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La nonviolenza e' in cammino. 456
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 456
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 24 Dec 2002 23:55:45 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 456 del 25 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Rigoberta Menchu', arrivammo a comprendere 2. Giuseppe Casarrubea ricorda Danilo Dolci 3. Luigi Ciotti ricorda Tonino Bello 4. Rossana Rossanda, un natale da pensare 5. Tano Grasso, un decalogo contro l'estorsione 6. Tano Grasso, un decalogo contro l'usura 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. RIGOBERTA MENCHU': ARRIVAMMO A COMPRENDERE [Da Mi chiamo Rigoberta Menchu', (a cura di Elisabeth Burgos), Giunti, Firenze 1987, p. 146. Rigoberta Menchu', india guatemalteca, premio Nobel per la pace, e' una delle figure piu' splendide dell'impegno per la dignita' umana, i diritti, la pace, la solidarieta'] Arrivammo a comprendere che la radice di tutti i nostri problemi era lo sfruttamento. Che c'erano ricchi e poveri. Che i ricchi sfruttavano i poveri, il nostro sudore, il nostro lavoro, e in tal modo diventavano sempre piu' ricchi. Inoltre, il fatto che negli uffici non ci davano ascolto, che dovevamo inginocchiarci davanti alle autorita', tutto questo faceva parte della discriminazione che subiamo noi indigeni. E poi l'oppressione culturale, cercando di toglierci le nostre tradizioni, mirava a dividerci e impedire l'esistenza delle nostre comunita'. 2. MAESTRI. GIUSEPPE CASARRUBEA RICORDA DANILO DOLCI [Da una lettera personale - stupenda e commovente - di Giuseppe Casarrubea (per contatti: icasar at tin.it) riportiamo questo brano in cui il prestigioso storico impegnato contro la mafia ricorda il grande apostolo della nonviolenza. GIuseppe Casarrubea, figlio del militante del movimento operaio assassinato dalla mafia a Partinico nel 1947, e' uno storico che ha dedicato fondamentali ricerche alle lotte del movimento dei lavoratori contro la mafia, ed e' a sua volta un prestigioso militante del movimento antimafia; tra le sue molte ed ottime opere segnaliamo particolarmente: Portella della Ginestra: microstoria di una strage di Stato (Angeli, Milano 1997); Fra' Diavolo e il governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra (Angeli, Milano1998); Salvatore Giuliano: morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti (Angeli, Milano 2001). Su Danilo Dolci riproponiamo qui una relativamente sintetica ma accurata scheda biografica scritta dal suo autorevole studioso - e suo e nostro amico assai caro - Giuseppe Barone (e' il breve profilo comparso col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita"] ... Il suo accostamento a Danilo Dolci mi riempie di gioia; ma io non sono che una piccola foglia dell'albero che egli ha piantato. Il suo motto era: "Vivi in modo che in qualsiasi momento muori o t'ammazzano, muori contento". Quando andavo a trovarlo nel suo studio di largo Scalia a Partinico, trovavo sempre dei titoli di dazebao scritti di suo pugno. Ne ricordo uno in particolare, anche se sono passati quasi quarant'anni da allora: "Chi ha ucciso Leonardo Renda?" Non dava risposte. Si interrogava e interrogava. A distanza di tempo l'interrogativo provoco', lentamente, nella mia testa curiosita' e ricerca e, dopo anni di studio ho scritto Portella della Ginestra" (uscito nello stesso anno della sua morte) ed altri approfondimenti. Cosi' era Danilo: sapeva che poteva seminare dubbi, curiosita', incertezze, domande che nessuno era abituato a porsi; sapeva anche che i frutti si possono raccogliere nella stagione dei raccolti. Ripeteva sempre un vecchio proverbio cinese: "Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini". Voleva stimolare alla riflessione, evitare che i morti scorressero come oggetti di un rito normale. Ne aveva studiato la storia, raccogliendo casa per casa testimonianze. Aveva ascoltato la voce dei piu' umili, di quelli che mai prima avevano avuto voce. E cosi' altre testimonianze aveva raccolto per documentare i perversi circuiti mafiosi che costituivano l'ossatura del sistema politico siciliano. Fu denunciato e condannato. Allora Falcone e Borsellino erano giovani universitari, forse, ma sono convinto che senza il contributo di quest'uomo che sognava un mondo nuovo, senza mafia e senza guerre, noi non avremmo avuto gli insegnamenti di Giovanni e Paolo e, con loro, di Terranova, Chinnici, Livatino, Pio La Torre, e innumerevoli altri che dei principi costituzionali avevano fatto la base della nostra democrazia, e del loro agire. Quei tempi, anche se non remoti, sembrano ora sulla via di un declino sconcertante. Tuttavia non bisogna mollare. La pace non e' cosa da poco. Non e' accondiscendenza, quieto vivere. Il modello della pace non e' il Pilato che "si lava le mani"; non conduce all'ozio, ne' delega le scelte ad altri. "Il primo strumento che ciascun individuo cosciente ha a disposizione da valorizzare - diceva - e' se stesso". E precisava: "L'uomo ha un primo strumento per la salute sua e dell'umanita' nel divenire lui stesso obiettore di coscienza: non semplicemente nel rifiutare la guerra ma nella piena chiarezza che ogni suo momento di vita deve essere coerente per non essere smembrato e disfatto, per avere la possibilita' di un autentico sviluppo; e nella piena chiarezza che il fronte contro la guerra, estremo delle mostruosita', va organicamente approfondito e allargato contro i diversi mostri economici, politici, giuridici, morali". Il dato della coerenza, per Danilo, era fondamentale nella costruzione dei gruppi nuovi. Non aveva in mente le "coesistenze difensive", le giudicava "primitive" e "insufficienti". Pensava all'attacco, dal punto di vista della pace, della sua costruzione. Per questo scriveva: "Abbiamo bisogno di comunicazioni profondamente attive; dobbiamo pensare alla morale come ricerca della massima valorizzazione individuale e collettiva, della migliore integrazione tra tutti gli uomini". 3. MAESTRI. LUIGI CIOTTI RICORDA TONINO BELLO [Il seguente intervento di don Luigi Ciotti e' ricavato dalla trascrizione (non rivista dall'autore) di una relazione tenuta il 30 ottobre 2002 nel ventesimo anniversario dell'ordinazione a vescovo dell'indimenticabile don Tonino Bello, apparsa sull'eccellente periodico "Adista", nel n. 82 del 18 novembre 2002 (sito: www.adista.it). Luigi Ciotti e' nato a Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a Torino del Gruppo Abele. Impegnato contro l'emarginazione, per la pace, contro i poteri criminali. Ha promosso numerosissime iniziative. Riportiamo la seguente piu' ampia scheda biografica dalla Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Luigi Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Bl), emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove un gruppo di impegno giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo Abele, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su numerose realta' segnate dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica peculiare del gruppo e' l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e accogliere le persone in difficolta' con l'azione educativa, la dimensione sociale e politica, la proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento all'interno degli istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in seguito all'esterno, sul territorio, attraverso la costituzione delle prime comunita' per adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la strada". Sulla quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze. Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero rispetto alle tossicodipendenze e dell'alcolismo non si e' mai interrotta. E' invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna, Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995 presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele. Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e' direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e' tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico, agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di uno specifico progetto Carcere e Lavoro; interventi di cooperazione internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali, informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio Scuola. Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e' attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici (tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo), scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti, interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: tra le sue pubblicazioni segnaliamo Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni Gruppo Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998. Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993. Costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli immigrati, grande costruttore di pace. Molte, e tutte appassionanti e luminose, le sue pubblicazioni. Per una prima introduzione alla sua figura cfr. il volumetto di Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001] Monsignor Mincuzzi il 30 ottobre 1982 profeticamente pronuncio', rivolto al novello vescovo, queste parole: "Per quanta mitezza e discrezione ci potra' mettere Tonino, dovra' annunciare le beatitudini, i paradossi evangelici, dovra' condannare la violenza, la possibilita' di manipolazione delle masse; sara' malvisto e non avra' consolazioni neppure da coloro che gli appartengono". Cosi e' stato. Don Tonino una cosa sembra volerci dire oggi: che dobbiamo essere tutti analfabeti sul tema dei diritti, nel senso che dobbiamo continuare a cercare. Solo se continuiamo a cercare, a documentarci, a leggere i cambiamenti, a lasciarci prendere dallo stupore, riusciremo a espellere dalla nostra vita il maledetto personaggio che tanto ci affascina: la paura del nuovo, del cambiamento. Ad esempio, egli non ha conosciuto materialmente i 5 curdi che recentemente sono morti soffocati in quel camion sulla Canosa-Napoli, e neppure gli altri 39 morti in questo modo nell'ultimo anno; non ha conosciuto materialmente i 700 immigrati morti annegati nei nostri mari alla fine del loro viaggio della speranza. Ma certamente ci inviterebbe, oggi come allora, a guardare i volti, anzi chiamerebbe per nome ognuna di quelle persone. Don Tonino ha testimoniato il linguaggio della vita quotidiana, ha usato parole comprensibili alla gente, consapevole del fatto, che possiamo dire chi siamo solo quando ci assumiamo la responsabilita' di rispondere alla domanda "Dov'e' tuo fratello?", cioe' nella misura in cui ci si mette in gioco nel rapporto con i fratelli. Un altro grande insegnamento viene dal nostro amico vescovo, quello cioe' di evitare linguaggi e prassi "esclusivi" e di scegliere invece linguaggi e prassi "inclusivi": non esiste la mia idea o la mia chiesa o la mia nazione o la mia associazione o gruppo... ma c'e' "la mia e la tua" idea, chiesa, nazione, associazione, e insieme possiamo costruire un mondo piu' umano, piu' rispettoso dei diritti di tutti, nella convivialita' delle differenze. Esasperando le diversita' e i conflitti, invece, non si arriva da nessuna parte, solo alla sopraffazione del piu' forte sul piu' debole. Agli ultimi della fila, alle "pietre di scarto", don Tonino guardava con un occhio privilegiato, con la precisa consapevolezza che non sono oggetto di assistenza ma soggetti di diritto: a voi che non fate la storia - diceva - a voi che non contate agli occhi degli uomini ma che siete grandi agli occhi di Dio deve essere data l'opportunita' di diventare cittadini, e questa non e' una concessione magnanima, ma una questione di giustizia. Occorre dire, pero', che anche se la parola giustizia e' una delle trenta parole piu' usate nel mondo, non sempre la sua traduzione nei fatti e' coerente con il suo significato. Sulla parola giustizia si operano numerose manipolazioni. Chi opera queste manipolazioni (i nostri politici sono maestri in quest'arte) a favore di una "giustizia fai da te", oppure a propria misura o a misura dei propri interessi, ha una grande responsabilita' politica e sociale. "La giustizia e' una parola terribile, come la verita'" diceva Saveria Antiochia, la madre di Roberto, il poliziotto trucidato con 80 colpi di pistola a Palermo il 5 agosto del 1985 mentre volontariamente si era aggiunto alla scorta del commissario Cassara' il giorno in cui la mafia lo uccise. Dobbiamo sentire forte la "fame e sete di giustizia", ci dice don Tonino. La poverta' infatti non e' un evento biologico ma un frutto dell'ingiustizia. Se creiamo le condizioni per cui le persone siano libere veramente, cioe' non dipendenti dagli altri, allora costruiamo una societa' piu' solidale, dunque piu' giusta. E don Tonino non e' venuto mai meno alle domande dei poveri del suo territorio, domande di solidarieta', di giustizia, di legalita', anche quelle domande che non emettono suoni: si e' inventato di tutto per ascoltare, condividere, aiutare. Egli e' stato profeta, non per leggere il futuro, ma perche' si e' sporcato le mani nel presente, ha fatto emergere contraddizioni, ha fatto concretamente accoglienza, si e' messo in gioco. Ha abbattuto le mura della sua chiesa e l'ha fatta diventare una casa dove c'era accoglienza e relazione: "Un vescovo senza fantasia - diceva don Tonino -, senza creativita', incapace di mischiarsi per paura di contaminarsi, ridotto a distributore di verita', non mi sembra in linea con l'incarnazione". E aggiungeva: "L'importante per un vescovo e' che non sia arrogante". Diciamole ai nostri vescovi queste parole. Diciamole anche a quei vescovi che oggi affermano di essere stati amici di don Tonino, e sono tanti. Diciamo loro che la Chiesa o e' profetica o non e'. Di fronte alla nuova legislazione italiana in tema di immigrazione don Tonino non avrebbe taciuto. Un credente, e un pastore in particolare, non puo' e non deve stare zitto di fronte alle violazioni della giustizia. E la giustizia oggi e' piena di ferite gravissime. Alcuni esempi: la legge sull'immigrazione che consacra l'esistenza di "cittadinanze diseguali" e che viola otto direttive europee sul tema dei diritti; la consacrazione di "cittadinanze diseguali" a livello geografico tra Nord e Sud d'Italia; l'impossibilita' di rendere usufruibili i diritti sociali per tutti, ecc. I diritti sono risposte ai bisogni delle persone e, dunque, sono i bisogni delle persone a definire i diritti. Occorre avere la strada come punto di riferimento. Don Tonino, come Gesu' che nel Vangelo ha avuto 109 incontri, ha preferito una evangelizzazione "per contagio d'amore" lungo la strada: la strada ci invita a incontrare la poverta' e ad entrare in relazione con i poveri, ci costringe a non dimenticare che la poverta' e' espressione della visibilita' dell'ingiustizia. Il 30 aprIle 1983 don Tonino all'Arena di Verona, parlando di pace propose di sostituire la parola "Beati" della famosa frase delle beatitudini con la parola "in piedi", in modo che suoni cosi: "In piedi costruttori di pace, sarete figli di Dio". Voleva dire che dobbiamo stare in piedi davanti a tante croci che incontriamo nella vita: solitudini, sofferenze degli anziani e dei malati, famiglie toccate dalla malattia, esclusi, inclusi ma disperati dentro ecc. Don Tonino ha avuto il coraggio della denuncia, attenta, puntuale, mai generica, dell'ingiustizia; facendolo con umilta' e utilizzandola come annuncio di salvezza. Il suo obiettivo era infatti semplicemente di "saldare la terra con il cielo" e non quello di "sparare a zero" sui cattivi. Diceva ancora: "Dio non fa graduatorie. Non saranno sufficienti i propositi (le promesse) dei partiti per tranquillizzarci sulle situazioni di ingiustizia. Il futuro sara' con i piedi scalzi". Come a dire che la giustizia e' un criterio dell'azione individuale, ma anche un criterio della politica, altrimenti la politica e' sotto la schiavitu' dei privilegi di pochi. Dobbiamo spezzare la catena dei privilegi che genera ingiustizie e dobbiamo sconfiggere l'omerta'. Ecco una piccola litania o via crucis dei fatti che ogni giorno ascoltiamo, ma poi facilmente rimuoviamo: Bernardo Romano, padre di sei figli, si e' bruciato qualche mese fa perche' aveva perso il lavoro; e' stata quantificata in 16.000 unita' la tratta dei minori nel nostro Paese che vengono utilizzati soprattutto nel mercato della prostituzione; sull'asse Bucarest-Madrid la mafia "acquista" migliaia di piccoli disabili per mandarli sulle strade dei Paesi europei ed elemosinare; alla conferenza di Johannesburg - boicottate da Bush, e non solo da lui - l'Organizzazione Mondiale della Sanita' ci ha detto che il 40% dei bambini che muore ogni anno nel mondo sono vittime degli effetti diretti o indiretti dell'inquinamento (come se precipitasse un boeing carico di bambini ogni 45 minuti); c'e' poi lo scandalo degli aiuti, con i Paesi ricchi che riescono a dare ai paesi poveri appena lo 0,7 % del loro Pil; si muore prima per conseguenza del "dio mercato" che per la malattia o la poverta' (3,5 milioni i morti di Aids). Oggi si sta affermando un orizzonte culturale estremamente pervasivo e pericoloso, una vera insidia per l'umanita', che passa attraverso i media, la pubblicita', le trasmissioni televisive di intrattenimento. Questo orizzonte culturale vuole convincerci che cio' che conta e' apparire, e che per ottenere il potere di apparire, di essere come questo o quel personaggio, tutto e' consentito, anche di passare sopra agli altri. Ebbene, don Tonino ci direbbe che dobbiamo avere il coraggio di essere "persone inadeguate". C'e' bisogno oggi di persone adulte, di cittadini adulti, di cristiani adulti, sul piano personale e sul piano sociale e politico, persone responsabili, persone che alla domanda di Caino "Sono forse io il custode di mio fratello?" rispondono un secco "Si'". C'e' bisogno di prudenza e sana follia, e il coraggio di osare: non basta andare a rimorchio dei ricercatori delle scienze sociali, che ci presentano il quadro dei problemi sociali; c'e' bisogno di rischiare. C'e' bisogno di diventare piu' vivi, perche' a volte ci illudiamo soltanto di essere vivi; che significa non porre impedimenti al futuro che irrompe. Don Tonino cita Montale che dice "la morte odora gia' di resurrezione". Come dire che la sofferenza e la morte hanno una "collocazione provvisoria" nella nostra vita, perche' prima o poi irrompe la resurrezione e dunque la speranza. Perche' si muoia non lo so, ma il senso della vita, dell'amicizia, dell'amore - diceva - non si trova nei ragionamenti ma nella base dell'impegno. Non si puo' concludere un ricordo del vescovo don Tonino, "voce forte per i diritti di chi non ha voce", se non si parla della pace. Questa mattina 26 guerre si stanno combattendo nel mondo. Secondo l'Osservatorio di Stoccolma negli ultimi 20 anni 9 milioni di persone, soprattutto civili, sono morti in queste guerre. La diplomazia si e' dimostrata impotente, l'informazione incompleta se non cieca. La prima vittima delle guerra e' la verita'. Il primo vincitore invece e' la volonta' di controllare le ricchezze naturali (diamanti, petrolio, droga, ecc.), altro che ideologie o progetti sociali e politici o religiosi: il potere, la volonta' di dominare, di possedere le risorse, e' il solo motore delle guerre, dell'oppressione. Nessuno vuol fare sconti ai dittatori che minacciano e preparano guerre nei punti piu' critici del mondo, ma occorre riconoscere che le modalita' di risposta alle loro provocazioni o violenze non sono neutrali, una a caso la volonta' degli Usa di bombardare a tutti i costi Saddam e il suo Paese. Sarebbe paradossale pensare che per prendere quel mafioso di Provenzano bisognerebbe bombardare tutta la Sicilia... Il terrorismo non e' mai figlio della poverta', anche se si alimenta nella disperazione. Dilatare la giustizia: e' questo il vero antidoto alla guerra e al terrorismo. Non c'e' pace senza giustizia, ce lo ripete in tutti i suoi discorsi il papa Giovanni Paolo II. Una pace stabile richiede una politica dialogica, che si basa su due pilastri: 1) bisogna spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle persone: e' questa la ragione per cui don Tonino e' andato a Sarajevo oppure si e' bonariamente preso gioco delle Forze Armate; 2) bisogna rinforzare il tribunale penale internazionale, costringendo i Paesi che non hanno firmato la Convenzione a farlo subito (sono gli stessi Paesi che si ostinano a dirsi difensori della pace nella vicenda di Saddam Hussein). Concludo con una frase di David Maria Turoldo, che saluto' don Tonino con queste stupende parole: "Grazie fratello vescovo per il tuo coraggio, perche' ci inviti a metterci in ascolto del futuro". 4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: UN NATALE DA PENSARE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 dicembre 2002. Rossana Rossanda, tra le figure piu' autorevoli della vita morale e civile del nostro paese, e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli e saggi pubblicati in giornali e riviste] Siamo a natale e incombe una guerra. Il papa ha detto una parola in piu' delle solite: no alla guerra preventiva. Non lo ascoltano gli stati, che pur gli fanno grandi inchini, ma manda in estasi gli intellettuali laici che con piacere vedono pescare dal Vecchio Testamento l'irascibile Jahve'. Sembra che non siamo ancora diventati adulti. Non bombarderanno Baghdad proprio il 24 e 25 dicembre, e forse possiamo usare natale per riflettere. Per esempio, si puo' essere veri cattolici e fedeli della Chiesa? Molti miei amici ci riescono, a condizione di tenerla un poco discosta. Senza aprire scontri, che pur verrebbero davanti a una curia prepotente, perche' Giovanni Paolo II non manda messaggi terribili, anzi sembrano eccelsi di fronte alla vacuita' dei politici. Si puo' rimproverargli quel che non dice piu' che quel che dice. E passargli, scuotendo la testa, le fobie per il sesso, le donne prete, controllo delle nascite e divorzi perche' molti cattolici hanno imparato a considerare la Chiesa come un secondo Cesare, e per quel che riguarda Dio andare diritto alla Parola. Il rapporto con l'oltre Tevere e' senza passione e senza sofferenza, come con un vecchio padre che ha le sue fissazioni. Insomma accanto al sorgere del cattolico guerriero, stigmatizzato da Ezio Mauro, nonche' il dilagare di Cl e dell'Opus che piace a D'Alema, molti cattolici si ritirano - che e' poi un atto monastico - nella interiorita' e coltivano una fede forse impropriamente chiamata debole: leggere il lume sapienziale, il messaggio delle origini, quello che sta nel Libro e nei libri, spesso anche negli apocrifi, e che suona tanto piu' profondo del crudele cicaleccio del mondo intriso di soldi e di armi. Non e' la parola di Cristo che conta? La radice dell'altrimenti impensabile dilatarsi del suo messaggio nel periodo turbolento in cui nacque, che ha ribaltato il mondo, l'idea di se', del destino. Se c'e' un miracolo, e' questo. Null'altro. * Un momento - ci ferma Giuseppe Barbaglio, biblista limpido e persona squisita, che ha appena pubblicato quel che sarebbe un bestseller se le librerie normali, per natale piene di scempiaggini, gli facessero posto fra i padre Pio e gli Escriva', o se le edizioni Dehoniane non lo riservassero per quelle di via della Conciliazione, dove ci si strappa le ultime copie ancorche' sia un volume grosso, per niente semplificante e caro. Si chiama Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica. Fa il punto di una plurisecolare ricerca. Che sappiamo del nazareno? Sulla sua esistenza e morte in croce ci sono testimonianze indiscutibili anche di fronte avversa - primo Flavio Giuseppe. Ma se sia nato da vergine non si sa, ne' le stesse fonti cristiane lo dicono sempre; ne' che Maria vergine sia rimasta perche' gli stessi sinottici gli assegnano fratelli: la verginita' di Maria e' costruzione dalla non primissima chiesa. Era celibe, Gesu'? e' da presumere ex silentio, ma molti lasciavano mogli e figli quando si ritiravano fra predicazione e contemplazione. E fino alla predicazione poco ne sappiamo; dopo e' certo che Gesu' e' stato un guaritore e un esorcista fra i molti allora in giro. E' nuovo pero' che guarisca per fede, non per far credere. E' un giovane, appassionato e convincente protagonista di un mondo - attorno a un milione di anime, ma sui numeri gli storici si azzuffano, mai meno di cinquecentomila, mai piu' di sei milioni - occupato dai romani e tumultuosamente in attesa di un Messia, divise piu' nelle pratiche che nella fede, cercatrici di assolutezza e di norme. E di indipendenza, Cristo lo hanno tolto di mezzo i romani temendone una sedizione, e solo loro; gli ebrei proprio per nulla: la costruzione antiebraica appartiene alla comunita' cristiana successiva. E' stato ucciso orrendamente, l'arte figurativa cattolica allevia quel lento soffocamento che accompagna l'essere appeso. Non e' certo che abbia detto quel "Signore signore perche' mi hai abbandonato" che tanto ci tocca. E poi e' certo scomparso dalla tomba di Giovanni d'Arimatea, ma si sussurrava che l'avessero sottratto i discepoli per far credere a una resurrezione. * Predicazione, morte e resurrezione del figlio di Dio sono il cardine delle chiese cristiane, che lo preferirebbero legato con gomene alla storia, e se non e' possibile lo fissano per dogma. Ma perche' far nascere la fede da un atto magico, sovrannaturale, invece che dalle parole di risposta a un bisogno assoluto e profondo, allora radicato, e che poi si diffonde, diventa vita, senso e financo martirio? A lettura compiuta del Gesu' ebreo di Galilea mi chiedo per quale debolezza, incertezza, sfiducia nel popolo incolto, la Chiesa abbia sempre piu' messo mano sul dogma, inchiodando quel che era probabile o solo possibile - fino a tempi recentissimi, con la immacolata concezione di Maria. E' una dogmatica che pesa sulle divisioni dei cristiani. Forse e' un segno prima di pieta', poi di timore del luteranesimo, poi del positivismo che la attornia e le stinge addosso fino alla miserevole coda delle procedure di beatificazione con relativi miracoli. * Questo Barbaglio non dice. Barbaglio e' un credente, ma da ricercatore non fa mai appello al dogma. Non appartiene allo storico il giudizio, e egli se ne astiene fermamente, fermamente persuaso che storia e fede non si legittimano l'una con l'altra, in nessuno dei due sensi. E delinea all'inizio la discussione, nata nel Seicento, ma sviluppatasi soprattutto dal secolo scorso ad oggi, sul Gesu' della storia e il Gesu' della fede, dalla old quest, soprattutto la Storia della ricerca sulla vita di Gesu' dello Schweitzer (1906), che fa del nazareno un predicatore dell'imminente venuta del Messia e, non vedendola, se ne va alla morte, sorta di antico Che Guevara. Sulla figura d'un Cristo indipendentista sconfitto lavorano in molti. E poi i razionalisti che cercano pedanti prove su tutto e per poco non riducono tutto a psicosi, le letture protestanti, la fascinosa Vie de Jesus di Renan, soprattutto la grande discussione aperta da Rudolf Bultmann (Geschichte der synoptischen Tradition) dove l'esperienza e l'elaborazione delle prime comunita' cristiane si fa ed elabora l'essenziale, la predicazione di Cristo, la sua missione, la sua catechesi, piu' che sulla figura storica e documentabile. Poi la discussione declina, no quest, e poi rinasce, third quest, e dura fin ad oggi specie da parte americana. Non e' mai pura filologia, e sempre meno scontro fra gli aggrappati al poco che la storia certifica e il sempre piu' vasto ventaglio di chi, fra credenti e non, ragiona sul fascino di quella parola, la rivoluzione della persona che ne consegue, il passaggio fra certi antichi rizomi e il loro tramutare dalla parola forse detta, ascoltata, certo ricordata allo scritto, il canone e anche gli apocrifi. Il Galileo e' passato e cambia tutto. Non solo fede, troppo semplice. E poi fede che cosa e'? Difficile immaginare uno studio piu' sobrio e affascinante di questo. * Da questa severissima e problematica ricerca nulla sembra piu' distante della predicazione di Camillo de Piaz, che esce per le Edizioni Servitium di Bergamo. Una prima scelta di testi pastorali e' stata presentata col titolo Un'altra sete, dalla prefazione di Edoarda Masi (2001), una seconda col titolo Fu detto agli antichi, e' uscita con prefazione di Laura Novati, nel 2002. Camillo de Piaz e' una figura del tutto a se', ma ben nota a noi che lo conoscemmo fin dalla Milano degli Anni Cinquanta. Regnavano a Roma Pio XII e a Milano Ildefonso Schuster, che pareva una sua secca copia. Ma nell'apparente stagnazione fra i cattolici era tutto uno scricchiolio, dal quale sarebbero nate le Acli, una sinistra democristiana lombarda senza pari in Italia, una Cisl che, specie nella Fim, si sarebbe trovata negli Anni Settanta piu' a sinistra della Cgil. * Sullo sfondo agivano senza clamore e in profondita' alcuni centri minoritari, noti anche a noi cattivi comunisti, non fosse che per il filo non spezzato della Resistenza, e fra questi la Corsia dei Servi, presso la chiesa di san Carlo al Corso, di Camillo de Piaz e Davide Turoldo. Avevano fin prodotto un foglio clandestino. Meno luccicante del successivo san Fedele dei Gesuiti di "Aggiornamenti sociali", la Corsia era piu' audace. C'era la guerra d'Algeria e vi portavamo gli insoumis e gente del Fln che ci arrivava dalla Francia; Camillo e Davide li ospitavano, documenti o no. Approdo' alla Corsia giovanissimo il poeta Kateb Yacine, mentre Jeanne Modigliani, figlia di Amedeo, portava in un valigione da Parigi, il foglio del Maf (Mouvement anticolonialiste francais) che si stampava qui con i soldi di Giangiacomo Feltrinelli. La Corsia aiutava a sistemare i rifugiati, a far partorire qualche madre senza carte, a diffondere la stampa. Turoldo e de Piaz erano di poche parole e grande efficienza; ne' loro ne' noi sapevamo che Enrico Mattei guardava con attenzione all'Algeria per il petrolio, e la nostra clandestinita' era probabilmente seguita da occhi governativi piu' benevoli di quelli del Pcf e, fraternita' obbliga, del Pci. Meno tollerante il Vaticano. Non ci stupi' che i due, poco amati dalle gerarchie, fossero un bel momento rimossi, la Corsia acquietata e Turoldo spedito nell'alta Lombardia, a Tirano, dove Camillo vive tuttora. * E predica il Vangelo. La parola. Per come ci e' stata tramandata, con un commento breve e semplice. Per me e' stata una lettura intrigante. Non sono interventi sull'attualita', ne' su questioni teologiche, sono l'esposizione di qualche passo del vecchio Testamento, di una delle lettere paoline e di uno dei vangeli, come prescritto dalla liturgia; di Paolo soprattutto la Lettera ai Romani, dei Vangeli soprattutto quello di Giovanni. Il lettore e' indotto al percorso inverso, ad andarsi a cercare i passi per capire il commento, e cogliere il sale che volta a volta Camillo vi ha messo. Ma non e' un buon sistema. La scelta segue l'ordine liturgico, non quello temporale, una lettura di Quaresima del 1953 precede subito una di Pasqua del 1983 o viceversa, e prende di sorpresa trovare nel 2000 "le beatitudini presenti". In quale contesto cadevano quelle parole? Nel 1972 si parla d'un "sangue innocente recentemente versato": sangue di chi? E perche' proprio questi pezzi sono stati scelti nella predicazione di oltre quaranta anni? E perche' alcuni anni mancano? Si insegue Camillo su e giu' dall'indice ai passi del Libro e alla memoria, prima di capire quanto sia determinato, se non malizioso da parte di un sacerdote, che si e' impegnato nelle traversie del mondo, metterci davanti alla intemporalita' della Parola. * Rivelatore quel che dice cominciando una messa di natale alla fabbrica Innocenti occupata: "Uno come me che non fosse figlio di un operaio e non avesse fatto le scelte che ha fatto, sarebbe tentato di dare a questa messa un carattere demagogico". Perche' ha "ben vivo il luogo e il momento". Ma "sarebbe offensivo nei vostri confronti". Un prete non ha nulla da insegnare agli operai in lotta, puo' dirgli quel che hanno in comune: la non accettazione del "fare" ridotto a "merce". "Che senso ha la vostra lotta se non rivendicare la pienezza dell'umanita', di creature liberate?". E' inumana la civilta' del mercato e del consumo, la sola che estorca qualche invettiva al suo parlare misurato, che mette in parallelo, ne' piu' ne' meno, le lotte terrene con la promessa messianica. Diversamente da altri, Camillo non si scontra con la teologia, legge le scritture secondo verita', e gli va bene che sia quella della Chiesa, cui rimprovera soltanto le tentazioni di potere e le concessioni mediatiche. Non risuonano i suoi commenti di propositi fracassanti contro una gerarchia che tradirebbe la parola, diffida dal luteranesimo che rifiuta la mediazione della Chiesa fra la persona e la parola. La Chiesa, dice di passaggio - e non si capisce se sia un elogio o una scusante - e' la parola cresciuta nella storia. * Il "Date a Cesare quel che e' di Cesare, e a Dio quel che e' di Dio" per lui e' un intransigente distinguo contro la pretesa, ingenua, di far a meno della chiesa o la poco ingenua pretesa ecclesiastica di avere un magistero sulle cose del mondo. I piani sono due, non confondiamo, niente pasticci. Ma della parola gli uomini hanno sete, un'altra sete, come il Cristo dice alla samaritana sorpresa che a lei, straniera, chiacchierata, egli chieda dell'acqua. Tutti stranieri siamo, per Camillo, tutti in qualche misura esclusi, tutti assetati, di sapere, di raggiungere. Mio dio, esclama a un certo punto, non sara' che in ogni raggiungimento c'e' qualcosa di satanico? Ma e' un grido strappato nell'oscillare di ogni cristiano fra mondo interamente umano e totalita' di Dio. Non vi risponde. 5. MATERIALI. TANO GRASSO: UN DECALOGO CONTRO L'ESTORSIONE [Da Tano Grasso, Contro il racket, Laterza, Roma-Bari 1992. Tano Grasso e' nato a Capo d'Orlando, in provincia di Messina, nel 1958; laureato in filosofia a Firenze, commerciante, presidente dell'Acio (l'Associazione dei Commercianti ed Imprenditori Orlandini fortemente impegnata contro il racket delle estorsioni, che ha denunciato i mafiosi e li ha fatti condannare in tribunale), poi parlamentare, membro della Commissione parlamentare antimafia, primo firmatario della proposta di legge contro l'usura, poi apprezzato Commissario Straordinario di Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, rimosso per volonta' del governo attuale. Ha dato un notevole contributo nella lotta contro il racket delle estorsioni, la mafia, l'usura. Nella presentazione del suo primo libro, Contro il racket (Laterza, Roma-Bari 1992), scriveva: "Caro lettore, cara lettrice, non sono uno scrittore, anche se sono l'autore del libro che hai nelle mani. Non sono un teorico, anche se gli studi di filosofia all'Universita' di Firenze mi hanno lasciato dentro il gusto di ragionare e di capire. Non sono un politico, anche se siedo sui banchi del Parlamento della Repubblica italiana. Sono un commerciante di scarpe. Insieme ad altri commercianti mi sono trovato a vivere un'esperienza incredibile. Anch'io, ancora oggi, quando ripenso a tutto quello che e' successo negli ultimi due anni, stento a crederci. La rivolta contro il racket, l'assassinio di Libero Grassi, i funerali, le interviste, gli studi televisivi, il processo, gli estorsori condannati, nuovi funerali, gli incontri nelle scuole, nelle piazze, nelle chiese, le mani strette per strada. Stento a crederci. (...) Questa e' la mia testimonianza, e non solo la mia". Opere di Tano Grasso: Contro il racket, Laterza, Roma-Bari 1992; Ladri di vita, Baldini & Castoldi, Milano 1996; I fondi antiusura e antiracket, in Luciano Violante (a cura di), I soldi della mafia. Rapporto '98, Laterza, Roma-Bari 1998. Opere sull'esperienza dell'Acio e della resistenza antimafiosa a Capo d'Orlando: Fulvio Abbate, Capo d'Orlando. Un sogno fatto in Sicilia, Theoria, Roma-Napoli 1993; Salvatore Costantino, A viso aperto. La resistenza antimafiosa di Capo d'Orlando, La Zisa, Palermo 1993] 1. Non sottovalutare mai la prima telefonata, il primo segnale "strano", il primo passaggio dal negozio di persone sospette. 2. Mettiti subito in contatto con le forze dell'ordine. In questa fase un contatto con le autorita' di polizia non richiede la formale denuncia del presunto estorsore ne' e' detto che il passaggio successivo debba essere, sempre e in ogni caso, la deposizione in tribunale. 3. Collabora con la polizia, chiedi che in questa fase ti sia garantito il necessario anonimato. Insieme si puo' individuare una strategia di attacco che consenta una serie di indagini per "incastrare" coloro che tentano l'estorsione, senza la necessita' di chiamare in causa direttamente la vittima. Una volta individuati, possono, ad esempio, essere arrestati per altri reati. 4. Non chiudere subito la trattativa con l'estorsore: non dire ne' si' ne' no. Bisogna prendere tempo. Se matura nella vittima la consapevolezza e la disponibilita' a giungere fino in fondo, si possono attuare strategie piu' impegnative. 5. Devi farli arrestare tutti. Di solito, all'inizio, il criminale tende a dare ampi margini di tempo per decidere. Si apre una vera e propria trattativa per la definizione del quanto pagare. Non precipitare i tempi serve a fare venire allo scoperto il maggior numero di persone coinvolte. Si evita cosi' di far arrestare solo l'ultima ruota del carro. Nel momento in cui si va a chiudere la trattativa interviene sempre un personaggio di rilievo della famiglia mafiosa che spende la propria autorevolezza per superare le ultime esitazioni della vittima. Adesso puo' scattare la "trappola". 6. Non fidarti dei falsi amici. Spesso entrano in gioco nuove figure che intervengono per svolgere la mediazione. Ovviamente si tratta di una mediazione apparente, essendo priivilegiati gli interessi di chi estorce. Chi interviene e', di solito, un altro imprenditore che gia' paga da molto tempo e il cui livello di invischiamento e' ad uno stadio gia' avanzato. 7. Non cedere alla paura. Durante la trattativa si ricorre all'uso di forme di violenza, attentati e minacce, al fine di superare l'eventuale resistenza della vittima, impaurendola. E' il momento piu' delicato. Se cedi adesso, e' finita: hai ceduto per sempre. E' il momento di assumerti la responsabilita' piu' impegnativa. Mai e poi mai bisogna pagare. 8. Evita di esporti da solo. Il coraggio del singolo non e' mai sufficiente, occorre l'"intelligenza". Come si puo' intervenire per ridurre al minimo il rischio individuale? Lo strumento quasi magico e' l'associazione. Occorre parlare con altri colleghi, coinvolgere le associazioni di categoria. Laddove queste non sono sensibili bisogna dar vita ad altre associazioni. Deve nascere una rete di protezione attorno a chi ha deciso di ribellarsi. 9. Ricerca la solidarieta' dell'intera comunita'. L'estorsione non riguarda solo gli imprenditori e gli operatori commerciali, ma tutti i cittadini. Non sentirsi isolati da' forza. In un primo momento puo' anche succedere che si venga guardati con sospetto o che perlomeno vi sia una sottovalutazione del fenomeno. L'iniziativa pubblica dell'associazione serve a coinvolgere il maggior numero di soggetti, politici e istituzionali, e anche i comuni cittadini, la societa' civile. E' questa la vera protezione alla tua persona. 10. Ora non sei piu' solo. L'associazione, con i propri legali, interviene nel processo penale costituendosi parte civile. Fiduciosi bisogna aspettare la sentenza di condanna. 6. MATERIALI. TANO GRASSO: UN DECALOGO CONTRO L'USURA [Da Tano Grasso, Ladri di vita, Baldini & Castoldi, Milano 1996] 1. Rivolgiti subito ai superiori dell'istituto di credito quando la banca ti nega un prestito, e ti sembra che sia un'ingiustizia. Cerca di ottenere una motivazione per il diniego e sforzati di capire. E' possibile che ci siano anche errori nel piano finanziario e nell'organizzazione complessiva della tua azienda. Se e' cosi' alle difficolta' di oggi ne seguiranno altre, piu' gravi, domani. In questi casi hai bisogno di consulenza piu' che di denaro. Cerca di farti aiutare da un'associazione di difesa dei consumatori. Ricordati che l'Abi ha approvato un Codice di comportamento per le banche aderenti che prevede, fra l'altro, di ridurre il più possibile i tempi per la concessione degli affidamenti e di seguire criteri di trasparenza nelle procedure per la valutazione delle relative richieste. Verifica se l'istituto di credito a cui ti sei rivolto ha aderito al Codice di comportamento e segnala eventuali inadempienze all'Abi. 2. Denuncia subito se qualcuno della banca che ti ha negato il credito ti indica altri (privati o finanziarie) cui rivolgerti per avere un prestito. Ricordati che l'aderente al Codice di comportamento si e' impegnato a rafforzare le procedure interne per il controllo del proprio personale. La nuova legge antiusura prevede una sanzione penale per chi, nell'esercizio di un'attivita' bancaria, indirizza un cliente verso un soggetto non abilitato all'esercizio dell'attivita' finanziaria. 3. Leggi con attenzione tutte le clausole contrattuali quando ti viene concesso il credito. In caso di dubbi fatti assistere da un'associazione. Tanto i tassi che ti vengono proposti quanto le altre condizioni possono essere contrattati. Non dimenticare che tu sei un cliente che paga un servizio e non il beneficiario di un atto di generosita'. Ricordati che, sulla base del Codice di comportamento, la banca e' tenuta a fornire, se lo richiedi, una copia in bianco del contratto relativo al prodotto o al servizio offerto, prima della firma dello stesso contratto. 4. Cerca di concordare sempre un piano di rientro se improvvisamente la banca ti chiede il rimborso del credito. Fatti assistere da un consulente. Ricordati che una banca che opera correttamente ha interesse a recuperare i crediti e a non far fallire i propri clienti: per questo non puo' non prendere in considerazione ogni fattiva proposta di pagamento del debito. Se ti si chiede un aumento del tasso di interesse concordato, verificane la legittimita'. Cerca di evitare gli sconfinamenti (il denaro costa di piu' e tu sei in una posizione di debolezza): opera per trasformare l'extra-fido in normale affidamento o cerca all'inizio del rapporto di contrattare un affidamento piu' elevato secondo le tue esigenze. Attento, che se operi con lo sconfinamento il direttore della banca ha un enorme potere discrezionale per importi il rientro immediato. 5. Assicurati quando ti rivolgi a una finanziaria che sia abilitata a esercitare il credito. C'e' una legge che obbliga a essere iscritti in un apposito elenco e questa condizione deve essere pubblicizzata. Adesso questo obbligo vale anche per chi esercita l'attivita' di mediazione o di consulenza finanziaria. Assicurati sempre che tutte le condizioni risultino dal contratto: diffida da chi ti propone tassi troppo alti o troppo bassi. Non rilasciare mai assegni tuoi o di terzi a garanzia; se rilasci effetti cambiari, accertati che cio' risulti nel contratto. Se l'adempimento delle tue obbligazioni e' garantito da beni mobili o immobili, verifica che cio' risulti specificamente nel contratto: non firmare mai, comunque, promesse di vendita o similari. 6. Non rivolgerti mai, per nessuna ragione, a chi ti offre denaro in prestito con rapide procedure chiedendoti in cambio interessi elevati o altre pesanti condizioni. Costui, anche se non e' un usuraio, anche se e' un amico, e' per te l'anticamera dell'usuraio. Ricordati che l'usuraio non ti sara' mai amico, non sara' mai il tuo salvatore, ma il tuo carnefice. Se entri nel "giro" dell'usura, prima o poi, non sarai piu' proprietario della tua azienda ne' dei tuoi beni. 7. Rivolgiti a un Consorzio fidi o alla Fondazione antiusura piu' vicina alla tua citta' se nessuna banca o finanziaria e' in grado di garantirti un prestito. La nuova legge contro l'usura ha stanziato delle somme per consentire a queste strutture di prevenzione di offrire prestiti garantiti dai loro fondi rischi a chi non e' "meritevole" per il mondo del credito. 8. Denuncia prima possibile l'usuraio. Non esitare a rivolgersi alle autorita' di polizia. Non perdere mai tempo: prima denunci e maggiori sono le possibilita' di tornare alla vita normale. Non aspettare di essere completamente strozzato. L'usuraio, approfittando delle tue condizioni di difficolta' economiche, ti offre un prestito con interessi sproporzionati o con altre condizioni vessatorie oppure con interessi che eccedono il "tasso soglia" stabilito dalla legge. Adesso esiste una legge che aiuta le vittime d'usura che hanno denunciato offrendo loro un prestito senza interessi di durata quinquennale. Rivolgiti alla prefettura della tua provincia o a una associazione di categoria per chiedere informazioni sulle procedure di accesso al Fondo di solidarieta' per le vittime d'usura. 9. Fatti furbo. Chi ti offre denaro in prestito lo fa solo perche' ci guadagna. Tu devi cercare di difenderti. Cerca di segnare sempre tutti i movimenti di contante e di titoli, tutti i "dare" e "avere": possono essere decisivi come prova del tuo sfruttamento usuraio. Quando ti incontri con l'usuraio cerca di registrare le conversazioni o di avere testimoni. 10. Fai valere i tuoi diritti. Nel caso in cui l'usuraio agisca per il recupero coattivo del credito, non esitare a opporti nelle forme di legge: mai l'usuraio puo' presentare istanze di fallimento contro di te e se viene accertato il rapporto usuraio il contratto viene annullato. Non dimenticare che un'azione civile alle volte puo' essere sospesa quando e' pendente un procedimento penale per usura. Ricordati che con la nuova legge il presidente del tribunale puo' disporre la sospensione della pubblicazione o la cancellazione del protesto a seguito di un titolo di pagamento presentato da un imputato per il delitto d'usura. Ricordati, ancora, che il protestato che ha adempiuto all'obbligazione entro un anno dal levato protesto puo' ottenere la riabilitazione. In ogni caso, non restare mai solo: cerca il sostegno di un'associazione di categoria o di un'associazione antiracket. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 456 del 25 dicembre 2002
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