lei dichiariamo che qualora l'Italia prendesse parte alla guerra noi ci impegneremo in difesa della Costituzione, della legalita', della pace, del diritto alla vita di ogni essere umano. Anche se la partecipazione italiana alla guerra consistera' "solo" nel mettere a disposizione basi aeree in territorio italiano, noi fin d'ora ci predisponiamo a promuovere e sostenere la campagna di obiezione di coscienza dei cittadini e delle cittadine "Scelgo la nonviolenza" per l'opposizione integrale alle guerre e per l'opzione per il disarmo economico e militare, per resistere al nuovo militarismo e costruire l'alternativa nonviolenta. Come gia' nel passato siamo disposti a compiere gesti radicali di disobbedienza civile nonviolenta per difendere la legalita', la Costituzione, la Repubblica, e con esse la pace e le vite degli esseri umani dalla guerra minacciati. Signor Presidente, Le rinnoviamo l'accorato appello: nel Suo consueto e autorevole messaggio di fine anno rivolto agli italiani, non dimentichi un forte richiamo al rispetto dell'articolo 11 della Carta Costituzionale: "L'Italia ripudia la guerra". Distintamente, Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini nel 1961 Verona, 30 dicembre 2002 2. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: GUERRA E NEOGUERRA [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini e' una lucida e "storica" intellettuale femminista, sempre acuta nell'individuare e nitida nell'indicare contraddizioni, ambiguita', profondita'] Comincio a provare la sgradita sensazione che quando si parla e si scrive sulla guerra (e sulla pace), ci si continua a collocare in una modalita' di pensiero scisso dalla realta' attuale. Questa sgradita sensazione mi ha spinto a cercare una relazione che Umberto Eco ha tenuto il 2 febbraio del 2002 in occasione della presentazione della Fondazione Sant'Egidio, con il titolo Riflessioni sulla guerra. L'ho letta e ne ho tratto materia di riflessione. Dunque, Umberto Eco prima di tutto ci invita a evitare di usare il termine guerra in modo univoco o generalgenerico. Perche' nella storia, in realta', abbiamo sperimentato le paleoguerre. Una paleoguerra si scatenava perche' i confini territoriali erano chiaramente definiti e cosi' l'identita' del nemico. In tempi recenti - vedi la guerra del Golfo - la guerra e' piuttosto una neoguerra. Si puo' chiamare cosi' una guerra i cui punti fermi sono l'incertezza del territorio e dell'identita' del nemico. Qual e' il territorio della guerra contro il terrorismo? Ai tempi delle paleoguerre si cercava di sconfiggere il nemico in modo da trarne un beneficio e si accettava di pagare un prezzo anche salato in perdite di vite umane. E poi c'era la neutralita' di altri stati che non traevano danno dalla guerra. Con la neoguerra, ci spiega Eco, la guerra non e' piu' frontale a causa della natura stessa del capitalismo multinazionale. Per esempio, nella neoguerra del Golfo abbiamo proprio provato come l'Irak era stato armato dalle industrie occidentali. Infatti e' entrata in crisi la concezione che fu di Clausewitz, che considerava la guerra come la continuazione della politica con altri mezzi. Secondo questa visione la guerra finirebbe quando si raggiungesse uno stato di equilibrio tale da consentire il ritorno alla politica. Ma, in realta', gia' con le due guerre mondiali si e' visto che la politica del dopoguerra sarebbe stata la continuazione delle premesse poste dalla guerra. Ma con la guerra del Golfo e' sorto un problema nuovo, quello di cercare di non uccidere i civili, perche' a ucciderne troppi comporta la dura riprovazione dei media. I media vendono felicita' per mestiere e non dolore, quindi sono obbligati a fare i conti con il principio (post moderno?) del sacrificio minimale. Pero' con l'11 settembre inizia una nuova fase della neoguerra perche' si dissolve per sempre il principio di frontalita'. Il terrorismo varca i territori e le frontiere e abita i paesi occidentali. A questo punto per discutere sulla guerra bisogna includere il terrorismo. E se vogliamo parlare di nonviolenza e delle forme moderne di violenza, prendiamo in considerazione quanto ci suggerisce Umberto Eco: "Ogni atto terroristico viene compiuto per lanciare un messaggio che appunto diffonda terrore, o come minimo inquietudine". Che cosa si ottiene, se non un aggravamento dello stato d'inquietudine e di paura? Secondo Eco il terrorismo dell'11 settembre ha umiliato cosi' profondamente la gente degli Usa, da spingere l'Amministrazione a ricorrere a nuove paleoguerre per risarcire l'opinione pubblica. Ma la neoguerra iniziata l'11 settembre non e' stata vinta ne' risolta con la paleoguerra afghana, perche' queste neoguerre non si possono vincere. Punto e basta. * E ora veniamo a un aspetto poco considerato di violenza - di guerra - perche', forse, richiede nuove categorie di interpretazione e lettura, ovvero dei cambiamenti anche psicologici, da parte nostra. Eco ci invita a pensare agli antichi scenari, quando i crociati facevano guerra ai musulmani. A quei tempi il potenziale bellico dei musulmani non era diverso da quello dei cristiani. Ma allora i cristiani non avevano bisogno del ferro arabo per fare le loro spade, mentre oggi la tecnologia di guerra ha ancora bisogno del petrolio. E quello ce l'hanno loro. Eco dice che non si stupirebbe se dei petrolieri occidentali, pur di continuare a fare profitti, accettassero un mondo islamizzato. E magari, aggiungo io, islamizzato nella linea dei fondamentalisti, cioe' fortemente a sfavore delle donne. Ma non e' tutto. "Ai bei tempi andati i saraceni stavano da una parte, oltremare, e i cristiani dall'altra. Oggi invece l'Europa e' piena di islamici, che parlano le nostre lingue e studiano nelle nostre scuole. Se gia' oggi alcuni di loro si allineano coi fondamentalisti di casa loro, immaginiamoci se ci trovassimo al confronto globale. Essa sarebbe la prima guerra col nemico non solo sistemato in casa, ma assistito dalla mutua. Si badi bene che lo stesso problema si porrebbe al mondo islamico, che ha a casa propria industrie occidentali, e addirittura enclaves cristiane, come l'Etiopia. Siccome il nemico e' per definizione cattivo, tutti i cristiani d'oltremare li diamo per perduti. La guerra e' guerra. (...) Che cosa facciamo invece a casa nostra? Se il conflitto si radicalizza oltre misura, e crollano altri due o tre grattacieli, o addirittura S. Pietro, si avra' la caccia al musulmano". E che cosa accadrebbe nello schieramento nonviolento, no-global, pacifista ecc.? Eco propone queste ipotesi: "si creerebbero all'interno del nostro schieramento gruppi filoislamici, non per fede ma per opposizione alla guerra, nuove sette che rifiutano la scelta dell'occidente, gandhiani che incrocerebbero le braccia e rifiuterebbero di collaborare coi loro governi, fanatici come quelli di Waco che inizierebbero (senza essere fondamentalisti musulmani) a scatenare il terrore per purificare l'occidente corrotto". Sarebbe la guerra, una guerra, una violenza, con forme inedite e che non porterebbe a nessun vincitore. Il bambino marocchino della seconda elementare che (in un paese della Lombardia) ha messo in difficolta' la maestra di sinistra sputando, improvvisamente, sul crocifisso, quale messaggio ci ha dato? La maestra non l'ha sgridato; non gli ha detto, semplicemente, una parola. E' rimasta, semplicemente, inebetita e impotente proprio rispetto all'interpretazione del gesto. L'alunno e' un bambino buono, mite, disponibile, ma da un po' di tempo frequenta un'altra scuola, quella coranica. Fra qualche anno sara' un adulto, appunto, italiano e marocchino; forse si ribellera' agli insegnamenti della scuola coranica, oppure si conformera' a suo fratello piu' grande che a una "festa de l'Unita'" ha preso il seno di una giovane lombarda e voleva picchiarla perche' lei si e' ribellata con uno schiaffo. Di nuovo, ritorna la tematica della pace, della violenza, della guerra, e delle donne. 3. MEMORIA. "NONLUOGHI": UN RICORDO DI CARLO CASSOLA [Dall'utilissimo sito di "Nonluoghi (www.nonluoghi.org) riprendiamo questo articolo del 28 gennaio 2001, ed il testo di Cassola che riproduciamo nell'articolo successivo] Quindici anni fa moriva Carlo Cassola (Roma, 17 marzo 1917 - Lucca, 29 gennaio 1987). Scrittore di primo piano, ricordato tra l'altro per il romanzo La ragazza di Bube, premio Strega 1960 (e film girato da Comencini), Cassola fu anche un intellettuale di forte impegno sociale, antimilitarista ed ecologista. Gia' partigiano contro nazisti e fascisti, dedico' in particolare l'ultima stagione della sua vita alle iniziative contro il militarismo e per la pace. Numerosi i suoi scritti contro gli eserciti e gli armamenti, di grande rilevanza per il mondo del pacifismo italiano il suo contributo sfociato nella nascita, nel 1977, della Lega per il disarmo dell'Italia che due anni piu' tardi sarebbe diventata - con la prima manifestazione contro gli euromissili e l'unione con la Lega socialista per il disarmo unilaterale dell'Italia - la Lega per il disarmo unilaterale. Quest'ultima sara' uno dei principali movimenti promotori della campagna di obiezione fiscale alle spese militari. Tra i piu' stretti collaboratori di Cassola, in quegli anni, c'era il giovane Francesco Rutelli, quando ancora la sua militanza era pacifista ed ecologista. Carlo Cassola riteneva che il rischio totale per l'umanitu' fosse direttamente connesso alla sua organizzazione militarista e per questo metteva in cima alla scala delle priorita' la battaglia per la demilitarizzazione sociale. "Noi disarmisti - scriveva - siamo accusati di essere sognatori fuori della realta'. Invece siamo i soli realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono solo struzzi che hanno nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere le conseguenze scellerate della loro politica: l'imminente fine del mondo e l'attuale miseria del mondo". La sua non era una utopica proposta diretta di societa' nuova, era piuttosto il grido disperato dell'uomo che vede la comunita' sull'orlo del baratro. Era un grido per invertire la rotta, evitare il disastro e da li' creare le condizioni per ragionare sull'utopia ecopacifista. Insomma, uno strappo, il disarmo unilaterale, per creare le condizioni del cammino. Scrive Cassola nel suo saggio La rivoluzione disarmista (Rizzoli): "L'utopia puo' diventare realta' solo mediante la rivoluzione. Un'evoluzione graduale e pacifica e' impensabile: come puo' il male evolvere verso il bene?". E ancora: "Sono queste vecchie, stupide e malvage istituzioni che ci portano alla rovina. Dobbiamo distruggerle prima che sia troppo tardi. Non bisogna distruggerle gradualmente (non ne avremmo il tempo) ma tutte d'un colpo. Occorre un taglio netto col passato. Questo taglio netto e' appunto cio' che chiamiamo rivoluzione". In altre parole, la prima utopia e' la pace e da qui si potra' costruire il resto del percorso utopico. Vengono in mente - per contrasto - i discorsi moralisti che su vari temi (poverta', razzismo, pace, memoria) politici e pesudointellettuali ci propinano sorvolando sulla questione di fondo: mettere in discussione le istituzioni che nel loro grembo serbano l'embrione del mostro. Non basta, per esempio, denunciare l'Olocausto e ripetere "mai piu'"; bisogna piuttosto sforzarsi di vivisezionare il magma istituzionale (i meccanismi di delega politica; di manipolazione sociale; di deresponsabilizzazione a catena, individuale e di gruppo; di annullamento burocratico dei sentimenti umani eccetera) che ha reso possibile questo orrore e che puo' ancora partorire altre vergogne, altra sofferenza, altra oscurita'. Per ricordare Carlo Cassola e tenere viva la memoria della sua battaglia, ci sembra che il modo migliore sia proporre un suo scritto: pubblichiamo qui sotto un articolo comparso sul "Corriere della Sera" e ripreso online da www.nonviolenti.org. Si tratta di uno scritto sulla figura di Gandhi (ma non solo...) che fu pubblicato in occasione dell'anniversario della morte violenta del padre della nonviolenza, assassinato in India il 30 gennaio 1948. Per contattare la Lega per il disarmo unilaterale: segreteria nazionale: via di Montechiari 15, 55015 Montecarlo (Lucca), telefono 058322345. 4. MAESTRI. CARLO CASSOLA: LA PROPOSTA DI GANDHI [Questo articolo di Carlo Cassola apparve sul "Corriere della sera" del 28 gennaio 1978. Noi lo riprendiamo dal sito di "Nonluoghi" (www.nonluoghi.org). Carlo Cassola (1917-1987) e' stato un grande scrittore e un uomo strenuamente impegnato per la dignita' umana e la pace; prese parte alla Resistenza, scrisse alcuni libri che molto commossero e commuovono ancora, dedico' gli ultimi decenni della sua vita con sempre piu' grande intensita' alla lotta contro la guerra, gli eserciti, le armi, per la salvezza dell'umanita', quella salvezza che richiede una scelta decisa e decisiva, che ha nome nonviolenza] Trent'anni fa un fanatico induista uccise Gandhi. Scompariva cosi' colui che Einstein avrebbe definito l'uomo politico piu' importante del nostro tempo. Einstein questo giudizio lo formulo' a meta' del secolo, due anni dopo la morte di Gandhi. Oggi che ci siamo inoltrati un bel po' nella seconda meta' del Novecento, dobbiamo riconoscerne la giustezza. Le figure degli altri statisti, anche dei maggiori, Lenin, Trotzkij, Wilson, Roosevelt, Churchill, si sono appannate e hanno perso d'interesse per le nuove generazioni; la stella di Gandhi non soltanto non e' tramontata, e' salita in alto e dal mezzo del cielo abbiamo l'impressione che ci indichi la strada. Se leggiamo le sue pagine, siamo colpiti dalla loro freschezza. Siano state scritte anche cinquant'anni fa, non sono invecchiate. Ricordo le parole di Carlo Levi a proposito dell'Autobiografia di Nehru, tradotta in italiano quasi un quarto di secolo fa: "E' la prima volta che un politico da l'impressione di essere un uomo". Avrebbe anche potuto dire: e' la prima volta che un politico dimostra di essere un poeta. Gandhi si considerava discepolo di un uomo che, oltre ad essere un grande politico, e' un grandissimo poeta, forse il massimo poeta moderno: Leone Tolstoj. Non sorprende quindi che gli scritti politici di Gandhi non siano aridi come in genere questo tipo di letteratura, ma al contrario, vi si rintracci uno straordinario fervore immaginativo. * Da bambino vidi una volta Gandhi, a Roma, durante una sua visita in Italia. La vista di quell'uomo piccolo, macilento, con gli occhiali, mi deluse profondamente. Avevo immaginato il campione della riscossa indiana come un novello Sandokan, col turbante, gli occhi lampeggianti e la barba a due punte. Io ero un bambino e quindi potevo essere giustificato dall'eta'; ma i grandi che si comportano come bambini non sono giustificati da niente. Il loro infantilismo li porta a disprezzare Gandhi con la sua dottrina della "forza della verita'" e della "nonviolenza". Essi pensano che le buone cause possono farsi largo solo a colpi di arma da fuoco. E' l'infantilismo generale che ha impedito al sogno di Gandhi di diventare realta': anche nella sua stessa patria. Egli non sognava solo l'indipendenza indiana. Questo per lui sarebbe stato solo il punto di partenza, la condizione necessaria perche' potessero trionfare altre cose. La nascita della nazione indiana avrebbe dovuto essere qualcosa di assolutamente diverso dalla nascita delle altre nazioni. Egli fece in tempo ad essere crudelmente deluso: vide le citta' e i villaggi insanguinati dalla lotta insensata tra indu' e musulmani. Si adopero' per far cessare quelle stragi e, come indu', considero' colpevole soprattutto la propria parte. Questo gli procuro' l'odio dei fanatici: uno dei quali mise fine ai suoi giorni. Se fosse vissuto, Gandhi ne avrebbe viste di peggio. Avrebbe visto l'india ripercorrere la strada degli Stati sovrani armati ed entrare in guerra col Pakistan e con la Cina per futili rivalita' di confine. La guerra tra India e Pakistan fu particolarmente turpe. Dopo pochi giorni i due contendenti erano esausti: avevano gettato nella fornace tutto quanto possedevano in fatto di armamento e di equipaggiamento militare: carri armati, artiglierie, aerei da combattimento. Che dovevano essere costati un occhio della testa a Paesi afflitti da gravissimi problemi sociali come la fame e l'analfabetismo. * Gandhi, dunque, e' uno sconfitto come Trotzkj, come Wilson, come lo stesso Lenin. Gli e' riuscito si' far conquistare l'indipendenza al suo Paese, dopo una lotta quasi trentennale contro gli inglesi, ma non era quello il suo scopo principale. La stessa vittoria contro i colonialisti non e' una dimostrazione della bonta' del metodo nonviolento, ma si presta a un'amara considerazione. Gandhi pote' aver ragione degli Inglesi usando l'arma della disobbedienza civile perche' aveva davanti un avversario ragionevole. Ma se avesse avuto davanti un avversario irragionevole come i nazisti? Sappiamo bene che i fascisti disprezzavano chi non si opponeva loro con la violenza. Essi erano subito pronti a scambiare l'ostruzionismo nonviolento con la debolezza. Per cui fu giusto combatterli con le loro stesse armi. Ma io vedo una parentela, non un'opposizione tra i due tipi di lotta. Un medesimo idealismo accomuna i membri della resistenza (violenta) al nazismo in Europa e i membri della resistenza nonviolenta agli inglesi in India. E' l'idealismo che dobbiamo difendere, tutti insieme, contro i miopi cultori della Realpolitik. La differenza tra loro e noi e' una differenza di fondo; quella tra violenti e nonviolenti no. In che consiste questa differenza di fondo? Nel fatto che loro, i sedicenti realisti, credono che la politica debba adeguarsi alla realta' dominante; mentre per un idealista la politica dev'essere lo strumento che permette a una realta' emergente di diventare dominante. "L'utopia di oggi e' la realta' di domani" diceva Victor Hugo. Cio' che oggi puo' sembrare utopistico, domani puo' diventare realta'. E lasciare con un palmo di naso i fautori della Realpolitik. Qual e' l'utopia che oggi aspira a venire alla luce? Quella della pace perpetua. Per raggiungere quest'obiettivo, bisogna cominciare col distruggere gli armamenti. Giacche' (e' ancora Victor Hugo a insegnarcelo) "le guerre hanno tutte pretesti varii, ma hanno sempre la stessa causa: l'esistenza delle forze armate. Togliete di mezzo le forze armate, e toglierete di mezzo la guerra". Semplice, no? Ma proprio per questo, difficilissimo a fare. Perche'? Perche' si scontra con l'ostilita' degli indottrinati, in quanto distruggerebbe le complicazioni delle quali vivono. "Il comunismo e' la cosa semplice che e' difficile fare". Lo diceva Brecht. La stessa cosa puo' dirsi di tutte le cose importanti: la poesia e' la cosa semplice che e' difficile fare, la politica e' la cosa semplice che e' difficile fare. "Il disarmo unilaterale dell'Italia e' l'uovo di Colombo" mi diceva un amico. Gia': le proposte serie, essendo semplici, fanno sempre questa impressione. * Che cosa proponeva Gandhi? Il satyagratha, cioe' la forza della verita' e l'ahimsa, tradotta magistralmente da Aldo Capitini con la parola nonviolenza. Quella particella non puo' far credere che si tratti di un semplice momento negativo. Allo stesso modo che la particella anti, al tempo del fascismo, poteva far pensare a un'opposizione non costruttiva. Ma come costruire qualcosa se prima non si distruggeva il fascismo? Non dimentichiamo, per carita', che la forza di rinnovamento, vale a dire la sinistra, ha prima di tutto il compito di distruggere il vecchio: spesso anzi il suo compito e' solo quello. Non facciamoci fermare, per carita', dal problema di cio' che verr? dopo. E' un falso problema: dopo, verra' per forza qualcosa: distrutto il vecchio, ne prendera' inevitabilmente il posto il nuovo. L'antico regime apparve improvvisamente un insieme di mostruosita' ai francesi, che lo avevano sopportato per secoli: tra il 1789 e il 1790, la Costituente lo distrusse. E che lo si dovesse distruggere, e' ormai ammesso da tutti. * Gandhi fu l'erede spirituale di Tolstoj. Chi furono a loro volta i suoi eredi? Secondo me, soprattutto Einstein e Russell, che nel 1955 dichiararono: "O l'umanita' distruggera' gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l'umanita'". Il dilemma davanti a cui si trova oggi il mondo non poteva essere enunciato con maggior efficacia. Cosi' l'aspirazione alla pace di Gandhi trova il suo specifico strumento di lotta: l'antimilitarismo. Questa lotta deve risultare vincente a ogni costo, altrimenti il mondo salta in aria. Per cui ai nonviolenti, che sono gli eredi diretti di Gandhi ma che costituiscono solo gruppi sparuti, devono affiancarsi le masse, che non hanno rinunciato all'idea della violenza ma detestano il piccolo cabotaggio imposto dal sedicente realismo politico. 5. RIFLESSIONE. ANGELOIVANO INCERTI: LA RESISTENZA FU SOPRATTUTTO NONVIOLENTA [Angeloivano Incerti e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, che con questo intervento intende porre con forza alla riflessione di tutti i nostri interlocutori un convincimento che e' decisivo per la nostra esperienza] Della Resistenza al nazifascismo si ha perlopiu' una visione stereotipata, mediata da molta cattiva retorica, da rappresentazioni spettacolari, dal tentativo sempre crescente degli apparati e delle culture militari di appropriarsene. Ma se andiamo a leggere le testimonianze dei resistenti, dalle lettere dei condannati a morte ai diari e alle memorie degli antifascisti e dei partigiani combattenti, la verita' ci si presenta chiara, nitida, luminosa: la Resistenza e' stata eminentemente un movimento di resistenza nonviolenta di massa. Ed anche coloro che nella tragedia della seconda guerra mondiale e della feroce occupazione nazifascista si sentirono costretti ad imbracciare le armi per salvare l'umanita' dalla genocida barbarie nazifascista, sempre mirarono a salvare le vite, sempre mirarono a suscitare coscienza e partecipazione, sempre sentirono che cio' per cui lottavano era il diritto alla vita di ogni essere umano. Ed anche sul piano strettamente statistico: la grandissima parte della Resistenza consistette nel salvare vite di perseguitati, nell'offrire scampo a chi rifiutava di servire il nazifascismo, nel costruire alternative di vita, nel sabotare la macchina bellica ed amministrativa nazifascista, nel rompere le complicita' e uscire dall'apatia. La Resistenza e' stata innanzitutto un grande evento morale: la sua decisiva efficacia anche ai fini della sconfitta militare del nazifascismo e' stata innanzitutto questa: la non sottomissione, la conquista di dignita', l'obiezione e la testimonianza. Anche l'attivita' operativa partigiana non consistette tanto negli scontri armati quanto nella formazione civile, nella presenza e nel radicamento sul territorio e nella comunita', nella costruzione all'interno della catastrofe bellica di una nuova umanita', di un convivere giuriscostituente: fu pratica di liberazione integrale, molto piu' che mero apparato militare; fu Resistenza morale, civile, politica, molto piu' che dispositivo bellico. Appiattire la Resistenza sul suo solo aspetto militare e bellico - che pure vi fu, e non puo' essere sottovalutato - non rende giustizia ad essa: la Resistenza fu molto di piu': una delle prime e piu' grandi e luminose esperienze storiche vittoriose della nonviolenza in cammino. 6. RIFLESSIONE. DANIELA PADOAN: IL SEGNO DELLA DIFFERENZA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento - forse un po' troppo entusiasta, come del resto molti altri interventi e resoconti - sull'esperienza del Forum sociale europeo svoltosi a Firenze] I vialetti, i prati, le aule, ogni spazio della Fortezza da Basso esplode di colori, striscioni, manifesti; ci sono i reduci del Vietnam contro la guerra, i "punkabbestia" con i loro cani, e i contadini sardi. Nelle plenarie si sente parlare in russo, in greco, in spagnolo, in tedesco, in francese; tante lingue e tanti interpreti simultanei, tutti volontari. Nell'edifico dove e' allestito il punto informativo ci sono stand di centinaia di associazioni, ognuna con un proprio banchetto di libri, magliette, manufatti. E' una festa di volti e di colori, di musica, ma soprattutto di parole scambiate. Durante i tre giorni del Social Forum Europeo si svolgono parallelamente centinaia di incontri; i piu' partecipati nelle aule delle conferenze, altri in stanze e stanzette disseminate ovunque. Ai lavori delle plenarie tanta gente, migliaia, tutti seduti ad ascoltare, con le cuffie, prendendo appunti; parlano docenti, economisti, politici, giornalisti, spesso decisamente anziani, come in un gigantesco corso universitario. Alcuni argomenti, tra i tanti: "Il ruolo delle religioni nella critica alla globalizzazione", "Nonviolenza, disobbedienza e diritti sociali", "Democrazia partecipativa", "Acqua, aria, terra: l'Europa contro lo sviluppo insostenibile", "Reti di economia solidale", "L'istruzione non e' una merce", "Il lavoro in Europa: il lavoro e le sue trasformazioni", "Sovranita' alimentare", "Media e guerra: il diritto all'informazione in tempo di conflitti", "La politica come bene comune: sinistra e movimenti", "Politica del vivere, vivibilita' della politica", "La cultura riduzionista e la sperimentazione animale", "Salute in Europa tra equita' e accesso", "Palestina-Israele: il conflitto, l'Europa, la solidarieta' attiva per una pace giusta". Se c'e' un limite, e' nel fatto che nelle conferenze e nei seminari quasi tutto si gioca nell'ascolto: sono praticamente impossibili gli interventi, ma la discussione prende avvio dopo, in giro per la Fortezza, e fuori, passeggiando per Firenze, seduti nei bar. Ovunque si sentono persone che, a coppie, a gruppetti, si scambiano opinioni e appunti. Un gran fermento di idee, un inedito desiderio di confrontare punti di vista, orientarsi, trovare ciascuno il taglio con cui stare dentro questo mare di diversita', tutti pero' con alcune, semplici, irrinunciabili idee di fondo; il rifiuto della "guerra infinita" e il sentimento quasi francescano che gli esseri umani sono uguali, che non e' accettabile che a una parte dell'umanita' sia consentito tutto - consumare, spostarsi liberamente, avere una vita della mente - e che l'altra sia ridotta a poco piu' della nuda vita. Senza indulgere al terzomondismo, ma partendo da se', dai propri bisogni, desideri, modi di agire politicamente. In un certo senso il discorso fatto dal movimento e' talmente semplice e poco ideologico da costituire una forza d'urto, un'evidenza irrefrenabile. Questo movimento, nelle sue idee fondanti, e' soprattutto etico. Le sue parole sono essenziali. Le sue richieste non sono volte al rovesciamento di un ordine nemico ma indicano come fondante la presa di coscienza di ciascuno: troviamo un altro modo di consumare, di risparmiare, di accedere alle notizie; troviamo un altro modo per amministrare i governi, partendo da quelli delle citta', piu' vicini alla gente; troviamo un altro modo di dialogare con la politica istituzionale. Non c'e' estremismo in questo movimento, c'e' anzi una grande capacita' di mediazione. Cio' che e' rivoluzionario e' la parola volta all'esistenza dell'altro. Andando da un incontro all'altro si sentono rimbalzare discorsi, ed e' possibile, ciascuno secondo il proprio taglio, fare dialogare diverse voci. Quasi mettere assieme domande e risposte, rilanci di pensiero. Con la consapevolezza che ragionare insieme significa gia' agire politicamente. Il Social forum di Firenze non e' un luogo di slogan, non e' il luogo di "una sola moltitudine": sono (siamo) persone, persone e persone, vestite diversamente, di eta' diversissime, provenienti da molti luoghi della Terra, coinvolte in uno scambio vorticoso di lingue e idee, con la voglia di produrre qualcosa da portare a casa soprattutto come cambiamento dentro di se', e poi come strumento per propagare linguaggi, confrontare diversita', individuare modi di lotta e pratiche quotidiane contro un potere economico e culturale sempre piu' monolitico e violento. L'idea stessa di una linea comune e di una rappresentanza e' impossibile e impensabile: questo movimento e' la dimostrazione concreta, corporea, del concetto di pluralita'; le innumerevoli entita' che vi partecipano creano un ordine del discorso con il loro semplice accostarsi, senza poter essere sommate. In questo e' una grande ricchezza e un limite solo apparente, per chi ritiene che la politica sia un giungere a sintesi. La progettualita' del movimento sta nell'opporsi al "mondo cosi' com'e'" con la semplice forza dell'esistenza di ciascuno. Nel testimoniare di un'idea con il proprio modo di esistere. In un rovesciamento dell'impotenza che sta nella consapevolezza della propria forza unita a quella degli altri: siamo consumatori e risparmiatori, per esempio, dunque il nostro modo di consumo e il nostro risparmio puo' produrre azione politica. Spesso ritorna la frase di Gandhi, "Siate il cambiamento che volete vedere nella societa'". Non un "andare la'" per risolvere i problemi, ma la convinzione che la globalizzazione del capitalismo parte da qui, ed e' qui che dobbiamo inventare forme di opposizione. Attac, per esempio, parla di una "battaglia di autoeducazione". Questo accanto a forme di protesta collettive e anche ad atti di disubbidienza, dei quali sono molto stati discussi modi e possibilita', in un orizzonte che non va confuso con le azioni un po' sgangherate dei Disubbidienti di Casarini, ma che abbraccia Gandhi e Martin Luther King. Piu' volte, nel corso di diversi seminari, ho sentito dire che il movimento non e' contro l'occidente, che non guarda al Terzo mondo come qualcosa di salvifico, ma che dobbiamo partire dal nostro essere occidentali, con cio' che di buono la nostra cultura ha prodotto. Rendere trasparente la cultura dell'Europa, di modo che l'Europa possa diventare un'area di resistenza all'egemonia americana. In quanto accade in questi giorni vedo molto forte e vitale il segno impresso dalla politica della differenza: un partire da se', una centralita' delle pratiche, un concetto di rete come insieme di relazioni orizzontali che non consentono rappresentanza, un mettere al centro il plurimo, la convinzione che il linguaggio e' gia' azione politica. A volte nominato, piu' spesso taciuto o non saputo fino in fondo, eppure il discorso e' passato e si e' tramutato in qualcosa di necessario a tutti, qualcosa che sta producendo del nuovo nei discorsi. Rispondere alle accuse di vandalismo inventando un servizio spazzini nel corteo, per esempio, e' stato un rovesciamento nel paradosso, praticato dal femminismo e, da piu' di vent'anni, dalle Madres. Cio' che di piu' arretrato ho sentito nel Social forum di Firenze veniva paradossalmente dal seminario della Marcia mondiale delle donne, dove donne olandesi o irlandesi che parevano uscite da un film di Ken Loach parlavano di lotta al capitalismo e di "diritti delle donne all'interno delle classi oppresse". Rimbalzavano discorsi su emancipazione, quote e destino svantaggiato. Volevano aprire il corteo con il loro striscione. 7. RIFLESSIONE. LAURA COLOMBO: DIMENSIONE GLOBALE E AZIONE IN CONTESTO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo anche questo intervento] Su quello che e' stato il Social forum [svoltosi a Firenze] e' stato detto e scritto moltissimo. Per me e' stato innanzi tutto un luogo di scambio: l'ospitalita' di due donne generose per discussioni appassionate, i seminari e le conferenze, le conoscenze nelle lunghe code. E lo scambio presuppone l'incontro ed eventualmente la relazione. Non e' difficile immaginare la facilita' di incontrarsi e intessere un abbozzo di conoscenza in un contesto come quello del Forum, in un clima di impegno da un lato e di festa dall'altro. Oppure un percorso di approfondimento della relazione con le donne con cui ho passato tre giorni intesi. La cosa che piu' mi ha colpito e' il riconoscimento, da parte di moltissimi oratori e oratrici, della dimensione globale del movimento, e la conseguente chiarezza dell'urgenza di un'analisi che tenga conto di tale dimensione. E nel contempo la necessita' di muoversi a partire dalle relazioni piu' contigue, di radicarsi nella realta' piu' vicina per non perdersi nell'ideologia. La posta in gioco e' alta: creare un sentire allargato, un senso comune, perche' la gente abbia coscienza che il capitalismo non e' l'unica possibilita', l'unico modello di vita e di societa'. Susan George e' stata chiara: l'Occidente ha portato la politica in una strada a senso unico, dove il capitalismo sembra l'unica alternativa (e dunque non e' tale). Grazie ai movimenti si e' creato uno spazio di nuove possibilita', che ora devono trovare un'attuazione. A questo punto ha proposto di uscire a breve, entro il 2003, con qualcosa di netto contro le privatizzazioni. Poi, guardando la platea assorta nelle cuffie di traduzione, concentrata sugli appunti, ha detto che, affinche' il capitalismo non sia sentito come l'unica soluzione, c'e' necessita' di creare relazioni, c'e' urgenza di conoscenza, proprio a partire dal Forum: ha dunque esortato a non restare chini sui quaderni, ha invitato a guardare chi ci stava di fianco, perche' una nuova visione politica passa proprio da questa dimensione. Va detto che negli incontri plenari sembrava di stare a scuola: tutti con la testa china a prendere appunti, senza nessun intervento, neppure per manifestare un dissenso per cio' che si sentiva. Un solo esempio: al nostro moto di stizza verso un oratore della conferenza "Movimenti e politica" di giovedi' 7 novembre, i nostri vicini ci hanno guardate come fossimo stravaganti, intimandoci la quiete con lo sguardo. Il nostro oratore affermava che i movimenti sono portatori di utopia, i partiti sono animati da pragmatismo e tesi alla conquista del potere, e sosteneva che le istanze del movimento dovessero trovare spazio nei partiti per avere uno sbocco in termine di leggi. Io e Vita, che non eravamo d'accordo, e spontaneamente abbiamo rumoreggiato, siamo state intimate alla "disciplina". Anche nelle parole di Vandana Shiva ho trovato questo dialogo tra una dimensione globale e un'azione in contesto. Vandana sottolineava come il linguaggio delle multinazionali parli in termini di diritti (di sfruttamento delle risorse fondamentali della terra), mentre la gente parla di bisogni, anzi ha dei bisogni, che trovano soddisfazione in armonia con la natura. Per esempio la campagna "lavarsi le mani" promossa a Johannesburg sembra a prima vista una cosa civile: chi non e' d'accordo per una maggior igiene? Invece ha provocato molti danni alle popolazioni e ha portato molto denaro nelle tasche delle multinazionali. Tutto questo perche' l'acqua e' inquinata: mentre con i metodi tradizionali indiani, cioe' l'uso degli oli vegetali, le mani si puliscono da millenni, con i saponi chimici e l'acqua inquinata con cui le mamme si lavano, e lavano i bambini, si e' verificato il contagio di molte malattie. Quindi anche per Vandana e' importante continuare a portare avanti un'altra ipotesi del mondo, che tenga conto dei bisogni delle donne e degli uomini in carne e ossa, che non tagli fuori le esperienze concrete e i saperi stratificati nel tempo, per non lasciare alle multinazionali il monopolio, per far si' che la visione capitalistica non sia l'unica scelta. Anch'io ho preso parola al seminario promosso dal gruppo Saperi del Social forum di Firenze. Ho reso evidente la mia distanza dalle posizioni di un insegnante, il quale disegnava un'ipotetica alternativa per un dirigente scolastico: la scelta tra "fare i progetti" secondo i crismi della riforma Moratti, ed essere pagati per farli, e una serie di attivita' fatte per la scuola, senza un beneficio in termini economici. Per me una tale alternativa non puo' porsi neppure in via d'ipotesi. Nel senso che quello che faccio, le scelte che compio ogni giorno sul lavoro, hanno un prezzo: il prezzo che pago per non rimanere schiacciata sulle posizioni care all'azienda, e per esserci con tutta la mia soggettivita', e' non ricevere aumenti di stipendio o premi. E ancora: se cercassi la mia dimensione in termini meramente economici, potrei guadagnare molto di piu', vendendo sul mercato le mie competenze professionali. Ma questo non mi interessa. Il punto per me essenziale nel lavoro e' una battaglia per il senso e per la liberta', dove il senso non e' governato dalla logica del profitto, cara alle aziende, e la liberta' non si misura in termini di soldi. Ho sentito netta la distanza, che per me e' segnata dalla differenza sessuale, tra questo insegnante, che riteneva centrale la questione economica, il puntare sui soldi come cio' che da' valore a se', e il mio puntare su altro, dove questo altro sta in una dimensione non solo economica, ma che riguarda l'intera sfera della vita. Certamente io sono dentro il sistema capitalistico, in qualche modo lo sostengo lavorando, ma non mi consegno completamente alle sue misure: potendo guadagnare molto di piu', scelgo di non farlo; potendo dare risposte sempre in linea con l'azienda, e avere un tornaconto, scelgo di non farlo. Costretta a starci, scelgo (faticosamente e a tentoni) in quale modo, non paga del fatto che sia l'unico mondo possibile, e cosi' mino la stabilita' della scelta unica innanzitutto dentro di me. 8. INIZIATIVE. "DONNE DI JENIN": CAMPAGNA DI RACCOLTA DI FONDI PER LE DONNE DEL CAMPO PROFUGHI, LE STUDENTESSE UNIVERSITARIE E L'IMPRENDITORIA FEMMINILE [Dal sito www.unimondo.org riprendiamo questo appello] Donne in Nero, Palestinian Women's Union, Palestinian Medical Relief Committees, Women's Studies Center promuovono la campagna di solidarieta' "Donne di Jenin". * La situazione Il 3 aprile 2002 l'esercito israeliano e' entrato nel campo profughi di Jenin per compiere la sua missione di rastrellamento dei sospetti terroristi isolando cosi' l'intera area con carri armati, bulldozer e aerei da guerra. L'Human Rights Watch denuncia le seguenti violazioni dei diritti umani: 140 case distrutte e altre 200 rese inabitabili; 52 morti di cui 22 civili; civili usati come scudi umani, 8 giorni di totale chiusura del campo all'accesso di medici, ambulanze e della Croce Rossa Internazionale. Moltissime donne del campo sono rimaste senza casa e senza fonte di reddito e devono far fronte ai bisogni immediati delle loro famiglie. Tutto questo quando gia' da due anni la citta' e' sotto occupazione militare e di conseguenza vive una situazione di gravissima crisi economica che impedisce alle ragazze di continuare i loro studi e toglie alle donne qualsiasi risorsa da investire in progetti per il futuro. Questa campagna nasce dalla rete di relazioni gia' esistente tra le Donne in Nero italiane e le donne palestinesi. Le radici di questo progetto risalgono al 1988 quando con un gruppo di donne ci recammo a Gerusalemme per costruire relazioni con donne palestinesi e israeliane, per superare il conflitto e l'occupazione militare israeliana, nel riconoscimento reciproco del diritto alla sovranita', alla liberta', per due popoli e due stati. In questi anni molti sono stati i progetti e le iniziative che abbiamo fatto in comune. In quest'ultima Intifada a partire dal dicembre 2000, con "Io donna vado in Palestina" molte donne, Donne in Nero e non solo, sono state testimoni delle violazioni dei diritti, cercando con la loro presenza di essere un argine alla violenza e alle umiliazioni subite dai palestinesi e intessere relazioni con le forze pacifiste israeliane e il movimento sociale palestinese. * I promotori della campagna "Donne di Jenin" - Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne che ripudiano ogni forma di guerra, di terrorismo, di fondamentalismi e di violazione dei diritti umani e civili, ricercano pratiche nonviolente per la risoluzione dei conflitti, promuovono la diplomazia dal basso e la partecipazione attiva della donne ai tavoli delle trattative tra le parti, dove la loro presenza ed esperienza e' necessaria e preziosa. A muoverle e' la relazione diretta con le donne dei luoghi difficili, palestinesi, israeliane, dei Balcani, afghane, kurde,turche, algerine, con tutte coloro che lavorano per l'affermazione di una politica internazionale delle donne libere da guerre, violenze e poverta' per tutte e tutti. - Il Women's Studies Center e' una ong palestinese di donne fondata nel 1989 per garantire uguali diritti e pari opportunita' in campo economico, sociale e politico alle donne. Il Women's Studies Center coordina un comitato di donne per il sostegno a studentesse universitarie palestinesi costrette ad abbandonare l'universita' a causa dell'occupazione militare israeliana che ha fatto crescere i costi degli studi superiori. - La Women's Union e' un'organizzazione politica di donne palestinesi. Nate alla fine degli anni '70, il loro obiettivo e' la crescita politica delle donne per il loro pieno coinvolgimento nella vita pubblica e nella lotta di resistenza nazionale. Sviluppano programmi specifici per favorire l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro e per far loro conoscere i loro diritti. Nel campo profughi di Jenin si sono mobilitate in aiuto delle donne che hanno perso assolutamente tutto sul piano materiale ma soprattutto sono state private di qualsiasi sogno per il loro futuro e per quello delle loro famiglie. - I Palestinian Medical Relief Committees (Pmrc) sono dei comitati locali di assistenza socio-sanitaria che organizzano piu' di 3.000 volontari in tutti i territori palestinesi. Operano accanto alle strutture istituzionali dell'Anp per far fronte all'attuale situazione di emergenza. La loro filosofia si incentra sull'idea di societa' civile, quale soggetto ricco di valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire la crescita democratica del paese. Nell'area di Jenin, malgrado le difficolta' economiche e di movimento indotte dall'occupazione militare, esistono 13 gruppi di donne gia' attivi, dotati di una propria progettualita' e di un minimo di capacita' finanziaria. * Come contribuire Dai una mano anche tu alle donne palestinesi che non vogliono essere un'altra volta profughe, che vogliono giustizia e ricostruire cio' che e' stato distrutto dall'esercito israeliano che continua a occupare illegalmente la loro terra: aiutiamole a progettare un futuro di convivenza e di pace per se' e per i loro figli. - Con 100 euro si garantisce ad un nucleo familiare del campo profughi di Jenin (5 persone) il cibo necessario per un mese. - Con 250 euro si garantisce ad una studentessa di Jenin un semestre di iscrizione in una universita' palestinese. - Con 750 euro si garantisce alle donne di un villaggio di Jenin un anno di affitto dei locali necessari per attuare i loro progetti. Per inviare contributi: - versamento con bonifico bancario su c/c n. 106500, intestato a Donne in Nero, ABI 5018, CAB 12100, presso Banca Popolare Etica Padova; - versamento sul c/c postale n. 12182317, intestato a Donne in Nero - Banca Etica, indicando nella causale "c/c n. 106500". Puoi scegliere a chi dare il tuo aiuto specificando una causale tra le seguenti: - "Donne di Jenin/Donne del campo"; - "Donne di Jenin/Studentesse"; - "Donne di Jenin/Donne dei villaggi". * Per informazioni e contatti Campagna Donne di Jenin - Palestina, presso Donne in Nero, via IV novembre 149, 00197 Roma, tel. 0669950217-0669200975, fax: 0669950200, e-mail: dinperjenin at yahoo.it 9. ESPERIENZE. UNA PRESENTAZIONE DELLA SEZIONE DI PADOVA DEL MIR [Dal sito (http://digilander.libero.it/mirpd) della sezione di Padova del Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) riprendiamo questa scheda di autopresentazione] * Un po' di storia Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) e' un'organizzazione non governativa a cui l'Onu ha riconosciuto lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc). E' stato fondato nel 1919 in Olanda ad opera di rappresentanti europei di chiese luterane e comunita' quacchere e si e' poi diffuso in molti paesi del mondo. Fino ad ora otto membri del MIR hanno ottenuto il premio Nobel per la Pace: Jane Addams (Stati Uniti, 1931), Emily Green Balch (Stati Uniti, 1946), Albert Luthuli (Sud Africa, 1960), Linus Pauling (Stati Uniti, 1961), Martin Luther King (Stati Uniti, 1964), Mairead Corrigan (Irlanda del Nord, 1976), Adolfo Perez Esquivel (Argentina, 1980), Rigoberta Menchu' (Guatemala, 1992). Il MIR nasce anche in Italia nel 1952. Fin dall'inizio il movimento si e' impegnato: - a diffondere una cultura di pace e nonviolenza; - a ottenere il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza al servizio militare; - rifiutando la divisione del mondo in blocchi militari e la relativa corsa agli armamenti ha indicato concrete misure di disarmo; - ad organizzare le prime mobilitazioni contro la detenzione e l'installazione dei missili e delle altre armi di distruzione di massa in Europa, e ha proposto l'obiezione alle spese militari; - a sostenere la campagna contro l'energia nucleare sia per usi civili che militari; - per la riconversione dell'industria bellica e il riutilizzo ad uso civile delle aree sottoposte a servitu' militari; - nelle Chiese proponendo un impegno comune per la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato e la promozione dell'ecumenismo; - nella campagna per la messa al bando delle mine antiuomo; - a sostenere la campagna internazionale per una soluzione nonviolenta dei conflitti del Kosovo. * L'impegno del MIR a Padova Il gruppo padovano, nato nel 1978, pur partecipando a varie iniziative a liv ello nazionale, ha sempre cercato di intervenire nel territorio cittadino. Esso infatti: - divulga la pratica e i metodi nonviolenti ricercando le modalita' di intervento della societa' civile per la soluzione dei conflitti sia internazionali (caschi bianchi) sia locali; - garantisce un servizio informativo sulle alternative al servizio militare e la possibilita' di svolgere un servizio civile qualificato all'interno della propria sede; - organizza e promuove corsi di formazione per obiettori di coscienza e per i responsabili degli enti di servizio civile; - dedica attenzione al mondo della scuola e dell'universita' organizzando momenti formativi e di riflessione sui temi della pace e della nonviolenza anche attraverso la fornitura di diversi tipi di sussidi tra cui cd-rom; - ha contribuito all'elaborazione della prima legge regionale sulla pace (la legge della Regione Veneto n. 18/88) impegnandosi poi nella sua attuazione; - in collaborazione con altre associazioni ha ottenuto la denuclearizzazione di Padova e l'istituzione di un ufficio comunale per la pace; - sostiene la lotta per la riconversione ad uso civile delle aree militari cittadine; - partecipa attivamente a quelle realta' cittadine impegnate ad umanizzare il mondo finanziario ed economico come Spes e Banca Etica; - ricerca modelli di consumo e di sviluppo socialmente sostenibili tali da garantire benessere e felicita' a tutti gli abitanti del pianeta e non solo ad una piccola parte di essi. Il gruppo di Padova organizza corsi, conferenze e convegni pubblici nei quartieri cittadini, nelle scuole e nelle parrocchie. I suoi membri hanno partecipato piu' volte a trasmissioni sia radiofoniche che televisive e i loro interventi spesso sono pubblicati nei giornali locali. Nella sede del MIR e' disponibile al pubblico una biblioteca specializzata sulle tematiche della pace, del disarmo, della nonviolenza, dell'obiezione di coscienza e della Difesa Popolare Nonviolenta. E' membro attivo del Comitato per la Pace della Regione Veneto e della Consulta per la Pace del Comune di Padova. La sede del MIR e' ubicata nei locali dell'ex-macello, in via Cornaro 1/A, 35128 Padova, tel. e fax: 0498075964, e-mail: mirsezpd at libero.it, sito: http://digilander.libero.it/mirpd 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 463 del primo gennaio 2003
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