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La nonviolenza e' in cammino. 449
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 449
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 17 Dec 2002 19:07:50 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 449 del 18 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Giuseppe Casarrubea e Riccardo Orioles: due lettere 2. Luisa Morgantini, permesso di strage 3. Lidia Menapace, una richiesta irricevibile 4. Luciana Castellina, omicidi preventivi 5. Giobbe Santabarbara, ancora un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani (quasi un'autobiografia) 6. Giulio Vittorangeli, appartenere al tronco immenso dell'umanita' 7. Benito D'Ippolito, un'improvvisazione prosodica 8. "Adista": resoconto del Salone dell'editoria di pace a Venezia 9. Pax Christi, un convegno a Cremona 10. Riletture: Thomas Muentzer, Scritti politici 11. Riletture: Ernst Bloch, Thomas Muenzer teologo della rivoluzione 12. Riletture: Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania 13. Riletture: Tommaso La Rocca, Es ist Zeit. Apocalisse e Storia 14. Riletture: Josef Macek, La Riforma popolare 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. FEDELTA'. GIUSEPPE CASARRUBEA E RICCARDO ORIOLES: DUE LETTERE [Dalla rivista elettronica redatta da Riccardo Orioles, "Tanto per abbaiare", n. 157 del 16 dicembre 2002, riprendiamo questo scambio epistolare di due protagonisti della lotta antimafia. Per ricevere la rivista e' sufficiente farne richiesta a: ricc at libero.it] Una lettera di Giuseppe Casarrubea a Riccardo Orioles Caro Riccardo, leggo sempre con molto piacere le tue note su "Tanto per abbaiare"; ma tu non abbai alla luna: canti e sogni un mondo diverso. Percio' ti scrivo, dal versante di una cultura solidale immaginando anch'io che uomini e cose possano avere storie nuove, prospettive senza vinti ne' vincitori. Parlavo oggi di te con un amico che tra qualche mese lascera' il Nord per venire a vivere qui, nei paesi dove per cinquant'anni opero' Danilo Dolci, l'intellettuale italiano piu' processato del secondo '900, morto nel '97. Ebbi la fortuna di conoscerlo per quarant'anni e credo di avere imparato da lui almeno due cose importanti. La prima: la comunicazione di massa non esiste; la seconda: non separare mai l'esercizio intellettuale dall'azione sociale. Sai bene che non sono due questioni ovvie o marginali. Nel primo caso anche per la questione che sollevi sulla vicenda Espresso-Repubblica, nel secondo perche' questa azione e' il terreno debole di tutta la sinistra. Uso il termine sinistra consapevole che molta memoria si e' perduta e quella che rimane rimanda solo a qualche data congressuale, che, francamente, non credo che valga la pena ricordare. Mi preme invece constatare la deprivazione continua di senso delle cose che in questa sponda si fanno, come se queste non avessero piu' riferimenti cardinali, come se si fosse smarrita la bussola. Prendi il caso della prima strage di Stato del '47 (Portella della Ginestra, primo maggio: 11 morti e 30 feriti). Ti pare poco che al segretario dalemiano dei Ds di Sicilia quella tragedia non interessi per nulla? Ti pare poco che molti giovani della cosiddetta sinistra militante non sappiano dove si trova e che cosa possa evocare quel luogo? Quando andavo a trovare Danilo, nel suo studio di largo Scalia a Partinico, nei primi anni sessanta, leggevo dietro la sua scrivania dei titoli di dazebao che egli stesso affiggeva periodicamente bene in vista in alto sulla sua testa: "Chi ha ucciso Leonardo Renda?", "Che successe nel baglio dei Parrini?". Nessuno poteva dare una risposta, tanto piu' che le domande erano assolutamente specifiche. Allora ero poco piu' che un ragazzo e quelle domande mi incuriosivano molto perche' mio padre, dirigente sindacale comunista, era stato ucciso dopo i fatti di Portella negli assalti contro le sedi della sinistra avvenuti il 22 giugno '47. Ritenevo straordinaria la figura di un uomo, venuto da una cultura mitteleuropea, che si interrogava sui morti, quando persino nelle sedi dei partiti che piu' si sarebbero dovuti interrogare, quelle domande erano tabu'. Percio' queste diventarono un mio chiodo fisso e, sapendo che Danilo non dava riposte, cominciai da allora a tentare di darne qualcuna per conto mio. Cosi', in vista del cinquantesimo delle stragi del '47, accelerai i miei lavori e mandai i risultati della mia ricerca a Franco della Peruta, direttore della collana di storia contemporanea dell'editore milanese Franco Angeli. Cosi' per i suoi tipi usci' allora il mio libro Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato. Costo: una querela per diffamazione da parte di un generale dei CC, della benemerita Arma. Il 31 gennaio ci sara' l'udienza (ex pretura di Partinico). E che Dio me la mandi buona. Che voglio dirti? Anche le nostre storie sono a noi stessi sconosciute e frammentate e nell'imperversare di un processo di costruzione dell'Indistinto rischiamo tutti di passare per fanatici battisti, come ai tempi di Giovanni, di biblica memoria. Con una variazione: siamo testimoni di verita' perdute. * Una lettera di Riccardo Orioles a Giuseppe Casarrubea Caro Giuseppe, ti ringrazio di avermi scritto. Ti prego di perdonarmi se ti rispondo cosi' in fretta, ma davvero non sto bene. Non sono verita' perdute: piuttosto addormentate, ma addormentate come la principessa della fiaba, in attesa di un bacio che le risvegli e le ridia a tutti. Giro moltissimo per l'Italia, di questi tempi, e credo che abbiamo ormai superato largamente il punto peggiore. C'e' molta sinistra in giro, soprattutto fra i ragazzi. Non si concretizza e non si vede 1) perche' manca del tutto una sinistra politica; 2) perche' l'ignoranza (in senso tecnico) oggi e' tale che ogni passaggio da un gradino all'altro e' faticosissimo e lento (ma proprio per questo ancor piu' commovente). Ma io ho fiducia in loro; fiducia razionale. C'e' un personaggio interessantissimo, nella letteratura del primo ottocento, ed e' l'ufficiale di Napoleone (Balzac, ma anche il feuilleton: Dumas, per esempio). Un signore sulla cinquantina, ingrigito ma dritto, che se ne va in giro con la sua poverta' militare, vecchie decorazioni sovversive all'occhiello, un bastone da passeggio che porta come una spada, l'occhio vivace, il sarcasmo. Egli non sa quasi piu' nulla di politica, ormai. Sa soltanto che allora il popolo vinceva, che i borboni sono dei tipi grassi tutti venduti agl'inglesi e non c'e' pace possibile con loro; ama appassionatamente il suo paese. Ogni tanto s'incrocia coi Courfeyrac, coi Marius, coi compagni nuovi. Non sa nulla di socialismo, e come potrebbe saperne?, ma trova istintivamente in quei giovani qualcosa di ben conosciuto: e, da lontano, sorride. Egli non sa, o forse intuisce, che il suo ruolo politico in senso stretto e' finito; sente invece benissimo, con tutta l'anima, un dovere: che e' quello di testimoniare, a quelli che ora crescono, la dignita'. E in questo pensiero s'allontana, bofonchiando contro i realisti e mugolando fra se' vecchie marsigliesi. 2. MONDO. LUISA MORGANTINI: PERMESSO DI STRAGE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 dicembre 2002 riprendiamo questo intervento di Luisa Morgantini, parlamentare europea, da sempre impegnata nei movimenti per la pace] Quando il 12 giugno come gruppo Gue-Ngl (sinistra unitaria europea-verdi nordici) abbiamo presentato al Parlamento europeo il documentario di Jamie Doran, sulle uccisioni di taleban che si erano arresi con la promessa di aver salva la vita, lo abbiamo fatto consapevoli dei rischi per lo stesso Doran, che lo aveva voluto, e per chi aveva contribuito al film, compresi i testimoni. Le immagini e la storia del film hanno sconvolto tutti. La scomparsa di migliaia di taleban, le fosse comuni, l'orrore di container con dentro ammassati a centinaia i taleban che si erano arresi, morti soffocati per mancanza d'aria, o uccisi dentro i container perche' "per dare aria" i soldati del signore della guerra, l'uzbeko Dostun, sparavano sui container. Per i testimoni "il sangue colava dalle pareti". Nel filmato davanti a noi non c'erano piu' i taliban potenti e crudeli, ma poveri montanari, prigionieri, vestiti di stracci, facce scavate dalla fame. Si erano arresi e andavano trattati secondo le regole del diritto internazionale. Doran fa accuse precise: responsabili del massacro gli uomini di Dostun, assistiti da agenti statunitensi e britannici. Stupisce che gli sia stato permesso di registrare l'incontro di Dostun con un villaggio pashtun, che svela il personaggio: "Vi parlo chiaro, se non farete quanto pattuito, il vostro villaggio verra' messo a fuoco, le donne stuprate...". Da allora abbiamo ritenuto indispensabile una commissione d'inchiesta ufficiale che garantisse la verita' e l'assunzione di responsabilita'. Non solo non c'e' stata finora nessuna inchiesta, ma quando abbiamo ripresentato il 19 novembre il documentario arricchito di altri dati, Jamie Doran ha denunciato che dopo il 12 giugno due testimoni del film sono stati uccisi e altri sono stati sequestrati e torturati. Si fa sempre piu' urgente una pressione sui governi, sull'Onu, perche' vi sia un'inchiesta e la protezione dei testimoni. Le ostilita' sono enormi: degli Usa - che, come Israele, si considera al di fuori di ogni necessita' di rispettare la Carta dell'Onu -, delle forze afghane responsabili, ma anche della "timorosa" Europa. E c'e' paura e omerta' nell'Onu, che dovrebbe far valere i diritti per tutti. Con l'inviata de "Il manifesto", che per prima ha denunciato i massacri di Mazar El Sharif, abbiamo parlato - nel viaggio in Afghanistan fatto con altre parlamentari europee - al responsabile dell'Onu per i diritti umani. Era evidente la sua reticenza nell'affrontare la questione dei diritti umani dalla parte degli sconfitti. Non cosi Human Rights Watch che nella sua inchiesta ha messo in luce come non solo Dostun ma altri signori della guerra come Ismael Khan, l'emiro della regione di Herat, "tiene la regione con pugno di ferro", con torture, intimidazioni, persecuzioni, in modo piu' specifico contro la minoranza pashtun e, naturalmente, le donne. Ma sempre di piu' emergono brutali comportamenti di forze Usa fuori da Kabul, che alla ricerca di cellule di Al Qaeda entrano "alla marine" in catapecchie di fango, perquisiscono le donne alla ricerca di armi e brutalizzano pastori e contadini. Adesso grazie a Rai Tre che lo ha trasmesso nel programma "C'era una volta", abbiamo una traduzione in italiano. Una prima visione verra' presentata al parlamento italiano domani. Che diventi uno strumento per tutti i movimenti e le associazioni che fanno del rispetto dei diritti umani, universali per tutte e tutti, un modo di essere e di vivere e non parole usate per fare nuove guerre. 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UN RICHIESTA IRRICEVIBILE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' significative della cultura delle donne, dei movimenti di solidarieta' e di liberazione, della teoria e della prassi della pace e della nonviolenza. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Sono ormai tre o quattro volte che il papa chiede che nella Costituzione europea vi sia un richiamo alle radici cristiane del continente: sono del tutto contraria per varie ragioni. La prima e' storica e consiste nel fatto che l'Europa e' piu' antica del cristianesimo e non si vede perche' dovremmo fare riferimento a questo e non alla filosofia greca o al diritto romano. O all'alfabeto fenicio o all'astronomia nella quale eccelsero gli antenati lontani di Saddam Hussein. La seconda e' che lo stato della Citta' del Vaticano non e' democratico per sua irrevocabile scelta e non si capisce come possa metter bocca nelle questioni europee. La terza e' che dunque il papa e' certo una grande autorita' morale e religiosa, ma come capo di stato non ha granche' da vantare: il Vaticano fu l'ultimo sul territorio italiano ad abolire la pena di morte che tuttora peraltro ritiene lecita; ha un ordinamento giudiziario segreto, non controllabile e non garantista, se ricordate che il fatto di sangue avvenuto pochi anni fa tra le guardie svizzere fu giudicato direttamente dall'ufficio stampa, che emise subito la sentenza di raptus e poi silenzio, non si e' piu' saputo nulla; il personale laico non ha diritti sindacali; con recenti disposizioni discrimina chi non e' eterosessuale; le sue - diciamo - avventure finanziarie attraverso lo Ior sono note e non lontane persino da oscuri fatti di sangue: tutta la storia delle banche cattoliche non e' affatto gloriosa, ne' limpida. La piu' grave ragione e' che - come documenta il bel libro di Toschi pubblicato nei quaderni di "Missione oggi" - Giovanni Paolo rilancia la "teologia della guerra" e attraverso l'ingerenza detta "umanitaria" giustifica la guerra tornando indietro a Pio XII e non cercando invece di proseguire il cammino che il Concilio Vaticano II aveva iniziato, col definire di fatto ingiustificabile ogni guerra nell'eta' dei mezzi di distruzione di massa. A me pare sufficiente. Inoltre l'Europa e' un territorio geopolitico che attraverso vicende millenarie ha dato fondamento alla laicita' degli stati dopo aver lottato per le investiture e aver avuto vari re cattolicissimi o cristianissimi che in nome del Cristianesimo ne hanno fatte piu' che Bertoldo in Francia in varie spedizioni coloniali benedette; fatto le crociate e inventato la guerra santa. Non mettiamo in pericolo una conquista (quella della laicita' dello stato) tanto sudata, proprio nel momento in cui le altre due religioni monoteiste passano un periodo di fondamentalismo terribile. Basta che noi ricordiamo - vergognandocene sempre - che l'antisemitismo e' nato nell'Europa cristiana e che stanno arrivando qui molti islamici: fondarsi sulla piu' rigorosa laicita' e' la strada giusta, non ricominciare con i culti ammessi e altre tetre memorie. 4. NATURAL BORN KILLER. LUCIANA CASTELLINA: OMICIDI PREVENTIVI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 dicembre 2002. Luciana Castellina, gia' piu' volte parlamentare e parlamentare europea, e' da sempre una delle figure piu' prestigiose dei movimenti pacifisti] "Imbecilli, invece di Culo di gomma avete ammazzato il barbiere", grida il boss Genovese ai suoi tre ausiliari Aldo Giovanni e Giacomo nel film ambientato nella mafia della vecchia New York che certamente andrete a vedere a Natale. Quanti altri poveri barbieri finiranno per sbaglio sotto il tiro della Cia adesso che e' stata autorizzata a uccidere a bruciapelo, ovunque si trovino, 24 terroristi inclusi in una lista gia' stilata e che pero' puo' esser arricchita a piacimento senza nemmeno chiedere il permesso al presidente (che magari non sarebbe di per se', visto il personaggio, una gran garanzia ma almeno una pallida parvenza di stato di diritto)? Bisognera' cominciare a guardarsi alle spalle quando rincasiamo o passeggiamo ai giardini pubblici perche' - a parte lo scambio di persona - chiunque di noi potrebbe finire nell'elenco visto che per la celebre intelligence americana non sembra esserci non dico onere della prova, ma nemmeno onere di trasparenza, tanto da avvertire prima se sei o meno sospettato (tanto piu' facilmente visto che la nuova dottrina non prevede neutrali: se non sei con me stai con Al Queda). Se si pensa a quanti errori giudiziari hanno portato alla morte innocenti che pure avevano goduto del privilegio di passare la loro colpevolezza al vaglio di tre gradi giudiziari, figuratevi quanti ce ne saranno adesso che ogni valutazione preventiva viene soppressa. Si torna alla Chicago degli anni `30, o si resta alle strade di Palermo, ma avendo globalizzato la prassi, sicche' siamo piuttosto a James Bond: guerra per bande in qualsivoglia territorio del mondo e con qualsiasi mezzo (pare che i satelliti possano aiutare molto). E sono certa che in questo clima, e con tutte le armi che circolano per gli Stati Uniti, gli agenti della Cia troveranno non pochi collaboratori volontari. Anche qui il cinema aiuta, vedi Bowling a Colombine. Intendiamoci, l'idea di Bush non e' nuova. Da sempre la vendetta individuale via agenti segreti e' stata praticata al posto della pena legittima, anche se per fortuna le spedizioni sono raramente andate in porto (ma non so se questa sia una garanzia, perche' dimostra anche l'imperizia e dunque la fallacia di questo braccio specializzato della polizia americana). Basti pensare che nel rapporto della commissione d'inchiesta finalmente incaricata dal Congresso, nel 1975, di verificare cosa avevano fatto gli agenti segreti con licenza - anche con il contributo di piu' esperti mafiosi di professione - si riferisce che Castro, decano della lista dei proscritti, si era purtroppo salvato dall'Operazione Mangusta che consisteva nientemeno che nell'introduzione di cera chimica nei suoi stivali al fine di farlo scivolare e battere mortalmente la testa. * L'Impero si e' dunque conferito un altro attributo, questa volta quasi divino: il sovrano diritto di vita e di morte. E' un'estensione del concetto di guerra preventiva, che questa volta viene applicata agli individui, ivi compresi i propri cittadini ritenuti sospetti. Perche' questa e' la differenza rispetto al passato: la licenza d'uccidere e' applicata a tutti. E i sospetti di essere infiltrati saranno in tanti. Scusate se ricorro ancora al cinema: in uno dei celebri film dei tempo della guerra fredda, Alba rossa (i ragazzi che raccontano come gli Stati Uniti furono fatalmente occupati dai sovietici), si dice, se non ricordo male: "Il fatto e' che gia' da tempo erano penetrati nella nostra societa', quinte colonne venute dal cielo". La caccia ora e' aperta. E il piu' importante "effetto collaterale" diventa la morte della democrazia americana. La guerra, dunque, all'alba del terzo millennio e' stata non solo normalizzata ("Repubblica" relega la notizia in questione a pagina 8 e il "Corriere" idem, salvo un piccolo richiamo) ma anche riabilitata ed espansa fino a comprendere quella anticipata e a prevedere quella infinita. Lo stato di diritto, il diritto internazionale e le istituzioni preposte ad amministrarlo, sono stati dichiarati "esuberi". Forse, tuttavia, ha ragione Raniero La Valle che ieri, parlando come giurato alla trentunesima sessione del Tribunale permanente dei popoli che si e' celebrata a Roma per giudicare delle nuove guerre in rapporto al diritto internazionale, ha detto della guerra all'Iraq che rappresenta il rovesciamento della tradizione sacrificale: al posto del regicidio, atto simbolico che risparmiava il popolo condannato, si ammazza tutto il popolo per eliminarne il capo. Meglio allora la lista dei 24, se anche fosse eventualmente triplicata farebbe meno vittime. 5. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA. ANCORA UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI (QUASI UN'AUTOBIOGRAFIA) [Giobbe Santabarbara, e' ben noto, e' tra le firme piu' rappresentative di questo umile foglio] Ero giovane allora, e militante e "quadro" (qualunque cosa volesse poi dire, ma certe altre formule allora correnti mi sono sempre sembrate ancor piu' ridicole e insensate) della nuova sinistra. Mi ero deciso all'impegno politico nei primi anni '70, e non per entusiasmo della rivolta studentesca e operaia ma come meditata risposta alle bombe fasciste e alle stragi di stato. Pensavo, ricordo, che occorreva impedire che la barbarie trionfasse. Da Leopardi giunsi a Marx, ma al Marx "che non era marxista", l'eretico che Stalin avrebbe mandato al gulag cosi' come il grande inquisitore di Dostoevskij avrebbe messo a morte quell'innocente degli innocenti. E nei gruppi di allora quello che sentii piu' vicino era quello che era in contatto e in sintonia coi dissidenti dell'est, "Il manifesto". Naturalmente queste scelte uno le fa per le ragioni (pascaliane) del cuore, perche' ci si trova, per una questione di dignita'; la razionalizzazione viene dopo. Prima impari a parlare, molto piu' tardi studi la grammatica. Non pensavo che avrei deciso della mia vita, credevo soltanto che per qualche anno avrei dato una mano a fermare la barbarie, poi sarei tornato ai miei studi e a una vita normale. Inutile dire come e' andata a finire. * Fu all'incirca alla meta' degli anni '70: ero segretario di una federazione provinciale del piccolo partito che "Il manifesto" aveva partorito nell'amplesso con la sinistra che da Giustizia e liberta' al Psiup teneva viva e unita l'eredita' di Piero Gobetti e di Rosa Luxemburg; ed era un partito, il nostro, fondato e guidato prevalentemente da donne. Tutti sapevamo che R. R., che veniva dalla Resistenza, era la persona cui Sartre poteva chiedere lumi e consiglio; tutti sapevamo che nell'Europa intera L. C. era piu' che una militante, era un simbolo; tutti sapevamo che L. M. era la Resistenza nel suo svolgimento e nella sua apertura piu' aggettanti e feconde, quasi un'autobiografia del nostro movimento in quanto recava di piu' luminoso (e stavo per scrivere numinoso, oh perbacco). Vi erano anche dirigenti maschi, certo, e tra essi un monumento come L. P., ma sapevamo tutti che erano quelle donne a dare senso alla nostra ricerca, alla nostra lotta, al partito antitotalitario, colto, ironico, intelligente ed intransigente che volevamo essere (e che forse nonostante tutte le sue incertezze e pusillanimita' era davvero, infatti una decina di anni dopo si suicido', come Virginia Woolf e tante altre esperienze e persone maestre). E accadde all'incirca alla meta' degli anni '70, che tante donne che nel partito erano, ci dissero che il partito era invece maschio, e non piu' agibile, e ci lasciarono. E' stato uno dei lutti della mia frenetica e perplessa gioventu'. Perche' riuscissi a elaborarlo e a trarne le ricche, preziose conseguenze ermeneutiche e deontologiche anni mi occorsero. Ahime', anch'io giovinotto avevo una visione eroicistica e fin autosacrificale della nostra lotta, nutrita di quel Leopardi adolescenziale e piu' caduco (quello del "procombero' sol io" o giu' di li', cito a memoria), cosi' ridicolo a fronte del Leopardi maturo, grande ed immenso che e' il nostro maestro per sempre; ed ero anch'io inviluppato dai tentacoli delle suggestioni masochistiche ed effettualmente necrofile di cui la tradizione del movimento operaio e socialista purtroppo rigurgitava (i nostri martiri, ad ogni passo rievocati e purtroppo sovente tragicamente mummificati e cosi' traditi). Ed anch'io giovinotto non coglievo che vi era un orizzonte di liberazione che era altra cosa, e irriducibile, rispetto all'orizzonte dell'emancipazione. Anch'io ce ne ho messo di tempo per uscire dall'universalismo asessuato e cogliere come la necessaria sostanza dell'egualitarismo fosse la dialettica conflittuale delle differenze. Avrei potuto e dovuto arrivarci prima, da scolaro di quel maesto di verita' come rovesciamento e superamento delle verita' divenute errori che era Franco Fortini, ma insomma non ero cosi' sveglio e prensile come pensavo di essere (e questa mia lentezza oggi penso che sia stata anche, con l'indolenza che sempre mi ha afflitto, ancora un dono, e dei piu' preziosi: prendendo la strada lunga si fanno sempre un sacco di buoni incontri). Ma allora, allora, fu un trauma. E penso da anni che anche quel trauma sia stato - almeno per me - una benedizione. Mi ha fatto uscire per sempre dal novero di quelli che hanno una weltanschauung totalitaria, ovvero riduzionista ad unum, e mi hanno aperto al mondo bello perche' vario. (Per gli appassionati del genere: ho colto l'errore celato nella verita' di quel lukacsiano "punto di vista della totalita'" cosi' smagliante e seducente nel saggio dedicato a Rosa Luxemburg marxista di Storia e coscienza di classe - e qui chiudo la parentesi ad uso dei nostalgici della nostra gioventu'). E mi ha insegnato per sempre che il conflitto passa anche dentro ognuno di noi, ci solca e ci segna come una folgore. Se sono diventato un amico della nonviolenza, come spontanea ed insieme caparbiamente cercata chiarificazione dei miei pensieri e delle mie scelte di allora come di oggi, non e' stato per Gandhi o per King o per Capitini (dinanzi ai quali mi inchino, ma nei confronti dell'elaborazione e delle proposte di ciascuno dei quali ho su piu' aspetti punti di vista anche molto differenziati, ed il bello della nonviolenza e' questo, che ognuno deve ripensarla e reinventarla da se', senza dogmi ne' ricettari), ma sulla base della mia stessa esperienza, e tra coloro che mi aprirono definitivamente all'esigenza di una chiarificazione e rigorizzazione logica e morale, doxica e prassica, ci furono certo l'incontro dell'esperienza della psichiatria democratica, l'essermi trovato a Montalto di Castro, la scoperta di Danilo Dolci, l'opposizione perseguitata all'est e le lotte del sud del mondo, e qualche anno dopo il movimento per la pace e quello antimafia, ma anche, e credo soprattutto, la lezione del movimento di liberazione delle donne. * Ed oggi, che la memoria di una nuova generazione d militanti e' cosi' appiattita e intorpidita sul presente anglofono e massmediatico, e plasmata su un linguaggio e un sentire e un piglio bellicistico e militaresco e autoritario e maschilista che fa si' che la guerra abbia gia' vinto anche dentro il movimento che crede di opporsi ad essa; oggi che come tutti i vecchi barbogi non riesco a evitare di essere un perenne brontolone rispetto ai piu' giovani quando li vedo che ripetono le carriere e le infamie ed i vicoli ciechi contro cui ci battemmo trent'anni fa senza riuscire a farla finita con i piccoli stalin sempre in carriera ed il loro guardaroba di casacche buone per tutte le stagioni; oggi sento che le parole di Giancarla Codrignani, e di Lidia (che poi sarebbe la medesima L. M. di cui sopra) e delle altre che in questi giorni hanno scritto su questo foglio a sostegno e sviluppo della lettera di Giancarla ai "pacifisti dimezzati", ci convocano ancora a una rottura (che insieme, va da se', e' anche una ricomposizione), a un nuovo conflitto in noi stessi che ci adegui al sentire, al capire, all'agire di cui vi e' piu' urgente bisogno se vogliamo fermare la guerra, la catastrofe. Parole che ci fanno bene, riflessione non rinviabile. Che le persone amiche della nonviolenza tutte si lascino scuotere fino alle radici dalla voce di Giancarla, di Lidia e delle altre, e massime i maschi tutti si dispongano ad una verifica di se' medesimi - verifica dei poteri, coscienza dei conflitti, percezione dell'altro da se' e accostamento-responsivita' al "visage" (Levinas) che ci interpella. Se lice per un attimo solo alzarsi in piedi ed assumere il tono solenne, ma va da se' con l'ironia del caso: c'e' da liberarci di proprie interiori catene, ed abbiamo un mondo da salvare. * Tra le proposte che mi piacerebbe formulare particolarmente alle persone di sesso maschile amiche della nonviolenza c'e' quella di leggere almeno Sulla rivoluzione e Vita activa di Hannah Arendt, Le tre ghinee di Virginia Woolf, i Quaderni di Simone Weil, ed anche Massa e potere di Elias Canetti, Il principio responsabilita' di Hans Jonas, e Memoria del male, tentazione del bene di Tzvetan Todorov. E tra le cose ragionevoli da fare per il movimento che si oppone alla guerra credo ci sarebbe quella di revocare tutti (dico: tutti) i portavoce maschi per qualche anno. Ci farebbe un gran bene, miei cari. E dimenticavo: farla anche finita con le ambiguita', le gigionerie e gli slogan, che servono solo ad alimentare il fascismo che e' in noi e contro cui innanzitutto dovremmo lottare. E adesso aspetto quieto quieto che Giancarla mi rifili un altro salutifero ceffone ancora; per dirla come il maestro di Candide ho infatti due guance. 6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: APPARTENERE AL TRONCO IMMENSO DELL'UMANITA' [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e da sempre impegnato nella solidarieta' internazionale] E' tempo di feste natalizie e dobbiamo essere tutti piu' buoni e generosi (almeno cosi' dicono i grandi mezzi d'informazione) con i piu' "sfortunati"; ad iniziare da chi cerca, raggiungendo le nostre coste, una qualche possibilita' di vita e un futuro almeno dignitoso. In realta' non puo' essere una carita' spicciola, che non mette minimamente in discussione lo squilibrio mondiale, la risposta ad un fenomeno complesso come quello dell'immigrazione. Servono grandi trasformazioni se e' vero, ad esempio, che un americano consuma in media 320 volte piu' automobili, 227 volte piu' gasolio e 115 volte piu' carta di un indiano, producendo inoltre una quantita' di emissioni di anidride carbonica 27 volte superiore. Magari si potrebbe iniziare cambiando il linguaggio. I disgraziati che hanno conosciuto una morte atroce nel tentativo di emigrare in Italia (esiste al riguardo una lunghissima sequenza di tragedie evitabili, cito per tutte la "nave fantasma" Johan affondata nel naufragio del Natale '96 nel Canale di Sicilia), erano donne e uomini. Erano esseri umani. E non "immigrati clandestini". Le democrazie occidentali si riempiono la bocca di diritti umani, mentre procedono alla criminalizzazione di gran parte degli immigrati. Le stime della presenza di questi esseri umani in Italia parlano di una percentuale pari al 2,2% dell'intera popolazione; si tratta di una percentuale che comparata con quella di altri paesi europei, rimane ben al di sotto di quel "livello di guardia" sbandierato dai media e dai vari imprenditori politico-istituzionali come "soglia dell'intolleranza e della xenofobia". La novita' e' che le societa' industrialmente avanzate per funzionare hanno bisogno di una riserva di mano d'opera facilmente assorbibile e facilmente espellibile, che per l'appunto e' quella formata per lo piu' dalle componenti immigrate. Cosi' sono collocati nelle fasce piu' fragili del mercato del lavoro, in attivita' lavorative dequalificate, con scarso contenuto professionale, altamente flessibile, con tempi di lavoro lunghi e con retribuzioni continuamente negoziabili. Pensiamo, per esempio, al lavoro stagionale in agricoltura, caratterizzato come quello a basso costo, ad alto livello di ricattabilita', ad elevata flessibilita' ed alta mobilita', nonche' per l'insufficiente gratificazione sociale e limitata professionalita' richiesta. * Quindi non si tratta del fatto che gli immigrati occupano posti rifiutati dai lavoratori nazionali, quanto del fatto che essi accettano condizioni di lavoro che i locali tentano di evitare perche' collocate al di sotto del livello di garanzia, di sicurezza, di reddito e di protezione considerato socialmente accettabile nell'attuale fase di sviluppo economico e civile. Troppe sono stati, in questi ultimi anni in Italia, le morti tragiche e drammatiche di immigrati. Troppi gli attacchi, gli insulti, l'aggressivita', il disprezzo. Troppo il peso del silenzio di coloro che potrebbero aiutare a combattere un razzismo ottuso e pervadente (quando la differenza politica e' fra chi vuole prendere agli immigrati le impronte delle mani, e chi quelle dei piedi, vuol dire che si e' gia' perso), quello del buon italiano in cui l'eredita' del fascismo, del colonialismo, del neo-colonialismo hanno inculcato saldi preconcetti, inadeguati per affrontare le nuove fasi della storia. Cosi' l'immagine dello straniero e' inevitabilmente il riflesso dell'immagine, distorta e riduttiva, che possediamo del suo paese di origine. Cosa possiamo aspettarci, da paesi invariabilmente preda di guerre e carestie, se non immigrati laceri, analfabeti, condizionati da una mentalita' assistenzialista e potenzialmente violenti? A questa immagine negativa concorre prima di tutto la mancanza di elementi di conoscenza che produce un appiattimento dell'immagine dello straniero su categorie riduttive e insultanti come "marocchino" e "vu' cumpra'", o eurocentriche come "extracomunitario". Privato di tutto (identita' d'origine, patrimonio culturale, ecc.) l'immigrato e' ridotto alla dimensione del pezzo di carta cui affida la sua precaria esistenza in questo paese. Cosi', una tragica morte dopo l'altra, un naufragio dopo l'altro, una spedizione punitiva dopo l'altra, ci inoltriamo in una fase di dilagante violenza fatta di aggressivita' e contro-aggressivita'. L'aggressivita' e' anche incomprensione, malintesi e processi economico-politici divergenti, se non contrastanti. Il razzismo in Italia esiste; possiede una lontana eco e prosopopea di "pulizia etnica". E' basato su ignoranza e presunzione. Che il cosiddetto Terzo Mondo viva situazioni simili a quelle dell'Italia di un tempo viene facilmente dimenticato. La disparita' viene vissuta come diversita' radicale. Crea, negli immigrati, umiliazioni e frustrazione. Puo' spingere le comunita' a cercare rifugio nel discorso dei fondamentalismi. * Eppure noi ancora crediamo che ogni singola persona, indipendentemente dal luogo della sua nascita, appartiene al tronco immenso dell'umanita'. Ogni creatura e' importantissima, e importantissimo tutto quanto la riguarda; perche' l'albero viene offeso, danneggiato, mutilato anche nel piu' piccolo germoglio, nella piu' modesta fogliolina. Percio' ogni dolore, anche quello dell'ultima creatura, chiede di essere risanato, ogni ingiustizia vuole il suo riscatto, ogni pianto vuole essere consolato. Siamo granelli di polvere, e' vero: ma di questa polvere e' composto tutto l'universo. Ed ogni singolo granello ha diritto a quella legge morale che, attraverso il grido d'angoscia delle singole creature viventi, diventa esigenza suprema dell'umanita'. 7. ANNIVERSARI. BENITO D'IPPOLITO: UN'IMPROVVISAZIONE PROSODICA [In occasione della commemorazione del trentennale della legge 772 del '72, il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha dettato questo intervento (il cui titolo completo e': "A trent'anni dalla legge 772 del 15 dicembre 1972 che riconobbe il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare. Un'improvvisazione prosodica") che volentieri ospitiamo] Accadde in Grecia, accadde nella fosca citta' in cui la famiglia dei regnanti sbranava se' e rivelava al mondo cosa si cela anche nella famiglia, di che consista l'arte di governo. Accadde a Tebe, sorse una fanciulla: Antigone, che in faccia al re, al parente al maschio, al suocero veniente, e al mondo oso' dire di no al comando dato. E fece nascere, un lampo dal suo petto questa idea nuova, questa idea splendente con cui l'umanita' non e' piu' serva ma lotta infine per la vita vera: coscienza. Secoli corsero e ancora e ancora secoli sempre re sempre capi sempre maschi ordinavano il mondo e ordinavano alle genti l'arte sublime di sfracellarsi i corpi a maggior gloria del potere loro. Secoli corsero e sorsero sovente persone buone che all'ordine infame seppero opporsi, e fecero sovente di Antigone il cammino fino all'orco della coscienza in nome. Secoli corsero e giunse infine il secolo della Shoah e della bomba atomica, d'Hiroshima di Nagasaki di Auschwitz il secolo, contratto in un momento: kairos l'ora di verita', rivelazione apocalypsis della potenza tecnica di far cessare l'umanita' e il mondo. E per salvare il mondo e per salvare l'umanita' quella sola risorsa di Antigone ci resta, la coscienza. Trent'anni fa la legge del paese dove il si' suona e in cui malvivo vivo infine rese onore a quanti vollero pensosi i propri passi e lenti mettere alla sequela della saggia Antigone: da allora e' legge anche dello stato quella che sempre di coscienza e' stata legge nei cuori incisa: non uccidere, non fare scempio della vita altrui, i corpi che son vivi o sono stati tu non ridurli a cosa, non trattarli come fu in sorte alla salma di Achab. Trent'anni fa giungeva a una vittoria in questa terra almeno la lotta che costo' il carcere a molti (e ancora costa e a molti anche la vita in tante terre dell'unico mondo). La legge dello stato dichiarava che giusto e' opporsi alla guerra e agli eserciti poiche' ogni guerra e' massa di omicidi, messe di vittime, irredimibil colpa, poiche' ogni esercito e' scuola di assassinii. Ma quella lotta deve proseguire: ancora eserciti vi sono, e guerre che possono portare alla catastrofe dell'umanita' intera, all'estinzione della comune impresa che chiamiamo la civilta' delle donne e degli uomini. E occorre allora ancora e ancora e ancora lottare perche' sia abolita infine la guerra, e gli strumenti suoi aboliti anch'essi siano: eserciti, armi, imperi. Molto e' da fare, alcune strade vedi gia' chiare: la difesa popolare nonviolenta, e nonviolente molte azioni costruttive ed esperienze storiche, le esperienze che ci insegnano che puo' l'umanita' esser salvata da un impegno comune che impedisca le guerre e che sconfigga le oppressioni. E' la speranza ed il messaggio grande del movimento delle donne, il cuore di quella - di ora e sempre - Resistenza. Trent'anni fa, e pare quasi un soffio. Che non si spenga il lume che da Tebe accese Antigone e ancora ci rischiara. 8. INCONTRI. "ADISTA": RESOCONTO DEL SALONE DELL'EDITORIA DI PACE A VENEZIA [Dalla sempre ottima agenzia "Adista" riprendiamo questo resoconto del secondo Salone dell'editoria di pace svoltosi a Venezia dal 6 all'8 dicembre] Si e' svolto a Venezia, lo scorso 6-7-8 dicembre, il secondo Salone dell'editoria di pace, proprio mentre George Bush, a Washington, continuava a cercare l'occasione giusta per scatenare la guerra contro l'Iraq. Promosso dalla "Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace", il Salone ha visto la partecipazione di oltre 100 espositori, un arcobaleno composito di gruppi e di persone che lavorano per produrre parole di giustizia e di pace: grandi gruppi editoriali (Einaudi, Paoline, Dehoniane, Giunti, Jaca Book, Piemme, Emi ecc.) e piccole case editrici (Asterios, Datanews, Edizioni cultura della pace, Icone, La Meridiana, Odradek, Qualevita, Servitium ecc.), riviste "militanti" ("Adista", "Azione nonviolenta" che festeggia i suoi 40 anni di vita, "Confronti", "Carta", "Testimonianze", "Nigrizia", "Missione Oggi", "Mosaico di pace" ecc.) e movimenti (Pax Christi, Movimento nonviolento, Gruppo Abele, Manitese, Emergency), la Cgil del Veneto e alcuni soggetti istituzionali, dalla Regione Campania al Forum trentino per la pace. Il fitto programma della tre-giorni del Salone ha annoverato oltre venti presentazioni di libri, incontri e dibattiti con interventi di primo piano (fra gli altri p. Alex Zanotelli, Giovanni Franzoni, p. Ibrahim Faltas della basilica della Nativita' di Betlemme, Gianfranco Bettin, Giuliana Martirani, Massimo Fini) e diverse mostre, fra cui una delle vignette di Vauro contro la guerra e "Una pace XXL", 150 magliette pacifiste raccolte dagli Scout della parrocchia dei Frari. In particolare e' stato presentato l'Annuario della pace (a cura di Salvatore Scaglione, Asterios editore, pp. 381, euro 14), un volume che tenta di offrire indicazioni per capire, ma anche ragioni per opporsi alla "guerra globale e infinita", come la definisce Raniero La Valle: analisi sulle guerre e sui dopoguerra dimenticati in Africa, Asia e nei Balcani (con interventi, fra gli altri, di Giampaolo Calchi Novati e Giulio Marcon), approfondimenti sul mercato mondiale delle armi e sulla corsa al controllo dell'ultimo petrolio rimasto (Alberto Castagnola, il gruppo di ricerca di "Sbilanciamoci!" ed altri), saggi sulla questione dell'informazione (Giulietto Chiesa, Claudio Fracassi) e sull"unilateralismo degli Usa dopo l'11 settembre (Mario Del Pero), dialoghi e interviste sulle radici della guerra (Antonio Gambino, Antonio Cassese, Massimo Cacciari, Pier Cesare Bori), cronologie dei fatti di pace e di guerra dal giugno 2001 al maggio 2002 (a cura di Peacelink e del settimanale "Internazionale"), con uno sguardo particolare al G8 di Genova e alle posizioni della Chiesa cattolica (v. anche "Adista" n. 82/02). "Salone e Annuario della pace - spiega Giovanni Benzoni, "regista" dell'iniziativa per conto della Fondazione Venezia ricerca per la pace - sono i due strumenti che, anche quest'anno, sono stati pensati come occasioni capaci di incrociare le esigenze di chi fa dell'impegno per la pace il proprio punto di riferimento e di giudizio. Se questo terribile 2001-2002 sembra aver reso senso comune, nella testa delle persone come in quella dei responsabili dei popoli, il ritornello che ripeteva Jose' Antonio Primo de Rivera (fondatore della Falange, il movimento fascista che, alla fine della guerra civile spagnola del 1936-39, divenne il partito unico franchista, ndr), 'alla fine e' sempre stato un plotone di soldati a salvare la civilta'', non intendiamo prestarci a questo senso comune perche' altre sono le ragioni dell'uomo". 9. INCONTRI. PAX CHRISTI: UN CONVEGNO A CREMONA [Volentieri diffondiamo questo comunicato di Pax Christi] Cremona 29-30-31 dicembre 2002: convegno nazionale "Smilitarizzare Dio, smilitarizzare l'uomo", Centro pastorale diocesano, via S. Antonio del Fuoco 9a, in occasione della marcia per la pace di fine anno * 40 anni fa l'enciclica "Pacem in Terris" richiamava profeticamente i cristiani e tutti gli uomini di buona volonta' a "leggere i segni dei tempi" e ad impegnarsi attivamente per costruire un mondo fondato sulla pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Quali "segni" leggiamo nella storia di questi anni? Senza dubbio uno dei piu' inquietanti e' che il mondo ha imboccato la strada di una crescente militarizzazione e liberalizzazione nella produzione e commercio degli armamenti. Una strada che ci sta riportando, come spese e stanziamenti, agli anni della guerra fredda. In questo contesto mondiale in cui avanza incalzante la lobby internazionale delle armi, anche la "costituenda" Europa e' a un bivio particolarmente delicato: decidere se diventare una superpotenza militare legata all'alleanza atlantica in difesa degli interessi occidentali nel mondo o se collocarsi dentro un sistema fortemente agganciato alle Nazioni Unite ed al diritto internazionale. Come movimento per la pace presente nella societa' e nella Chiesa non possiamo non chiederci quali responsabilita' storiche dobbiamo cogliere di fronte al processo di riarmo in atto; di quali strumenti e strategie dobbiamo dotarci per agire in Italia, nella nascente Europa e nel mondo. Da un pacifismo di coscienza e di movimento dobbiamo forse passare ad un pacifismo politico in grado di incidere sugli ambiti istituzionali allo scopo di sostituire il dominio delle armi con il primato della diritto e della pace. * Programma Domenica 29 dicembre Ore 16: accoglienza e apertura iscrizioni; ore 18: celebrazione eucaristica e apertura del convegno; ore 20,30: teatro, festa dell'obiezione di coscienza, a 30 anni dalla legge 772/72: musica jazz, poesie, rievocazione di storie e testimonianze sull'obiezione di coscienza. Lunedi' 30 dicembre Ore 9: approfondimento biblico-teologico: "Non nel nome di Dio", mons. Valentinetti, presidente di Pax Christi Italia; ore 9,45: comunicazioni: "Il presente e il futuro militare che si stanno preparando in Europa e nel mondo":L'evoluzione delle strategie militari e dei modelli di difesa dopo l'11 settembre (Isidoro Mortellaro); La spesa militare e il commercio delle armi (Achille Lodovisi); Informazione militarizzata? La fabbrica del consenso (Giulietto Chiesa); ore 13: pranzo; ore 15: gruppi di approfondimento: "La risposta della societa' civile", spazi di impegno permanente e nuovi stili di vita. Gruppo 1: Campagna Contro i mercanti di morte (Tonio dell'Olio, Pax Christi); Gruppo 2: Campagna banche armate (Beretta, "Missione Oggi"); Gruppo 3: Campagna per la messa la bando delle mine (Marcello Storgato, "Missione Oggi"); Gruppo 4: Campagna sulle armi leggere (Marita Villa, Amnesty International); Gruppo 5: Le Obiezioni di coscienza oggi (Diego Cipriani, Pax Christi); ore 18,30: celebrazione eucaristica; ore 19,30: cena; ore 21: proiezione film e visita guidata al centro storico di Cremona. Martedi' 31 dicembre Ore 9: approfondimento biblico-teologico: "Tu disperdi le nazioni che vogliono la guerra" (salmo 67), mons. Valentinetti, Presidente di Pax Christi Italia; ore 9,30: tavola rotonda: "Scrutando insieme i segni dei tempi. La voce della profezia e le scelte del mondo del lavoro e della politica", con Alex Zanotelli, missionario comboniano, direttore di "Mosaico di pace"; Giorgio Caprioli, segretario nazionale Fim Cisl; on. Giovanni Bianchi, on. Pietro Ingrao; ore 12,30: chiusura del convegno e invito alla marcia per la pace, mons. Valentinetti, mons. Bettazzi, mons. Bona. * Per informazioni: segreteria di Pax Christi, tel. 0803953507, fax: 0803953450, e-mail: info at paxchristi.it Per iscrizioni al convegno e alla marcia per la pace, vitto e alloggio: segreteria: Caritas cremonese, via Stenico 2b, 26100 Cremona, tel. e fax: 037235063, e-mail: marciadellapace at libero.it (per telefono solo giorni feriali dalle 14,30 alle 16,30). Iscrizioen al covnegno: 10 euro. * "Non e' forse una contraddizione che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra siano piu' frequenti degli anni di pace? Che l'omicida comune sia messo al bando come assassino, mentre chi stermina genti e citta' sia in onore come un eroe? Che l'orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti a una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorita'? Che una guerra possa portare il nome di "giusta" o di "santa" e si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio? Che sia fatto tacere colui che dichiara di sentire come peccato l'uccidere in guerra? Che si predichi di porre la vita eterna al di sopra di ogni cosa e poi ci si dimentichi che il cristiano e' l'uomo che non ha bisogno di riuscire quaggiu'? Questi pochi cenni bastano per sentirci meno sicuri in un argomento ove la nostra troppa sicurezza potrebbe degenerare in temerarieta' o in un delittuoso conformismo alle opinioni dominanti" (don Primo Mazzolari). 10. RILETTURE. THOMAS MUENTZER: SCRITTI POLITICI Thomas Muentzer, Scritti politici, Claudiana, Torino 1972, 1977, pp. 232. I principali scritti di Muentzer dal 1521 al 1525, con un'ampia introduzione del curatore Emidio Campi. 11. RILETTURE. ERNST BLOCH: THOMAS MUENZER TEOLOGO DELLA RIVOLUZIONE Ernst Bloch, Thomas Muenzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, pp. 208. Uno dei grandi libri del filosofo del "principio speranza". 12. RILETTURE. FRIEDRICH ENGELS: LA GUERRA DEI CONTADINI IN GERMANIA Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 152. Il classico saggio engelsiano. 13. RILETTURE. TOMMASO LA ROCCA: ES IST ZEIT. APOCALISSE E STORIA Tommaso La Rocca, Es ist Zeit. Apocalisse e Storia, Cappelli, Bologna 1988, pp. 212. Uno dei piu' densi studi su Muentzer. 14. RILETTURE. JOSEF MACEK: LA RIFORMA POPOLARE Josef Macek, La Riforma popolare, Sansoni, Firenze 1973, pp. 108. Uno studio introduttivo ed alcuni significativi documenti della "Riforma popolare" tra XV e XVII secolo del grande studioso. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 449 del 18 dicembre 2002
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