La nonviolenza e' in cammino. 450



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 450 del 19 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Una lettera al Presidente della Repubblica Italiana
2. Mao Valpiana: "ma-bap", un contributo alla riflessione promossa da
Giancarla Codrignani
3. Clotilde Masina Buraggi, psicopatologia della guerra
4. Antonio e Mariella Vermigli, con padre Julio e con i bambini di strada
5. Alex Zanotelli, ci puo' essere ancora un buon Natale
6. Armanda Guiducci, la corte
7. Peppe Sini, una introduzione al "Lamento della pace" di Erasmo da
Rotterdam
8. "Femmis": la Convenzione permanente di donne contro le guerre per
un'Europa neutrale e di pace
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. APPELLI. UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
[Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo ha diffuso ieri la seguente
lettera al capo dello stato]
Signor Presidente della Repubblica,
i mezzi d'informazione riferiscono che il Ministro della Difesa avrebbe
dichiarato che l'Italia metterebbe a disposizione di una eventuale guerra
all'Iraq spazi aerei e basi, ovvero che l'Italia prenderebbe parte alla
guerra.
Questa dichiarazione gia' di per se' costituisce una flagrante violazione
dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana e favoreggia
la preparazione di una guerra illegale e criminale che e' invece compito di
ogni persona di volonta' buona scongiurare, una guerra che la legge
fondamentale del nostro stato inequivocabilmente ripudia.
E' indispensabile un suo autorevole intervento in difesa della legalita'
costituzionale di cui e' supremo garante.
Dica, senza esitazioni e senza ambiguita', che l'ordinamento giuridico
italiano, la Repubblica Italiana, si fonda ancora sulla Costituzione che
"ripudia la guerra". Dica che nel nostra paese vige ancora la legalita'
costituzionale e repubblicana, e non la barbarie, l'anomia, il gangsterismo.
Richiami i ministri e i parlamentari al rispetto della Costituzione cui
hanno giurato fedelta'.
Un suo silenzio potrebbe essere interpretato come complicita' con i golpisti
e gli stragisti che stanno preparando la guerra e la partecipazione italiana
alla guerra illegale e criminale.
*
Signor Presidente,
sia lei a guidare l'opposizione alla guerra e la difesa della legalita'
costituzionale: poiche' questo e' attributo della sua alta funzione
istituzionale.
Sia lei a dichiarare fuorilegge quei governanti e quei parlamentari che alla
guerra illegale e criminale volessero far partecipare anche il nostro paese
anziche' anch'essi impegnarsi - come impone il dettato costituzionale -
affinche' la guerra sia impedita.
*
Signor Presidente,
fin d'ora anche a lei dichiariamo che qualora l'Italia prendera' parte alla
guerra noi ci impegnemo in difesa della Costituzione, della legalita', della
pace, del diritto alla vita di ogni essere umano.
E se la partecipazione italiana alla guerra consistera' nel mettere a
disposizione dei bombardieri stragisti basi aeree in territorio italiano,
noi fin d'ora ci predisporremo a riprendere, con piu' ampiezza e
continuita', l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere della pace" che
impedisca i decolli dei bombardieri dalle basi aeree site nel territorio
italiano ostruendo lo spazio aereo di decollo antistante e sovrastante le
basi medesime.
A tal fine fin d'ora torniamo a diffondere un appello all'azione diretta
nonviolenta in difesa della legalita' e della pace ed inviamo a molti
interlocutori un dossier documentario su quell'iniziativa che siamo pronti a
riprendere e a nuovamente realizzare insieme ad ogni altra limpida e
doverosa iniziativa nonviolenta che si rendesse opportuna e necessaria per
difendere la legalita', la Costituzione, la Repubblica, e con esse la pace e
le concrete vite degli esseri umani dalla guerra minacciate, se l'Italia
fosse trascinata in guerra da dirigenti politici golpisti e stragisti, se
fosse necessario ancora una volta tornare ad impegnarci direttamente e
nonviolentemente per opporci alla guerra in quanto cittadini italiani
impegnati in difesa della Costituzione, della legalita', della pace, del
diritto alla vita di ogni essere umano.

2. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: "MA-BAP", UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE
PROMOSSA DA GIANCARLA CODRIGNANI
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per
questo intervento. Mao Valpiana e' direttore di "Azione nonviolenta" e
carissimo tra gli amici piu' cari]
Il dibattito aperto da Giancarla Codrignani sul contributo femminile alla
teoria e alla prassi della nonviolenza nel corso della storia, e sul pensare
e l'agire delle donne come indicazioni indispensabili e decisive per
sconfiggere la guerra che e' la prima nemica dell'umanita', e' sacrosanto.
Tuttavia, non mi sento adeguato ad intervenire. Preferisco starmene zitto
zitto ad ascoltare quello che tante straordinarie donne hanno da dire, come
quando da bambino ascoltavo a bocca aperta le belle storie che raccontava la
mia nonna.
Segnalo solo una piccola perla, trovata nella bella antologia La pace
giusta - testimoni e maestri fra '800 e '900, curata da Emilio Butturini
(Casa Editrice Mazziana). Ad un certo punto, parlando di Gandhi, si dice:
"E' noto del resto come egli stesso al solenne appellativo Mahatma
preferisse quello che gli davano gli umili di Bapu o Bapuji (babbo, babbino)
o i suoi intimi, dai quali amava farsi chiamare Ma-bap, un condensato di
affetto materno e paterno" (p. 90).
Ecco, forse nei confronti del mondo dovremmo cercare di essere cosi': mamma
e papa' insieme.

3. RIFLESSIONE. CLOTILDE MASINA BURAGGI: PSICOPATOLOGIA DELLA GUERRA
[Ringraziamo Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per
averci trasmesso questa relazione di Clotilde Masina Buraggi tenuta
nell'ambito di un ciclo di incontri nel 1999 (di qui i frequenti riferimenti
alla guerra dei Balcani allora in corso). Clotilde Masina Buraggi e'
psicoanalista, ed e' impegnata nella cultura e nei movimenti di pace e di
solidarieta']
La mia relazione vuole essere una riflessione di ordine psicologico sulla
guerra: il che non vuol dire che io pensi che la guerra abbia solo
motivazioni psicologiche: so che ne ha anche tante altre. Pero' siccome la
guerra de stata nei secoli idealizzata, io vorrei invece far vedere che essa
e' un fenomeno che impedisce alla ragione di essere padrona in casa propria,
per le emozioni distruttive che alimenta e che sono difficili
da contenere, e perche' spinge anche gli individui apparentemente piu' sani
a compiere azioni che in un periodo normale sarebbero considerate folli e
colpevoli.
Non e' un caso che nelle guerre gli omicidi si accompagnino agli stupri e a
ogni genere di atto sadico e non ci sia piu' riguardo nemmeno per quelle
categorie, come i vecchi e i bambini, che di solito, in tempo di pace, sono
rispettate perche' deboli.
*
Nel 1932 Einstein scrisse una lettera a Freud esprimendo la sensazione di
impotenza di tante persone di fronte al fenomeno della guerra e chiedendogli
di aiutarlo ad affrontare questo problema, lui che aveva fama di avere vasta
conoscenza della vita istintiva umana.
Einstein si chiedeva come mai le masse si lascino asservire da una minoranza
che ha interessi particolari nel fare la guerra, e faceva l'ipotesi che
l'uomo alberghi in se' il bisogno di odiare e di distruggere, bisogno che
verrebbe facilmente aizzato e portato alle altezze di una psicosi
collettiva. Freud gli rispose che quella ipotesi coincideva con la realta' e
che gli uomini erano ancora al livello di barbari.
Anche molti psicologi che hanno riflettuto sulla guerra in epoche piu'
recenti condividono questo giudizio e considerano anche loro la guerra come
un fenomeno psicotico.
Dato che questa conversazione non vuole avere un carattere scientifico ma
solo lo scopo di farci riflettere, usero' poco le citazioni tra virgolette.
Voglio comunque citare alcuni autori dai quali ho tratto molte mie idee:
innanzitutto Franco Fornari, del quale devo citare almeno alcuni testi:
Psicoanalisi della guerra atomica (1964), Dissacrazione della guerra (1969),
Psicoanalisi della guerra (1979); e John Steiner: I rifugi della mente
(1993); inutile dire che ho attinto anche ai "mostri sacri" della
psicoanalisi come Freud, la Klein ecc.
A chi vuole approfondire l'argomento, consiglio una piccola antologia degli
scritti di Franco Fornari, Psicoanalisi e cultura di pace, Edizioni Cultura
della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992.
*
Franco Fornari, un grande psicoanalista italiano, purtroppo prematuramente
scomparso, ha studiato approfonditamente la guerra arrivando a una diagnosi
psicologica: la guerra era per lui una elaborazione paranoica del lutto.
Siccome considero questa diagnosi molto importante (anche se la definizione
puo' scoraggiare i non addetti ai lavori) cerchero' di chiarirla insieme a
voi. Devo cominciare un po' da lontano. Come tutti sappiamo, l'uomo, quando
nasce, inizia un percorso di sviluppo che termina solo al momento della
morte (o forse dopo la morte, secondo i credenti), e che ha tappe
particolarmente importanti da superare nei primi anni della vita; l'uomo,
inoltre, a differenza di tanti animali di livello inferiore nella scala
evolutiva ha bisogno di adulti protettivi per svilupparsi, che,
soprattutto quando e' piccolo, siano in grado di fornirgli un ambiente
facilitante, cioe' caldo e pieno d'amore. Lo sviluppo normale di una persona
e' complicato e difficile: ahime', nello sviluppo, oltre che andare avanti,
ci si puo' anche arrestare o tornare indietro (un tornare indietro che noi
psicologi chiamiamo regressione). Questo avviene per ragioni traumatiche,
per esempio per le sofferenze di una guerra. Chissa' quanti bambini serbi e
kosovari, in questo momento, stanno regredendo... e non solo bambini!
Sin dai primi tempi della vita, il piccolo prova emozioni piacevoli ed
emozioni spiacevoli, e le sente vive dentro di se' un po' come se fossero
prodotte da fate o streghe. Poi, con l'aiuto della madre, impara a riconosce
re tali emozioni, a dividere quelle buone da quelle cattive, a scinderle (da
qui la parola "schizo", che in greco vuol dire dividere), e siccome quelle
che gli fanno paura sono particolarmente pesanti
da tenere dentro, le affida come in un deposito alla madre perche' gliele
tenga lei. So di un bambino che un giorno chiese alla sua mamma: "I miei
sogni brutti me li tieni tu?". Questo movimento di depositare in un altro,
esterno, le proprie emozioni, di "mettere fuori", noi psicologi lo chiamiamo
"proiezione". Ma ogni proiezione, come un boomerang, torna indietro, e il
movimento della proiezione e dell'introiezione (cioe' il ritorno delle
emozioni all'interno del bambino) somiglia un po' al ritmo del respiro:
espirazione e inspirazione. Tornano dentro tanto le emozioni buone che
quelle cattive: noi psicologi chiamiamo "paranoia" la proiezione con
conseguente ritorno delle emozioni cattive.
Tale modalita' di funzionamento psichico che una grande psicologa, Melanie
Klein, ha chiamato posizione schizo-paranoide, e' una tappa normale dello
sviluppo psichico; e questo modo di funzionare rimane dentro di noi anche
quando diventiamo adulti, ma non in modo uguale in tutti: in alcuni questo
funzionamento viene attenuato dalla maturita' e piu' o meno rimosso, cioe'
inabissato nell'inconscio; in altri il cui sviluppo e' stato meno favorito o
addirittura si e' arrestato o e' tornato indietro, cioe' e' regredito, esso
rimane nella sua crudezza.
E' chiaro che liberarsi delle proprie angosce scaricandole su un altro, il
capro espiatorio, ci fa sentire alleggeriti delle nostre parti negative. "E'
stato lui, e' colpa sua, io non c'entro": chi di noi puo' dire di non avere
mai detto o pensato frasi del genere?
Quando pero' questa modalita' proiettiva e' presente nell'inconscio con
quote troppo massicce e impedisce altri funzionamenti piu' maturi, siamo di
fronte alla psicosi.
Nella paranoia dell'adulto ci si puo' sentire minacciati di avvelenamento da
parte di un vicino semplicemente perche' si e' litigato con lui per una ques
tione di poco conto.
E' interessante notare che qualche volta il capro espiatorio e' un innocente
ma piu' spesso, dato che gli innocenti tra noi sono pochi, viene scelto a
questo scopo una persona o un gruppo che possiede davvero qualcuna delle
caratteristiche negative che noi gli attribuiamo, anche se le possiede in
proporzione molto minore di quello che noi sentiamo.
E' probabile che le persone perseguitate come streghe nei secoli scorsi
fossero donne asociali ma certamente non potevano spargere la peste o
amoreggiare con il diavolo.
La paranoia genera in chi la sente, odio e sentimenti di vendetta, in una
escalation distruttiva che si radicalizza sempre piu' man mano che cresce il
senso di persecuzione e man mano che ci si difende da questo senso di
persecuzione ricorrendo a difese di tipo maniacale: "Noi siamo piu' forti di
loro e se non stanno buoni li faremo a pezzi". Allora si passa dall'idea di
avversario all'idea di nemico: la paranoia, quando diventa fenomeno
collettivo, genera la guerra.
Fornari ricorda che nello "Stuermer", il settimanale del razzismo nazista,
la colpa della guerra veniva attribuita tutta agli ebrei, gli ebrei erano il
diavolo che andava combattuto ed erano la disgrazia del popolo tedesco. Alla
fine della guerra per l'opinione pubblica internazionale il diavolo era
diventato Hitler che aveva provocato, lui solo, la rovina dell'Europa. Una
parte di tedeschi, poi, addossando ogni colpa a Hitler si scaricava delle
proprie responsabilita' nei confronti dei lager. Gli esempi che si
potrebbero fare sono tanti: pensate a Reagan che scarica le proprie
responsabilita' di incrementare gli armamenti, dichiarando l'Unione
sovietica "impero del male", e a Clinton che per giustificare i
bombardamenti sulla Serbia, ha parlato di Milosevic come di un nuovo Hitler.
*
In un buono sviluppo umano non si puo' continuare a funzionare secondo
meccanismi schizo-paranoici ma si dovrebbe passare a una nuova tappa, che
Melanie Klein ha chiamato posizione depressiva la quale, a sua volta, va
superata per raggiungere la maturita'.
In che cosa consiste la posizione depressiva? Il bambino, a questo livello,
raggiunge una maturita' sufficiente da poter capire che se in un impeto di
rabbia fa cadere per terra un giocattolo, quello si rompe e lui non ce l'ha
piu'; e pensa che lo stesso puo' avvenire per la madre: quando il bambino
reagisce con la propria rabbia a un comportamento della madre che ritiene
cattivo, (per esempio se gli fa un'iniezione), proietta a sua volta sulla
madre le propria cattiveria; e se la madre si arrabbia, egli
puo' temere di averla irrimediabilmente danneggiata e anche perduta.
Questo timore della perdita, che il bambino non aveva prima, genera un nuovo
tipo di angoscia che dagli psicologi viene chiamata angoscia depressiva.
Le angosce depressive sono cariche di senso di colpa: "E' perche' sono stato
cattivo che la mamma mi lascia". Un'angoscia di tipo depressivo la proviamo
anche da adulti quando una persona che ci era cara muore e non possiamo
farla tornare in vita. La perdita e' irreparabile e noi ci sentiamo
colpevoli. Una mia paziente, per esempio, aveva un senso di colpa depressivo
relativo al fatto che la madre era morta mettendola al mondo, cioe' "per
colpa sua".
*
Poi arriva una nuova tappa dello sviluppo. Di fronte alle angosce depressive
si puo' reagire in vari modi.
Si puo' affrontarle in un modo positivo, che e' quello di avere fiducia
nell'amore della madre, la quale, anche se si e' arrabbiata con noi, ci
perdonera' e ci vorra' ancora bene; di riconoscere quindi che la madre che
abbiamo sentito cattiva non ha distrutto la madre buona ma e' la stessa
persona, la quale ha aspetti buoni e cattivi, e di riconoscere nello stesso
tempo che anche noi siamo fatti di parti buone e cattive, e che le nostre
parti cattive non sono cosi' potenti da distruggere tutto il bene che e' in
noi.
Oppure si possono affrontare le angosce depressive in un modo negativo: o
con la disperazione che puo' portare a gesti pericolosi per la propria
persona, o con la regressione alla posizione schizo-paranoide di cui ho
parlato prima. In questo secondo tipo di reazione viene negato il proprio
senso di colpa e di perdita, che puo' apparire insopportabile nella sua
irreparabilita' e tutte le colpe vengono proiettate, cioe' addossate, agli
altri. E' un fenomeno che succede spesso nelle famiglie ("E' per
colpa tua che nostra madre e' morta") e succede anche fra i popoli.
E' quella che Fornari chiama l'elaborazione paranoica del lutto: la guerra
e' tale perche' i popoli si addossano a vicenda le colpe di ogni tipo di
sofferenza che deriva da un lutto, cioe' dalla perdita di un bene prezioso
come la patria, la liberta' o anche il benessere economico senza chiedersi
se essi stessi non sono corresponsabili di tale perdita.
*
In una terapia psicoanalitica le angosce depressive sono segno di un buon
progresso a patto che esse conducano a quella che noi psicologi chiamiamo
integrazione, ossia alla capacita' di cucire dentro di noi le parti positive
e quelle negative: quelle parti che non ci piace riconoscere, che ci danno
sensi di vergogna e dalle quali ci sentiamo anche messi in pericolo.
Una mia paziente ha espresso tale concetto in un'immagine onirica. Con delle
graffette metteva insieme una carta geografica dell'Italia in cui le
regioni erano tutte staccate una dall'altra e in cui alcune regioni erano
rovinate perche' lei ci aveva fatto cadere sopra dell'inchiostro.
Questo tenere insieme e' come l'assemblaggio delle parti di un'automobile
che le permette di uscire dalla fabbrica-madre, e di avviarsi verso il
traffico.
In altre parole, a questo punto, possiamo capire e accettare, anche se ci fa
paura, che non possiamo rimanere sempre bambini attaccati ai genitori e che
ci dobbiamo separare da loro e imparare a essere autonomi.
A questo livello riusciamo a tollerare che essi non svolgano piu' una
funzione protettiva nei nostri confronti e riusciamo a capire che la
maturita' implica il superamento degli atteggiamenti di dipendenza e
l'impegno per una costruzione di rapporti relazionali alla pari con i
fratelli, gli amici, il partner.
*
Nel caso di una guerra fra stati una elaborazione del lutto non paranoica
dovrebbe portare ciascuno dei contendenti a riflettere sulle proprie
responsabilita' nello scatenamento della guerra.
Invece di dire: "E' lui il colpevole", ci si dovrebbe chiedere se abbiamo
davvero ricercato tutti i modi possibili per fare veramente la pace o
abbiamo chiesto - come a me pare sia avvenuto a Rambouillet - condizioni che
rispecchiano solo i nostri interessi o il nostro desiderio di annientare
quello che consideriamo il nostro nemico.
Qui ci dovrebbe aiutare il conscio che deve sempre collaborare con
l'inconscio.
Dovremmo chiederci se non siamo noi che in modo paranoico vogliamo
distruggere l'altro. Magari perche' abbiamo paura che ci tolga il nostro
petrolio, come ho sentito dire alla televisione da una bambina americana ai
tempi della guerra del Golfo, o perche' l'altro minaccia il nostro tenore di
vita (noi europei sappiamo bene di essere dei privilegiati), o perche'
l'altro ha credenze religiose diverse dalle nostre e sentiamo il timore di
una persecuzione.
Se si vuole uscire dal circuito malefico delle proiezioni e delle
introiezioni ("se lui vuole uccidermi, io mi difendo; se lui non tollera la
mia diversita' etnica, io lo distruggo, cosi' lui sara' costretto ad
accettarla con la forza"), l'unico modo e' quello di riconoscere che la
propria distruttivita' va contenuta e anche modificata, ma mai ripudiata e
proiettata.
Gesu' di Nazareth, che per me e' anche un eccezionale esempio di maturita'
psicologica, non proiettava ma piuttosto accoglieva le proiezioni degli
altri: per questo e' stato considerato la vittima innocente che ha portato
su di se' il peccato del mondo; si potrebbe dire: ha portato su di se' le
proiezioni paranoiche del mondo, che lo hanno ucciso.
*
Tutti gli psicoanalisti che hanno studiato il fenomeno della guerra sono
concordi sulla necessita' di assumere la responsabilita' delle proprie quote
aggressive come unica strada per risolvere i problemi della guerra.
La guerra originaria e' dentro ciascuno di noi, dice Fornari, e ognuno deve
comporre i suoi conflitti nella pace dello spirito.
La Magherini, un'altra nota psicoanalista italiana, scrive: "La psicoanalisi
riconduce il fenomeno guerra all'individuo e alla sua responsabilita' etica,
al singolo e al suo inconscio".
In altri termini, quando c'e' un conflitto in qualsiasi parte del mondo,
cioe' nel corpo della nostra Madre Terra, ne siamo tutti responsabili; e non
possiamo sottrarci a questa responsabilita' chiudendoci nella passivita' e
nella convinzione di essere impotenti. Sono principi che cominciano,
fortunatamente, a essere presenti nell'opinione pubblica: Gianni Morandi in
una canzone che ha vinto anni fa il Festival di Sanremo, "Si puo' dare di
piu'", canta: "Perche' la guerra e la carestia - Non sono scene viste in
tv - E se tu dici lascia che sia - Un po' di colpa ce
l'hai anche tu".
Ma come mai, allora, non teniamo conto di meccanismi psichici descritti
persino in canzoni di successo? Gia' centinaia di anni fa Sofocle
nell'"Edipo re" ci ha mostrato la complessita' dell'uomo il quale, come
Edipo, sa e non sa, vede e non vede, cerca la verita' e ne ha paura, e'
intelligente ma non usa la sua intelligenza, ed e' capace di
mostruosi mascheramenti di cui non si rende conto. Tiresia nell'"Edipo re"
dice: "Intelligenza, che cosa assurda quando non matura frutto a chi e'
cosciente".
Il rifugiarci in livelli infantili di sviluppo puo' portare, e di fatto
porta in questo periodo, anche ad altre conseguenze politiche. Questa
regressione fa si' che, almeno a livello inconscio, ci sentiamo come bambini
piccoli che hanno bisogno di un genitore che li difenda e che viene sentito
tanto piu' protettivo quanto piu' viene idealizzato nella sua potenza. Senza
il suo scudo il bambino sente di non essere in grado di affrontare la vita.
*
Oltre alle ragioni di realta' di questa guerra che sono state elencate nella
nostra riunione precedente, a me pare che l'automatismo che ha portato molti
stati e una parte cosi' grande dell'opinione pubblica europea ad accettare
l'iniziativa americana della guerra Nato sia dovuto anche a fantasie
inconsce: sono le fantasie che si generano nei bambini quando si
sentono terribilmente in pericolo se non obbediscono in modo passivo ai
genitori. I genitori, in questo caso, sono gli Stati Uniti i quali hanno
vinto anche per noi la seconda guerra mondiale, ci hanno nutrito dopo quel
conflitto ed hanno poi per una generazione garantito il cosiddetto mondo
libero, del quale facciamo parte, da possibili attacchi del blocco
sovietico.
*
Alcuni psicologi hanno sottolineato che la guerra oltre che aspetti
psicotici ha anche aspetti perversi.
In quella patologia che viene chiamata perversione l'Io si frantuma
in mille pezzi che poi vengono reincollati in modo mostruoso, come in un
puzzle dell'orrore. E io ritengo che questa guerra sia particolarmente
perversa.
Il capitolo della perversione e' molto difficile da affrontare: uno dei
segni che ci porta a sospettare in una situazione della presenza di elementi
perversi e' la confusione che si genera nella nostra testa. Nella
perversione la complicazione crescente di situazioni sempre piu' frammentate
in cui il bene e il male si agglutinano insieme rende difficile una
scissione buona, cioe' di discernimento tra cio' che buono e cio' che e'
cattivo. Non si capisce piu' cio' che sarebbe giusto o ingiusto fare, con
conseguente paralisi di ogni tipo di decisione.
Nella guerra attuale, almeno all'inizio, la guerra veniva presentata, ma
anche sentita da molti, come una cosa buona, come il dovere di aiutare le
vittime della pulizia etnica; e veniva sentita come legittima, dunque, la
decisione di bombardare la Serbia per portare aiuto ai kosovari.
Ma le bombe, sentite come bene, avendo prodotto un numero mostruoso di
vittime e avendo aggravato la situazione dei kosovari, sono un bene o un
male? Un numero crescente di italiani comincia a confessare la sua
confusione. Qui entra in gioco anche una confusione tra il piacere e la
distruttivita'.
Un mio paziente ha fatto recentemente un sogno sulla guerra in cui egli
stesso uccideva i nemici, e lo ha commentato con queste parole: "La guerra
ha il fascino di poter uccidere con il permesso dello Stato".
Ai livelli piu' primitivi dell'inconscio le armi, per una sorta di
perversione, possono essere sentite come simboli sessuali maschili e dunque
con aspetti erotici e distruttivi coincidenti; questa e' la ragione per la
quale tanti sono come affascinati dallo spettacolo dei missili e degli aerei
che partono per bombardare; ma nell'individuo piu' maturo a livello onirico
questo modo di simbolizzare cambia e si diventa capaci di distinguere tra la
bonta' di un organo sessuale fecondante e la malvagita' di un'arma
distruttiva. Invece nella perversione tale confusione continua a persistere.
I caricaturisti hanno colto questo elemento di confusione perversa in tante
loro vignette, che mostrano l'equazione tra simbolo fallico di Clinton e i
missili o i potenti aerei affusolati. E' evidente che tali mezzi e
l'iniziativa bellica hanno permesso al presidente degli Stati Uniti di
superare il suo senso di castrazione prodotto da un avvilente processo che
l'ha portato molto vicino all'impeachment. Come terapeuta, io
sono convinta che Clinton, il quale come persona mi fa pena, avrebbe bisogno
di una buona terapia e mi domando come sia possibile che gli Stati Uniti, i
quali si considerano la piu' evoluta civilta' del mondo, abbiano espresso
come loro rappresentante un politico che funziona, almeno in certi
comportamenti, a livelli psicotici.
*
Se si esamina la storia delle guerre moderne, caratterizzate dalla creazione
di armi sempre piu' potenti, ci si accorge che la perversione e' stata
presente in alcuni momenti cruciali: l'uomo ha sentito allora che certe
scoperte scientifiche potevano rappresentare un pericolo mortale per se' e
per l'intera specie umana; e ha cercato allora di mascherare la sua
inquietudine al riguardo associando a quegli ordigni immagini di vita
affettiva.
Ma il mascheramento e' caratteristico della perversione.
Faccio due esempi di questo tentativo di nascondere la distruttivita': il
responsabile del laboratorio atomico di Los Alamos comunico' al presidente
degli Stati Uniti, Truman, la riuscita della prima esplosione nucleare con
la frase in codice: "The baby is born": il bambino e' nato!. Il comandante
del B 52 che sgancio' l'atomica su Hiroshima chiamo' affettuosamente la
bomba con il nome di sua madre Enola Gay.
Nonostante i buoni principi, gli ideali, gli eroi, la guerra e' sempre
perversa.
*
Sono giunta alla conclusione del mio discorso, che e' la seguente.
Purtroppo la psicoanalisi non ha ricette da fornire per evitare le guerre,
ma puo' cercare di rendere gli uomini piu' consapevoli e piu' attenti ai
processi affettivi dello sviluppo.
La psicoanalisi puo' e deve avvertire che se non vogliamo piu' la guerra
dobbiamo crescere.
Crescere vuol dire essere capaci di vedere volti di fratelli oltre ogni
frontiera, come diceva papa Giovanni; crescere vuol dire avere superato le
rivalita' infantili nei loro confronti e non sentirli minacciosi perche'
vogliono avere anche loro un diritto di vita uguale al nostro.
La psicoanalisi puo' e deve affermare che per crescere gli uomini hanno
bisogno di ambienti e relazioni ricche di amore. Questi ambienti e queste
relazioni devono essere incessantemente allargati e approfonditi; essi
costituiscono l'antidoto alla guerra che disgrega l'umanita'.
Qui la psicoanalisi incrocia le grandi religioni. Nella sua risposta ad
Einstein, Freud ricorda il precetto evangelico: "Ama il prossimo tuo
come te stesso".
La psicoanalisi non ha il compito di dirci il modo con cui possiamo
organizzarci in una convivenza piu' civile: questo e' il compito della
politica.
Quando l'umanita' sara' piu' matura e "incivilita", come auspica Freud, il
quale ritiene che, nonostante tutto, l'uomo stia migliorando la sua
struttura psichica, con la conseguenza di mitigare i propri istinti
aggressivi, allora l'umanita' trovera' creativamente il modo per darsi
strutture che consentano di convivere in pace. Allora, come ha profetato
Isaia, la pantera si sdraiera' accanto al capretto.
Lasciate che finisca con una osservazione non di psicologa ma di nonna:
quando i bambini sono accolti in un ambiente d'amore stanno insieme bene
senza litigare e giocano, magari alla guerra ma senza farsi male.
Perche' anche noi, come fanno alcune tribu' di indios dell'Amazzonia, per
scaricare la nostra aggressivita' non facciamo delle finte guerre per gioco?
Anche se i colori e le piume costassero molto, costerebbero certo meno delle
ingenti somme spese per addestrare un pilota ad uccidere.

4. SOLIDARIETA'. ANTONIO E MARIELLA VERMIGLI: CON PADRE JULIO E CON I
BAMBINI DI STRADA
[Da Antonio e Mariella Vermigli (per contatti: a.vermigli at rrrquarrata.it)
riceviamo e diffondiamo. Antonio e Mariella Vermigli fanno parte del
movimento di solidarieta' della Rete Radie' Resch]
Carissima, carissimo,
vogliamo ricordare questo Natale a partire dai piu' deboli, dai piu'
indifesi, dai piu' impotenti: i bambini.
Partendo dal lavoro di padre Julio Lancellotti, vicario episcopale del
popolo della strada,  da sempre in prima linea a favore dei bambini di
strada, dei bambini con aids, con i giovani in carcere, con i barboni... Ci
racconta: sia stata una sbornia di crack o una notte di furtarelli, dormono
d'un sonno pesante, alle dieci del mattino, rannicchiati sulle grate che
esalano aria calda dai sotterranei del grattacielo. Bambini. Una dozzina,
scalzi, sporchi, cosi' immobili da sembrare  morti, sparsi per il
marciapiede come cadaveri dopo una bomba. I passanti quasi inciampano nei
loro corpi, poi scartano e continuano a camminare senza voltarsi. Tirano
dritto le automobili incolonnate, ugualmente i poliziotti di passaggio.
Accade ovunque nel mondo: quando i bambini di strada diventano parte del
paesaggio urbano, non suscitano piu' alcuna reazione. Non sono considerati
piu' bambini, semmai vagabondi di stazza minima. Un'umanita' inselvatichita
da cui tenersi alla larga. Pericolosi (e spesso lo sono). Vite a perdere. Ma
in Brasile quel loro starsene accampati cosi' platealmente sotto i
grattacieli, li ha sottratti all'invisibilita'. Da quando il mondo li
conosce attraverso articoli, libri e film, i bambini di strada
"rappresentano una figura sociale riconosciuta: di conseguenza lo Stato li
sopporta",  dice ancora padre Julio Lancellotti. "Ma i bambini della
favelas, chi li vede?".
Julio e' uno di quei preti formidabili che sarebbero il vanto della Chiesa
(alcuni di voi lo conoscono, essendo venuto con sei ragazzi di Casa Vida nel
febbraio 2001, o perche' l'hanno visitato a San Paolo) se agli occhi della
curia non sembrassero troppo vicini alla teologia della liberazione. Bambini
e adolescenti possono sfamarsi o dormire nei centri di protezione
dell'infanzia, ma sono liberi di andarsene in giro quando lo desiderano. Gli
educatori giocano e mangiano con loro. Se riescono a costruire un rapporto
di fiducia ("senza impazienza, con tenerezza", dice Julio), se la famiglia
collabora e riceve assistenza, otto volte su dieci e' possibile convincerli
a tornare a casa. Dice ancora padre Julio: per ogni successo c'e' un altro
bambino che sceglie la strada per scappare dalle botte di un padre
alcolizzato, dagli abusi di uno zio, dalla fame.
Padre Julio ci ha rivolto un appello affinche' possiamo sostenere questo suo
lavoro, dal momento che un gruppo in Europa che lo aiutava, cessera' dal 31
dicembre prossimo ogni aiuto. Casa Vida (bambini con aids), il centro per la
difesa dei diritti umani, gli asili, i ragazzi che partecipano ad un
progetto alternativo al carcere, i centri per barboni ecc.
Ad ognuno la propria risposta.
Saluti, pace e un "vero" Natale ad ognuno di voi,
Antonio e Mariella

5. RIFLESSIONE. ALEX ZANOTELLI: CI PUO' ESSERE ANCORA UN BUON NATALE
[Ringraziamo Antonio e Mariella Vermigli (per contatti:
a.vermigli at rrrquarrata.it) per averci trasmesso questo scritto di padre
Alessandro Zanotelli. Alex Zanotelli e' missionario comboniano e tra le voci
piu' autorevoli dei movimenti di pace e di solidarieta'; e' direttore
responsabile della rivista "Mosaico di pace", promossa da Pax Christi; tra i
suoi libri: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo,
Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I
poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il
potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade
di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses
mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna
2000; R...esistenza e dialogo, Emi, Bologna 2001]
Un altro Natale e' possibile: ci puo' essere ancora un buon Natale.
"Con il Natale  la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce e' il
segno che Dio non si e' ancora stancato dell'umanita'" (Tagore).
Viola, la  perla bianca  di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza, ha
davanti a se' ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di
25.000 euro.
Njeri, la perla nera di Rachele nata nella baracca di Korogocho, ha davanti
a se' quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di
soli 250 euro.
Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro.
La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanita' che "si pappa" l'83% delle
risorse mondiali.
La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che
devono accontentarsi dell'1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di
un dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e
Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perche' essi non ci
sono piu'.
Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame
ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di
un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima
elementare.
Due mondi, due Natali.
Il nostro e' il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo
degli affari. E' un business senza fine, e' uno shopping anche di domenica.
Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso acquario in cui
guizzano costosissimi pesciolini esotici.
A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano
affascinati l'acquoso ed esotico luccichio.
Fino a quando la parete di vetro proteggera' il banchetto degli esotici
pesciolini? Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile
e ci protegga eternamente da  quei visi sognanti di bimbi affascinati noi
investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di
spendere 750 miliardi di dollari.
Un altro Natale non solo e' possibile ma e' urgente e necessario!
Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei
regali, degli affari, un Natale pagano che ha ben poco da spartire con quel
Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori
dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti
scuri.
Diciamo no al consumismo vieppiu' indotto e incentivato e diciamo si' alla
festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma
anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci e' piu'
vicino.
Diciamo no al  decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo si' ad un
consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o
a quello equo e solidale di lavoro fatto in dignita'.
Diciamo no alla stupida pervasivita' televisiva e diciamo si' alle relazioni
umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere
confidenza con l'immaginario, la fiaba, prendendo a cuore anche la bellezza
del celebrare insieme il fascino del Natale.
Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo
si' alla pace  e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno
ai nostri balconi e camminando con uno straccetto bianco di pace.
Solo cosi' il Natale ritornera' ad essere la festa della vita che fara'
rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.
Coraggio, dunque, ci puo' ancora essere un buon Natale.

6. MAESTRE. ARMANDA GUIDUCCI: LA CORTE
[Da Armanda Guiducci, "Il femminismo della camera blu e Madame de La
Fayette", introduzione (pp. 5-120) a Madame de La Fayette, La principessa di
Cleves, Rizzoli, Milano 1986, p. 97. Armanda Guiducci e' stata una
straordinaria intellettuale e militante; dal sito www.italiadonna.it
riportiamo - con qualche minimo adattamento - ampi stralci di una breve
scheda biografica: "Armanda Guiducci (1923-1992). Critica letteraria. Nata a
Napoli nel 1923, si sposto' giovane nel Nord Italia, dove si laureo' in
filosofia, all'Universita' di Milano. Allieva di Antonio Banfi, uno dei
personaggi di spicco della cultura italiana del tempo, fu da questi
fortemente influenzata. L'idea della responsabilita' morale e la
partecipazione politica alla lotta antifascista indirizzarono Armanda
Guiducci verso il coinvolgimento politico e l'attivismo culturale. La
scrittrice comincio', quindi, una collaborazione lunga e duratura con gli
intellettuali e le pubblicazioni della sinistra politica. Interessata alla
produzione e alla diffusione della cultura, collaboro' con quotidiani e
settimanali che promuovevano confronti ideologici e dibattiti culturali. Nel
1955, Franco Fortini, Luciano Amodio, Roberto Guiducci e lei, promossero il
periodico politico e culturale "Ragionamenti", di cui la Guiducci divenne
direttrice. Negli Anni '60 e '70, pubblico' diversi libri di critica, tra i
quali ricordiamo il piu' famoso, e spesso tradotto, Dallo zdanovismo allo
strutturalismo (1967), e due libri su Cesare Pavese, Il mito Pavese (1967) e
Invito alla lettura di Pavese (1950). Si interesso' anche di sociologia,
psicoanalisi, etnologia e antropologia culturale, scrivendo un saggio su La
letteratura della nuova Africa (1979), in collaborazione con Lina
Angioletti. La Guiducci scrisse anche due raccolte di versi: Poesie per un
uomo (1965), che ebbe un enorme successo, e A colpi di silenzio (1982).
Negli Anni '70, la Guiducci partecipo' anche attivamente al dibattito
femminista, producendo una serie di libri sulla condizione femminile, tra i
quali ricordiamo: Due donne da buttare (1976), La donna non e' gente (1977),
All'ombra di Kali' (1979) e Donna e serva (1983). In tempi piu' recenti,
continuo' a scrivere di femminismo, e pubblico' due volumi della storia
delle donne, edita da Sansoni. Mori' nel 1992". Madame de Lafayette (questa
e' la forma costante negli autografi), Marie-Madeleine Pioche de La Vergne,
1634-1693, e' una delle grandi intellettuali francesi del Seicento,
conoscitrice sovrana del cuore umano e dell'umana societa']
Ma Madame de La Fayette ha inteso, senza calcare la mano, ambientare la
storia di un amore impossibile in mezzo alla corruzione della Corte. Amore
impossibile e corruzione sono le due facce di una stessa medaglia. La Corte
e' questa medaglia.

7. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: UNA INTRODUZIONE AL "LAMENTO DELLA PACE" DI
ERASMO DA ROTTERDAM
[Riproduciamo qui, senza l'ampia nota biobibliografica che la completava, il
testo dell'introduzione ad una nuova edizione italiana del Lamento della
pace di Erasmo da Rotterdam (Multimage, Firenze 2002, nella traduzione di
Patrizia Moradei). Il libro verra' presentato oggi a Firenze (e precisamente
alla Badia Fiesolana, luogo cosi' evocativo per tutti coloro che ricordano
quell'Erasmo del XX secolo che e' stato padre Ernesto Balducci)]
Questo sapeva Erasmo: che la guerra e' sempre un male e il piu' grande dei
mali: uccisione di esseri umani, che l'attivita' dei soldati e'
l'assassinio, che chi giustifica la guerra e' complice degli assassini, e
chi la organizza e promuove e' il primo e il principe degli assassini. E che
bisogna scegliere tra omicidio e civilta', tra la morte e la vita degli
esseri umani.
Cosi' leggere Erasmo e' gettarsi nella lotta, nella lotta contro la violenza
e per l'umanita'. Non si puo' leggere questo sorridente umanista senza
sentirsi toccati nel profondo: poiche' in tutta l'opera sua incessante ti
rivolge un appello a un'impresa comune: l'affermazione della dignita' umana
e dell'umana solidarieta', l'opposizione alla violenza e alla menzogna.
* Dopo Auschwitz
Diciamolo subito: c'e' un passo nella Querela Pacis che e' di un razzismo
ripugnante: e' un passo minuscolo, ma una caduta rovinosa; che deturpa
questo per il resto splendido testo, e ci addolora e ferisce vieppiu'
proprio per l'ammirazione che per Erasmo abbiamo e proprio perche' lo
troviamo in flagrante contraddizione con quanto di buono e di vero Erasmo ci
ha insegnato. Ma c'e', e ci rende avvertiti di quanto questa indimenticabile
esortazione alla pace e alla solidarieta' tra gli esseri umani sia tuttavia
un testo lontano da noi non solo nel tempo; ci rende avvertiti di come
l'orizzonte culturale dell'autore del Lamento della pace e dell'Elogio della
follia non sia il nostro, gli interlocutori cui esso direttamente si
rivolgeva non siamo noi, e solo andando oltre i limiti storici e culturali
di Erasmo si puo' ereditare e inverare il messaggio di Erasmo piu' autentico
e fecondo.
* Del buon uso della Querela Pacis
La Querela Pacis puo' essere letta in molti modi diversi.
Si puo' leggere come un repertorio di argomenti contro la guerra (ma non e'
mai una buona lettura quella che sbrana l'altrui discorso per rivenderne le
spoglie); come un classico (col rischio inerente ad ogni lettura di classici
fatta per dovere di studio o di informazione: il rischio della
mummificazione che ne annienta il valore dialogico); e si puo' leggere come
un appello, che ci riguarda e ci convoca a una discussione franca, ed ai
compiti nostri: ed e' questa la nostra lettura.
Ma proprio per questo occorre che leggiamo questo testo con coscienza
storica, collocandolo nel suo preciso contesto, l'Europa del primo
Cinquecento.
Apparso nel 1517, testo d'occasione, come pressoche' tutta l'opera in
proprio di Erasmo, scritto su sollecitazione della cancelleria di quel Carlo
che diverra' l'imperatore Carlo V (e per il quale Erasmo aveva gia' scritto
l'Institutio principis christiani), la Querela Pacis ha un preciso
destinatario immediato: si parla per essere ascoltati dai principi, dai
principi cristiani, e dalla loro azione, dal loro potere ci si attende la
pace, loro si cerca di convincere. Sappiamo come andra' a finire.
Ma la Querela Pacis e' anche il compendio di una costante riflessione ed
azione di Erasmo: il suo irenismo e' premessa ed esito del suo progetto
culturale, esistenziale, politico: promuovere l'umana dignita' e fratellanza
in un orizzonte di cristianesimo e cristianita' rinnovati dal ritorno
all'autentico messaggio di Cristo, quello dei Vangeli; rinnovamento
cristiano (rigenerazione, riforma; movimento di rivolgimento al passato in
funzione di apertura al futuro) reso possibile dall'uso critico della
strumentazione tecnica e morale messa a disposizione dalle "bonae litterae",
il recupero filologicamente adeguato della cultura classica e delle fonti
evangeliche e patristiche del cristianesimo, ed avvalendosi della stampa, la
grande rivoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione della
cultura senza precedenti per estensione e profondita', che permette di
costruire una sempre piu' vasta comunita' di intellettuali, e che consente
un condiviso agire ermeneutico che prosegue ed invera il modello di Girolamo
e adotta il metodo di Valla.
Sappiamo che nell'impegno per la pace, e non solo, Erasmo fu sconfitto. Ma
e' dalla storia dei vinti che traiamo le nostre ragioni, non da quella dei
vincitori.
* Dall'irenismo alla nonviolenza
E' facile individuare i limiti del pacifismo erasmiano e piu' in generale
del pacifismo umanistico e cristiano del XVI secolo: ed e' facile dire della
sua insufficienza per l'oggi, che occorre passare dal pacifismo alla
nonviolenza. E' facile dirlo, eppur va detto.
Ma attenzione a non semplificare e banalizzare oltre il lecito.
La sua azione pacifista non e' circoscritta ad alcuni testi ma anima e si
invera nella sua stupefacente attivita' filologica ed editoriale, nel suo
epistolario che costruisce una comunita' di studiosi che attraverso le bonae
litterae combattono il fanatismo ed affratellano i popoli.
Che la pace sia stata una delle preoccupazioni centrali del pensare ed agire
di Erasmo e' notissimo, e quasi non c'e' pagina di Erasmo che non sia
invocazione alla pace; ha scritto giustamente Eugenio Garin che "per Erasmo
la pace, l'ideale della pace come concordia umana, era lo stesso ritorno al
Vangelo".
Di cosa stiamo parlando quando parliamo dell'azione e dell'opera di Erasmo?
Cosa ci dice l'attivita' editoriale di Erasmo? Quel restituire la parola ai
defunti ed aprire con loro un dialogo nuovo; quel ritorno al semplice e
all'autentico; quella lezione di metodo fondata sul non fraintendere, non
deformare, non mentire: non e' una prassi di pace e di nonviolenza?
Cosa ci dice l'epistolario di Erasmo? Non e' costruzione di umanita',
sostituzione della comprensione e del rispetto reciproco alla sopraffazione
e all'inganno? Non e' lotta incessante contro la chiusura  e contro
l'esclusione, contro l'ignoranza e contro l'avvilimento? Questa lotta contro
il fanatismo e la repressione non e' anch'essa ipso facto prassi di pace e
di nonviolenza?
E il suo costante tornare al cristianesimo di Cristo, al cristianesimo il
cui monumento teorico e' il discorso della montagna? Non e' forse un invito
incessante a passare dall'irenismo predicato alla nonviolenza praticata?
Non vi e' gia' qui, in questa persona cosi' sensibile alla vita concreta,
alla felicita' terrestre e condivisa, propugnatore di un retto e nobile
epicureismo che si connette e non si oppone alla lezione del cristianesimo
come umanesimo, non vi e' qui il presagire e il suggerire che occorre un
salto, dall'irenismo alla nonviolenza?
* Dire di no
Quest'uomo che fu il principe della cultura europea nei primi decenni del
XVI secolo, che fu ascoltato e ammirato da re e papi e imperatori, che le
parti in conflitto cercavano di accaparrare alla propria causa, fu e sara'
sempre un tipo sospetto per gli autoritari di ogni schieramento.
Un tipo sospetto perche' non si prestava alla propaganda, cui e'
consustanziale l'uso del travisamento delle opinioni altrui e della menzogna
come primo strumento d'offesa (e quando si comincia con l'accoppare la
verita' poi si accoppano le persone); un tipo sospetto perche' detestava i
fanatismi e le irragionevolezze e la mancanza di misericordia; un tipo
sospetto perche' sapeva dire di no.
Vi e' un luogo comune, alimentato da una propaganda accanita: che Erasmo
fosse un tiepido, un pusillanime, che non sapesse prendere posizione, che si
ritraesse dinanzi agli sviluppi di quanto aveva pur seminato, e cosi' via.
E si dimentica che invece Erasmo non volle mai essere il servo della
violenza (quali che fossero le ragioni di cui essa si ammantava: e nella
sartoria presso cui la violenza si abbiglia si trovano sempre abiti di gran
classe): e questo e' il nostro Erasmo: che la storia lo abbia sconfitto,
ahime', che disastro per la storia, e quante sofferenze per l'umanita'.
* L'opera dimenticata
Fatta eccezione per una ristretta cerchia di studiosi, Erasmo e' oggi uno
sconosciuto: della sua opera e della sua figura ci si sbarazza in fretta
attraverso la ripetizione di pochi luoghi comuni.
Eppure la sua opera e' immensa. Ma in cosa consiste?
In primo luogo: l'opera di Erasmo e' innanzitutto quella di un grande
editore e commentatore di opere fondamentali della cultura cristiana e
classica. Erasmo fu il principe degli umanisti innanzitutto con la sua
infaticabile attivita' di editore. Dalle sue cure usci' la prima edizione
critica del Nuovo Testamento.
In secondo luogo: fu un epistolografo infaticabile: e' attraverso le lettere
(e la pubblicazione di raccolte di esse, con cui si allargava
straordinariamente l'area degli interlocutori) che Erasmo guida e quasi crea
quella vera e propria aggregazione delle persone colte che diviene la base
relativamente di massa del movimento per la renovatio cristiana fondata
sulla ripresa delle bonae litterae.
In terzo luogo: fu autore di opere in proprio, naturalmente, ma sebbene esse
nascano da istanze sovente occasionali (divulgazione, polemiche) tutte si
rivelano solidamente collegate a un progetto di intervento culturale che
prolunga e precisa l'attivita' editoriale: il progetto erasmiano della
promozione della cultura come lotta contro il fanatismo e la violenza, di
promovimento dell'umanesimo cristiano come rigorizzazione morale e
benevolenza ad un tempo.
* Cosi' lontano, cosi' vicino
Erasmo e' lontano da noi.
Non ingannino alcune analogie tra l'epoca che fu sua e quella che in sorte
ci e' toccata. E' lontano da noi.
Ed insieme e' cosi' vicino: nel suo scacco, nella sua illusione. Ma quella
illusione, di istituire una societa' civile che ogni essere umano raggiunga,
e fondata sul diritto e la pace, e' ancora la nostra.
Ed e' nostro il suo scacco. Ed e' nostro il medesimo compito: che quello
scacco diventi coscienza, che quella illusione divenga realta', che la
figura di Erasmo si adempia nell'umanita' cosciente e liberata che videro
Giacomo Leopardi e Franco Fortini (non solo presagirono, non solo sperarono:
videro, poiche' ne furono in strazio e in isforzo prefigurazione).
E dell'opera tutta di Erasmo la Querela Pacis talora ci accade di intendere
come il cuore segreto: ancor piu' dell'Elogio della follia, ancor piu' dei
Colloquia e degli Adagia, ancor piu' dell'opera grandiosa del filologo e
dell'editore. Il cuore segreto e pulsante.
Veramente il programma e l'appello di Erasmo e' il nostro ancora: si
potrebbero aggiungere infinite glosse e distinguo infiniti, ma il succo
prezioso ci pare sia qui: solo la pace promuove la dignita' umana, solo la
dignita' umana costruisce la pace, solo la consapevolezza che l'io nel tu si
specchia, e la consapevolezza ad un tempo che il tu resta irriducibilmente
altro dall'io e questa diversita' va rispettata e difesa poiche' e' la
pupilla del mondo; ed in questo processo di riconoscimento e di rispetto per
la vita dell'altro e' il sale della terra e l'identita' tua profonda: "esser
uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" (Saba).

8. INCONTRI. "FEMMIS": LA CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE
PER UN'EUROPA NEUTRALE E DI PACE
[Dal sito di "Femmis" (www.femmis.org) riportiamo questo resoconto
dell'assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le
guerre svoltasi il 13 dicembre]
Che i governi europei e le istituzioni politiche rappresentative d'Europa
dicano no a Bush, che di fronte alle richieste del governo italiano di
appoggiare Bush, i/le parlamentari italiani/e dicano chiaramente no e
legittimino e appoggino tutte le iniziative volte a rendere impossibile la
partecipazione alla guerra.
Queste le richieste della Convenzione permanente di donne contro le guerre,
che, riunita in assemblea nazionale il 13 dicembre, rilanciato la proposta
di un'Europa neutrale.
"La novita' e' quella di avanzare l'ipotesi di una neutralita' attiva come
forma della politica militare europea: l'Europa pratica il disarmo
unilaterale, vieta progettazione fabbricazione commercio delle armi, esclude
banche che finanziano progettazione fabbricazione e commercio di armi;
colloca sul proprio territorio una rete di protezione civile a tutela degli
equilibri idrogeologici, contro gli inquinamenti, le minacce alla salute e
alla salubrita' dell'aria terra e alimenti; si dota di una rete di servizio
civile per la solidarieta' che non puo' essere assolta individualmente.
Afferma l'esercizio di un addestramento alla difesa popolare nonviolenta" ha
spiegato Lidia Menapace, gia' partigiana e leader femminista. "La novita' di
questo progetto e' nella enormita' e importanza del soggetto che la pratica,
cioe' il continente europeo. Questo squilibra l'imperialismo ormai senza
confronti del governo USA e cambia i rapporti internazionali nel loro
complesso".

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 450 del 19 dicembre 2002