La nonviolenza e' in cammino. 458



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 458 del 27 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Francesco Comina ricorda Paul Gauthier
2. Il "Foglio informativo del Centro studi difesa civile" del 24 dicembre
2002
3. Patricia Klindienst, la voce della spoletta e' nostra
4. Augusto Cavadi, i due volti del poliziotto di quartiere
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. LUTTI. FRANCESCO COMINA RICORDA PAUL GAUTHIER
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ilmattinobz.it) per
questa commemorazione di Paul Gauthier, scomparso il 25 dicembre, un
luminoso maestro per credenti e non credenti]
"Vi comunico che il giorno di Natale e' entrato nella pace del suo Signore
Paul Gauthier, profeta del vangelo di liberazione e di una Palestina libera,
ispiratore della Rete Radie' Resch". E' il primo messaggio che leggo
rientrando al lavoro dopo la pausa natalizia. Mi arriva da Ettore Masina che
di padre Paul Gauthier e' stato amico fraterno.
Paul Gauthier e' stato una delle grandi figure della Chiesa conciliare
(animatore di quel gruppo di 300 vescovi, presieduto dal cardinal Lercaro,
che prese il nome di "Chiesa dei poveri").
Ha speso la vita a costruire case per i palestinesi a Nazareth e Betlemme e
a predicare un vangelo che avesse il sapore della liberazione. Perche' Gesu'
era un falegname e Nazareth e Betlemme avrebbero dovuto essere le citta' del
legno e della pialla, le citta' del tronco che si trasforma in tetto e del
ferro che si fa tubo e del calcestruzzo che si fa muro e fondamento per
nuove dimore. E invece le citta' palestinesi per lo piu' sono un cumulo di
rovine. Sono le citta' del vangelo tradito, del bambino strozzato, le citta'
del filo spinato e del muro rialzato, le citta' della segregazione e delle
fogne palestinesi dove rantolano quotidianamente i nuovi bimbi che
riproducono fedelmente i lineamenti del Salvatore.
Gauthier voleva una chiesa del grembiule, una chiesa dei falegnami, una
chiesa che si occupasse unicamente di costruire case per i senza casa. E la
voleva a tal punto da puntellarla, come una capanna, nei campi profughi in
Cisgiordania, dove aveva scelto di vivere dopo la guerra dei Sei giorni e
poi in Libano dove si era trasferito dal 1970.
Costruire progetti, fare ponte, mettersi al fianco dei movimenti che
chiedevano liberta' e pace: questo era il suo progetto e questo era il ruolo
che sentiva dentro di se'.
E quando egli vedeva che la sua Chiesa si perdeva in inezie, in questioncine
moralistiche, in postulati dell'effimero, non perdeva occasione per
denunciarla pubblicamente, per spronarla e per indirizzarla nuovamente al
suo dovere: condividere la vita dei poveri, degli oppressi, degli
emarginati.
Egli vedeva i bimbi palestinesi brancolare senza nulla sotto lo sguardo
odioso degli eserciti. Li vedeva morire nelle grotte, come Radie' Resch, la
bimba che ha dato il nome alla rete di solidarieta' internazionale che aveva
fondato insieme a Ettore Masina.
E pensava all'uomo Gesu', nato fuori le mura, rigettato dagli alberghi,
calpestato nei suoi propri diritti fondamentali, che era morto cosi', allo
stesso modo: fuori le mura, come un farabutto derelitto.
E capiva che il senso della vita stava proprio li', nel costruire la
speranza in mezzo alla disperazione, nell'edificare la chiesa in mezzo ai
sassi.
Intorno a Paul Gauthier si sono mossi gli "amici di Gesu' falegname", fra
cui il grande filosofo della liberazione latinoamericana, Enrique Dussel.
In una cena, molto familiare, lo scorso anno, Enrique Dussel mi ha
raccontato il suo incontro a Nazareth con Paul Gauthier (esperienza dalla
quale nacque il saggio El humanismo semita, del 1969).
"Ero studente in Spagna - mi racconto' Dussel - e sentivo le vibrazioni del
Concilio Vaticano II, che si stava preparando, con la prospettiva di una
teologia di liberazione che riconsegnasse la parola ai poveri e ai dannati
della terra. Sentivo il desiderio di uscire dalla cittadella
dell'intelligenza per provare a vivere in mezzo agli emarginati. E allora
decisi di fare la grande avventura della mia vita e di arrivare in autostop
in Terra Santa. Partii da Madrid e risalii la Spagna, passai di traverso la
Francia ed entrai in Italia. Andavo a dormire dove trovavo accoglienza,
povero fra i poveri. Impiegai tre mesi prima di arrivare a destinazione,
passando in mezzo a pericoli immani, come quando riuscii a oltrepassare la
Siria fra i carriarmati. Volevo lavorare con il popolo palestinese oppresso.
E a Nazareth conobbi Gauthier, che mi diede una cazzuola in mano e mi disse:
'Ecco come si imparano i rudimenti della teologia della liberazione'".
Dalla testimonianza di Paul Gauthier si sviluppo', in occidente,
l'esperienza dei preti-operai, il tentativo cioe' di portare il vangelo nei
bassifondi della societa'.
Erano gli anni di Primo Mazzolari e Arturo Paoli con i quali Gauthier
scrisse La collera dei poveri: "Si deve stare molto attenti -annoto' padre
Paul - a non paralizzare ed ostacolare il movimento operaio per la giustizia
legandosi inconsciamente ad un sistema economico e sociale generatore di
poveri, non serva a niente soccorrere i poveri se prima i poveri li si
fabbrica".
Negli ultimi anni Paul Gauthier si era ritirato a Marsiglia. Aveva deciso di
uscire dal mondo ecclesiale, si era sposato ed aveva adottato due bimbi. La
notte di Natale e' morto all'eta' di 88 anni.
La sua lezione di radicalita' evangelica torna sempre di estrema attualita'
e il suo messaggio di pace nel medioriente in fiamme rappresenta un punto
nel futuro.

2. MATERIALI. IL "FOGLIO INFORMATIVO DEL CENTRO STUDI DIFESA CIVILE" DEL 24
DICEMBRE 2002
[Riportiamo il fascicolo del 24 dicembre 2002 del "Foglio informativo del
Centro Studi Difesa Civile". Per contatti: e-mail: info at pacedifesa.org;
sito: www.pacedifesa.org]
1. Iniziative in corso:
a. Verso i Corpi Civili di Pace: aggiornamenti dall'Italia, dall'Europa,
dall'India
- Cosa succede in Italia
Nello scorso ottobre, a Bologna, si e' svolta la terza riunione della
segreteria tecnica de "Verso i Corpi Civili di Pace", il coordinamento che
vuole arrivare alla costituzione di un corpo di intervento civile per le
missioni di pace internazionali.
Alla prima riunione delle associazioni che aderiscono all'iniziativa, quasi
un anno fa, si costitui' una segreteria tecnica provvisoria, con l'obiettivo
di preparare un Forum "Verso i Corpi Civili di Pace"; le date fissate sono
il 21, il 22 e il 23 marzo 2003 e la sede Bologna. All'ultima riunione e'
emersa l'ipotesi di formare una federazione di gruppi e associazioni
costituenti i Corpi Civili di Pace, seguita da una campagna divulgativa di
adesione agli stessi. Si ricorda che fanno parte della segreteria tecnica:
Donne in nero, Operazione Colomba - Associazione Papa Giovanni XXIII, Corso
Laurea Operatori di Pace - Campagna Kossovo, Centro Studi Difesa Civile,
Berretti Bianchi, Beati Costruttori di Pace, MIR, Movimento Nonviolento,
Campagna osm-dpn, PBI.
Il coordinatore della segreteria, che si riunira' di nuovo a Bologna
domenica 26 gennaio 2003, e' Silvano Tartarini dei Berretti Bianchi: e-mail:
bebitartari at bcc.tin.it
- Cosa succede in Europa
Il 13 dicembre 2001 il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione sulla
comunicazione della Commissione sulla Prevenzione dei conflitti
(A5-0394/2001, rapporteur Jos Lagendijk), che e' un buon esempio di
approccio multidimensionale alle politiche di sicurezza. Tra gli strumenti
auspicati dall'europarlamento, sono previsti i Corpi Civili di Pace Europei
(ECPC) i cui compiti potrebbero essere "coordinare a livello europeo la
formazione e il dispiegamento di specialisti civili per portare avanti
misure di concreto peace-making come arbitrato, mediazione, distribuzione di
informazioni imparziali, de-traumatizzazione e confidence-building tra le
parti in conflitto, aiuto umanitario, reintegrazione, riabilitazione,
ricostruzione, educazione e monitoraggio e miglioramento della situazione
dei diritti umani, comprese misure di accompagnamento (...) facendo il
massimo uso possibile delle risorse della societa' civile". Tra le reti
europee che si muovono in una direzione simile citiamo lo European Network
of Civil Peace Services, il coordinamento europeo dei "servizi civili di
pace", che mantiene vivo lo scambio tra le esperienze di intervento civile
dal basso e della relativa formazione, e che mira a un progetto comune a
Cipro il prossimo anno.
Si e' tenuto a Roma lo scorso 16 dicembre un incontro tra Tilman Evers,
rappresentante del Forum ZFD (Servizi civili di pace tedeschi) e gli
aderenti italiani all'European Network for Civil Peace Services (EN.CPS),
oltre al Centro studi difesa civile, l'Associazione per la pace e la
Fondazione Alex Langer, nel corso del quale sono state esplorate le
modalita' di partecipazione delle organizzazioni italiane al primo progetto
pilota europeo per l'invio di un team multinazionale a Cipro. Il progetto,
nel caso di un esito positivo dei negoziati tra le due comunita', vuole
contribuire alla gestione costruttiva dei molteplici conflitti a livello
micro che verranno a crearsi nel processo di graduale reintegrazione (ad es.
nella proprieta' delle case, scuole, vicinato, ecc.) sostenendo la
professionalizzazione e la strutturazione delle ong locali nel campo delle
attivita' interculturali, in particolare tra la comunita' greca e
turco/cipriota.
- Cosa succede nel mondo
Lanciata nel 1999 in occasione dell'Appello Mondiale per la Pace (in cui
centinaia di organizzazioni si sono date l'obiettivo di rendere la guerra
nel XXI secolo uno strumento obsoleto) la Nonviolent Peace Force mira a
organizzare, indipendentemente dalla disponibilita' di fondi pubblici, un
corpo di intervento civile nei conflitti. Si e' svolto dal 20 novembre al 3
dicembre a New Delhi in India il convegno di fondazione delle forze
internazionali di pace. 140 delegati da tutti i continenti e da 47 paesi
hanno lavorato in un clima straordinario ed emozionante di compattezza,
determinazione e cordialita'. Presenti fra gli altri la parlamentare
sudafricana e nipote del Mahatma, Ela Gandhi; la ex primo ministro del
Bangla Desh onorevole Sheikh Hasina; il ministro degli esteri del governo
tibetano in esilio venerabile Samdong Rinpoche. Per l'Italia erano presenti
Francesco Tullio, presidente onorario del Centro studi difesa civile, e
Carla Biavati dei Berretti Bianchi. I membri del consiglio direttivo sono 18
(due ciascuno da Africa, Europa, Nordamerica, America Latina e
Medioriente/Nordafrica e 3 da Asia/Oceania; 5 membri eletti dal precedente
Comitato direttivo provvisorio per garantire la continuita' con esso). Deve
essere garantito l'equilibrio fra i sessi e fascie di eta'. L'assemblea dei
gruppi nonviolenti europei presenti (provenienti da Russia, Gran Bretagna,
Scozia, Romania, Serbia, Italia  e Germania) ha eletto Francesco Tullio e
Tim Wallis nel Consiglio direttivo in rappresentanza dell'Europa. Tim
Wallis, di Peaceworkers UK, e' stato poi nominato presidente del Consiglio
direttivo insieme a Caludia Samayoa del Guatemala. Sara' importante che il
Comitato continentale europeo delle Forze Nonviolente di pace sviluppi una
completa sintonia con la rete europea dei servizi civili di pace (ENCPS) in
modo da non creare doppioni. La prima missione delle Nonviolent Peace Forces
sara' nello Sri Lanka: nei villaggi a rischio di violenza verra' dispiegata,
entro giugno 2003, una forza nonviolenta di 50 internazionali a difesa dei
soggetti minacciati ed a sostegno dei negoziati fra tamil e singhalesi,
attualmente facilitati dal governo norvegese e dal Berghof Institut di
Berlino, di cui fa parte il presidente del Centro studi difesa civile
Giovanni Scotto. Sulla situazione del Guatemala, di Israele/Palestina, del
Nepal e di numerosi conflitti africani esistono, inoltre, dei gruppi di
lavoro che valuteranno l'opportunita' di intervenire, a fronte di studi di
fattibilita' convincenti, di sufficienti energie e di concerto col direttivo
delle Nonviolent Peace Forces.
La delegata kenyota Modeste Cimpaye  della Organizzazione delle donne per la
pace e lo sviluppo e' stata arrestata al suo rientro in patria. In seguito
alla immediata mobilitazione internazionale e' stata rilasciata.
*
b. Convegno
Il mediatore internazionale di pace: formarsi localmente per agire
globalmente. Le prospettive della formazione professionale degli operatori
civili in missioni di pace. Il convegno si terra' il 20 gennaio prossimo,
dalle 9,30 alle 13,30 presso la Sala Blu dell'Assessorato alle Periferie,
Lavoro e Formazione Professionale del Comune di Roma, Lungotevere de Cenci
5, Roma. Organizzano Centro studi difesa civile e Comune di Roma,
Assessorato alle Periferie, Lavoro e Formazione Professionale.
*
c. Assemblea annuale del Centro studi difesa civile
Per permettervi di organizzare la vostra partecipazione vi comunichiamo che
l'assemblea annuale del Centro Studi Difesa Civile si terra' il prossimo 9
marzo a Roma dalle 10,00 alle 18,00. Seguira' comunicazione con indicazione
della sede.
*
2. Contributi teorici
a. Terrorismo, pace e la politica estera europea, di Alessandro Rossi
 in corso di pubblicazione sul prossimo numero di "Futuribili" a cura
dell'ISIG di Gorizia dedicato a "Terrorismo, pace e la politica estera
europea", un articolo di Alessandro Rossi, direttore del Centro studi difesa
civile, dal titolo "L'Unione Europea per la trasformazione dei conflitti.
Dalla gestione civile delle crisi ai corpi civili di pace". Presto un
estratto verra' pubblicato sul nostro sito.
*
b. Avviso per i ricercatori
Ricordiamo che in questo foglio informativo e' possibile inserire estratti
di studi, anche tesi di laurea, su temi affini a quelli del Centro studi
difesa civile (gestione costruttiva dei conflitti, intevento all'estero,
etc.). Prossimamente ci piacerebbe inserire una scheda sul processo di pace
a Cipro; siete invitati ad inviare i contributi all'indirizzo:
perugia at pacedifesa.org
*
3. Formazione e laboratori
a. I laboratori del Centro Studi Difesa Civile
Il Centro studi difesa civile organizza laboratori nell'ottica di fornire
strumenti per la gestione positiva dei conflitti. Si tratta di giornate
formative interattive condotte da professionisti per migliorare la propria
realta' professionale, relazionale, associativa.
Il conflitto e' un aspetto naturale ed inevitabile dell'esistenza umana. Il
modo in cui gestiamo  i conflitti personali e sociali e' determinante per la
realizzazione di una societa' equilibrata.
I laboratori, organizzati in collaborazione con l'Associazione per la pace,
sono diretti in particolare a membri di associazioni impegnate nell'area
della nonviolenza e a obiettori di coscienza, a giovani che si vogliono
preparare per le missioni di pace all'estero o lavorare per la tutela dei
diritti umani, a docenti, educatori o operatori sociali, a gruppi informali,
famiglie e a quanti, a vario titolo, vogliono acquisire competenze e
strumenti per la gestione costruttiva dei conflitti.
Per garantire una formazione di qualita', il massimo di partecipanti a
laboratorio e' di 25 persone.
Per partecipare e' necessario iscriversi alla Associazione per la
pace/gruppo tematico Centro studi difesa civile e pagare una quota di
rimborso spese organizzative. La partecipazione ai laboratori e' gratuita
per gli iscritti al Centro studi difesa civile 2001 e 2002.
Verra' consegnato un attestato di partecipazione a chi effettuera' almeno
due laboratori.
Per ogni laboratorio saranno a disposizione delle iscrizioni gratuite per
studenti e disoccupati che vogliano contribuire alle attivita' del Centro
studi difesa civile. Per partecipare alla selezione inviare il proprio
curriculum vitae a pacedifesa-roma at mediazioni.org per Roma o a
laboratori at pacedifesa.org per Perugia.
Mercoledi' 4 giugno 2003 alle ore 17 a Roma, a conclusione del ciclo di
laboratori verra' realizzato un evento pubblico in occasione
dell'anniversario della liberazione di Roma dall'occupazione nazifascista su
"La resistenza popolare nonviolenta" in cui interverra' Giorgio Giannini,
storico della resistenza non armata.
I corsi si svolgeranno a Roma presso la sala di via Galilei n. 57, e a
Perugia presso l'agriturismo "Le Macchie" (Ponte Felcino) per i residenziali
e presso la Casa dell'Associazionismo di via della Viola n. 1, secondo il
calendario che segue e sul sito www.pacedifesa.org
Per maggiori informazioni sui laboratori e le modalita' di iscrizione
contattare Simona presso la segreteria di Roma e Carla per la segreteria di
Perugia.
*
b. Calendario Roma gennaio-giugno
- Educazione e nonviolenza:
Sabato 25 gennaio, ore 9,30-16, conduttore Sandro Mazzi: Aldo Capitini e
Danilo Dolci: le radici della nonviolenza in Italia.
Sabato 8 febbraio, ore 9,30-16,30, conduttore Francesco Tullio:
Aggressivita', passivita', assertivita': tre modi di affrontare i conflitti.
Sabato 12 aprile, ore 9,30-16,30, conduttore Francesco Tullio: Bullismo ed
apatia in classe. Gestione strategica ed implicazioni emotive.
Sabato 3 maggio, ore 10- 17, conduttore Pasquale D'Andretta: Io non ho
pregiudizi! L'approccio alla differenza nell'educazione interculturale.
E' possibile iscriversi al singolo laboratorio oppure partecipare all'intero
ciclo Educazione e nonviolenza (4 laboratori).
- Strumenti per migliorare  l'efficacia dell'azione associativa:
Lunedi' 17 febbraio, ore 9,30-16, conduttori Franco Parlavecchio e Paola De
Angelis: Il lobbying dei buoni: come farsi ascoltare dalle istituzioni.
Sabato 8 marzo, ore 9,30-16, conduttore Giancarlo Arcangeli: Comunicare
efficacemente col pubblico e le istituzioni.
Sabato 5 aprile, ore 9,30-16, conduttori Alessandro Rossi e Marco Solazzi:
La gestione nonviolenta dei conflitti. Quali finanziamenti e come ottenerli.
E' possibile iscriversi al singolo laboratorio oppure partecipare all'intero
ciclo "Strumenti per migliorare l'efficacia dell'azione associativa" (3
laboratori).
- Operatori per la pace: percorsi possibili dalla formazione al lavoro:
Lunedi' 17 - martedi' 18 marzo, ore 9,30-16, conduttori: Gianni Scotto,
Mario De Simone e Karl Giacinti.
Il laboratorio si propone di offrire orientamento e sostegno all'ingresso
nel mondo del lavoro nel campo della ricerca, della formazione e dell'azione
in favore della pace.
- La conciliazione commerciale: principi e prospettive:
Sabato 17 maggio, ore 9,30-16, conduttore Paolo Nicosia.
*
c. Calendario Perugia gennaio-aprile
- Educazione e nonviolenza:
Sabato 25 e domenica 26 gennaio, ore 15-19 e 10-18, conduttori: Francesco
Tullio e Susanna Cirone: Bullismo ed apatia in classe. Gestione strategica
ed implicazioni emotive.
Sabato 15 e domenica 16 marzo, ore 15,30-19,30 e 10-18, conduce Francesco
Tullio: Aggressivita', passivita', assertivita': tre modi di affrontare i
conflitti.
Da venerdi' 11 a domenica 13 aprile, ore 15,30-19,30, 10-18 e 9-13: Tecniche
teatrali per la gestione del conflitto.
Da venerdi' 30 gennaio a domenica 2 febbraio, ore 15-18, 10-18, 9-13,
conduttori Giancarlo Arcangeli, Alessandro Rossi e Marco Solazzi: La
gestione nonviolenta dei conflitti. Quali finanziamenti come ottenerli.
Strumenti per migliorare  l'efficacia dell'azione associativa.
- Laboratori con Lennart Parknaes:
Sabato 22 e domenica 23 febbraio, ore 10-18 e 10-18: La mia via per un mondo
migliore.
Sabato 1 e domenica 2 marzo, ore 10-18 e 10-18: Nuovi modi di lavorare in
una organizzazione attivista.
*
Il Centro studi difesa civile mira a rafforzare le reti di individui e
organizzazioni che cercano di aumentare gli spazi per la gestione
nonviolenta dei conflitti, in un circolo virtuoso che parta dalla ricerca e
passi per la formazione, per l'intervento dal basso sia locale che
internazionale, e arrivi a trovare anche uno spazio istituzionale.
Centro Studi Difesa Civile, www.pacedifesa.org
Segreteria operativa a Roma, c/o Associazione per la Pace, ufficio
nazionale, via Salaria 89, 00198 Roma; responsabile Karl Giacinti, tel.
068419672, e-mail: pacedifesa-roma at mediazioni.org
Segreteria operativa a Perugia, c/o Auoc, via della Viola 1, 06122 Perugia,
responsabile Sandro Mazzi, tel. e fax: 0755726641, e-mail:
perugia at pacedifesa.org
Siti amici: http://www.mediazioni.org - http://go.to/cecop

3. RIFLESSIONE. PATRICIA KLINDIENST: LA VOCE DELLA SPOLETTA E' NOSTRA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo at tvol.it) per averci
inviato, nella sua traduzione, adattamento e riduzione, questo articolo di
Patricia Klindienst, con la seguente premessa: "Questo articolo apparve
nella sua prima stesura nella rivista letteraria "The Stanford Literature
Review", n. 1 del 1984, pp. 25-53; fu pubblicato anche nel libro Rape and
Representation (Stupro e rappresentazione) edito da Columbia University
Press, New York 1991, pp. 35-64. Patricia Klindienst è una studiosa
indipendente. Scrisse La voce della spoletta e' nostra quale completamento
di una dissertazione su Virginia Woolf alla Stanford University. E' stata
assistente alle cattedre di Inglese, Studi Umanistici e Studi Femministi
all'Universita' di Yale dal 1984 al 1992, anno in cui ha scelto di lasciare
la professione per dedicarsi a scrivere. Originariamente concepito come
parte di uno studio sui cambiamenti della rappresentazione dello stupro, il
presente saggio fu seguito da altri due testi che proseguivano l'analisi:
Ritual Work on Human Flesh: Livy's Lucretia and the Rape of the Body Politic
(ed. Helios, 1990, pp. 51-70), e Intolerable Language: Jesus and the Woman
Taken in Adultery, in Shadow of Spirit: Postmodernism and Religion, ed.
Berry and Wernick, (Routledge, London and New York 1992), pp. 226-237"]
Aristotele, nella Poetica (16, 4) registra una frase significativa da un
lavoro teatrale di Sofocle, ora perduto, sul tema di Tereo e Filomela. Come
sapete Tereo, avendo stuprato Filomela, le taglia la lingua per non essere
scoperto. Ma lei tesse un resoconto della violazione che ha subito in un
arazzo, resoconto che Sofocle chiama "la voce della spoletta". Rivolgendosi
agli antichi miti, ed aprendoli dall'interno tramite un corpo di donna, una
mente di donna e una voce di donna, le donne contemporanee si sono sentite
come ladre del linguaggio, come se inscenassero un'irruzione fra le
tesoreggiate icone della tradizione, che avevano richiesto per secoli il
silenzio delle donne. Quando Geoffrey Hartman, in  Beyond Formalism (p.
337), riferendosi alla citazione di Sofocle, si chiede "Cosa da' a queste
parole il potere di parlarci, anche il dramma da cui provengono non lo
abbiamo?", egli celebra il Linguaggio, e non la donna violata che emerge dal
silenzio. Celebra la Letteratura e l'abilita' del poeta maschio, non
l'elevazione che la donna fa della sua abilita' sicura, femminile,
domestica - il tessere - ad un'arte e ad un nuovo modo di resistere.
Le donne che ricevono la storia di Filomela tramite la metafora di Sofocle,
preservata per noi da Aristotele, si fanno la stessa domanda, ma arrivano a
una risposta differente. Per Saffo, che scrive di Filomela trasformata in
passero senza voce, la storia e' il segno di cio' che minaccia l'esistenza
della voce delle donne nella cultura. Quando Hartman analizza in maniera
esuberante la struttura del tropo della voce, egli compie un'elisione del
genere che ci e' fin troppo familiare. Quando si rivolge alla metafora del
riconquistare la capacita' di discorso, ovvero cio' che fa il testo potente,
la storia per lui non e' piu' la narrazione della donna costretta al
silenzio e della violenza maschile (stupro e mutilazione) che le sottrae la
parola. Invece, diviene la storia del Fato. Filomela, nella sua analisi, e'
una figurazione del Fato, un'oscura figura mitologica, che tesse i fili
della vita in intricati disegni... e fa la sua parte nel mistificare la
violenza. Curiosamente, il critico non e' conscio delle implicazioni del suo
prendere distanza da Filomela, la fanciulla stuprata, mutilata e
imprigionata da Tereo, per muoversi verso la mitica figura del Fato, la
pericolosa, misteriosa ed enormemente potente "donna". Perche' questa figura
spersonalizzata e' preferibile, per il critico? Forse perche' in Filomela
egli non riesce a vedere la donna violata, che riflette sul suo telaio
finche' scopre il suo potere nascosto. Perche' non puo' vedere in lei la
donna attiva, che resiste, che si da' potere; e non puo' vedere come questa
donna riesca ad ottenere dal telaio cio' che prima sperava di poter fare con
la propria voce. Nel libro sesto delle Metamorfosi di Ovidio, dove c'e' la
versione piu' famosa della storia, dopo che Tereo l'ha violata Filomela si
rifiuta di accondiscendere all'addestramento alla sottomissione e fa voto di
narrare la sua storia a chiunque voglia ascoltarla: "Poiche' non ho
vergogna, io lo proclamero'. Se me ne sara' data l'occasione, andro' in
mezzo alla gente, lo diro' a tutti; se mi rinchiuderai qui, io muovero' a
pieta' i boschi e le rocce. L'aria del Cielo mi udra', ed ogni dio, se ce ne
sono in Cielo, mi sentira'". Per Filomela, lo stupro da' inizio ad un
profondo sconvolgimento. Il linguaggio ordinario, che ella parla, e'
divenuto privo di potere. Non importa quante volte lei dica "No", Tereo non
la ascoltera'. Paradossalmente, e' proprio il fallimento del linguaggio che
suscitera' in Filomela la concezione della parola parlata come
comunicazione, potere, azione.
E l'agire di Tereo e' misterioso sia all'inizio che alla fine. Cosa
inizialmente lo motiva a violare Filomela? E perche', avendola stuprata e
ridotta al silenzio, preserva un'evidenza contro se stesso nascondendola,
piuttosto che ucciderla? Qual e' "la causa" che vince quando l'arazzo di
Filomela viene ricevuto e letto, e perche' il suo momento di trionfo viene
spazzato via da una vendetta che la silenzia ancor piu' completamente?
Per rispondere a queste domande dobbiamo riappropriarci della metafora della
tessitura e ridefinire sia il luogo della sua potenza che la crisi che vi dà
inizio.
*
La violenza antecedente e la poetica femminista: la differenza che fa una
storia
In Una stanza tutta per se', Virginia Woolf ci fornisce una comica metafora
della poetica femminista usando lesempio del gatto di razza Manx, che vive
sull'isola di Man. Dalla finestra ella vede questo gatto attraversare il
prato: nota che apparentemente al gatto "manca" qualcosa, ma si chiede se la
sua condizione non sia primariamente solo una "differenza" dai gatti con la
coda. E' il gatto senza coda un mostro della natura, una mutazione? O e' un
prodotto della cultura, un sopravvissuto alle mutilazioni? Il gatto, poiche'
non ha la coda, non e' ovviamente in grado di dirlo... La figura e' muta, ma
pregna di suggestioni. La storia della coda perduta, nel mentre testimonia
un senso reale della differenza, e specificatamente della differenza di
genere, resiste alla violenza intrinseca della riduttiva teoria freudiana
sulla "castrazione" delle donne come spiegazione del nostro essere ridotte
al silenzio all"interno della cultura. Virginia Woolf percepisce una
differenza cosi' radicale nel gatto senza coda che esso sembra "mettere in
discussione" l'universo e dio, semplicemente essendo la'. La questione
echeggia il rigetto, da parte della Woolf, di accettare la versione di
Milton, che prende a prestito l'autorita' religiosa per spiegare il
silenziamento delle donne in termine di peccato originale delle stesse. Per
Woolf, la coda perduta significa un'assenza presente: la x (di Manx) marca
il segno che qualcosa di irreparabile e' apparentemente avvenuto; la lettera
in piu' segnala una storia spezzata. Designa il mistero, la violenza.
La coda perduta non rappresenta solo la nostra tradizione spezzata, le
storie seppellite delle donne che vennero prima di noi nella storia.
Significa anche il taglio della voce, l'amputazione della lingua: cio' che
troviamo difficile da guarire e persino da dire a noi stesse. Noi non siamo
castrate. Non siamo minori, con qualcosa di mancante, con qualcosa di perso.
E ancora ci sentiamo pero' ladre e criminali quando parliamo, perche'
sappiamo che qualcosa di originariamente nostro ci e' stato rubato, e la
forza con cui cio' e' stato fatto ci minaccia ancora se tentiamo di averlo
di nuovo.
Nel mito di Filomela possiamo cominciare a guarire la violenza antecedente
su cui Woolf ironizza con la sua pungente metafora del gatto senza coda. Il
nostro essere mute e' una mutilazione, non una perdita naturale, ma una
culturale, a cui resistiamo quando ci muoviamo nel linguaggio. Woolf ci ha
insegnato a vedere gli ostacoli, e a capire che il principale fra essi e'
l'interiorizzazione delle immagini mortali delle donne create ad arte,
nell'arte.
Quando Hartman termina il suo saggio su Filomela notando (p. 353): "C'e'
sempre qualcosa che ci viola, ci priva della voce, e spinge l'arte verso
un'estetica del silenzio", la specifica natura della doppia violazione
subita da Filomela scompare dietro l'apparente (ma in realtà maschile)
"neutralita'" rispetto al genere del linguaggio usato. "Noi", l'"io" e il
"tu" che si dicono d'accordo nell'attestare che cio' che ci viola e depriva,
cio' che ci riduce al silenzio e' solo un misterioso, innominato,
"qualcosa"... Non intendo permettere a Filomela di diventare "universale"
prima di essere incontrata come "femminile": la nostra storia ci insegna che
e' ingenuo aspettarsi che la verita' venga fuori da sola; cio' non accade
senza lotta, inclusa la lotta contro coloro che pretendono di avere la
verita' in tasca. Puo' anche darsi che ogni pezzo di "grande" arte porti con
se' l'ansiosa memoria del momento originario della rottura o della violenza,
ma la donna che scrive, e la critica femminista, devono anche domandarsi
perche' questo momento e', ed e' stato, cosi' particolarmente violento verso
le donne. Che cosa e' archetipale per una donna nella "voce della spoletta"?
E' l'immagine della donna artista come tessitrice. E cosa, nel contesto,
percepisce come archetipico? Che, dietro al silenzio femminile, c'e'
l'incompleta trama della dominazione maschile, la quale fallisce, non ha
importanza quanto decida di essere estrema. Quando Filomela si immagina
libera di raccontare la sua storia a chiunque voglia ascoltarla, Tereo
capisce per la prima volta cosa verrebbe alla luce, se la voce della donna
divenisse pubblica. In privato, la forza e' sufficiente. In pubblico,
tuttavia, la voce di Filomela, se udita, li farebbe eguali. Il silenzio
imposto e l'imprigionamento sono i sistemi che Tereo usa per proteggersi da
questo: ma come lo stesso mito racconta, il dominio puo' contenere, ma mai
distruggere con successo, la voce delle donne.
*
Sbrogliare lo schema mitico: confini, scambi, sacrifici
In numerose versioni del mito, inclusa quella di Ovidio, si dice che Tereo
e' preso da improvvisa passione per la bella vergine Filomela, la figlia
piu' giovane del Re di Atene, Pandione. Cio' che usualmente non viene
osservato, e' che entrambe, sia Filomela sia sua sorella Procne, servono
quali oggetti di scambio fra due Re: Pandione d'Atene e Tereo di Tracia,
ovvero fra i greci e coloro che i greci consideravano "barbari". Filomela e'
la fanciulla che Tereo si prende per sfidare la supremazia di Pandione ed il
potere di Atene. La sua passione mitica e' la storia che copre la violenta
rivalita' fra due Re. Apparentemente, la tragica sequenza non comincia dal
desiderio di Tereo, ma da quello di Procne. Dopo cinque anni di vita
matrimoniale in Tracia, Procne sente la mancanza della sorella, e chiede a
Tereo di recarsi da Pandione affinche' egli permetta a Filomela di farle
visita.
Quando Tereo vede Filomela con Pandione, il suo desiderio diventa
incontrollabile ed egli non tollerera' frustrazioni per la sua
soddisfazione. In primo luogo, le tensioni politiche vengono trasformate in
conflitto erotico, ed in secondo luogo la responsabilita' per la lussuria di
Tereo viene fatta ricadere su Filomela stessa: come Ovidio stesso ci dice,
il corpo casto di una donna e' fatalmente seduttivo. In altre parole, ci
viene richiesto di credere che Filomela, contro la propria volonta' e
passivamente, inviti il desiderio di Tereo essendo semplicemente quel che
e': pura. Ma se e' la purezza di Filomela a renderla desiderabile, non e'
perche' la purezza sia bella. Il desiderio di Tereo e' adescato non dalla
bellezza, ma dal potere. Pandione detiene il potere di offrire Filomela ad
un altro uomo, perche' essa e' una vergine, e percio' non ancora scambiata.
Tereo e' un barbaro, ed avergli offerto la prima figlia lo incita solamente
a prendersi l'altra figlia proibita. Sia il "barbaro" che la "figlia
vergine" sono due figure chiave dell'immaginario greco. Sono gli attori del
dramma che raffigura la necessita' di stabilire e di mantenere sicuri i
confini che proteggono il potere dell'emblematico Pandione, il Re che
scompare dalla storia non appena ha dato via entrambe le figlie. Lo scambio
di donne e' la struttura che il mito nasconde in modo incompleto. Cio' che
il mito rivela e' come la gerarchia politica costruita sul dominio sessuale
maschile richieda l'appropriazione violenta del potere di parlare delle
donne.
Quando ci interroghiamo sul corpo della figlia del Re, ci avviciniamo alla
struttura che Mary Douglas vede come interazione dialettica fra i "due
corpi": l'effettivo corpo fisico e il corpo socialmente definito dalle
metafore: "(...) il corpo umano e' sempre trattato come un'immagine della
societa' (...) L'interesse verso le sue aperture dipende dalla
preoccupazione per cio' che socialmente puo' entrarne od uscirne (...) Se
non c'e' preoccupazione nel mantenere confini sociali, non mi aspetto di
trovare preoccupazione per quanto concerne i confini fisici. Le relazioni
fra testa e piedi, cervello ed organi sessuali, bocca ed ano, sono
comunemente trattate in modo da esprimere gli schemi rilevanti della
gerarchia" (Mary Douglas, Natural Symbols, Explorations in Cosmology (1970,
seconda edizione Pantheon, New York 1982, p. 70).
Lo scambio di donne articola i confini della cultura, l'imene delle donne
serve come simbolo fisico o sessuale del muro che delimita i confini della
citta'. Come il terreno fra le mura d'Atene, la castita' delle donne e'
circondata da proibizioni e precauzioni. La terra e la castita' sono
protette da sanzioni politiche e rituali, entrambe sono "sacre". Ma la
castita' femminile non e' "sacra" nel senso di rispetto per l'integrita'
della donna come persona; piuttosto, essa e' "sacra" in relazione alla
violenza che puo' subire. L'imene non deve essere rotto se non in maniera
che rifletta ed assicuri la continuazione dell'esistente gerarchia politica.
Il Re-padre controlla i cancelli al potere della citta' sia in senso
letterale che metaforico. La cultura disegna una differenza fra la porta
aperta e la fortezza assediata: Pandione garantira' a Tereo libero accesso
al corpo di Procne se egli acconsentira' a non usare le proprie forze contro
Atene. Lo scambio di cui e' oggetto la figlia del Re non e' niente di meno
che il dispiego del potere del Re stesso, ed il suo riaffermare la propria
sovranita' sulla citta'. Durante il rito matrimoniale, la figlia del Re e'
condotta all'altare come vittima sacrificale ed offerta, ma invece di essere
uccisa viene data in sposa al Re rivale. La guerra e' scongiurata. Ma
durante una crisi, la donna puo' essere identificata con la violenza stessa
che lo scambio del suo corpo avrebbe dovuto frenare.
La violenza implicita nello scambio di donne e' centrale non solo nella
storia di Filomela, ma in una delle grandi tragedie greche, Ifigenia in
Aulide di Euripide, dove la natura sacrificale dello scambio di donne e'
chiara in modo terrificante. Qui la figlia del Re viene letteralmente
condotta all'altare del sacrificio, tramite lo stratagemma che fa credere
che vi viene condotta per essere data in sposa ad Achille. E come il dramma
rivela, la figlia del Re e' in finale una vittima surrogata, che prende il
posto del Re stesso: e' Agamennone che la folla armata uccidera', se
Ifigenia non verra' sacrificata. E due cose devono accadere, per trasformare
Ifigenia in una vittima volontaria, di modo di sottrarre a sua madre la
possibilita' di chiedere vendetta e di assolvere suo padre dalla
responsabilita' della sua morte. Primo: Ifigenia deve sentirsi dire da
Achille che la folla sta chiamando il suo nome e che se resistera' verra'
condotta comunque, trascinata per i capelli; secondo, Ifigenia deve
cominciare a parlare il linguaggio della vittima: biasima Elena, vede la
guerra di Troia come conflitto erotico, ripete cio' che dicono gli uomini
che stanno preparando il suo sacrificio e, infine, sposta la responsabilita'
della sua morte sulla dea Artemide.
Come segno e sostituto della moneta di scambio, il corpo invaso della donna
porta il fardello di un contagio rituale. Filomela descrive se stessa, dopo
lo stupro, come una fonte di pericoloso contagio, perché ora che e' stata
violata ella e' contemporaneamente rivale della sorella e suo doppio
mostruoso. Se il matrimonio usa il corpo della donna come moneta buona e
discorso inequivocabile, lo stupro la trasforma in una moneta contraffatta,
una parola contraddittoria che minaccia l'intero sistema. Il paradosso,
ovvero la vergine violata come segno ridondante ed equivoco, e' il lato
oscuro della successiva positiva scoperta da parte di Filomela sul
linguaggio: ora che ella non puo' piu' funzionare come simbolo, libera il
proprio potere di parola.
Raccontare la storia dello stupro e' sperare nella giustizia. E la giustizia
non danneggerebbe solo Tereo, ma lo stesso Pandione. Poiche', una volta
stuprata, Filomela si trova radicalmente esclusa da ogni confine: viene
esiliata nel regno della "natura", e' prigioniera fra i boschi. Ma e'
proprio li' che ella potra' capire quanto arbitrari i confini culturali
siano. Lo stupro della figlia del Re ed il sacrificio di Ifigenia
coincidono: entrambi minacciano di rendere completamente visibile la base
della struttura di dominio, gettando luce sulla violenza implicita nelle
iscrizioni culturali che riducono al silenzio il corpo della donna.
L'autorita' che si basa sulla soppressione della conoscenza e della liberta'
di parola relega allo stesso tempo le persone ridotte al silenzio e le cose
indicibili negli interstizi della cultura. E' solo questione di tempo, e
cio' che e' stato spinto ai margini dal centro acquistera' forza per se
stesso e il centro verra' minacciato dal collasso. I sistemi che il dominio
crea per definire se stesso come il centro della cultura ed il vertice della
gerarchia si rivolgono contro di esso. L'invasione di Atene/Filomela da
parte della Tracia/Tereo (barbarismo) collassa il sacrificio rituale in un
momento isolato in cui il sistema della regalita' si rivolge su se stesso.
Quando Filomela trasforma la sua sofferenza, la sua prigionia ed il suo
silenzio in occasioni per la sua arte, il testo che tesse e' stracolmo del
desiderio di raccontare. Il suo arazzo non cerca solo risarcimento ad un
torto privato, ma deve diventare pubblico (e lei comincia a vedere le
connessioni fra pubblico e privato prima che le venga tagliata la lingua) e
riportare alla luce dall'oscurita' tutto cio' che la cultura definisce fuori
dai confini del discorso permesso, sia in senso sessuale, sia in senso
spirituale e letterario.
*
Arte e resistenza: ascoltare la voce della spoletta
Quando Procne riceve il testo di Filomela, lo legge e lo interpreta, e
agisce per correre in suo soccorso, il mito crea un vicolo cieco sia per la
produzione che per la ricezione del testo femminile. Il movimento della
violenza e' rapido e sicuro: non c'e' quasi pausa fra il concepire una
strategia da parte di Procne e l'eseguirla. Ne' c'e' esitazione da parte di
Tereo nel riconoscere che egli si e' cibato del suo stesso figlio e nella
decisione di inseguire ed uccidere le sanguinarie sorelle. Lo spazio piu'
minacciato dal collasso e' quello fra Tereo e le sorelle; qui gli dei
intervengono, e tutti e tre sono mutati in uccelli. Ma paradossalmente,
questo cambiamento non cambia nulla. La metamorfosi preserva la distanza
necessaria fra la struttura di dominio e la sottomissione: nel finale ogni
movimento e' congelato. Tereo non smettera' mai di inseguire le sorelle, ma
neppure le donne cesseranno di fuggire. La distanza non puo' giungere al
collasso od espandersi. In tale stasi, sia l'ordine sia il conflitto sono
preservati, ma non c'e' alcuna speranza di cambiamento.
La metamorfosi fissa per l'eternita' lo schema
violazione-vendetta-violazione. Il mito sostiene la struttura dando alla
storia un finale morto e mortale. Le donne, inchinandosi alla violenza,
diventano simili all'uomo che per primo l'ha usata contro di loro. Le
sorelle barattano l'omicidio e lo smembramento di un bambino per lo stupro e
la mutilazione di una donna. Il sacrificio della vittima innocente continua,
senza alterare il moto della violenza reciproca. E, come la tradizione
letteraria ci mostra, le due donne vengono ricordate come ben piu' violente
dell'uomo... Il mito ha questo fine.
Ma preserva il contradditorio "in mezzo". Poiche' il finale e' cosi'
contrario a cio' che ci e' stato narrato nel "mezzo", noi lo percepiamo
spontaneamente come falso. E' quell'"in mezzo" che recuperiamo: il momento
del telaio, il punto di partenza per la storia di una donna, che avrebbe
potuto giungere ad un finale inaspettato. Imprigionata nella trama, cosi'
come Filomela e' imprigionata da Tereo, c'e' l'antitrama.
Cosi' come Filomela non viene uccisa ma nascosta, la possibilita'
dell'antistruttura non e' mai distrutta dalla struttura. E' solo contenuta o
controllata, fino a che la struttura diventa morente o estrema nella sua
rigidita' gerarchica, proprio in virtu' di tutto cio' che ha tentato di
espellere da se stessa. Allora l'antistruttura puo' erompere. E puo' essere
pacifica o violenta. La violenza che sorge quando Filomela viene soccorsa e
riporta nella cultura non il potere che durante l'esilio e' stato inerente
al suo testo tessuto, ma quello che concerne la struttura di dominio. Il
finale della storia rappresenta il tentativo di impedire o evitare un
momento di trasformazione radicale in cui il dominio e la gerarchia dovevano
cominciare a cambiare o lasciar posto ad altro. La cultura si nasconde dalla
propria violenza sacrificale. Limmaginario greco usa questo finale mitico
per espellere da se' la propria violenza ed evitare ogni conoscenza del
processo violento. La cultura patriarcale sente, come sente Tereo, che le si
chiedera' di rispondere della propria mostruosita' quando la donna tornera'
dall'esilio per narrare la propria storia.
E il mito cerca di gettare sulle donne il biasimo che si deve
all'incapacita' della cultura di permettere alla donna stuprata, mutilata,
ma resistente, di tornare: le sorelle devono diventare nutrici della forza
bruta, devono diventare assetate di sangue. Devono dimenticare rapidamente
il loro desiderio di stare insieme, a lungo ritardato, per dar spazio al
desiderio di vendetta. Ma la storia puo' ottenere questo solo lasciando
fuori il telaio. C'e' da fare i conti con due donne, la pace (il fare) e la
violenza (il disfare). Tramite l'omicidio da parte di Procne del proprio
figlio e la sua cottura che culmina in pasto familiare rovesciato - il
cannibalismo di Tereo - il mito cancella il nascosto lavoro di Filomela al
telaio. La vendetta, lo smembramento, e' veloce. L'arte, la resistenza alla
violenza, lo stesso processo del tessere, sono lenti.
*
Tessere come smascheramento: disfare la violenza dello stupro
La tela di Aracne apre il libro sesto delle Metamorfosi, la storia di
Filomela lo chiude.
Per entrambe queste donne, tessere rappresenta lo smascheramento dei
"misteri sacri" ed il disfare la violenza dello stupro. Prima che la dea
adirata Atena (Minerva) stracci la stoffa tessuta da Aracne, la tessitrice,
donna mortale, racconta su di essa una storia molto particolare: quella
delle donne stuprate da dei che si mutano in bestie. Prima dell'intervento
della dea gelosa, Aracne e' il centro di una comunita' femminile.
Insuperabile nella sua arte, Aracne e' così piena di grazia che donne da
ogni luogo vengono da lei per vederla cardare, filare, tessere. Attorno a
lei si radunano altre donne che guardano, parlano, lavorano, riposano. Qui
il telaio rappresenta un'occasione per creare comunita' e pace, un contesto
in cui e' possibile, per il piacere, essere nonviolento e non possessivo. In
questo Aracne ricorda Saffo, che pure era il centro di una comunita' di
donne e a cui similmente Ovidio riserva un vicolo cieco, adottando la
tradizione che tenta di sminuire la poeta facendola morire suicida poiche'
respinta da un uomo. Cio' che sopravvive del lavoro di Saffo e gli studi
successivi respingono come falsa questa ipotesi.
E' solo facendo uno sforzo di interpretazione che noi oggi possiamo
suggerire che Aracne, la donna artista, non si impicco' come ci racconta la
storia, ma fu linciata. Il suicidio e' un surrogato dell'omicidio. Aracne e'
distrutta dal suo stesso strumento quando esso e' nelle mani della dea
irata. Ma chi e' Atena? Non realmente femmina, giacche' emerge, priva di
madre, dalla testa del padre, una fantasia maschile che si fa carne, che
strangola la voce delle donne reali. Lei e' la figlia vergine il cui scudo
e' la testa di un'altra vittima donna, Medusa. Atena e' la pseudo-donna che
racconta la storia del giusto ordine. Centrali, nel suo arazzo, sono gli dei
in tutta la loro gloria, ma ai quattro angoli della tela, all'interno del
bordo di rami d'olivo, Atena tesse un ammonimento alla donna artista,
affinche' essa non resista all'autorita' ed alla gerarchia: in colori
brillanti, quattro figure dicono "Pericolo!".
L'errore di Aracne e' solo apparentemente l'orgoglio per la propria arte
(che e' pienamente giustificato: Aracne vince la gara); in verita', lei e'
in pericolo perche' racconta una storia pericolosa. Fra le donne
rappresentate nel suo arazzo c'e' la stessa Medusa. Raccontare lo stupro di
Medusa da parte di Poseidone e' suggerire cio' che puo' nascondere il mito
per cui la donna muta gli uomini in pietra. Il luogo del crimine era
l'altare di un tempio di Atena. Il retroterra del crimine era la necessita'
della citta' di scegliere un dio per darsi nome e cio' che usualmente viene
rappresentato come una rivalita' fra Poseidone ed Atena per ottenere tale
onore. Medusa fu stuprata o sacrificata sull'altare di Atena? Fu la donna
"punita" da Atena, o fu uccisa durante una crisi, come offerta della citta'
di Atene ad una dea "adirata", proprio come Ifigenia fu sacrificata ad una
Artemide assetata di sangue? Dietro alla testa decapitata della donna, che
Perseo usa per mutare gli uomini in pietra, c'e' l'antica Gorgone, la
maschera apotropaica rituale che segnava gli angoli dei camini nelle case
ateniesi. La Medusa mitica puo' ricordare una reale vittima sacrificale:
dietro la testa che tramuta in pietra gli uomini, potrebbe esserci una donna
lapidata a morte dagli uomini. E, anche qui, la responsabilita' deve cadere
su un'altra "donna", Atena.
La storia viene erotizzata dal collocare la violenza fra uomini e donne, e
Freud, nella sua equazione "decapitazione = castrazione" rinforza e sviluppa
la misoginia presente nel sacrificio mitico. Se Medusa e' divenuta una
figura centrale con cui ogni donna artista deve fare i conti e' perche',
ella stessa ridotta al silenzio, Medusa e' stata usata per ridurre al
silenzio altre donne.
Aracne, narrando sulla tela le storie delle donne stuprate da dei mutati in
bestie, demistifica gli dei (il sacro) e li rivela come bestie (la
violenza). Ovidio puo' raccontare la sua versione della storia solo perche'
la versione della donna e' stata strappata in pezzi e lei stessa ricondotta
ad uno stato "naturale". Proprio come Freud, terrorizzato dalla
"donna-come-madre" e dalla donna tessitrice, usa la psicoanalisi per
riportare le donne ad un'idenficazione con la "natura", cosi' il mito usa
Atena affinche' trasformi Aracne in un ragno repellente, che potra' tessere
tele puramente letterali, disegni incomprensibili. La metamorfosi, cosi'
come la psicoanalisi nelle mani di Freud, rovescia la direzione della
violenza: Medusa, come Aracne, spaventa e minaccia gli uomini. Il ragno
femmina intrappola e divora i maschi che si accoppiano a lei... Lo strumento
della tessitrice, la spoletta, viene usato per ridurla al silenzio. Ma non
viene usato per zittire l'artista maschio, che si appropria dell'abilita'
femminile quale metafora per la propria stessa abilita'. Quale strumento di
violenza, Atena e' un'estensione di Zeus. La vendetta sulla donna artista,
che usa il telaio per raccontare storie che non ci e' permesso di udire se
non sono mediate dagli uomini, non e' una vendetta degli dei, e' una
vendetta culturale. Quando Filomela comincia a tessere durante il suo lungo
anno di prigionia, non e' solo la sua sofferenza che la muove ad un nuovo
uso del telaio, ma lo specifico scopo di essere udita da sua sorella. Come
strumento che lega e connette il telaio (o la spoletta che e' una sua parte)
ri-membra e aggiusta cio' che la violenza riduce in pezzi: il legame fra
sorelle, il potere della donna di parlare, la forma della comunita', la
comunicazione. La guerra ed il tessere sono antitetici. Ma il mito ci chiede
di credere che, dopo il suo lungo e paziente sforzo, Filomela sia disposta a
trasformare il suo lavoro al telaio in vendetta immediata. Ci si chiede di
credere, dopo che Filomela ha trasformato la prigione in laboratorio e la
disciplina domestica in un anno di lotta, che tutto cio' l'ha lasciata
immutata, che la sua scoperta non ha il potere di cambiare nulla. E il mito
ci chiede di credere che dopo un anno di pianto sulla tomba della sorella,
Procne sia disposta non ad un rito di riunione, ma ad uno di omicidio.
L'alternativa piu' importante suggerita dall'arazzo di Filomela non e' mai
stata considerata: il potere del testo di insegnare all'uomo a conoscere se
stesso. E' il barbaro Tereo o e' il cittadino greco che risponde alla storia
tessuta dalla donna con la violenza? All'interno della tradizione greca, il
mito e' stato usato per insegnare alle donne il pericolo insito nella nostra
capacita' di vendicarci. Ma se il mito istruisce, cosi' come e' istruttivo
l'arazzo di Filomela, allora ci dice anche che possiamo insegnare a noi
stesse, all'interno del potere dell'arte, le forme della resistenza. E' il
tentativo di negare che il tessere di Filomela poteva avere altri fini a
parte la vendetta che rende il mito cosi' pericoloso, perche' esso tenta di
persuaderci al considerare la violenza inevitabile e l'arte debole... ma e'
lo stesso mito a testimoniare contro se stesso, perche' se l'arte di Aracne
e Filomela fosse davvero stata cosi' debole, non sarebbe stata repressa con
violenza cosi' estrema.
*
Abbiamo cominciato a recuperare le nostre storie
Perche' la "voce della spoletta" ha il potere di parlarci anche se siamo
prive del testo della donna? Perche' abbiamo cominciato a recuperare,
preservare, interpretare le nostre storie. Esse ci chiedono di ricordare,
contro ogni avversita', cio' che ci e' stato chiesto di dimenticare, cio'
che siamo state addestrate a dimenticare. Filomela ed il suo telaio ci
parlano perche' assieme rappresentano l'affermazione della volonta' di
vivere, nonostante qualsiasi cosa minacci di renderci mute, inclusa la
tradizione letteraria maschile ed i suoi critici, che hanno conservato la
"voce" di Filomela senza neppure sapere cosa essa dica. Filomela parla a noi
ed in noi perche' il suo corpo e' la pagina originale su cui una storia e'
stata scritta con il sangue. Noi abbiamo bisogno di atti di ricordo comune,
collettivo: sia il corpo femminile che il testo femminile devono essere
recuperati dall'oblio.
Dobbiamo uscire dall'amnesia culturale indotta e resistere al continuo
quieto smembramento delle nostre storie da parte della misoginia. Noi
ricordiamo, e poi speriamo di dimenticare: l'amnesia e' ripetizione, essa
rivela (e viene continuamente inseguita da) la paura e la rabbia per ogni
momento in cui ci siamo inchinate alla pressione che ci chiede di non
vedere, di non sapere, di non nominare cio' che per noi e' vero. Se le donne
sono servite come capri espiatori della violenza maschile, se la donna
artista ridotta al silenzio e' un'offerta sacrificale all'immaginazione
artistica maschile (che ha visto Filomela come un usignolo che si infilza
volontariamente sulla spina, cosi' il poeta maschio potra' tradurre la sua
canzone in versi), noi dobbiamo cercare di ricordare le donne nei loro
corpi, le donne che resistono. Ogni volta che lo facciamo, ci opponiamo al
nostro stato di vittime predestinate ed interrompiamo la struttura della
violenza reciproca.
Se la "voce della spoletta" e' oracolare, cio' che ci dice e' che il Fato
non e' mai stato una donna che tesse le sue trame nell'oscurita' per
danneggiare gli uomini: questo Fato e' la fantasia maschile della
rappresaglia operata dalle donne. Celebrando la "voce della spoletta" come
nostra, noi celebriamo non Filomela la vittima, non Filomela che prepara per
il pasto di Tereo la testa insanguinata del figlioletto, bensi' Filomela che
tesse, la donna artista che nel ricostruire la propria voce scopre non solo
il proprio potere, ma il proprio potenziale trasformativo nel mutare la
vendetta (violenza) in resistenza (pace).
Nel liberare le nostre voci noi non intendiamo ridurre al silenzio nessun
altro. Nel disfare la trama mitica che vuole gli uomini e le donne
brutalmente vendicativi/e gli uni verso le altre e viceversa, noi rifiutiamo
che la violenza riduca di nuovo in pezzi il lavoro dei nostri telai.
Noi abbiamo questo potere. Noi abbiamo questa scelta.

4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: I DUE VOLTI DEL POLIZIOTTO DI QUARTIERE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
inviato questo suo articolo gia' apparso nell'edizione palermitana de "La
Repubblica" il 20 dicembre 2002. Augusto Cavadi e' un prestigioso educatore
ed intellettuale palermitano impegnato contro la mafia e nei movimenti di
volontariato e della societa' civile, autore di molte pubblicazioni]
Nell'ottobre del 1991 il prefetto di Palermo convoco' in via Cavour me ed
alcuni alunni del liceo "Meli" per complimentarsi di una certa iniziativa
pubblica che avevamo tempestivamente attivato in seguito ad un attentato
dinamitardo di sospetta matrice mafiosa.
Quando nel corso della riunione, cui partecipavano rappresentanti delle
Forze dell'ordine e della Magistratura, mi fu data la parola, espressi  -
anzi, tentai di esprimere - le forti perplessita' che poco prima, in sala
d'attesa, mi aveva confidato un ragazzo: "Si puo' chiedere ai cittadini di
collaborare con poliziotti, carabinieri e guardie di finanza per prevenire
l'esazione del pizzo quando in diversi quartieri, come in diversi Comuni
della provincia, sono proprio alcuni esponenti della Forza pubblica a
passare settimanalmente da un negozio di alimentari, fare la spesa per tutta
la famiglia e andarsene senza pagare una lira? E' possibile che si debba
pagare due volte, alla mafia e allo Stato?". Il prefetto Jovine mi spense
subito, dalla sua postazione, il microfono, rimproverandomi - tra il
paternalistico e l'irritato - di "andare fuori tema": piu' costruttivo,
successivamente, il colloquio col colonnello dei carabinieri presente che mi
riconobbe la gravita' del fenomeno (a suo avviso comunque statisticamente
marginale), mettendosi a disposizione per raccogliere, personalmente e in
via riservata, ogni denunzia circostanziata di corruzione. Egli si dichiaro'
ben consapevole del fatto che una denunzia pubblica avrebbe incattivito
l'animo degli accusati e li avrebbe resi fastidiosamente pignoli nella
verifica degli adempimenti legali da parte di commercianti e rivenditori.
Mi sono ricordato dell'episodio in questi giorni alla notizia che il governo
nazionale ha istituito il poliziotto di quartiere. In risposta alle solite,
involontariamente umoristiche, dichiarazioni del premier ("Un nuovo passo
avanti dell'esercito del bene contro quello del male") e dei suoi
collaboratori ("Una grossa spallata al crimine") alcuni parlamentari
d'opposizione hanno tacciato di propagandismo la decisione, ma a mio avviso
la valutazione deve essere piu' articolata.
Capisco il senso globale della critica che e' stata formulata da alcuni
settori dell'Ulivo: a che vale combattere la microcriminalita' da parte di
un governo che, non accettando la legalita', ne stravolge i connotati con
provvedimenti legislativi allucinanti? Non e' la riprova amara del detto
popolare "chi ruba poco va in galera, chi ruba molto fa carriera"?
Ma, nel Meridione, la figura del poliziotto che diventasse davvero di
quartiere (non quindi in servizio occasionale e transitorio nel quartiere, a
turno con centinaia di altri colleghi) sarebbe certamente piu' che un
deterrente per gli scippi e lo scasso d'automobili. Diventerebbe il
terminale sul campo di un computer centrale, il sensorio di umori e
spostamenti: la rete di relazioni sociali gli consentirebbe di notare ogni
movimento, dallo spaccio di stupefacenti al rientro di latitanti, dalle
corse di cavallo clandestine alla ricettazione di grossi quantitativi di
merce rubata. Tutto cio' renderebbe, a un tempo, piu' efficace e piu'
pericolosa la sua presenza.
Piu' efficace perche' sarebbe una leva incuneata nell'anonimato e
nell'omerta' di cui i delinquenti di ogni risma, e i mafiosi in particolare,
hanno assoluto bisogno.
Ma proprio questo suo know-how lo esporrebbe a tentazioni inedite: avrebbe
le carte in tasca per poter trattare, da pari, con le associazioni criminali
e per decidere di vendere il suo silenzio come le sue informazioni al
miglior acquirente. Senza contare i rischi per la privacy dei cittadini
onesti: solo un forte senso della democrazia (di cui non si puo' dire che
l'Italia in generale, e il Meridione in particolare, vantino secolari
tradizioni) puo' evitare di trasformare in strumento di ricatto (specie nei
confronti delle minoranza critiche e dissidenti) un accresciuto controllo
del territorio da parte degli apparati statali.
Ogni novita', comunque, comporta dei rischi: e questa eventualita' non
basta, da sola, a perpetuare eternamente lo stato delle cose esistenti. Se
mettiamo fra parentesi le probabili intenzioni propagandistiche del
provvedimento (d'altronde coerentemente in linea con una politica che
privilegia la sicurezza di chi ha rispetto alla giustizia nei confronti di
chi non ha), un gruppetto di sei-otto poliziotti di quartiere che si
alternassero in spirito di equipe costituirebbe, tutto sommato, un
esperimento da fare. Nella consapevolezza, pero', che sarebbe
un'opportunita' in piu' non solo per i servitori della Legge ma anche per le
mele marce.
Che i nuovi "bobbies" abbiano studiato lingue e  sociologia non puo' che far
piacere: purche' non ci si dimentichi di quell'etica professionale che
nessun corso di aggiornamento puo' insegnare a chi non abbia certi requisiti
morali di partenza.
L'opinione pubblica, anziche' essere zittita quando - sulla base di precise
e ripetute esperienze di corruzione - esprime certi timori, dovrebbe essere
al contrario ascoltata. E rassicurata dai vertici istituzionali
sull'eventualita' che  alle tante cosche agenti nel territorio non si
aggiunga una cosca di fuorilegge in divisa.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per con
tatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 458 del 27 dicembre 2002