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La nonviolenza e' in cammino. 461
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 461
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 30 Dec 2002 00:52:41 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 461 del 30 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Arianna Marullo, un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani 2. Enrico Peyretti, quasi un sillogismo 3. Benito D'Ippolito, cantata per Danilo 4. Luisa Muraro, i giochi del potere 5. Maria Luigia Casieri, cio' che sanno i bambini e le bambine 6. Pasquale Pugliese, la biciclettata nonviolenta a Reggio Emilia 7. Emanuel Anselmi, un libro di Vandana Shiva 8. Stefania Giorgi, un libro di Maria Rosa Cutrufelli 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ARIANNA MARULLO: UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI [Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) e' una delle piu' autorevoli collaboratrici del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottoressa in beni culturali, lungo un decennio e' stata fondamentale animatrice della forse piu' rilevante, appassionante ed innovativa esperienza di solidarieta' concreta, di convivenza delle differenze, e di promozione della dignita' umana che ci sia stata a Viterbo negli ultimi decenni] E' difficile esprimere in modo nuovo, forte, un concetto apparentemente assodato quale quello secondo cui chi lotta contro la violenza non puo' a sua volta esserne complice o esecutore; che il rispetto per la diversita', a partire da quella di genere, e' il fondamento e l'arricchimento di questa lotta. Eppure che il movimento delle donne sia sottovalutato, visto in competizione con lotte "piu' urgenti", "piu' importanti", "piu' universali", continua ad essere una realta'. Ammetto di aver pensato anch'io di restarmene zitta zitta ad ascoltare le riflessioni generosamente offerteci sulle pagine del notiziario, un po' perche' carente di preparazione specifica (forse ho contato un po' troppo sul fatto di essere donna, e cosi' non ho letto alcuni dei testi-base consigliati ai pacifisti uomini), un po' perche' non credo di aver nulla da aggiungere a quanto gia' espresso cosi' bene da Giancarla Codrignani e Lidia Menapace, nonche' da Giulio Vittorangeli. Dal 1993 ho partecipato all'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo, centro sociale che ha maturato la scelta della nonviolenza come forma di lotta. A questa scelta credo abbia contribuito in modo determinante la presenza forte di donne nel gruppo di gestione, ma che siano stati altrettanto importanti il costante dialogo con il Centro di ricerca per la pace di Viterbo, la partecipazione alle attivita' quotidiane del centro sociale di una persona anziana e di una bambina, e gli attentati intimidatori diretti contro il centro sociale. La presenza femminile poneva un problema di metodo, la scelta di una forma di lotta che fosse accessibile e congeniale a tutti, anche se piu' difficile da praticare; cosi' abbiamo deciso di provare ad "attraversare i conflitti", di cercare di costruire attraverso l'autogestione reali alternative al modello sociale e politico dominante. Tutto e' bene quel che finisce bene, dunque? Non proprio. Prima di giungere a questa convinzione abbiamo visto il riproporsi di culture e di forme di lotta che attingevano direttamente all'immaginario del potere maschile "guerrigliero", proposto pero' non solo da uomini, ma anche e con piu' forza da donne (il famoso "patriarcato di sinistra"). La scelta della nonviolenza inoltre per essere strumento di reale cambiamento deve essere radicale, intima; forse il dominio della cultura maschilista rimasto intoccato e' proprio l'intimo di ciascuno, nella piccola violenza "domestica e amorosa" cosi' ben tratteggiata da Giancarla Codrignani, ma che puo' e sa essere molto piu' sfumata. E' senza dubbio vero che il cosiddetto "movimento dei movimenti" e' completamente estraneo alle problematiche suscitate dalla relazione di potere tra uomini e donne come sembra confermato dall'emergere di culture e pratiche autoritarie e viriloidi al suo interno (e qui accolgo l'appello di Giobbe Santabarbara di mandare in anno sabbatico i rappresentanti maschili), come e' vero che anche i movimenti nonviolenti hanno poco esplorato le tematiche di genere. Credo sia ineludibile, oggi piu' che mai, per ogni movimento che voglia impegnarsi per la giustizia e la pace accogliere e studiare le analisi economiche, politiche, sociali e culturali fatte dal movimento delle donne intorno alla globalizzazione, ma anche sui temi fondamentali della violenza e della guerra (come diceva Gandhi). 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: QUASI UN SILLOGISMO [Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Chi ordina la guerra e' un assassino. Chi l'approva, approva l'assassinio. Chi la ripudia salva l'umanita'. 3. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA PER DANILO [Ricorre oggi l'anniversario della scomparsa di Danilo Dolci, lo ricordiamo con questa cantata scritta dal nostro collaboratore Benito D'Ippolito. Su Danilo riproponiamo qui di seguito una relativamente sintetica ma accurata scheda biografica scritta dal suo autorevole studioso - e suo e nostro amico assai caro - Giuseppe Barone (e' il breve profilo comparso col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita"] Giunse Danilo da molto lontano in questo paese senza speranza ma la speranza c'era, solo mancava Danilo per trovarcela nel cuore. Giunse Danilo armato di niente per vincere i signori potentissimi ma non cosi' potenti erano poi, solo occorreva che venisse Danilo. Giunse Danilo e volle essere uno di noi, come noi, senza apparecchi ma ci voleva di essere Danilo per averne la tenacia, che rompe la pietra. Giunse Danilo e le conobbe tutte le nostre sventure, la fame e la galera. Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse e resuscito' in noi la nostra forza. Giunse Danilo inventando cose nuove che erano quelle che sempre erano nostre: il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare. Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'. Quando mori' resto' con noi per sempre. 4. MAESTRE. LUISA MURARO: I GIOCHI DEL POTERE [Da Luisa Muraro, Oltre l'uguaglianza, in Diotima, Oltre l'uguaglianza. Le radici femminili dell'autorita', Liguori, Napoli 1995, p. 112. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Qualunque sia la spiegazione che ci diamo, e' certo che i giochi del potere che tanto assorbono gli uomini, esclusa una minoranza, alle donne, esclusa una minoranza, risultano difficili e noiosi. 5. RIFLESSIONE. MARIA LUIGIA CASIERI: CIO' CHE SANNO I BAMBINI E LE BAMBINE [Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it) e' tra le principali collaboratrici di questo foglio; insegna nella scuola dell'infanzia, ha avuto esperienze come assistente sociale nell'emigrazione in Germania ed in varie iniziative di solidarieta' e di volontariato; tra le promotrici del Tribunale dei diritti del malato a Viterbo, e' stata per anni operatrice in una casa-famiglia] Penso che gli adulti abbiano perso molto della pregnanza dialogica del corpo. Perdere il proprio corpo e smarrirsi, smarrire il senso del se' e dell'altro, significa infine, perdita di senso. Sottrarsi alle mani dell'altro, sottrarsi alla carezza, perdere la nostalgia del corpo dell'altro come desiderio di adesione e' perdita di senso. Quel senso che e' costituirsi in identita' autonome e altre perche' in relazione, e capaci di dialogo, di incontro, capaci di conoscere e riconoscersi, di ascolto e di offerta, di se' e della propria storia. Non c'e' pace senza corpo, perche' non c'e' relazione senza corpo. Il corpo interpella, provoca, vibra d'emozione, comunica, accetta, rifiuta, ignora, aggredisce, rassicura, risponde. Come sanno bene le bambine e i bambini piu' piccoli il cui corpo e' all'unisono con il sentire e il capire, con l'organizzare il pensiero e agire i fantasmi piu' profondi. Chi ha visto, come me, una bambina balzare in piedi e saltare di ripetuta gioia per il salvarsi della principessa, chi ha visto i bambini e le bambine colpire col pugno chiuso l'immagine del lupo sul libro di Cappuccetto Rosso, chi ha visto un bambino avvinghiarsi all'amico e aderire a lui disteso sul pavimento con tutta la pelle e fin con la lingua che continuava a leccarne il volto, chi ha visto bambini diventare lupo o addomesticare il lupo o ucciderlo, chi li ha visti muoversi alla musica come se fossero loro la musica. Chi ha visto questo puo' capire come il bambino e la bambina interpellino l'adulto in un rapporto autentico mediato nel contatto corporeo. Il corpo comunica il non detto, smentisce il mentire. 6. ESPERIENZE. PASQUALE PUGLIESE: LA BICICLETTATA NONVIOLENTA A REGGIO EMILIA [Ringraziamo Pasquale Pugliese (puglipas at intefree.it) per questo intervento. Pasquale Pugliese e' impegnato nella Rete di Lilliput e nel Movimento Nonviolento] Premessa Il Gruppo di azione nonviolenta (Gan) di Reggio Emilia si coaugula intorno ad un campo di azione - stabilito dallo stesso Gan in una tappa del proprio percorso formativo - legato alla violenza strutturale, diretta e culturale del sistema di trasporti fondato sull'automobile. Violenza che si esplica sia a livello micro, con le morti in citta' e provincia per incidenti stradali e con le malattie per cause legate all'inquinamento atmosferico, sia a livello macro, con la crisi ambientale e sociale del modello di sviluppo, del quale l'automobile e' uno dei perni materiali e simbolici, e con le guerre per il petrolio. Obiettivo del Gan e' quello di costruire una campagna locale, finalizzata alla trasformazione del sistema di trasporto privato in senso sostenibile e nonviolento, da svolgere con metodo e tecniche della nonviolenza attiva. Dopo aver svolto un'azione dimostrativa di tipo teatrale a giugno scorso - necessaria soprattutto al gruppo per "provarsi" al termine del percorso formativo - a settembre il Gan comincia a lavorare parallelamente sulla costruzione della campagna, attraverso la fase dell'inchiesta preliminare, e sull'affinamento del metodo di azione. I venti di guerra che, dopo l'Afghanistan, soffiano sull'Iraq per ragioni chiaramente legate all'appropriazione dei pozzi petroliferi, inducono il gruppo a concentrarsi, sul piano dell'azione, proprio su questo tema. * Preparazione Nella giornata di autoformazione condotta da Caterina Lusuardi e Fabiana Bruschi, reduci dal campo di formazione per formatori di Pruno di Stazzema, si decide il tipo di azione da svolgere: una biciclettata per le vie della citta', con cadenza periodica, che espliciti il nesso tra l'uso privato dell'automobile e le guerre per il petrolio, e si delineano le prime caratteristiche dell'azione che verranno poi definite via via, negli incontri successivi, in maniera piu' dettagliata. Si tratta di un'azione nonviolenta di sensibilizzazione, che ha come destinatari principali i cittadini contrari alla guerra che usano abitualmente l'automobile - il cui obiettivo e' quello di esplicitare il legame diretto tra il bisogno di petrolio delle societa' occidentali ed il ciclo di guerre imperiali attuali - al fine di indurre alcune modifiche nell'uso abituale dell'auto, proponendo l'alternativa della bicicletta. Si decide che si avra' un punto base informativo dal quale si partira', attraversando in fila indiana le vie principali del centro storico e quelle a grande scorrimento, ed al quale si fara' ritorno; che la periodicita' sara' quindicinale; che le bici saranno imbandierate e progressivamente elaborate creativamente; che il messaggio esplicitamente ripetuto sara': "Contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili". Si decide di proporre la "biciclettata nonviolenta" sia ad altre realta' reggiane, come l'associazione ciclo-ecologista Tuttinbici, sia ai Gruppi di azione nonviolenta, ai nodi Lilliput ed ai movimenti nonviolenti del resto d'Italia. Si decide, infine, di creare degli "indicatori d'efficacia" che ci aiutino a valutare in progress la riuscita della "progett/azione In bici contro la guerra" rispetto agli obiettivi espliciti condivisi. Negli incontri successivi si stila un "piano d'azione organizzativo", che mette insieme le cose da fare con i nomi di coloro che le faranno, nel quale si dettagliano ancora di piu' le azioni da compiere per arrivare pronti alla data che viene stabilita per il 14 dicembre. C'e' chi si assume il compito di stendere il documento del progetto e chi si occupa dell'organizzazione dei ruoli e dello studio del percorso; chi tiene i contatti con altri gruppi e associazioni e chi fa le ricerche della documentazione da proporre ai cittadini (libri e dossier autoprodotti in forma sintetica e approfondita); chi si occupa delle autorizzazioni e chi di elaborare gli indicatori d'efficacia; chi, infine, dei mezzi di comunicazione e dei volantini, e chi della messa a punto di biciclette, bandiere e striscioni. * Azione I ruoli da tenere durante la biciclettata sono liberamente scelti: due persone staranno al tavolo a parlare con la gente, a distribuire i dossier ed a vendere i libri; una ciclista aprira' la fila con lo striscione "Contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili", ed uno chiudera' con uno striscione uguale; un altro si muovera' al di fuori della fila, per essere libero di osservare la situazione generale, verificare che tutto proceda regolarmente, tenere i contatti tra la testa e la coda; atri osserveranno le reazioni dei pedoni e degli automobilisti. Finalmente, alle ore 9 del 14 dicembre, in una fredda e nitida giornata di sole dopo settimane di pioggia e nevischio, i membri del Gan, circa dieci persone, si trovano al luogo convenuto, piazza della Vittoria, decidono il posto dove sistemare il banchetto e, per prima cosa, issano la bandiera della nonviolenza - le mani che spezzano il fucile su campo arcobaleno - sull'asta che regge il cartello che denomina la piazza. Si sistemano sul tavolo i libri, i dossier, i volantini ed altro materiale informativo, si recupera l'ultimo permesso all'ufficio del Comune, si srotolano gli striscioni: il piu' grande avvolgera' il tavolo, gli altri saranno fissati sulle due biciclette, alle quali e' stato applicato un telaio in verticale, che apriranno e chiuderanno la fila. Man mano che altri ciclisti arrivano, si sistemano le bandiere sulle bici ed alla fine quasi ogni bicicletta avra' la sua bandiera della pace o della nonviolenza issata su una lunga asta, una verde canna di bambu'. Ai partecipanti esterni al Gan si distribuiscono le "istruzioni per la biciclettata" dove sono indicate le dieci regole che tutti dovranno rispettare. Alle ore 10,30 si parte. Venticinque biciclette in fila indiana si muovono lentamente e tutte le bandiere cominciano a sventolare: e' un serpentone colorato di circa duecento metri che sguscia ordinatamente prima tra i tanti pedoni del centro, poi nel traffico del sabato mattina, poi attraversa l'incrocio principale della citta', quindi ritorna in centro, va a circondare in segno di amicizia la manifestazione degli studenti che si svolge in una piazza vicina ed infine torna al punto di partenza. Tutto fila liscio ed e' molto bella e di grande effetto la teoria di bandiere arcobaleno, baciate dal sole e agitate dal vento, che sventolano incuneandosi silenziosamente nel traffico cittadino, non solo automobilistico, prenatalizio. La curiosita' suscitata tra passanti, automobilisti ed altri ciclisti e in qualche caso l'apprezzamento esplicito ci inducono a ripetere il percorso una seconda volta. * Valutazione Nell'incontro di valutazione svolto dopo qualche giorno, oltre alla soddisfazione generale per lo svolgimento complessivo dell'azione, si evidenziano i punti deboli - hanno partecipato meno persone di quelle che i segnali dei giorni precedenti lasciavano supporre, la stampa non si e' vista o quasi, l'associazione Tuttinbici che pure aveva formalmente aderito era praticamente assente, la piazza del punto base non e' molto frequentata al mattino, gli striscioni erano poco leggibili, soprattutto quelli in movimento - e si propongono le opportune modifiche, alcune gia' operative dalla prossima volta. Poiche' la guerra all'Iraq, da quello che e' dato sapere, sara' purtroppo lunga, ci sara' tempo per mettere a punto l'organizzazione e facilitare il passaggio del messaggio proposto. E l'efficacia complessiva della progett/azione sara' valutabile solo su tempi lunghi ed in seguito alla ripetizione del messaggio. A cominciare dai prossimi appuntamenti, 28 dicembre e 11 e 25 gennaio. Infine, man mano che altre citta' dovessero decidere di avviare biciclettate nonviolente (ed i primi segnali sono incoraggianti) non e' escluso che, oltre a migliori rapporti con i mezzi d'informazione locale, si possa cercare di accedere insieme ai mass-media nazionali. 7. SEGNALAZIONI. EMANUEL ANSELMI: UN LIBRO DI VANDANA SHIVA [Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie at libero.it) e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, dottore in economia, gia' obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002] Vandana Shiva e' una filosofa e scienziata indiana impegnata in campo ecologico e sociale, per l'affermazione del diritto dei popoli a praticare in modo autodeterminato un'economia che sia sostenibile e rispettosa delle tradizioni locali e della dignita' dei popoli. Uno dei suoi lavori piu' importanti e' Monocolture della mente (Bollati Boringhieri, Torino 1995; traduzione di Monocultures of the Mind. Perspectives on Biodiversity and Biotechnology, Zed Books, London 1993), nel quale affronta il problema ambientale della perdita di diversita' biologica - o, piu' brevemente, biodiversita' - che riguarda soprattutto il Terzo Mondo, analizzando con lucida chiarezza le ragioni cui il fenomeno si deve e criticando sistematicamente gli interventi che sono stati approntati dagli organismi internazionali nel tentativo di limitarne le conseguenze negative. Per biodiversita' si intende la compresenza, all'interno di un certo sistema, di una determinata varieta' di specie animali e vegetali, le quali costituiscono, insieme con il proprio habitat, un ecosistema, ed e' il carattere distintivo della natura e il fondamento della stabilita' ecologica. Il testo e' una raccolta di cinque saggi che sono stati scritti per sostenere l'importanza fondamentale della diversita' biologica per la sopravvivenza della specie umana, e per evidenziare come la perdita di diversita' in natura possa assurgere a metafora della incapacita' di pensare democraticamente da parte di chi detiene il potere di stabilire quali siano le regole da seguire in ambito economico internazionale: quello che l'autrice definisce "l'abitudine a pensare in termini di monocolture" (da cui il titolo dell'opera) e' l'atteggiamento mentale tipico dei rappresentanti della cultura tecnocratica occidentale, tendente ad escludere, in termini di validita', qualsiasi modalita' di pensiero diversa dal paradigma industrial-scientifico dominante nei paesi capitalisticamente avanzati. Shiva sostiene che la diversita' in ambito ecologico e' paragonabile alla diversita' in campo intellettuale, che sarebbe rappresentata dalla capacita' di ampliare gli orizzonti scientifici occidentali cosi' permettendo la ricerca di alternative, che pur esistono ma di cui si percepisce invece la assenza, data l'attitudine a misconoscere o sottovalutare i saperi diversi dalla "cultura" dei paesi sviluppati. * Il primo saggio e' quello che da' il titolo al libro e l'autrice tenta di dimostrare come le monocolture dapprima si insediano nel pensiero, mentre successivamente invadono la pratica. L'intento di applicare i metodi, ritenuti scientifici in Occidente data la loro capacita' di servire il mercato, a realta' del tutto diverse da quelle in cui hanno avuto origine - e cioe' il tentativo di globalizzare una tradizione locale, che e' nata in un contesto capitalistico, diffondendola attraverso la colonizzazione intellettuale - e' ritenuto distruttivo per gli equilibri ecologici e sociali delle comunita' locali, che subiscono questo tipo di politica portata avanti dai governi del Nord del mondo, in accordo con le grandi imprese multinazionali e le agenzie internazionali per lo sviluppo. In un tale contesto, l'insieme delle procedure e dei valori tradizionali delle culture locali delle popolazioni investite dai miopi programmi di sviluppo occidentali - precetti spesso cristallizzati in atteggiamenti ritualistici o in tabu', ma che derivano da una profonda conoscenza del proprio ambiente -, scompare di colpo, annullato dalla cultura dominante - a sua volta espressione di una classe e di un genere dominante - che viene trasferita sic et simpliciter ed applicata in un ambiente totalmente diverso da quello in cui e' maturata, e incapace di condividerne i presupposti. La "cultura" tecnocratica e industrialista di stampo capitalistico, sviluppata in Occidente, tende da un lato a conferire alle esigenze dell'economia reale il primato rispetto alle istanze di tipo politico, e dall'altro pone la scienza al servizio dell'industria, cio' manifestandosi, nel campo della biodiversita', nel tentativo di modellare la diversita' della vita in base alle esigenze della catena di montaggio. L'autrice porta ad esempio il caso dell'India e della cosiddetta "Rivoluzione verde", espressione con la quale si e' inteso indicare il tentativo da parte della Banca Mondiale di dare un impulso all'economia indiana applicando precetti capitalistici a colture che, prima dell'intervento, presentavano un elevato gradiente di sostenibilita' dato appunto dalla presenza di diversita' biologica: questa pero' e' stata perduta in seguito all'introduzione di colture intensive che utilizzano dei semi miracolo, colture che hanno sostituito la diversita' con monocolture adatte a servire il mercato internazionale, accompagnate dalla separazione dell'agricoltura dalla silvicoltura. Con questo sistema quindi l'integrazione multidimensionale che derivava dalla coesione dei due apparati colturali - perfezionatasi durante centinaia di anni ad opera di chi quelle regioni abita e lavora in assoluta armonia con le regole dell'ecologia del posto, coscienti del delicato equilibrio di ogni ecosistema - e' stata sostituita dall'integrazione tra le risorse locali e i mercati non locali: l'approccio riduzionista della silvicoltura e dell'agricoltura capitalista riduce la diversita' e la democrazia della vita nei campi e nelle foreste al valore commerciale del "prodotto morto", ricavato dallo sfruttamento antiecologico di quelle terre e vendibile sul mercato internazionale. La biomassa che un tempo poteva essere ricavata dall'applicazione dei sistemi colturali tradizionali aveva molteplici scopi, come quello di fornire - oltre al legname - cibo, foraggio e fertilizzante naturale per i bisogni del luogo, rappresentando la base della vita economica ed associata delle popolazioni locali, il cui primario obiettivo era il mantenimento delle condizioni di rinnovabilita' del sistema, un sistema che e' ecologico, ed economico nel senso pieno del termine; mentre con l'applicazione della silvicoltura scientifica, elaborata in punta di matita dai tecnocrati occidentali, cio' che la biomassa incarna come valore e' il solo legname che puo' essere commercializzato, in un'ottica di massimizzazione del profitto (questo si', realmente miracoloso) che, se da un lato riempie le tasche delle multinazionali impegnate in questo commercio, dall'altro impoverisce progressivamente le popolazioni del luogo, che si vedono sottrarre le basi stesse della propria sopravvivenza. L'errore di separare, per esigenze di mercato, cio' che in natura risulta radicalmente unito ed autosostenibile nasce - oltre che dalla necessita' di soddisfare una domanda anonima che mira ad ottenere, a prezzi vantaggiosi e in maniera selettiva, cio' di cui ha necessita' (concetto del tutto opinabile, ma che qui si da' per buono) - anche dall'ossessione economicista di pretendere l'esatta quantificazione di tutto, sulla scorta del principio positivista secondo cui "science is misurement", cioe' che la validita' di una scienza dipende dalla sua capacita' di misurare gli elementi su cui basa le proprie analisi ed i risultati conseguenti. L'economia e' una disciplina che fa parte delle scienze sociali, non delle scienze esatte, e, in virtu' di questo assunto, l'utilizzo della matematica da' senz'altro un contributo notevole allo studio della materia, ma e' pur sempre uno strumento; l'approccio teorico neoclassico, al quale si devono le ricette neoliberiste applicate alle realta' eco-sociali tradizionali, presenta la tendenza a rivestirsi di formulazioni matematiche eleganti che per un verso - in modo piu' o meno involontario - rendono la materia accessibile solamente a chi la vive in modo totalizzante, per l'altro hanno il difetto di perdere contatto con la realta' e trascurare volutamente cio' che non e' quantificabile perche' a carattere esclusivamente qualitativo. Nel caso portato dalla Shiva, i vantaggi che derivano dalla reciprocita' in un contesto di diversita' biologica, e cioe' l'ecologicita' dei sistemi colturali tradizionali, non vengono nemmeno presi in considerazione in quanto, non avendo un mercato - che e' per eccellenza il luogo deputato, secondo il paradigma economico tradizionale, a tradurre numericamente qualsiasi categoria -, non sono misurabili. Tutto cio' in primo luogo. In secondo luogo, quando una misurazione risulta pur possibile, il confronto tra colture avviene palesando una evidente scorrettezza metodologica da parte delle autorita' che hanno voluto il cambiamento di paradigma agricolo: la resa di una coltura omogenea ed uniforme, diffusa nella realta' locale seguendo il nuovo criterio, viene confrontata con quella della stessa singola varieta' che cresceva insieme alle altre colture, in un contesto di diversita' biologica, e chiaramente risultera' piu' alta la prima rispetto alla resa della stessa varieta' nel secondo caso, dato il carattere estensivo dell'agricoltura scientifica. Questa scelta metodologica e' evidentemente fallace: e' chiaro che la resa di un campo coltivato interamente a grano e' maggiore di quella di un campo diversificato, cioe' che oltre al grano presenta altre varieta' agricole, ma cosi' non si tiene conto della resa delle altre colture - che vengono considerate alla stregua di erbacce - le quali hanno un valore estremamente importante per l'equilibrio ecologico e sociale del luogo. * La Shiva tiene a sottolineare che effettivamente cio' che di vantaggioso c'e' in questo approccio teorico-pratico e' la possibilita' del controllo della produzione e dell'esecuzione delle mansioni: non si tratta dunque soltanto di massimizzazione del profitto legato al collegamento che viene ad istaurarsi tra le risorse locali ed i mercati internazionali, ma anche del potere che puo' essere esercitato dalle imprese impegnate nell'agri-business. La violenza ed il controllo erano gli strumenti privilegiati attraverso i quali si e' proceduto al trasferimento, ai tempi coloniali, delle risorse biologiche dalla periferia ai centri del potere imperiale (bioimperialismo, secondo la definizione dell'autrice), e gran parte della ricchezza dell'Europa si basa sulla sostituzione della biodiversita' con le monocolture delle materie prime per l'industria del Vecchio Continente. Oggi la violenza fisica non e' piu' praticabile come un tempo, ma il controllo della biodiversita' del Terzo Mondo e' ancora la logica prevalente dei rapporti tra Nord e Sud (cfr. il secondo capitolo: Biodiversita': un punto di vista del Terzo Mondo), e cio' si estrinseca attraverso il colonialismo intellettuale che impone l'ideologia di uno sviluppo informato a criteri di efficienza industrial-capitalistica. * In questo scenario va anche considerato il rapporto che sussiste tra l'imple mentazione delle biotecnologie e l'ambiente, argomento che viene sviscerato nel terzo saggio presente nel libro. Il potere tecnologico di questa relativamente nuova pratica ha il potenziale di una pervasivita' superiore a quella di qualsiasi altra tecnologia del passato, poiche' il suo potere supera la capacita' di usarne in condizioni di sicurezza, dal momento che "ne' la flessibilita' della natura ne' quella delle istituzioni sociali sono protezione sufficiente contro l'impatto imprevisto dell'ingegneria genetica" (p. 93). Attraverso il sistema dei brevetti pensato per il Nord, quest'ultimo e' in grado di imporre il pagamento di tariffe per l'utilizzo delle nuove tecnologie elaborate grazie all'espropriazione del materiale genetico primitivamente posseduto dal Sud, il quale mai si e' visto indennizzare del brutale processo di sfruttamento a carattere colonialistico subito per secoli che ha portato ineguagliabili vantaggi in termini economici e scientifici all'Occidente predatore. La richiesta di definire esattamente i diritti di proprieta' intellettuale ed il ricordato sistema di brevetti sulle biotecnologie, reclamati a gran voce dall'industria statunitense e dal coro di economisti asserviti ad essa, si diffonde puntualmente solamente dopo la piratesca spoliazione di materie prime e di quanto e' stato possibile rapinare in tempi in cui nessuno si e' mai fatto avanti cercando di proteggere i diritti di proprieta' delle popolazioni che fornivano gratuitamente biodiversita' e cultura ecologica. Il capitalismo del ventunesimo secolo vede le transnazionali del settore procedere verso l'ottenimento della proprieta' privata di tutte le forme di vita del pianeta. Altro argomento prepotentemente messo in discussione dall'autrice e' il luogo comune secondo il quale i brevetti stimolano l'innovazione: in effetti, una conseguenza dell'imposizione dei diritti di proprieta' sui sistemi viventi e' il mantenimento del segreto sulla crescita delle piante e sulla ricerca genetica, e la limitazione degli scambi di materiale genetico; tutto cio' e' in evidente contraddizione con la possibilita' di realizzare scambi scientifici nella genetica delle piante, principio che e' alla base della ricerca e quindi dell'innovazione; inoltre "la brevettazione della materia vivente focalizza l'attenzione sui prodotti che favoriscono il massimo di protezione da brevetto, non il massimo di benessere pubblico" (p. 119). * Nel quarto saggio l'attenzione della scienziata si concentra sull'esigenza di puntare gli sforzi della comunita' scientifica internazionale sulle possibilita' di dare vita a tecnologie rispettose dell'ambiente in generale e della biodiversita' in particolare, la cui conservazione e' stata finora considerata indipendente rispetto alle stesse tecnologie produttive. I punti estremi dei processi tecnologici sono da un lato, al loro inizio, le risorse naturali - che, insieme alla forza-lavoro, rappresentano i vincoli e le fondamenta alle attivita' produttive dell'uomo, e percio' il limite di cui sarebbe necessario avere coscienza in qualunque speculazione teorica - e dall'altro, alla loro conclusione, i bisogni umani, la soddisfazione dei quali costituisce il fine delle stesse attivita' dell'uomo; ma la mancanza di conoscenza teorica di quegli elementi - o la loro cosciente epurazione in vista della difesa degli interessi particolari o di classe - ha condotto alla nascita di tecnologie assolutamente inadeguate in termini di sostenibilita', ma del tutto adatte alla marginalizzazione di un numero sempre crescente di persone ed alla concentrazione del potere e del controllo sulle risorse. Questo scenario determina il paradosso secondo cui i semi che si autoriproducono - cioe' gli input agricoli interni, quelli che si ottengono con i metodi colturali tradizionali ed ecocompatibili - vengono considerati primitivi, mentre i semi inerti, prodotti in laboratorio dai tecnocrati occidentali, che non sono in grado di riprodursi, venduti quali input esterni rispetto ai processi agricoli, sarebbero prodotti finiti, entita' giustamente mercificate in base alla logica del mercato capitalistico. Si assiste allo "spostamento dal processo ecologico di riproduzione al processo tecnologico di produzione, che provoca sia l'espropriazione dei coltivatori sia l'erosione genetica" (p. 135). Citando Gandhi, la Shiva insiste sulla necessita' di tecnologie appropriate sia ai sistemi ecologici che ai bisogni delle persone. * L'ultimo saggio dell'opera e' una valutazione dal Terzo Mondo della Convenzione sulla diversita' biologica (in appendice al testo), ideata a Nairobi nel maggio 1992 e firmata al vertice della Terra di Rio de Janeiro nel giugno dello stesso anno: essa rappresenta un tentativo di riconoscere l'importanza del problema a livello internazionale, ma la sua stesura ovviamente risente dei dettami della cultura e degli interessi occidentali. Diversi sono i limiti che la Shiva individua nel testo. Il primo e' che questo affronta adeguatamente il tema dei brevetti ma non fa altrettanto per quello che concerne i diritti alla proprieta' ecologica ed intellettuale delle popolazioni indigene e delle comunita' locali. In secondo luogo, la Convenzione ritiene che la biotecnologia sia essenziale per la conservazione della diversita' ed il suo uso sostenibile, ignorando che le diverse specie esistono indipendentemente dalla tecnologia, ed e' anzi quest'ultima che contribuisce alla rovina della biodiversita'. Terzo limite e' quello di consentire il sistema di brevetti sulle risorse viventi, occupandosi - come, e' stato detto, accade normalmente in un mondo che si fa paladino del garantismo solamente dopo essere stato predatore - solo dell'accesso alle risorse genetiche da raccogliere in futuro, escludendo di fatto tutto il materiale genetico gia' rapinato. Un altro limite e' di carattere terminologico e riguarda la particolare attitudine di alcune parole - definite all'ultimo momento - ad essere interpretate in modo favorevole agli interessi del Nord ("paese d'origine", "condizioni in situ", "ecosistemi", etc.). * L'ordito teorico di Vandana Shiva rappresenta il punto di vista del Sud del mondo e lo fa mostrando chiaramente una prospettiva ecologica che e' il risultato di una inevitabile presa di posizione particolarista, che cioe' guarda alla specificita' di ogni singolo contesto ambientale: non e' pensabile poter sviluppare un'economia senza tenere conto degli equilibri socio-ecologici dell'ambiente di riferimento. La scienza economica, come altrove gia' auspicato, deve necessariamente essere ripensata, liberandola dal sostrato ideologico che la ha sempre caratterizzata quale scienza del principe, cioe' strumento del controllo e di giustificazione dell'esistente; e va ripensata anche in vista della inopportunita' e dell'anacronismo del credo che esige un sapere parcellizzato, ossia frammentato in una miriade di discipline, per ciascuna delle quali ogni "addetto ai lavori" finisce per essere una monade, che tenta vanamente di interpretare il mondo insistendo a non guardare oltre il proprio naso. 8. SEGNALAZIONI. STEFANIA GIORGI: UN LIBRO DI MARIA ROSA CUTRUFELLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 dicembre 2002. Maria Rosa Cutrufelli e' una prestigiosa intellettuale, docente e saggista] Si potrebbe descrivere Giorni d'acqua corrente (Pratiche editrice, pp. 187, euro 13) come un libro di viaggi in sei capitoli, ma sarebbe una definizione vera solo a meta'. L'altra meta', quella piu' profonda e significativa, e' racchiusa nel sottotitolo: "Quando la vita delle donne diventa racconto". Quello che ci propone Maria Rosa Cutrufelli, infatti, e' il diario di una esplorazione inesausta di altri mondi attraverso la magia degli incontri. Un'attitudine che forse le deriva dal quel primo, iniziatico viaggio che la porto', bambina, a staccarsi dalla sua isola natale, la Sicilia. In compagnia di tante donne e tanti uomini "costretti all'avventura, per viaggi involontari che non avevano una durata certa e nemmeno, a volte, la certezza dell'itinerario". Un'esperienza che si chiama emigrazione e che oggi ci vede ancora protagonisti, ma a ruoli invertiti. I giorni di acqua corrente, cantati da Federico Garcia Lorca, sono i giorni del cammino che non si ferma, non dimentica e sogna. Andare. Tornare con il dono del ricordo. Seguendo la rotta dell'ascolto e del dialogo, scegliendo altre donne come compagne di viaggio e di esplorazione. Perche' "le donne sono guide straordinarie, perche' i loro itinerari permettono l'accesso alla quotidianita', ma anche alle faglie sotterranee che spostano con movimenti impercettibili o con rovinosi terremoti l'asse sociale". Donne che hanno affrontato vicissitudini lontane dalla nostra esperienza e che si fanno traduttrici della propria cultura. Alla lettera la traducono: la conducono oltre, ne forzano i limiti. Sono voci e paesaggi che appartengono al passato - un arco temporale che si dispiega dal 1981 al 1994 - ma che regalano inaspettati bagliori di luce sul presente. Il Nicaragua della rivoluzione sandinista, la Manila di Cory Aquino, la Somalia delle donne in lotta contro l'infibulazione che si interrogano sul destino di un'Africa spazzata dal vento impetuoso dell'islamizzazione. Sono viaggi organizzati per presentarsi puntuale ad appuntamenti ufficiali, come i primi incontri femministi dell'America latina e del Caribe, ma sono anche partenze dettate da moventi segreti, non dichiarati. Come il "viaggio sentimentale" insieme all'amica amatissima Gabriella per accompagnarla e sostenerla nell'incontro con la madre dell'uomo conosciuto e amato nell'esilio romano. Nel cuore umido di Bogota', attraverso lo skyline mozzafiato della Cordigliera, fino a Medellin, la citta' dal clima piu' dolce del mondo, la capitale delle orchidee che il narcotraffico ha trasformato in un inferno. Sono incontri con l'imprevisto che regala doni e soprese che hanno volti e voci di donne. Quello di Giulia, piombata da una parrocchia delle campagne venete nel cuore antico del Peru' per lavorare con gli indios. Di Rosa Morales, segretaria della Confederazione dei pobladores, i contadini che, negli anni della riforma agraria, occuparono le grandi proprieta' terriere, maestosa nella coloratissima Ruana da India. Di Daabo Farah Hassam, preside della facolta' di lingue di Mogadiscio che racconta il suo viaggio, alla ricerca delle tracce di un'altra storia, a scoprire sul suolo arido della Somalia le orme delle donne che l'hanno preceduta. Quelle che un tempo, in ogni accampamento nomade, "sceglievano un grande albero e lo chiamavano l'albero di Eva e Faduma (le sorelle di Maometto) o delle sitaad, l'albero delle 'signore'. Alla sua ombra, ogni settimana, si ritrovavano per parlare e denunciare attraverso il canto i torti e le ingiustizie di cui erano vittime". Una voce ancora udibile nella parola che continua a esprimere la necessita' di un aiuto fra donne: xaawalay, quelle dalla parte di Eva. Sono ritratti nitidi e folgoranti che si susseguono. Di Jane, tra le sedici prostitute filippine fondatrici dell'associazione che si batte per i diritti delle sex workers nei locali per turisti e che si chiama Sinang, parola che in lingua tagalog significa luce. O di Nelia Sancho, magnifica ex reginetta di bellezza che si occupa di diritti umani e ha conosciuto la galera sotto il regime di Marcos, impegnata in un'organizzazione di donne che porta il nome di un'eroina dell'800 che combatte' la guerra di resistenza contro gli spagnoli, "Gabriela". O di Fatima, presenza protettiva contro le ombre minacciose dell'integralismo di un'Algeri sospesa nel coprifuoco e poi compagna di viaggio fino al cuore del Sahara, in quella striscia di deserto concessa ai profughi sahrawi. Dove Sinnia, unica donna nella direzione nazionale del Polisario, confessa la sua piu' grande preoccupazione: "La guerra ha obbligato gli uomini a chiedere la nostra partecipazione. Ma non vogliamo che si ripeta la storia di sempre: in prima linea durante la lotta di liberazione, e dopo...". L'acqua corrente e' dunque la vita di tutte queste donne - e, a fine lettura, resta il desiderio di sapere dove sono, cosa fanno, come continuano a costruire, tessendo reti, incontri -, un corpo a corpo indomito con le regole di un mondo che le vorrebbe piegare, plasmare. Senza riuscirci. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 461 del 30 dicembre 2002
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