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La nonviolenza e' in cammino. 450
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 450
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 18 Dec 2002 19:50:05 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 450 del 19 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Una lettera al Presidente della Repubblica Italiana 2. Mao Valpiana: "ma-bap", un contributo alla riflessione promossa da Giancarla Codrignani 3. Clotilde Masina Buraggi, psicopatologia della guerra 4. Antonio e Mariella Vermigli, con padre Julio e con i bambini di strada 5. Alex Zanotelli, ci puo' essere ancora un buon Natale 6. Armanda Guiducci, la corte 7. Peppe Sini, una introduzione al "Lamento della pace" di Erasmo da Rotterdam 8. "Femmis": la Convenzione permanente di donne contro le guerre per un'Europa neutrale e di pace 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. APPELLI. UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA [Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo ha diffuso ieri la seguente lettera al capo dello stato] Signor Presidente della Repubblica, i mezzi d'informazione riferiscono che il Ministro della Difesa avrebbe dichiarato che l'Italia metterebbe a disposizione di una eventuale guerra all'Iraq spazi aerei e basi, ovvero che l'Italia prenderebbe parte alla guerra. Questa dichiarazione gia' di per se' costituisce una flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana e favoreggia la preparazione di una guerra illegale e criminale che e' invece compito di ogni persona di volonta' buona scongiurare, una guerra che la legge fondamentale del nostro stato inequivocabilmente ripudia. E' indispensabile un suo autorevole intervento in difesa della legalita' costituzionale di cui e' supremo garante. Dica, senza esitazioni e senza ambiguita', che l'ordinamento giuridico italiano, la Repubblica Italiana, si fonda ancora sulla Costituzione che "ripudia la guerra". Dica che nel nostra paese vige ancora la legalita' costituzionale e repubblicana, e non la barbarie, l'anomia, il gangsterismo. Richiami i ministri e i parlamentari al rispetto della Costituzione cui hanno giurato fedelta'. Un suo silenzio potrebbe essere interpretato come complicita' con i golpisti e gli stragisti che stanno preparando la guerra e la partecipazione italiana alla guerra illegale e criminale. * Signor Presidente, sia lei a guidare l'opposizione alla guerra e la difesa della legalita' costituzionale: poiche' questo e' attributo della sua alta funzione istituzionale. Sia lei a dichiarare fuorilegge quei governanti e quei parlamentari che alla guerra illegale e criminale volessero far partecipare anche il nostro paese anziche' anch'essi impegnarsi - come impone il dettato costituzionale - affinche' la guerra sia impedita. * Signor Presidente, fin d'ora anche a lei dichiariamo che qualora l'Italia prendera' parte alla guerra noi ci impegnemo in difesa della Costituzione, della legalita', della pace, del diritto alla vita di ogni essere umano. E se la partecipazione italiana alla guerra consistera' nel mettere a disposizione dei bombardieri stragisti basi aeree in territorio italiano, noi fin d'ora ci predisporremo a riprendere, con piu' ampiezza e continuita', l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere della pace" che impedisca i decolli dei bombardieri dalle basi aeree site nel territorio italiano ostruendo lo spazio aereo di decollo antistante e sovrastante le basi medesime. A tal fine fin d'ora torniamo a diffondere un appello all'azione diretta nonviolenta in difesa della legalita' e della pace ed inviamo a molti interlocutori un dossier documentario su quell'iniziativa che siamo pronti a riprendere e a nuovamente realizzare insieme ad ogni altra limpida e doverosa iniziativa nonviolenta che si rendesse opportuna e necessaria per difendere la legalita', la Costituzione, la Repubblica, e con esse la pace e le concrete vite degli esseri umani dalla guerra minacciate, se l'Italia fosse trascinata in guerra da dirigenti politici golpisti e stragisti, se fosse necessario ancora una volta tornare ad impegnarci direttamente e nonviolentemente per opporci alla guerra in quanto cittadini italiani impegnati in difesa della Costituzione, della legalita', della pace, del diritto alla vita di ogni essere umano. 2. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: "MA-BAP", UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROMOSSA DA GIANCARLA CODRIGNANI [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per questo intervento. Mao Valpiana e' direttore di "Azione nonviolenta" e carissimo tra gli amici piu' cari] Il dibattito aperto da Giancarla Codrignani sul contributo femminile alla teoria e alla prassi della nonviolenza nel corso della storia, e sul pensare e l'agire delle donne come indicazioni indispensabili e decisive per sconfiggere la guerra che e' la prima nemica dell'umanita', e' sacrosanto. Tuttavia, non mi sento adeguato ad intervenire. Preferisco starmene zitto zitto ad ascoltare quello che tante straordinarie donne hanno da dire, come quando da bambino ascoltavo a bocca aperta le belle storie che raccontava la mia nonna. Segnalo solo una piccola perla, trovata nella bella antologia La pace giusta - testimoni e maestri fra '800 e '900, curata da Emilio Butturini (Casa Editrice Mazziana). Ad un certo punto, parlando di Gandhi, si dice: "E' noto del resto come egli stesso al solenne appellativo Mahatma preferisse quello che gli davano gli umili di Bapu o Bapuji (babbo, babbino) o i suoi intimi, dai quali amava farsi chiamare Ma-bap, un condensato di affetto materno e paterno" (p. 90). Ecco, forse nei confronti del mondo dovremmo cercare di essere cosi': mamma e papa' insieme. 3. RIFLESSIONE. CLOTILDE MASINA BURAGGI: PSICOPATOLOGIA DELLA GUERRA [Ringraziamo Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per averci trasmesso questa relazione di Clotilde Masina Buraggi tenuta nell'ambito di un ciclo di incontri nel 1999 (di qui i frequenti riferimenti alla guerra dei Balcani allora in corso). Clotilde Masina Buraggi e' psicoanalista, ed e' impegnata nella cultura e nei movimenti di pace e di solidarieta'] La mia relazione vuole essere una riflessione di ordine psicologico sulla guerra: il che non vuol dire che io pensi che la guerra abbia solo motivazioni psicologiche: so che ne ha anche tante altre. Pero' siccome la guerra de stata nei secoli idealizzata, io vorrei invece far vedere che essa e' un fenomeno che impedisce alla ragione di essere padrona in casa propria, per le emozioni distruttive che alimenta e che sono difficili da contenere, e perche' spinge anche gli individui apparentemente piu' sani a compiere azioni che in un periodo normale sarebbero considerate folli e colpevoli. Non e' un caso che nelle guerre gli omicidi si accompagnino agli stupri e a ogni genere di atto sadico e non ci sia piu' riguardo nemmeno per quelle categorie, come i vecchi e i bambini, che di solito, in tempo di pace, sono rispettate perche' deboli. * Nel 1932 Einstein scrisse una lettera a Freud esprimendo la sensazione di impotenza di tante persone di fronte al fenomeno della guerra e chiedendogli di aiutarlo ad affrontare questo problema, lui che aveva fama di avere vasta conoscenza della vita istintiva umana. Einstein si chiedeva come mai le masse si lascino asservire da una minoranza che ha interessi particolari nel fare la guerra, e faceva l'ipotesi che l'uomo alberghi in se' il bisogno di odiare e di distruggere, bisogno che verrebbe facilmente aizzato e portato alle altezze di una psicosi collettiva. Freud gli rispose che quella ipotesi coincideva con la realta' e che gli uomini erano ancora al livello di barbari. Anche molti psicologi che hanno riflettuto sulla guerra in epoche piu' recenti condividono questo giudizio e considerano anche loro la guerra come un fenomeno psicotico. Dato che questa conversazione non vuole avere un carattere scientifico ma solo lo scopo di farci riflettere, usero' poco le citazioni tra virgolette. Voglio comunque citare alcuni autori dai quali ho tratto molte mie idee: innanzitutto Franco Fornari, del quale devo citare almeno alcuni testi: Psicoanalisi della guerra atomica (1964), Dissacrazione della guerra (1969), Psicoanalisi della guerra (1979); e John Steiner: I rifugi della mente (1993); inutile dire che ho attinto anche ai "mostri sacri" della psicoanalisi come Freud, la Klein ecc. A chi vuole approfondire l'argomento, consiglio una piccola antologia degli scritti di Franco Fornari, Psicoanalisi e cultura di pace, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992. * Franco Fornari, un grande psicoanalista italiano, purtroppo prematuramente scomparso, ha studiato approfonditamente la guerra arrivando a una diagnosi psicologica: la guerra era per lui una elaborazione paranoica del lutto. Siccome considero questa diagnosi molto importante (anche se la definizione puo' scoraggiare i non addetti ai lavori) cerchero' di chiarirla insieme a voi. Devo cominciare un po' da lontano. Come tutti sappiamo, l'uomo, quando nasce, inizia un percorso di sviluppo che termina solo al momento della morte (o forse dopo la morte, secondo i credenti), e che ha tappe particolarmente importanti da superare nei primi anni della vita; l'uomo, inoltre, a differenza di tanti animali di livello inferiore nella scala evolutiva ha bisogno di adulti protettivi per svilupparsi, che, soprattutto quando e' piccolo, siano in grado di fornirgli un ambiente facilitante, cioe' caldo e pieno d'amore. Lo sviluppo normale di una persona e' complicato e difficile: ahime', nello sviluppo, oltre che andare avanti, ci si puo' anche arrestare o tornare indietro (un tornare indietro che noi psicologi chiamiamo regressione). Questo avviene per ragioni traumatiche, per esempio per le sofferenze di una guerra. Chissa' quanti bambini serbi e kosovari, in questo momento, stanno regredendo... e non solo bambini! Sin dai primi tempi della vita, il piccolo prova emozioni piacevoli ed emozioni spiacevoli, e le sente vive dentro di se' un po' come se fossero prodotte da fate o streghe. Poi, con l'aiuto della madre, impara a riconosce re tali emozioni, a dividere quelle buone da quelle cattive, a scinderle (da qui la parola "schizo", che in greco vuol dire dividere), e siccome quelle che gli fanno paura sono particolarmente pesanti da tenere dentro, le affida come in un deposito alla madre perche' gliele tenga lei. So di un bambino che un giorno chiese alla sua mamma: "I miei sogni brutti me li tieni tu?". Questo movimento di depositare in un altro, esterno, le proprie emozioni, di "mettere fuori", noi psicologi lo chiamiamo "proiezione". Ma ogni proiezione, come un boomerang, torna indietro, e il movimento della proiezione e dell'introiezione (cioe' il ritorno delle emozioni all'interno del bambino) somiglia un po' al ritmo del respiro: espirazione e inspirazione. Tornano dentro tanto le emozioni buone che quelle cattive: noi psicologi chiamiamo "paranoia" la proiezione con conseguente ritorno delle emozioni cattive. Tale modalita' di funzionamento psichico che una grande psicologa, Melanie Klein, ha chiamato posizione schizo-paranoide, e' una tappa normale dello sviluppo psichico; e questo modo di funzionare rimane dentro di noi anche quando diventiamo adulti, ma non in modo uguale in tutti: in alcuni questo funzionamento viene attenuato dalla maturita' e piu' o meno rimosso, cioe' inabissato nell'inconscio; in altri il cui sviluppo e' stato meno favorito o addirittura si e' arrestato o e' tornato indietro, cioe' e' regredito, esso rimane nella sua crudezza. E' chiaro che liberarsi delle proprie angosce scaricandole su un altro, il capro espiatorio, ci fa sentire alleggeriti delle nostre parti negative. "E' stato lui, e' colpa sua, io non c'entro": chi di noi puo' dire di non avere mai detto o pensato frasi del genere? Quando pero' questa modalita' proiettiva e' presente nell'inconscio con quote troppo massicce e impedisce altri funzionamenti piu' maturi, siamo di fronte alla psicosi. Nella paranoia dell'adulto ci si puo' sentire minacciati di avvelenamento da parte di un vicino semplicemente perche' si e' litigato con lui per una ques tione di poco conto. E' interessante notare che qualche volta il capro espiatorio e' un innocente ma piu' spesso, dato che gli innocenti tra noi sono pochi, viene scelto a questo scopo una persona o un gruppo che possiede davvero qualcuna delle caratteristiche negative che noi gli attribuiamo, anche se le possiede in proporzione molto minore di quello che noi sentiamo. E' probabile che le persone perseguitate come streghe nei secoli scorsi fossero donne asociali ma certamente non potevano spargere la peste o amoreggiare con il diavolo. La paranoia genera in chi la sente, odio e sentimenti di vendetta, in una escalation distruttiva che si radicalizza sempre piu' man mano che cresce il senso di persecuzione e man mano che ci si difende da questo senso di persecuzione ricorrendo a difese di tipo maniacale: "Noi siamo piu' forti di loro e se non stanno buoni li faremo a pezzi". Allora si passa dall'idea di avversario all'idea di nemico: la paranoia, quando diventa fenomeno collettivo, genera la guerra. Fornari ricorda che nello "Stuermer", il settimanale del razzismo nazista, la colpa della guerra veniva attribuita tutta agli ebrei, gli ebrei erano il diavolo che andava combattuto ed erano la disgrazia del popolo tedesco. Alla fine della guerra per l'opinione pubblica internazionale il diavolo era diventato Hitler che aveva provocato, lui solo, la rovina dell'Europa. Una parte di tedeschi, poi, addossando ogni colpa a Hitler si scaricava delle proprie responsabilita' nei confronti dei lager. Gli esempi che si potrebbero fare sono tanti: pensate a Reagan che scarica le proprie responsabilita' di incrementare gli armamenti, dichiarando l'Unione sovietica "impero del male", e a Clinton che per giustificare i bombardamenti sulla Serbia, ha parlato di Milosevic come di un nuovo Hitler. * In un buono sviluppo umano non si puo' continuare a funzionare secondo meccanismi schizo-paranoici ma si dovrebbe passare a una nuova tappa, che Melanie Klein ha chiamato posizione depressiva la quale, a sua volta, va superata per raggiungere la maturita'. In che cosa consiste la posizione depressiva? Il bambino, a questo livello, raggiunge una maturita' sufficiente da poter capire che se in un impeto di rabbia fa cadere per terra un giocattolo, quello si rompe e lui non ce l'ha piu'; e pensa che lo stesso puo' avvenire per la madre: quando il bambino reagisce con la propria rabbia a un comportamento della madre che ritiene cattivo, (per esempio se gli fa un'iniezione), proietta a sua volta sulla madre le propria cattiveria; e se la madre si arrabbia, egli puo' temere di averla irrimediabilmente danneggiata e anche perduta. Questo timore della perdita, che il bambino non aveva prima, genera un nuovo tipo di angoscia che dagli psicologi viene chiamata angoscia depressiva. Le angosce depressive sono cariche di senso di colpa: "E' perche' sono stato cattivo che la mamma mi lascia". Un'angoscia di tipo depressivo la proviamo anche da adulti quando una persona che ci era cara muore e non possiamo farla tornare in vita. La perdita e' irreparabile e noi ci sentiamo colpevoli. Una mia paziente, per esempio, aveva un senso di colpa depressivo relativo al fatto che la madre era morta mettendola al mondo, cioe' "per colpa sua". * Poi arriva una nuova tappa dello sviluppo. Di fronte alle angosce depressive si puo' reagire in vari modi. Si puo' affrontarle in un modo positivo, che e' quello di avere fiducia nell'amore della madre, la quale, anche se si e' arrabbiata con noi, ci perdonera' e ci vorra' ancora bene; di riconoscere quindi che la madre che abbiamo sentito cattiva non ha distrutto la madre buona ma e' la stessa persona, la quale ha aspetti buoni e cattivi, e di riconoscere nello stesso tempo che anche noi siamo fatti di parti buone e cattive, e che le nostre parti cattive non sono cosi' potenti da distruggere tutto il bene che e' in noi. Oppure si possono affrontare le angosce depressive in un modo negativo: o con la disperazione che puo' portare a gesti pericolosi per la propria persona, o con la regressione alla posizione schizo-paranoide di cui ho parlato prima. In questo secondo tipo di reazione viene negato il proprio senso di colpa e di perdita, che puo' apparire insopportabile nella sua irreparabilita' e tutte le colpe vengono proiettate, cioe' addossate, agli altri. E' un fenomeno che succede spesso nelle famiglie ("E' per colpa tua che nostra madre e' morta") e succede anche fra i popoli. E' quella che Fornari chiama l'elaborazione paranoica del lutto: la guerra e' tale perche' i popoli si addossano a vicenda le colpe di ogni tipo di sofferenza che deriva da un lutto, cioe' dalla perdita di un bene prezioso come la patria, la liberta' o anche il benessere economico senza chiedersi se essi stessi non sono corresponsabili di tale perdita. * In una terapia psicoanalitica le angosce depressive sono segno di un buon progresso a patto che esse conducano a quella che noi psicologi chiamiamo integrazione, ossia alla capacita' di cucire dentro di noi le parti positive e quelle negative: quelle parti che non ci piace riconoscere, che ci danno sensi di vergogna e dalle quali ci sentiamo anche messi in pericolo. Una mia paziente ha espresso tale concetto in un'immagine onirica. Con delle graffette metteva insieme una carta geografica dell'Italia in cui le regioni erano tutte staccate una dall'altra e in cui alcune regioni erano rovinate perche' lei ci aveva fatto cadere sopra dell'inchiostro. Questo tenere insieme e' come l'assemblaggio delle parti di un'automobile che le permette di uscire dalla fabbrica-madre, e di avviarsi verso il traffico. In altre parole, a questo punto, possiamo capire e accettare, anche se ci fa paura, che non possiamo rimanere sempre bambini attaccati ai genitori e che ci dobbiamo separare da loro e imparare a essere autonomi. A questo livello riusciamo a tollerare che essi non svolgano piu' una funzione protettiva nei nostri confronti e riusciamo a capire che la maturita' implica il superamento degli atteggiamenti di dipendenza e l'impegno per una costruzione di rapporti relazionali alla pari con i fratelli, gli amici, il partner. * Nel caso di una guerra fra stati una elaborazione del lutto non paranoica dovrebbe portare ciascuno dei contendenti a riflettere sulle proprie responsabilita' nello scatenamento della guerra. Invece di dire: "E' lui il colpevole", ci si dovrebbe chiedere se abbiamo davvero ricercato tutti i modi possibili per fare veramente la pace o abbiamo chiesto - come a me pare sia avvenuto a Rambouillet - condizioni che rispecchiano solo i nostri interessi o il nostro desiderio di annientare quello che consideriamo il nostro nemico. Qui ci dovrebbe aiutare il conscio che deve sempre collaborare con l'inconscio. Dovremmo chiederci se non siamo noi che in modo paranoico vogliamo distruggere l'altro. Magari perche' abbiamo paura che ci tolga il nostro petrolio, come ho sentito dire alla televisione da una bambina americana ai tempi della guerra del Golfo, o perche' l'altro minaccia il nostro tenore di vita (noi europei sappiamo bene di essere dei privilegiati), o perche' l'altro ha credenze religiose diverse dalle nostre e sentiamo il timore di una persecuzione. Se si vuole uscire dal circuito malefico delle proiezioni e delle introiezioni ("se lui vuole uccidermi, io mi difendo; se lui non tollera la mia diversita' etnica, io lo distruggo, cosi' lui sara' costretto ad accettarla con la forza"), l'unico modo e' quello di riconoscere che la propria distruttivita' va contenuta e anche modificata, ma mai ripudiata e proiettata. Gesu' di Nazareth, che per me e' anche un eccezionale esempio di maturita' psicologica, non proiettava ma piuttosto accoglieva le proiezioni degli altri: per questo e' stato considerato la vittima innocente che ha portato su di se' il peccato del mondo; si potrebbe dire: ha portato su di se' le proiezioni paranoiche del mondo, che lo hanno ucciso. * Tutti gli psicoanalisti che hanno studiato il fenomeno della guerra sono concordi sulla necessita' di assumere la responsabilita' delle proprie quote aggressive come unica strada per risolvere i problemi della guerra. La guerra originaria e' dentro ciascuno di noi, dice Fornari, e ognuno deve comporre i suoi conflitti nella pace dello spirito. La Magherini, un'altra nota psicoanalista italiana, scrive: "La psicoanalisi riconduce il fenomeno guerra all'individuo e alla sua responsabilita' etica, al singolo e al suo inconscio". In altri termini, quando c'e' un conflitto in qualsiasi parte del mondo, cioe' nel corpo della nostra Madre Terra, ne siamo tutti responsabili; e non possiamo sottrarci a questa responsabilita' chiudendoci nella passivita' e nella convinzione di essere impotenti. Sono principi che cominciano, fortunatamente, a essere presenti nell'opinione pubblica: Gianni Morandi in una canzone che ha vinto anni fa il Festival di Sanremo, "Si puo' dare di piu'", canta: "Perche' la guerra e la carestia - Non sono scene viste in tv - E se tu dici lascia che sia - Un po' di colpa ce l'hai anche tu". Ma come mai, allora, non teniamo conto di meccanismi psichici descritti persino in canzoni di successo? Gia' centinaia di anni fa Sofocle nell'"Edipo re" ci ha mostrato la complessita' dell'uomo il quale, come Edipo, sa e non sa, vede e non vede, cerca la verita' e ne ha paura, e' intelligente ma non usa la sua intelligenza, ed e' capace di mostruosi mascheramenti di cui non si rende conto. Tiresia nell'"Edipo re" dice: "Intelligenza, che cosa assurda quando non matura frutto a chi e' cosciente". Il rifugiarci in livelli infantili di sviluppo puo' portare, e di fatto porta in questo periodo, anche ad altre conseguenze politiche. Questa regressione fa si' che, almeno a livello inconscio, ci sentiamo come bambini piccoli che hanno bisogno di un genitore che li difenda e che viene sentito tanto piu' protettivo quanto piu' viene idealizzato nella sua potenza. Senza il suo scudo il bambino sente di non essere in grado di affrontare la vita. * Oltre alle ragioni di realta' di questa guerra che sono state elencate nella nostra riunione precedente, a me pare che l'automatismo che ha portato molti stati e una parte cosi' grande dell'opinione pubblica europea ad accettare l'iniziativa americana della guerra Nato sia dovuto anche a fantasie inconsce: sono le fantasie che si generano nei bambini quando si sentono terribilmente in pericolo se non obbediscono in modo passivo ai genitori. I genitori, in questo caso, sono gli Stati Uniti i quali hanno vinto anche per noi la seconda guerra mondiale, ci hanno nutrito dopo quel conflitto ed hanno poi per una generazione garantito il cosiddetto mondo libero, del quale facciamo parte, da possibili attacchi del blocco sovietico. * Alcuni psicologi hanno sottolineato che la guerra oltre che aspetti psicotici ha anche aspetti perversi. In quella patologia che viene chiamata perversione l'Io si frantuma in mille pezzi che poi vengono reincollati in modo mostruoso, come in un puzzle dell'orrore. E io ritengo che questa guerra sia particolarmente perversa. Il capitolo della perversione e' molto difficile da affrontare: uno dei segni che ci porta a sospettare in una situazione della presenza di elementi perversi e' la confusione che si genera nella nostra testa. Nella perversione la complicazione crescente di situazioni sempre piu' frammentate in cui il bene e il male si agglutinano insieme rende difficile una scissione buona, cioe' di discernimento tra cio' che buono e cio' che e' cattivo. Non si capisce piu' cio' che sarebbe giusto o ingiusto fare, con conseguente paralisi di ogni tipo di decisione. Nella guerra attuale, almeno all'inizio, la guerra veniva presentata, ma anche sentita da molti, come una cosa buona, come il dovere di aiutare le vittime della pulizia etnica; e veniva sentita come legittima, dunque, la decisione di bombardare la Serbia per portare aiuto ai kosovari. Ma le bombe, sentite come bene, avendo prodotto un numero mostruoso di vittime e avendo aggravato la situazione dei kosovari, sono un bene o un male? Un numero crescente di italiani comincia a confessare la sua confusione. Qui entra in gioco anche una confusione tra il piacere e la distruttivita'. Un mio paziente ha fatto recentemente un sogno sulla guerra in cui egli stesso uccideva i nemici, e lo ha commentato con queste parole: "La guerra ha il fascino di poter uccidere con il permesso dello Stato". Ai livelli piu' primitivi dell'inconscio le armi, per una sorta di perversione, possono essere sentite come simboli sessuali maschili e dunque con aspetti erotici e distruttivi coincidenti; questa e' la ragione per la quale tanti sono come affascinati dallo spettacolo dei missili e degli aerei che partono per bombardare; ma nell'individuo piu' maturo a livello onirico questo modo di simbolizzare cambia e si diventa capaci di distinguere tra la bonta' di un organo sessuale fecondante e la malvagita' di un'arma distruttiva. Invece nella perversione tale confusione continua a persistere. I caricaturisti hanno colto questo elemento di confusione perversa in tante loro vignette, che mostrano l'equazione tra simbolo fallico di Clinton e i missili o i potenti aerei affusolati. E' evidente che tali mezzi e l'iniziativa bellica hanno permesso al presidente degli Stati Uniti di superare il suo senso di castrazione prodotto da un avvilente processo che l'ha portato molto vicino all'impeachment. Come terapeuta, io sono convinta che Clinton, il quale come persona mi fa pena, avrebbe bisogno di una buona terapia e mi domando come sia possibile che gli Stati Uniti, i quali si considerano la piu' evoluta civilta' del mondo, abbiano espresso come loro rappresentante un politico che funziona, almeno in certi comportamenti, a livelli psicotici. * Se si esamina la storia delle guerre moderne, caratterizzate dalla creazione di armi sempre piu' potenti, ci si accorge che la perversione e' stata presente in alcuni momenti cruciali: l'uomo ha sentito allora che certe scoperte scientifiche potevano rappresentare un pericolo mortale per se' e per l'intera specie umana; e ha cercato allora di mascherare la sua inquietudine al riguardo associando a quegli ordigni immagini di vita affettiva. Ma il mascheramento e' caratteristico della perversione. Faccio due esempi di questo tentativo di nascondere la distruttivita': il responsabile del laboratorio atomico di Los Alamos comunico' al presidente degli Stati Uniti, Truman, la riuscita della prima esplosione nucleare con la frase in codice: "The baby is born": il bambino e' nato!. Il comandante del B 52 che sgancio' l'atomica su Hiroshima chiamo' affettuosamente la bomba con il nome di sua madre Enola Gay. Nonostante i buoni principi, gli ideali, gli eroi, la guerra e' sempre perversa. * Sono giunta alla conclusione del mio discorso, che e' la seguente. Purtroppo la psicoanalisi non ha ricette da fornire per evitare le guerre, ma puo' cercare di rendere gli uomini piu' consapevoli e piu' attenti ai processi affettivi dello sviluppo. La psicoanalisi puo' e deve avvertire che se non vogliamo piu' la guerra dobbiamo crescere. Crescere vuol dire essere capaci di vedere volti di fratelli oltre ogni frontiera, come diceva papa Giovanni; crescere vuol dire avere superato le rivalita' infantili nei loro confronti e non sentirli minacciosi perche' vogliono avere anche loro un diritto di vita uguale al nostro. La psicoanalisi puo' e deve affermare che per crescere gli uomini hanno bisogno di ambienti e relazioni ricche di amore. Questi ambienti e queste relazioni devono essere incessantemente allargati e approfonditi; essi costituiscono l'antidoto alla guerra che disgrega l'umanita'. Qui la psicoanalisi incrocia le grandi religioni. Nella sua risposta ad Einstein, Freud ricorda il precetto evangelico: "Ama il prossimo tuo come te stesso". La psicoanalisi non ha il compito di dirci il modo con cui possiamo organizzarci in una convivenza piu' civile: questo e' il compito della politica. Quando l'umanita' sara' piu' matura e "incivilita", come auspica Freud, il quale ritiene che, nonostante tutto, l'uomo stia migliorando la sua struttura psichica, con la conseguenza di mitigare i propri istinti aggressivi, allora l'umanita' trovera' creativamente il modo per darsi strutture che consentano di convivere in pace. Allora, come ha profetato Isaia, la pantera si sdraiera' accanto al capretto. Lasciate che finisca con una osservazione non di psicologa ma di nonna: quando i bambini sono accolti in un ambiente d'amore stanno insieme bene senza litigare e giocano, magari alla guerra ma senza farsi male. Perche' anche noi, come fanno alcune tribu' di indios dell'Amazzonia, per scaricare la nostra aggressivita' non facciamo delle finte guerre per gioco? Anche se i colori e le piume costassero molto, costerebbero certo meno delle ingenti somme spese per addestrare un pilota ad uccidere. 4. SOLIDARIETA'. ANTONIO E MARIELLA VERMIGLI: CON PADRE JULIO E CON I BAMBINI DI STRADA [Da Antonio e Mariella Vermigli (per contatti: a.vermigli at rrrquarrata.it) riceviamo e diffondiamo. Antonio e Mariella Vermigli fanno parte del movimento di solidarieta' della Rete Radie' Resch] Carissima, carissimo, vogliamo ricordare questo Natale a partire dai piu' deboli, dai piu' indifesi, dai piu' impotenti: i bambini. Partendo dal lavoro di padre Julio Lancellotti, vicario episcopale del popolo della strada, da sempre in prima linea a favore dei bambini di strada, dei bambini con aids, con i giovani in carcere, con i barboni... Ci racconta: sia stata una sbornia di crack o una notte di furtarelli, dormono d'un sonno pesante, alle dieci del mattino, rannicchiati sulle grate che esalano aria calda dai sotterranei del grattacielo. Bambini. Una dozzina, scalzi, sporchi, cosi' immobili da sembrare morti, sparsi per il marciapiede come cadaveri dopo una bomba. I passanti quasi inciampano nei loro corpi, poi scartano e continuano a camminare senza voltarsi. Tirano dritto le automobili incolonnate, ugualmente i poliziotti di passaggio. Accade ovunque nel mondo: quando i bambini di strada diventano parte del paesaggio urbano, non suscitano piu' alcuna reazione. Non sono considerati piu' bambini, semmai vagabondi di stazza minima. Un'umanita' inselvatichita da cui tenersi alla larga. Pericolosi (e spesso lo sono). Vite a perdere. Ma in Brasile quel loro starsene accampati cosi' platealmente sotto i grattacieli, li ha sottratti all'invisibilita'. Da quando il mondo li conosce attraverso articoli, libri e film, i bambini di strada "rappresentano una figura sociale riconosciuta: di conseguenza lo Stato li sopporta", dice ancora padre Julio Lancellotti. "Ma i bambini della favelas, chi li vede?". Julio e' uno di quei preti formidabili che sarebbero il vanto della Chiesa (alcuni di voi lo conoscono, essendo venuto con sei ragazzi di Casa Vida nel febbraio 2001, o perche' l'hanno visitato a San Paolo) se agli occhi della curia non sembrassero troppo vicini alla teologia della liberazione. Bambini e adolescenti possono sfamarsi o dormire nei centri di protezione dell'infanzia, ma sono liberi di andarsene in giro quando lo desiderano. Gli educatori giocano e mangiano con loro. Se riescono a costruire un rapporto di fiducia ("senza impazienza, con tenerezza", dice Julio), se la famiglia collabora e riceve assistenza, otto volte su dieci e' possibile convincerli a tornare a casa. Dice ancora padre Julio: per ogni successo c'e' un altro bambino che sceglie la strada per scappare dalle botte di un padre alcolizzato, dagli abusi di uno zio, dalla fame. Padre Julio ci ha rivolto un appello affinche' possiamo sostenere questo suo lavoro, dal momento che un gruppo in Europa che lo aiutava, cessera' dal 31 dicembre prossimo ogni aiuto. Casa Vida (bambini con aids), il centro per la difesa dei diritti umani, gli asili, i ragazzi che partecipano ad un progetto alternativo al carcere, i centri per barboni ecc. Ad ognuno la propria risposta. Saluti, pace e un "vero" Natale ad ognuno di voi, Antonio e Mariella 5. RIFLESSIONE. ALEX ZANOTELLI: CI PUO' ESSERE ANCORA UN BUON NATALE [Ringraziamo Antonio e Mariella Vermigli (per contatti: a.vermigli at rrrquarrata.it) per averci trasmesso questo scritto di padre Alessandro Zanotelli. Alex Zanotelli e' missionario comboniano e tra le voci piu' autorevoli dei movimenti di pace e di solidarieta'; e' direttore responsabile della rivista "Mosaico di pace", promossa da Pax Christi; tra i suoi libri: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e dialogo, Emi, Bologna 2001] Un altro Natale e' possibile: ci puo' essere ancora un buon Natale. "Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce e' il segno che Dio non si e' ancora stancato dell'umanita'" (Tagore). Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza, ha davanti a se' ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro. Njeri, la perla nera di Rachele nata nella baracca di Korogocho, ha davanti a se' quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro. Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanita' che "si pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell'1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di un dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perche' essi non ci sono piu'. Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare. Due mondi, due Natali. Il nostro e' il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, e' uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso acquario in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggera' il banchetto degli esotici pesciolini? Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari. Un altro Natale non solo e' possibile ma e' urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale pagano che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri. Diciamo no al consumismo vieppiu' indotto e incentivato e diciamo si' alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci e' piu' vicino. Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo si' ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto in dignita'. Diciamo no alla stupida pervasivita' televisiva e diciamo si' alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba, prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale. Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo si' alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno straccetto bianco di pace. Solo cosi' il Natale ritornera' ad essere la festa della vita che fara' rifiorire la speranza di un altro mondo possibile. Coraggio, dunque, ci puo' ancora essere un buon Natale. 6. MAESTRE. ARMANDA GUIDUCCI: LA CORTE [Da Armanda Guiducci, "Il femminismo della camera blu e Madame de La Fayette", introduzione (pp. 5-120) a Madame de La Fayette, La principessa di Cleves, Rizzoli, Milano 1986, p. 97. Armanda Guiducci e' stata una straordinaria intellettuale e militante; dal sito www.italiadonna.it riportiamo - con qualche minimo adattamento - ampi stralci di una breve scheda biografica: "Armanda Guiducci (1923-1992). Critica letteraria. Nata a Napoli nel 1923, si sposto' giovane nel Nord Italia, dove si laureo' in filosofia, all'Universita' di Milano. Allieva di Antonio Banfi, uno dei personaggi di spicco della cultura italiana del tempo, fu da questi fortemente influenzata. L'idea della responsabilita' morale e la partecipazione politica alla lotta antifascista indirizzarono Armanda Guiducci verso il coinvolgimento politico e l'attivismo culturale. La scrittrice comincio', quindi, una collaborazione lunga e duratura con gli intellettuali e le pubblicazioni della sinistra politica. Interessata alla produzione e alla diffusione della cultura, collaboro' con quotidiani e settimanali che promuovevano confronti ideologici e dibattiti culturali. Nel 1955, Franco Fortini, Luciano Amodio, Roberto Guiducci e lei, promossero il periodico politico e culturale "Ragionamenti", di cui la Guiducci divenne direttrice. Negli Anni '60 e '70, pubblico' diversi libri di critica, tra i quali ricordiamo il piu' famoso, e spesso tradotto, Dallo zdanovismo allo strutturalismo (1967), e due libri su Cesare Pavese, Il mito Pavese (1967) e Invito alla lettura di Pavese (1950). Si interesso' anche di sociologia, psicoanalisi, etnologia e antropologia culturale, scrivendo un saggio su La letteratura della nuova Africa (1979), in collaborazione con Lina Angioletti. La Guiducci scrisse anche due raccolte di versi: Poesie per un uomo (1965), che ebbe un enorme successo, e A colpi di silenzio (1982). Negli Anni '70, la Guiducci partecipo' anche attivamente al dibattito femminista, producendo una serie di libri sulla condizione femminile, tra i quali ricordiamo: Due donne da buttare (1976), La donna non e' gente (1977), All'ombra di Kali' (1979) e Donna e serva (1983). In tempi piu' recenti, continuo' a scrivere di femminismo, e pubblico' due volumi della storia delle donne, edita da Sansoni. Mori' nel 1992". Madame de Lafayette (questa e' la forma costante negli autografi), Marie-Madeleine Pioche de La Vergne, 1634-1693, e' una delle grandi intellettuali francesi del Seicento, conoscitrice sovrana del cuore umano e dell'umana societa'] Ma Madame de La Fayette ha inteso, senza calcare la mano, ambientare la storia di un amore impossibile in mezzo alla corruzione della Corte. Amore impossibile e corruzione sono le due facce di una stessa medaglia. La Corte e' questa medaglia. 7. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: UNA INTRODUZIONE AL "LAMENTO DELLA PACE" DI ERASMO DA ROTTERDAM [Riproduciamo qui, senza l'ampia nota biobibliografica che la completava, il testo dell'introduzione ad una nuova edizione italiana del Lamento della pace di Erasmo da Rotterdam (Multimage, Firenze 2002, nella traduzione di Patrizia Moradei). Il libro verra' presentato oggi a Firenze (e precisamente alla Badia Fiesolana, luogo cosi' evocativo per tutti coloro che ricordano quell'Erasmo del XX secolo che e' stato padre Ernesto Balducci)] Questo sapeva Erasmo: che la guerra e' sempre un male e il piu' grande dei mali: uccisione di esseri umani, che l'attivita' dei soldati e' l'assassinio, che chi giustifica la guerra e' complice degli assassini, e chi la organizza e promuove e' il primo e il principe degli assassini. E che bisogna scegliere tra omicidio e civilta', tra la morte e la vita degli esseri umani. Cosi' leggere Erasmo e' gettarsi nella lotta, nella lotta contro la violenza e per l'umanita'. Non si puo' leggere questo sorridente umanista senza sentirsi toccati nel profondo: poiche' in tutta l'opera sua incessante ti rivolge un appello a un'impresa comune: l'affermazione della dignita' umana e dell'umana solidarieta', l'opposizione alla violenza e alla menzogna. * Dopo Auschwitz Diciamolo subito: c'e' un passo nella Querela Pacis che e' di un razzismo ripugnante: e' un passo minuscolo, ma una caduta rovinosa; che deturpa questo per il resto splendido testo, e ci addolora e ferisce vieppiu' proprio per l'ammirazione che per Erasmo abbiamo e proprio perche' lo troviamo in flagrante contraddizione con quanto di buono e di vero Erasmo ci ha insegnato. Ma c'e', e ci rende avvertiti di quanto questa indimenticabile esortazione alla pace e alla solidarieta' tra gli esseri umani sia tuttavia un testo lontano da noi non solo nel tempo; ci rende avvertiti di come l'orizzonte culturale dell'autore del Lamento della pace e dell'Elogio della follia non sia il nostro, gli interlocutori cui esso direttamente si rivolgeva non siamo noi, e solo andando oltre i limiti storici e culturali di Erasmo si puo' ereditare e inverare il messaggio di Erasmo piu' autentico e fecondo. * Del buon uso della Querela Pacis La Querela Pacis puo' essere letta in molti modi diversi. Si puo' leggere come un repertorio di argomenti contro la guerra (ma non e' mai una buona lettura quella che sbrana l'altrui discorso per rivenderne le spoglie); come un classico (col rischio inerente ad ogni lettura di classici fatta per dovere di studio o di informazione: il rischio della mummificazione che ne annienta il valore dialogico); e si puo' leggere come un appello, che ci riguarda e ci convoca a una discussione franca, ed ai compiti nostri: ed e' questa la nostra lettura. Ma proprio per questo occorre che leggiamo questo testo con coscienza storica, collocandolo nel suo preciso contesto, l'Europa del primo Cinquecento. Apparso nel 1517, testo d'occasione, come pressoche' tutta l'opera in proprio di Erasmo, scritto su sollecitazione della cancelleria di quel Carlo che diverra' l'imperatore Carlo V (e per il quale Erasmo aveva gia' scritto l'Institutio principis christiani), la Querela Pacis ha un preciso destinatario immediato: si parla per essere ascoltati dai principi, dai principi cristiani, e dalla loro azione, dal loro potere ci si attende la pace, loro si cerca di convincere. Sappiamo come andra' a finire. Ma la Querela Pacis e' anche il compendio di una costante riflessione ed azione di Erasmo: il suo irenismo e' premessa ed esito del suo progetto culturale, esistenziale, politico: promuovere l'umana dignita' e fratellanza in un orizzonte di cristianesimo e cristianita' rinnovati dal ritorno all'autentico messaggio di Cristo, quello dei Vangeli; rinnovamento cristiano (rigenerazione, riforma; movimento di rivolgimento al passato in funzione di apertura al futuro) reso possibile dall'uso critico della strumentazione tecnica e morale messa a disposizione dalle "bonae litterae", il recupero filologicamente adeguato della cultura classica e delle fonti evangeliche e patristiche del cristianesimo, ed avvalendosi della stampa, la grande rivoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione della cultura senza precedenti per estensione e profondita', che permette di costruire una sempre piu' vasta comunita' di intellettuali, e che consente un condiviso agire ermeneutico che prosegue ed invera il modello di Girolamo e adotta il metodo di Valla. Sappiamo che nell'impegno per la pace, e non solo, Erasmo fu sconfitto. Ma e' dalla storia dei vinti che traiamo le nostre ragioni, non da quella dei vincitori. * Dall'irenismo alla nonviolenza E' facile individuare i limiti del pacifismo erasmiano e piu' in generale del pacifismo umanistico e cristiano del XVI secolo: ed e' facile dire della sua insufficienza per l'oggi, che occorre passare dal pacifismo alla nonviolenza. E' facile dirlo, eppur va detto. Ma attenzione a non semplificare e banalizzare oltre il lecito. La sua azione pacifista non e' circoscritta ad alcuni testi ma anima e si invera nella sua stupefacente attivita' filologica ed editoriale, nel suo epistolario che costruisce una comunita' di studiosi che attraverso le bonae litterae combattono il fanatismo ed affratellano i popoli. Che la pace sia stata una delle preoccupazioni centrali del pensare ed agire di Erasmo e' notissimo, e quasi non c'e' pagina di Erasmo che non sia invocazione alla pace; ha scritto giustamente Eugenio Garin che "per Erasmo la pace, l'ideale della pace come concordia umana, era lo stesso ritorno al Vangelo". Di cosa stiamo parlando quando parliamo dell'azione e dell'opera di Erasmo? Cosa ci dice l'attivita' editoriale di Erasmo? Quel restituire la parola ai defunti ed aprire con loro un dialogo nuovo; quel ritorno al semplice e all'autentico; quella lezione di metodo fondata sul non fraintendere, non deformare, non mentire: non e' una prassi di pace e di nonviolenza? Cosa ci dice l'epistolario di Erasmo? Non e' costruzione di umanita', sostituzione della comprensione e del rispetto reciproco alla sopraffazione e all'inganno? Non e' lotta incessante contro la chiusura e contro l'esclusione, contro l'ignoranza e contro l'avvilimento? Questa lotta contro il fanatismo e la repressione non e' anch'essa ipso facto prassi di pace e di nonviolenza? E il suo costante tornare al cristianesimo di Cristo, al cristianesimo il cui monumento teorico e' il discorso della montagna? Non e' forse un invito incessante a passare dall'irenismo predicato alla nonviolenza praticata? Non vi e' gia' qui, in questa persona cosi' sensibile alla vita concreta, alla felicita' terrestre e condivisa, propugnatore di un retto e nobile epicureismo che si connette e non si oppone alla lezione del cristianesimo come umanesimo, non vi e' qui il presagire e il suggerire che occorre un salto, dall'irenismo alla nonviolenza? * Dire di no Quest'uomo che fu il principe della cultura europea nei primi decenni del XVI secolo, che fu ascoltato e ammirato da re e papi e imperatori, che le parti in conflitto cercavano di accaparrare alla propria causa, fu e sara' sempre un tipo sospetto per gli autoritari di ogni schieramento. Un tipo sospetto perche' non si prestava alla propaganda, cui e' consustanziale l'uso del travisamento delle opinioni altrui e della menzogna come primo strumento d'offesa (e quando si comincia con l'accoppare la verita' poi si accoppano le persone); un tipo sospetto perche' detestava i fanatismi e le irragionevolezze e la mancanza di misericordia; un tipo sospetto perche' sapeva dire di no. Vi e' un luogo comune, alimentato da una propaganda accanita: che Erasmo fosse un tiepido, un pusillanime, che non sapesse prendere posizione, che si ritraesse dinanzi agli sviluppi di quanto aveva pur seminato, e cosi' via. E si dimentica che invece Erasmo non volle mai essere il servo della violenza (quali che fossero le ragioni di cui essa si ammantava: e nella sartoria presso cui la violenza si abbiglia si trovano sempre abiti di gran classe): e questo e' il nostro Erasmo: che la storia lo abbia sconfitto, ahime', che disastro per la storia, e quante sofferenze per l'umanita'. * L'opera dimenticata Fatta eccezione per una ristretta cerchia di studiosi, Erasmo e' oggi uno sconosciuto: della sua opera e della sua figura ci si sbarazza in fretta attraverso la ripetizione di pochi luoghi comuni. Eppure la sua opera e' immensa. Ma in cosa consiste? In primo luogo: l'opera di Erasmo e' innanzitutto quella di un grande editore e commentatore di opere fondamentali della cultura cristiana e classica. Erasmo fu il principe degli umanisti innanzitutto con la sua infaticabile attivita' di editore. Dalle sue cure usci' la prima edizione critica del Nuovo Testamento. In secondo luogo: fu un epistolografo infaticabile: e' attraverso le lettere (e la pubblicazione di raccolte di esse, con cui si allargava straordinariamente l'area degli interlocutori) che Erasmo guida e quasi crea quella vera e propria aggregazione delle persone colte che diviene la base relativamente di massa del movimento per la renovatio cristiana fondata sulla ripresa delle bonae litterae. In terzo luogo: fu autore di opere in proprio, naturalmente, ma sebbene esse nascano da istanze sovente occasionali (divulgazione, polemiche) tutte si rivelano solidamente collegate a un progetto di intervento culturale che prolunga e precisa l'attivita' editoriale: il progetto erasmiano della promozione della cultura come lotta contro il fanatismo e la violenza, di promovimento dell'umanesimo cristiano come rigorizzazione morale e benevolenza ad un tempo. * Cosi' lontano, cosi' vicino Erasmo e' lontano da noi. Non ingannino alcune analogie tra l'epoca che fu sua e quella che in sorte ci e' toccata. E' lontano da noi. Ed insieme e' cosi' vicino: nel suo scacco, nella sua illusione. Ma quella illusione, di istituire una societa' civile che ogni essere umano raggiunga, e fondata sul diritto e la pace, e' ancora la nostra. Ed e' nostro il suo scacco. Ed e' nostro il medesimo compito: che quello scacco diventi coscienza, che quella illusione divenga realta', che la figura di Erasmo si adempia nell'umanita' cosciente e liberata che videro Giacomo Leopardi e Franco Fortini (non solo presagirono, non solo sperarono: videro, poiche' ne furono in strazio e in isforzo prefigurazione). E dell'opera tutta di Erasmo la Querela Pacis talora ci accade di intendere come il cuore segreto: ancor piu' dell'Elogio della follia, ancor piu' dei Colloquia e degli Adagia, ancor piu' dell'opera grandiosa del filologo e dell'editore. Il cuore segreto e pulsante. Veramente il programma e l'appello di Erasmo e' il nostro ancora: si potrebbero aggiungere infinite glosse e distinguo infiniti, ma il succo prezioso ci pare sia qui: solo la pace promuove la dignita' umana, solo la dignita' umana costruisce la pace, solo la consapevolezza che l'io nel tu si specchia, e la consapevolezza ad un tempo che il tu resta irriducibilmente altro dall'io e questa diversita' va rispettata e difesa poiche' e' la pupilla del mondo; ed in questo processo di riconoscimento e di rispetto per la vita dell'altro e' il sale della terra e l'identita' tua profonda: "esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" (Saba). 8. INCONTRI. "FEMMIS": LA CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE PER UN'EUROPA NEUTRALE E DI PACE [Dal sito di "Femmis" (www.femmis.org) riportiamo questo resoconto dell'assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le guerre svoltasi il 13 dicembre] Che i governi europei e le istituzioni politiche rappresentative d'Europa dicano no a Bush, che di fronte alle richieste del governo italiano di appoggiare Bush, i/le parlamentari italiani/e dicano chiaramente no e legittimino e appoggino tutte le iniziative volte a rendere impossibile la partecipazione alla guerra. Queste le richieste della Convenzione permanente di donne contro le guerre, che, riunita in assemblea nazionale il 13 dicembre, rilanciato la proposta di un'Europa neutrale. "La novita' e' quella di avanzare l'ipotesi di una neutralita' attiva come forma della politica militare europea: l'Europa pratica il disarmo unilaterale, vieta progettazione fabbricazione commercio delle armi, esclude banche che finanziano progettazione fabbricazione e commercio di armi; colloca sul proprio territorio una rete di protezione civile a tutela degli equilibri idrogeologici, contro gli inquinamenti, le minacce alla salute e alla salubrita' dell'aria terra e alimenti; si dota di una rete di servizio civile per la solidarieta' che non puo' essere assolta individualmente. Afferma l'esercizio di un addestramento alla difesa popolare nonviolenta" ha spiegato Lidia Menapace, gia' partigiana e leader femminista. "La novita' di questo progetto e' nella enormita' e importanza del soggetto che la pratica, cioe' il continente europeo. Questo squilibra l'imperialismo ormai senza confronti del governo USA e cambia i rapporti internazionali nel loro complesso". 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 450 del 19 dicembre 2002
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