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La nonviolenza e' in cammino. 429
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 429
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 27 Nov 2002 20:57:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 429 del 28 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Antonio Vigilante, alcune riflessioni su questa cosa che chiamiamo nonviolenza 2. Mariagrazia Bonollo, settimo giorno di digiuno di don Albino Bizzotto per una "finanziaria di pace" 3. Mao Valpiana, che siano un Natale e un anno di pace per tutti, senza la guerra 4. Giulio Vittorangeli, voler spegnere un incendio con la benzina 5. Marina Forti, una marcia contro il Nemagon 6. Luciano Dottarelli, Karl Popper e il paradigma filosofico "classico" 7. Luisella Battaglia, una convergenza 8. Diana Sartori, alcune analisi critiche femministe sulla teoria della giustizia di Rawls 9. Da un'epistola di Misone all'amico suo Timandro 10. Tribunale 8 marzo, la parola 11. Maria Luisa Spaziani, il sogno giusto 12. Benito D'Ippolito, della nonviolenza in cammino 13. Riletture: Roberto Dall'Olio, Entro il limite 14. Riletture: Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia. 1960-1995 15. Riletture: Marcella Ferrara, Le donne di Seveso 16. Riletture: Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica 17. Riletture: Lucia Venturi (a cura di), Mai piu' Cernobyl 18. La "Carta" del Movimento Nonviolento 19. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: ALCUNE RIFLESSIONI SU QUESTA COSA CHE CHIAMIAMO NONVIOLENZA [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: naciketas at jumpy.it) per questo intervento che sviluppa ulteriormente la riflessione proposta in altri interventi apparsi sul notiziario di ieri e del giorno precedente. Antonio Vigilante, nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica. Collabora a diverse riviste e sta preparando un saggio filosofico sistematico sulla nonviolenza di cui ci ha gentilmente concesso di anticipare alcune pagine su questo foglio tempo addietro. Opere di Antonio Vigilante: di fondamentale importanza e' il volume La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999] 1. Distinzione tra forza e violenza Scrive Simone Weil che la forza e' "cio' che rende chiunque le sia sottomesso una cosa" (L'Iliade poema della forza, in Sui conflitti e sulla guerra, Centro di Ricerca Nonviolenta, Brescia 1999, p. 1). Questa definizione puo' essere adattata alla violenza: violenza e' tutto cio' che riduce dei viventi a cose (anche in modo metaforico: e' violenza psicologica il comando che zittisce, o la paura che immobilizza). Forza invece e' la virtu' di cio' che non si lascia schiacciare ne' schiaccia, ma cresce accanto. Degenerazione della forza e' la violenza, con la quale il "crescere accanto" diventa un "crescere sopra". Al di qua della forza c'e' la debolezza, che e' il lasciar crescere sopra di se', il farsi cosa di una persona. * 2. Attenzione, apertura, trascendimento Trovo nel canone del jainismo questa affermazione: "Secondo le scritture, l'individuo e' sia violento sia non violento. Quando e' attento e' non violento, quando e' disattento e' violento" (Saman Suttam, Mondadori, Milano 2001, p. 68). Affermazione alla quale corrisponde, mi pare, questa di Gandhi: "L'uomo come animale e' violento, ma come Spirito e' nonviolento. Nel momento in cui prende coscienza dello Spirito che e' in lui non puo' rimanere violento" (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. 63). In altri termini, esiste un atto spirituale che conduce l'uomo alla nonviolenza, e questo atto e' l'attenzione, o consapevolezza. La violenza ha origine quando l'uomo fa attenzione a se stesso, ed all'altro. Il primo atto e' spirituale, e se ne trova forse la esplicazione piu' esauriente nella Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto. Il secondo atto e' etico, ed e' centrale nella concezione nonviolenta di Aldo Capitini, che parla di "apertura". Per il quale e' fondamentale anche un altro elemento, che scaturisce dall'apertura all'altro: l'apertura ad un mondo diverso, ad una diversa possibilita' del reale (ed attenzione a cio' che nella natura-vitalita' anticipa questa possibilita'). Apertura che Capitini definisce "trascendimento", e che e' per lui un fatto religioso (liberamente religioso). Si puo' forse sostenere che la nonviolenza comprende un atto spirituale, uno etico ed uno religioso, corrispondenti a tre forme dell'attenzione. Ognuno di questi atti conduce all'altro, e tutti assumono una valenza politica. * 3. Tiep Hien Tiep Hien e' il nome vietnamita dell'Ordine dell'Interessere, fondato dal monaco zen e attivista nonviolento Thich Nhat Hanh. Tiep vuol dire "essere in contatto", hien vuol dire "presente". Anche questa, forse, puo' essere una traduzione efficace di satyagraha. Noi occidentali potremmo parlare semplicemente di "autenticita'". * 4. "Rispetto per la vita" In effetti il concetto di "rispetto per la vita" di Schweitzer puo' tradurre quello di satyagraha. Capitini interpreta alla perfezione lo spirito del "rispetto per la vita" schweitzeriano, quando sostiene che nonviolenza e' "attiva apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo, alla compresenza di tutti gli esseri" (La nonviolenza oggi, in Id., Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 141). V'e' pero' una differenza importante. Il "rispetto per la vita" schweitzeriano non ha alcun vero valore politico. Schweitzer critica Gandhi, e non ne comprende il metodo. La sua concezione politica, esposta in "Kultur und Ethik", e' di una ingenuita' disarmante: si limita ad auspicare una riforma morale dello stato, senza indicare gli strumenti che concretamente possono realizzare tale riforma (analizzo le differenze tra Schweitzer e Gandhi in un articolo che dovrebbe uscire sul prossimo numero di "Quaderni Satyagraha"). 2. INIZIATIVE. MARIAGRAZIA BONOLLO: SETTIMO GIORNO DI DIGIUNO DI DON ALBINO BIZZOTTO PER UNA "FINANZIARIA DI PACE" [Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dei "Beati i costruttori di pace", uno dei principali e piu' attivi movimenti nonviolenti italiani, dei cui comunicati Mariagrazia Bonollo (per contatti: salbega at tiscalinet.it) e' l'infaticabile redattrice] E' giunto al settimo giorno di digiuno don Albino Bizzotto, presidente di "Beati i costruttori di pace". L'iniziativa di "digiuno preventivo" per una legge finanziaria di pace era stata lanciata da padre Angelo Cavagna del Gavci, che ha digiunato per 21 giorni e dal quale don Albino ha preso il testimone. Sono decine in Italia le persone che per lo stesso motivo stanno digiunando a staffetta. "Riconosco che se non andiamo ad intaccare concretamente le strutture di guerra, quindi anche la programmazione finanziaria riguardo al militare, rimangono insufficienti tutte le altre manifestazioni per la pace" sostiene il presidente dell'associazione padovana da anni impegnata nell'ambito della pace e dei diritti umani. Don Bizzotto in una lettera sostiene che "e' tutto il complessivo panorama politico ed economico delle scelte contro la pace che rimane inquietante. Raddoppiano negli Usa gli investimenti per le armi, l'Europa si attrezza per competere anche sul piano militare; la Nato si allarga e cambia natura; il terrorismo, preso a pretesto, serve anche a Russia e Cina per repressioni devastanti di interi popoli, delle minoranze in particolare. La politica di fatto sta diventando la continuazione della guerra con altri mezzi; solo la guerra viene proposta per risolvere i conflitti internazionali e per definire la stessa funzione dell'Onu e delle altre istituzioni internazionali. Le politiche liberiste all'interno dei singoli stati negano i diritti civili e sociali per perseguire la privatizzazione di tutti i servizi e di tutti i beni primari. A Johannesburg ci e' stato mostrato un pianeta con scadenze ad orologeria. Il digiuno lo sento importante e necessario per le scelte da fare e con che spirito, con piena coscienza della complessita' e pervasivita' della violenza". Il sacerdote padovano, in partenza domenica prossima per l'Iraq con una delegazione di trenta persone fra rappresentanti di associazioni e parlamentari italiani, si interroga sul senso di un digiuno collettivo. "Sentiamo che se anche riuscissimo ad esprimerci con un grande movimento politico per la giustizia e per la pace, non riusciremmo a fermare le decisioni di potenza che vengono prese in nome dell'attuale ordine economico mondiale. Per esse la guerra va fatta comunque. E noi ci stiamo dentro: dalla parte di quelli che la fanno e che producono armi. E' la logica di questa storia che va radicalmente cambiata. Per questo, di fronte all'insufficienza della politica, penso sia urgente ora la messa in campo di una grande forza spirituale. Mi riferisco allo spirito di ciascuno cosi' com'e'. E' stato detto che un altro mondo e' possibile, anzi necessario. A me pare che oggi, come vanno le cose, sia urgente rendere possibile l'impossibile. Il digiuno puo' essere uno strumento straordinario. Andare a toccare il nostro necessario quotidiano ci costringe ad affrontare la realta' dal punto di vista di tutti coloro che mancano del necessario. E' una denuncia nella propria carne dell'ingiustizia prodotta dai meccanismi e dalle strutture economiche attuali, impermeabili a ogni appello di cambiamento. Il digiuno costringe ogni persona a rimotivarsi in quasi tutti i momenti della giornata, chiede una profondita' e forza interiore che sole possono portare ad una risposta integrale e coerente: ci rende capaci anche di scelte radicali. Vissuto insieme e in tanti puo' diventare anche mezzo di pressione politica, piu' efficace di ogni altra manifestazione. Digiuno volentieri anche per una legge finanziaria di pace, ma vorrei condividere con tanti altri obiettivi 'impossibili'". Per informazioni e contatti, e per esprimere adesione e solidarieta': ufficio stampa dei "Beati i costruttori di pace", Mariagrazia Bonollo, tel. 3482202662, 0445344264. 3. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: CHE SIANO UN NATALE E UN ANNO DI PACE PER TUTTI, SENZA LA GUERRA [Ringraziamo Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: azionenonviolenta at sis.it), per averci inviato il testo dell'editoriale del fascicolo di dicembre dell'ottima rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini e da Mao diretta. "Azione nonviolenta" ha sede in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org] E' consuetudine, alla fine di ogni anno, fare un bilancio del tempo trascorso e formulare qualche buon proposito. Vale anche per "Azione nonviolenta". Il lavoro per realizzare una rivista e' sempre un fatto collettivo, che coinvolge la redazione ma anche tutti i lettori. La rivista cresce solo se gli abbonati la apprezzano e la fanno conoscere ad altri. Basta scorrere i dieci numeri dell'annata 2002 per rendersi conto che il lavoro collettivo attorno ad "Azione nonviolenta" e' stato proficuo. Le rubriche fisse si sono ben caratterizzate e se ne aggiungeranno di nuove. Alla cura per le foto abbiamo affiancato i nuovi disegni, fatti con cura. Riceviamo moltissimo materiale, sempre interessante e degno di pubblicazione, ma le pagine sono limitate e il direttore e' costretto ad un ingrato lavoro di selezione. A compendio sinergico della rivista, pero', c'e' il nostro sito internet www.nnviolenti.org, che e' molto apprezzato e visitato (quasi 35.000 i contatti avuti) dove compaiono gli scritti che non trovano spazio sulla carta stampata o che hanno una urgenza d'attualita' che non si addice alla scadenza mensile, piu' adatta alla riflessione e all'approfondimento. Senza il Movimento Nonviolento, ovviamente, la rivista non esisterebbe e non avrebbe senso di essere. Il lavoro che facciamo non e' un esercizio culturale fine a se stesso, ma e' finalizzato unicamente alla crescita della nonviolenza organizzata. Sono molti gli amici della nonviolenza che proprio tramite le pagine del mensile vengono a conoscere ed entrano in contatto con altre realta' nonviolente e hanno la possibilita' di partecipare al lavoro di movimento. "Azione nonviolenta" e' riconosciuta nell'ambito del piu' ampio movimento per la pace e di critica alla globalizzazione, come una rivista storica ed autorevole. E' apprezzata per la serieta', la puntualita', la coerenza e la qualita' culturale che offre. Naturalmente siamo soddisfatti di questo risultato raggiunto, ma riteniamo che dovremmo fare molto di piu'. Duemila copie sono forse sufficienti per una pubblicazione "di nicchia", ma siamo convinti che la richiesta di cultura e pratica nonviolenta in Italia sia molto maggiore. Per questo invitiamo ogni singolo lettore a formulare questo buon proposito per il 2003: farsi "centro" promotore per diffondere "Azione nonviolenta", uno strumento concreto per la crescita della nonviolenza. In questo ultimo numero del 2002 proponiamo una valutazione dei 30 anni di obiezione di coscienza nel nostro paese. Oggi, come nel 1972, teniamo molto all'autonomia e all'indipendenza del nostro pensiero. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: VOLER SPEGNERE UN INCENDIO CON LA BENZINA [Giulio Vittorangeli (giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, uno degli amici piu' cari, e uno di quegli "hombres nuevos" che nel loro esistere con e per gli altri sono gia' figura dell'internazionale futura umanita'] Viviamo in una situazione in cui la storia corre a velocita' superiore alla nostra capacita' di leggerne i dati e dare delle risposte. La guerra da oltre dieci anni e' tornata al centro della scena politica mondiale, ma nel senso comune dell'occidente e' diventata un'altra cosa, perche' non ci coinvolge direttamente. La guerra del Golfo del '91 e' stata vissuta come una "giusta spedizione punitiva" verso Saddam che aveva invaso il Kuwait. Sul Kossovo si e' inventato l'"intervento umanitario"; mentre la guerra all'Afghanistan e' stata avallata "perche' l'attentato alle due Torri investiva nei ricordi l'universo mentale ed emozionale anche nostro oltre che quello americano. Avevano attaccato anche noi!" (Rossana Rossanda). Gli Stati Uniti, con la teoria del terrorismo islamico, si sono dati la premessa di un intervento illimitato ("guerra preventiva") nel pianeta; dovunque ritengano minacciati gli interessi loro, checche' il mondo ne pensi. E' per le Nazioni Unite un colpo decisivo. In realta', cercar di rispondere alla guerra col terrorismo o al terrorismo con la guerra, e' come voler spegnere un incendio con la benzina, una cosa irrazionale e criminale. Si pensi a quanto e' accaduto al teatro di Mosca, una ferita dell'umanita' piu' che della civilta' (quell(odore di gas non ce lo scrolleremo piu' di dosso): "Prima dell'invenzione della guerra indefinita e infinita contro il terrorismo, l'idea di risolvere la faccenda con il gas non avrebbe avuto l'alibi che contro il terrorismo ogni mezzo e' lecito, e all'orrore straziato non si aggiungerebbe poi in noi l'atroce percezione che anche sul versante dei governi tutto si avvicina e diventa un precedente imitabile, e quello che oggi e' accaduto a Mosca domani puo' accadere in un altro punto del pianeta, e non c'e' argine di memoria o di diritto che possa fermare la follia di un potere che si scopre vulnerabile e impotente' (Ida Dominijanni). In Italia, il ritorno della guerra, ha voluto dire fare a pezzi l'articolo 11 della Costituzione, senza nessuna sorpresa e scandalo: e nemmeno una discussione in parlamento o un qualche chiarimento dal Presidente della Repubblica. In verita' non sono stati cancellati i vincoli formali che vennero posti al ricorso alle armi, ma sono stati scavalcati di fatto. Il fatto e' che quando si legittima una infrazione alle leggi sulle quali si basa una convivenza e si regolano i suoi conflitti (appunto una Costituzione), ci si avvia all'inselvaggimento delle relazioni. Tutto questo facilitato dall'unilateralismo americano del governo Berlusconi. * La verita', purtroppo, e' che dal giorno in cui ha vinto le elezioni, il centrodestra ha promosso una vera controrivoluzione totale. Da' fastidio il reato di falso in bilancio? Si abolisce il reato. Provoca problemi la legislazione sulle rogatorie? Si cambia la legge. Gli industriali sentono il bisogno di licenziare piu' facilmente? Addio all'art. 18 delloStatuto dei lavoratori. Un paio di giornalisti televisivi non sono allineati? Arrivederci senza neanche grazie. La Rai fa troppa concorrenza a Mediaset? Smobilitiamo la Rai. Eccetera, eccetera. Fino alla legge razzista Bossi-Fini (certo sappiamo che questa legge non e' scaturita dal nulla ma e' il frutto di progressivi e sempre piu' abissali cedimenti al razzismo da parte dei precedenti governi). E' evidente la natura arrogante, quasi da regime, del governo Berlusconi, a fronte di una sinistra totalmente impreparata. Nessuno certamente potra' frenare la deriva istituzionale in atto se non cambiera' prima di tutto, grazie a una battaglia culturale lunga e difficile, il senso comune, oggi deformato, intorno alle idee di pace, di convivenza dei popoli, di democrazia, di rappresentanza politica, di legalita' e di sfera pubblica. * Elementi che oggi fanno sperare certamente ci sono. Pensiamo, a livello internazionale, alla vittoria in Brasile di Lula (per quanto riveduto e corretto): un presidente operaio che ha conosciuto la miseria, l'officina, la prigione delle dittature e la sconfitta politica in tre elezioni consecutive prima di sommergere di voti l'uomo dei mercati Jose' Serra. E' qualcosa di straordinario (comunque vada a finire) per il Brasile: il piu' grande paese dell'America Latina, la nona economia del mondo. Ma puo' essere straordinario anche per il mondo intero. "Difficile non cedere alla retorica, ma non si puo' non ricordare il Cile di Allende del '70 e l'entrata dei sandinisti a Managua del '79, confidando - e augurandosi - esiti piu' felici" (Maurizio Matteuzzi). E poi, "il movimento dei movimenti" che, dopo le giornate di Firenze, puo' aprire un tempo nuovo della politica. E' un movimento di costruzione e che almeno in Italia si incrocia e si contamina con altri movimenti, quello piu' strettamente legato al mondo del lavoro che difende i suoi e gli altrui diritti: dalle mobilitazioni sindacali di questa primavera e pienamente riconfermate nello sciopero del 18 ottobre, alle lotte operaie alla Fiat, dove il fallimento e' tutto e solo della dirigenza. Fallimento che si vuole scaricare sulla condizione degli operai. E quello piu' di opinione, attento alle questioni di democrazia sostanziale, all'informazione, alla giustizia. Tre movimenti con spinte diverse. Ma una battaglia comune che puo' avere oggi la pace al primo posto come ieri lo statuto dei lavoratori e domani le liberta' che si riducono. 5. DIRITTI. MARINA FORTI: UNA MARCIA CONTRO IL NEMAGON [Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 26 novembre 2002. Marina Forti e' una giornalista esperta di questioni ambientali e diritti umani] Hanno marciato per 140 chilometri, da Chinandega a Managua, Nicaragua. Migliaia di persone, accomunate dall'aver lavorato nelle piantagioni di banane che per decenni hanno fatto ampio uso di un certo pesticida che protegge la pianta da un vermetto parassita e ne fa aumentare la resa. Gente in la' con gli anni e ammalata: perche' quel pesticida, messo sul mercato con il nome di Nemagon, o Fumazone - in termini piu' tecnici Dbcp, dibromo-3-cloropropano, e' assai nocivo: non per nulla la California ne aveva vietato l'uso gia' nel 1977, e due anni dopo tutti gli Stati Uniti, dopo aver notato che gli addetti agli stabilimenti chimici in cui era prodotto erano colpiti da sterilita'. La legge americana non vietava pero' di produrre quella sostanza per venderla all'estero, e cosi' nelle piantagioni del Nicaragua fino ai primi anni `90, provocando un vero e proprio avvelenamento di massa (vedi in questa stessa rubrica su "Il manifesto" del 12 maggio 2002). L'associazione di circa quattromila lavoratori ed ex lavoratori colpiti dal Nemagon (Asotraexdan), nata in Nicaragua nel 1992, calcola che 180 persone siano morte e altre migliaia stiano lottando contro mali che vanno dal tumore ai reni, pancreas e milza alle malformazioni cutanee, senza contare la sterilita' diffusa e i figli malformati nati da persone esposte al pesticida. Stiamo parlando di grandi piantagioni e di migliaia di addetti, ma non esiste un'indagine epidemiologica sistematica - e' stata proprio l'associazione degli ex-lavoratori a raccogliere informazioni e documentarsi sugli effetti del pesticida. Ed e' la Asotraexdan che attraverso una Fondazione aiuta i lavoratori ammalati che non riescono piu' a sostentarsi. I dirigenti dell'associazione calcolano che negli anni '70 nei sette distretti della regione di Chinandega, nell'occidente del paese, siano passati circa 8.400 lavoratori, a cui aggiungere le mogli o figlie che portavano loro il pranzo e i bambini che giocavano tra le piante: qualcosa come ventimila persone che andrebbero sottoposte a qualche controllo. Una vittoria l'associazione dei lavoratori avvelenati dal Nemagon l'ha ottenuta: nel gennaio del 2001 il parlamento nicaraguense ha approvato una "legge speciale per promuovere processi richiesti dall'uso di pesticidi a base di Dbcp". In base a questa legge (364/2001) gruppi di ex addetti hanno promosso cause legali per chiedere risarcimenti alle sette aziende che hanno prodotto, distribuito o utilizzato Nemagon in Nicaragua: Dow Chemical Corp, Shell Oil Company, Standard Fruit Co., Standard Fruit and Steamship, Dole e Chiquita Brand. Ora pero' quella legge e' in pericolo, ed e' per questo che circa quattromila persone sono partite il 14 novembre da Chinandega per arrivare cinque giorni dopo nella capitale nicaraguense, al culmine di una serie di proteste e marcie cominciate due mesi fa. La Asotraexdan denuncia il tentativo del governo di derogare alla legge 364, e ha accusato gli Stati Uniti di interferenza: pare che Washington, attraverso il suo ambasciatore, abbia fatto pressioni fortissime perche' la legge 364 sia dichiarata incostituzionale, e per fermare le cause legali. La marcia arrivata qualche giorno fa a Managua si e' conclusa davanti al palazzo del governo e al parlamento, dove migliaia di persone hanno sostano per cinque ore, in attesa che fosse ricevuta una propria delegazione guidata da Victorino Espinales, presidente della Fondazione. Il 22 novembre i sopravvissuti al Nemagon sono tornati a casa con un buon risultato. Il parlamento ha affermato in una risoluzione che non modifichera' la legge, la Corte suprema ha garantito il suo rispetto, dunque i processi intentati dai lavoratori andranno avanti. Il silenzio e' rotto, per giorni e giorni la stampa nazionale ha pubblicato testimonianze di uomini e donne avvelenati dal pesticida, le loro voci sono state riprese dalle radio. L'associazione dei lavoratori avvelenati ora punta l'attenzione sui processi. E chiede di mandare lettere e messaggi elettronici alle multinazionali chiamate in causa: il testo si trova sul sito dell'Associazione Italia-Nicaragua, che ha lanciato la campagna "No more chemicals" (www.itanica.org). 6. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI: KARL POPPER E IL PARADIGMA FILOSOFICO "CLASSICO" [Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti: ldottarelli at libero.it) per questo intervento (in cui riprende e rielabora alcune pagine del suo volume su Popper del 1992) che molto desideravamo nell'anno centenario della nascita del filosofo viennese. Luciano Dottarelli, docente e saggista, gia' apprezzato sindaco di Bolsena, e' attuamente capogruppo consiliare alla Provincia di Viterbo. Tra le opere di Luciano Dottarelli: Popper e il gioco della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica come scienza, Ere Emme, Roma 1995. Karl Popper e' nato a Vienna nel 1902 e deceduto a Londra nel 1994, filosofo della scienza e pensatore politico liberale; alcune sue opere e tesi costituiscono un contributo di indubbia utilita' per tutte le persone impegnate per la pace, la democrazia, la dignita' umana. Opere di Karl R. Popper: con riferimento alla riflessione politica popperiana segnaliamo particolarmente La societa' aperta e i suoi nemici, Armando, Roma; Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna (ed in questa raccolta di saggi soprattutto i seguenti: L'opinione pubblica e i principi liberali; Utopia e violenza; La storia del nostro tempo: visione di un ottimista); Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano; cfr. anche La lezione di questo secolo, Marsilio, Venezia (libro-intervista con due saggi in appendice); tra i suoi ultimi interventi cfr. Una patente per fare tv, in Popper, Condry, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano; ovviamente il Popper pensatore politico non e' separabile dal Popper filosofo della scienza, di cui cfr. in particolare la fondamentale Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino. Tra le opere su Karl R. Popper segnaliamo una buona antologia scolastica di testi popperiani, a cura di Dario Antiseri, Logica della ricerca e societa' aperta, La Scuola, Brescia] In La filosofia e lo specchio della natura, Richard Rorty descrive la filosofia tradizionale come dominata dalle metafore visive dei greci e dal paradigma cartesiano-kantiano, che le assegna il compito di fondare la conoscenza, rispondendo agli attacchi inaccettabili dello scettico epistemologico. Quel programma filosofico fondazionistico, ossessionato dalla volonta' di "sfuggire alla storia", viene denunciato come un "tentativo di rendere eterno un certo gioco linguistico contemporaneo, una pratica sociale, una immagine di se'". Auspicando all'opposto una "cultura postkantiana", storicistica e pragmatistica, in cui la verita' sia "quel che per noi e' meglio credere" (William James) piuttosto che la "rappresentazione accurata della realta'", Rorty si riconosce in quella "koine' filosofica contemporanea" (Gianni Vattimo) che e' il pensiero ermeneutico, in cui l'essere, ormai fuori dall'orizzonte forte della metafisica, si da' solo in una ontologia "debole". A questa koine' filosofica del pensiero debole si e' voluto infine ricondurre anche la riflessione epistemologica di Karl Popper, in quanto per essa "la scienza e' un modello di razionalita' proprio perche' non fonda niente in maniera definitiva. E progredisce proprio perche' ha rinunciato alla certezza, al fondamento" (Dario Antiseri). Questa esplicita richiesta di iscrivere Popper all'area filosofica del pensiero debole, avanzata dal primo e piu' convinto tra i suoi seguaci italiani, se e' vero che la dice lunga sulle difficolta' che oggi si trova ad affrontare quel programma epistemologico, suscita piu' di una perplessita' e continua ad incontrare molte resistenze da parte di chi dovrebbe accoglierla. Il fatto e' che in Popper l'approdo sulle rive del continente filosofico oggi dominante e' il risultato, che diventa chiaro a se stesso solo alla fine, di una navigazione incerta, difficile, iniziata con altro entusiasmo e, a momenti, ravvivata lungo la strada da ben altre ambizioni. Il cuore del suo programma filosofico e' in realt?a', al di la' delle vesti dimesse con cui si presenta, lo sforzo forse piu' possente e sofisticato di salvare quanto resta dei "fondamenti" della conoscenza. E' l'estremo tentativo svolto proprio su quella linea della filosofia come attivita' che gira intorno al tentativo cartesiano di rispondere allo scettico epistemologico. Per l'impegno che si assume, per la serieta' con cui cerca di portarlo a compimento, per gli interlocutori con i quali sceglie di confrontarsi (Hume e Kant in primo luogo), Popper risulta senz'altro interno a quel paradigma filosofico e ne condivide, al di la' della lettera, lo spirito piu' profondo, perfino in alcune delle assunzioni piu' tipiche e radicate che ne richiamano addirittura l'impronta "classica" (si veda la svalutazione costante della tecnica e della scienza applicata e la preminenza assegnata alla teoresi). L'estremo tentativo di salvare lo spirito della tradizione "classica" si presenta, in Popper, nella forma di una ritirata strategica sul fronte della razionalita', enfatizzata attraverso una tattica diversiva, accanita nel demolire quanto resta delle precedenti fondazioni, per tentare di ricostruire su basi nuove la possibilita' di un "discorso comune" in cui abbiano ancora diritto di cittadinanza parole come "realta'", "verita'", "conoscenza oggettiva", "razionalita'". Il non aver compreso come nella sua epistemologia continuasse ad agire il super-io della tradizione filosofica "classica" ha fatto nascere piu' di un equivoco sulle reali intenzioni di Popper. C'e' chi, ad esempio, ha accomunato in modo troppo frettoloso la prospettiva popperiana a quella di Bachelard, incentrata sulla priorita' della concreta pratica scientifica e sulla storicita' della scienza. O addirittura chi, ispirato alla nostalgia per una comunita' scientifica della sicurezza, non intaccata dal dissenso e dalla critica, e' giunto a leggere Popper come un relativista e irrazionalista a la Nietzsche, distruttore di ogni certezza. In realta' il compito fondamentale che egli fin dall'inizio si e' proposto e' stato proprio quello di superare lo scetticismo di Hume delineando un'epistemologia falsificazionista che, pur accettando la critica dell'induzione, riuscisse a salvaguardare la razionalita' e l'empirismo: se e' vero che non possiamo mai stabilire la verita' delle teorie scientifiche, almeno possiamo compiere con piena certezza logica il rifiuto di quelle false. E' vero semmai che, nonostante l'intenzione di rimuoverlo, continua ad agire nella sua riflessione anche una sorta di inconscio epistemologico humiano, che riaffiora continuamente e che il dibattito post-popperiano (Kuhn, Feyerabend) non ha fatto che squadernare senza piu' remore e pudori. Popper non tardera' a rendersi conto che "il problema di Hume" nella sua vera consistenza non e' affatto di ordine logico, tale che possa bastare a risolverlo l'"asimmetria logica tra falsificazione e verificazione". Il paradosso di Hume consiste nel fatto che non e' possibile "giustificare" la preferenza razionale e che si deve prendere atto della "stravagante condizione in cui si trova l'umanita' che deve agire e ragionare e credere; per quanto gli uomini non riescano, neppure con le piu' diligenti ricerche, a trovare una risposta soddisfacente intorno alla fondazione di queste operazioni, oppure a togliere di mezzo le obiezioni che si possono muovere contro di esse". Allora, semmai, il tentativo popperiano di risolvere il problema di Hume, lo aggrava perche' la sua "rivoluzione copernicana" e l'ammissione della ineliminabile teoreticita' del dato empirico introducono nella problematica gnoseologica di Hume un'ulteriore questione di ordine piu' specificamente epistemologico e metodologico. In fondo, per Hume si tratta "soltanto" di risolvere il problema filosofico dell'induzione (l'uniformita' della natura che garantisce la validita' in futuro delle conoscenze finora acquisite sulla base dell'esperienza), mentre risulta dato pressoche' per scontato che un metodo induttivo per compiere inferenze valide fino a un determinato tempo t possa esistere. La stessa giustificazione trascendentale kantiana, rivolta a fondare il principio di uniformita' della natura ed a salvare la possibilita' in generale dell'inferenza induttiva, non prende troppo sul serio il problema di una possibilita' dell'errore nelle singole, concrete inferenze induttive (problema epistemologico-metodologico). Questo non solo perche' l'orizzonte trascendentale garantisce la possibilita' dell'intersoggettivita', ma anche per il motivo che la sensibilita', nella prospettiva kantiana, resta passiva e il suo contributo alla conoscenza si puo' separare da quello dell'intelletto. Percio' l'apriorismo kantiano pone certamente problemi filosofici, ma non reali problemi epistemologici. Questi si pongono invece per Popper che opera - contribuendo a costituirlo - nell'orizzonte postkantiano, in cui l'a priori e' storicizzato, pluralizzato e dunque relativizzato. In un contesto del genere, come e' possibile salvare l'oggettivita' della conoscenza scientifica? Se e' vero che il dibattito filosofico contemporaneo si riduce "a una dicotomia o a una serie di dicotomie, riassumenti e riproponenti i conflitti di quasi un secolo intero: scienza e storia, teoria e prassi, razionalita' ed esistenza" (Eugenio Garin), allora il pensiero di Popper e' uno sforzo disperato per sottrarsi a questo conflitto, rifiutando sia la pretesa di una fondazione assoluta (da sacrificare se si vuole salvare lo spirito del paradigma filosofico classico) sia la resa della ragione alla storia, della norma al fatto, della scienza al consenso della "citta' scientifica", che e' lo scandalo epistemologico per tutta la tradizione classica. La differenza di fondo tra Karl Popper e Gaston Bachelard - che andava contemporaneamente proponendo un'epistemologia per altri versi vicina a quella popperiana - e' tutta qui: in Bachelard e' definitivamente messo a tacere quel super-io filosofico che pretendeva imporsi alla scienza com'e' concretamente praticata, anziche' accettare che "la ragione deve obbedire alla scienza, alla scienza piu' evoluta, alla scienza che evolve". Solo se si individua il cuore della riflessione epistemologica di Popper nello sforzo irriducibile per evitare questo esito, e' possibile comprendere in modo organico il complesso del suo pensiero, la sua particolare idiosincrasia per Hegel e la specifica accezione che assume lo "storicismo" nella sua polemica (un'inaccettabile resa al "fatto" della storia). Il proposito di attingere in qualche modo il reale attraverso la falsificazione; il tentativo, di cui riconosce il fallimento, di stabilire un criterio di verisimilitudine; la volonta' di continuare a parlare comunque di verita' e la certezza di poter disporre almeno di "criteri congetturali di preferenza razionale", costituiscono via via gli indicatori di direzione per una navigazione incerta, fluttuante ma testarda nel rimanere fedele a quella che Popper chiama "la legge di Hume" (ancora lui!), secondo cui il valore (in questo caso la razionalita' anche criticamente intesa) e' irriducibile al fatto (i razionalismi storicamente in atto, le teorie condivise dalla comunita' scientifica). Una decisione di carattere etico sta al fondo di questa scelta metodologica: la decisione di mantenere aperta la possibilita' di giudicare anche la pratica scientifica perche', "dopotutto, tutta quanta la scienza potrebbe sbagliare". Ma questa stessa possibilita' di giudizio (e la certezza che in ogni caso la sentenza sulla razionalita' della scienza non sara' negativa) ha bisogno di essere garantita da una presupposizione di livello piu' profondo, che non potra' trovarsi piu' ne' nel tradizionale rispecchiamento della realta', ne' nell'orizzonte trascendentale kantiano. Lo spiraglio per superare il rischio del relativismo e fondare la possibilita' di un "discorso comune" Popper lo intravede a tratti nella direzione di un'epistemologia evoluzionistica, nel riconoscimento di un a priori biologico, di un fondamento animale comune che permane oltre la storia e la cultura. In questo modo il circolo si chiude e la garanzia di validita' degli schemi conoscitivi innati e' darwinianamente ricondotta al dato di fatto della sopravvivenza della specie. Questa "epistemologia dei dinosauri" e' forse qualcosa di piu' rispetto all'approdo cui giunge Ludwig Wittgenstein - "Quando ho esaurito le giustificazioni arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega. Allora sono disposto a dire: Ecco, agisco proprio cosi'" - ma e' comunque maledettamente vicina al risultato cui era arrivato Hume: che "lo stesso ragionamento sperimentale che abbiamo in comune con le bestie e dal quale dipende l'intera condotta della vita, non e' altro che una specie di istinto o di potere meccanico, che agisce in noi sconosciuto a noi stessi". E' forse per questo motivo che l'ultimo Popper, mentre mostra di rendersi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretra e resiste dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al proprio paradigma, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre piu' deboli. 7. RIFLESSIONE. LUISELLA BATTAGLIA: UNA CONVERGENZA [Da Luisella Battaglia, La "voce femminile" in bioetica. Pensiero della differenza ed etica della cura, in Stefano Rodota' (a cura di), Questioni di bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993, 1997, p. 272. Luisella Battaglia e' nata a Genova nel 1946, professoressa associata di filosofia morale presso la facolta' di Scienze della formazione dell'Universita' di Genova, nonche' direttrice dell'Istituto Italiano di Bioetica. Opere di Luisella Battaglia: La questione dei diritti degli animali (Torino 1989); Il dilemma della modernita' (Napoli 1994); Etica e diritti degli animali (Roma-Bari 1997)] Sembra possibile, pertanto, registrare una singolare convergenza tra la ricerca femminista sulla moralita' - incentrata sul tema della cura - e la recente riflessione bioetica, che tale concetto ha privilegiato, sottolineandone l'importanza, anzi la crucialita', all'interno di un progetto di umanizzazione della medicina. 8. RIFLESSIONE. DIANA SARTORI: ALCUNE ANALISI CRITICHE FEMMINISTE SULLA TEORIA DELLA GIUSTIZIA DI RAWLS [Questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 27 novembre 2002. Diana Sartori, filosofa, fa parte della comunita' filosofica femminile "Diotima" e della comunita' scientifica femminile "Ipazia". Opere di Diana Sartori: ha contribuito a vari volumi collettanei, tra cui: Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990; Autorita' scientifica, autorita' femminile, Editori Riuniti, Roma 1992; Oltre l'uguaglianza, Liguori, Napoli 1995. John Rawls, della cui scomparsa si e' avuta notizia il 26 novembre, e' l'autore del classico Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1982 (l'edizione originale e' del 1971)] Rawls non vedra' in stampa l'imminente The Cambridge Companion to Rawls che gli tributa l'ovvio riconoscimento di aver definito parte sostanziale dell'agenda filosofico-politica del passato quarto di secolo. E non vedra' cosi' l'ulteriore, e meno ovvio, pubblico tributo che in Rawls and Feminism gli indirizza Martha Nussbaum: "L'opera di Rawls offre importanti intuizioni per il pensiero femminista sulla giustizia. Per molti aspetti, la sua teoria puo' essere adattata per rispondere alle piu' serie critiche che le femministe le hanno rivolto". C'e' una certa ironia nel venire queste parole da chi, donna e pure aristotelica, sembra proporsi come nuova solista della discussione sulla giustizia e insieme del dibattito femminista: singolare passaggio del testimone. Passaggio che si potrebbe vedere con qualche soddisfazione femminile, se non fosse che un simile giudizio taglia d'un colpo la serieta' delle critiche femministe all'impianto rawlsiano, facendo sorgere un legittimo sospetto sul fatto che la stessa Nussbaum le abbia prese davvero sul serio. Non si puo', infatti, negare che il rapporto del femminismo con Rawls sia stato segnato da grandi aspettative e sforzi di integrazione ed emendazione. Ma non si puo' non riconoscere dopo questi trent'anni di dibattito femminile sulla giustizia, vasto e anche piu' acceso di quello dell'agenda ufficiale del pensiero filosofico-politico, che quel rapporto ha portato le critiche forse piu' gravi al progetto di Rawls, e che i tentativi di "adattarlo" sono andati o delusi, o hanno prodotto sviluppi che lo rendono pressoche' irriconoscibile rispetto all'impostazione originaria, muovendo ben oltre. E cio' anche limitandosi a quella parte della riflessione femminile che ha ritenuto di doversi confrontare con la teoria di Rawls, comunque non circoscritta al femminismo di impianto liberale. Il caso piu' noto e' quello di Susan Okin, il cui Le donne e la giustizia: la famiglia come problema politico pur prendendo le mosse dalla convinzione che Rawls abbia un forte "potenziale femminista", si articola in spietata analisi della sua inadeguatezza una volta sottoposto al vaglio della differenza dei sessi, che abitualmente cade sotto la "negligenza" dei pensatori della giustizia. Perno di Okin e' la distinzione pubblico/privato, e il ruolo "assunto e negletto" della famiglia: Rawls "assume (come la maggior parte della tradizione liberale) che i soggetti appropriati delle teorie politiche non siano individui adulti, ma capi-famiglia", tenendo peraltro la sfera della famiglia fuori dall'applicazione della propria teoria, quando invece verso questa teoria dipende proprio dal "senso di giustizia" che i soggetti debbono maturare all'interno di una "famiglia giusta". Ma "se le istituzioni di genere della famiglia non sono giuste, allora l'intera struttura dello sviluppo morale proposta da Rawls sembra edificata su un terreno incerto". La teoria e' "incrinata dal suo stesso inizio. Una struttura familiare ingiusta non puo' produrre cittadini giusti". Questa accusa di negligenza venne accolta da Rawls, che mostro' poi piu' attenzione a non cadere nella propria "mancanza". Da notare che per Okin il Rawls di Liberalismo politico non ha fatto che peggiorare la propria posizione. Se Okin manteneva fiducia nel potenziale non sessista del "velo di ignoranza" e nell'idea della "posizione originaria", per quanto corretti, altre critiche si sono appuntate proprio su questi nodi della teoria rawlsiana. Tra le piu' significative quelle di Iris Young che ne ha investito il sotteso ideale kantiano di imparzialita' nonche' l'intero impianto distributivo, mostrandone la riduttivita' rispetto a una giustizia "abilitativa" rispettosa della differenza. Non meno radicale il fronte delle femministe che hanno attaccato Rawls come esponente di una visione etico-politica incapace di superare i limiti di un'impostazione tradizionalisticamente e mascolinicamente concentrata sull'atomismo individualistico, su di un razionalismo normativo formalistico e astratto, su di un universalismo cieco alle differenze e ai contesti, su un ideale di autonomia insensibile a relazioni, a dipendenze, a emozioni e ai corpi dei soggetti morali e politici di cui pretende di parlare. Se si pensa a quanto A Theory of Justice debba alla teoria dello sviluppo morale di Kohlberg e' facile vedere quanto la mole di critiche che sull'"etica della giustizia" si e' abbattuta da parte di quelle che hanno riflettuto sull'etica della cura possa essere caricata anche sulle spalle di Rawls. Il che rende quanto meno dubbio che un adattamento del suo progetto sia in grado di rispondervi prendendo sul serio le critiche che pongono al centro della domanda sulla giustizia la domanda della differenza. A meno che non si stia, in realta', parlando di uguaglianza. Il che, forse, davvero e' al centro della domanda sulla giustizia di Rawls, a dispetto del "principio di differenza". Se l'idea di fondo e' di una eguaglianza per cui, come dice Elizabeth Wolgast "Lo schiavo e il padrone potrebbero, per eventualita' del caso, essere l'uno al posto dell'altro. Il principe potrebbe cambiare di posto con il povero", allora si tratta di una visione che spinge a pensare che ognuno, sotto sotto, e' come tutti gli altri, e siamo scambiabili. "Ma quando sostituiamo 'donna' a 'schiavo' e 'povero', in queste formule tradizionali, il risultato e' implausibile. Non e' ovvio che, a parte i casi e gli ornamenti, le donne condividano l'insieme dei loro interessi di base con gli uomini. E se le donne sono irriducibilmente differenti rispetto ad alcuni di questi, allora a questo livello di differenza, i posti non si possono scambiare. Il principe che puo' cambiare posto con un povero potrebbe non essere in grado di cambiare posto con una principessa". 9. DISCUSSIONE. DA UN'EPISTOLA DI MISONE ALL'AMICO SUO TIMANDRO [Ci ha preso giusto, Misone, a scaricarci addosso i cassetti gravosi di gravose carte dei suoi corrucciati carteggi] Carissimo Timandro, sono di quelli che negli anni '70 si batterono contro il fatto che il movimento giovanile di allora, la nuova sinistra che presto' invecchio', si lasciasse trascinare alla violenza e nella violenza travolgere; io e quelli come me non venimmo ascoltati allora, e purtroppo i frutti di quella scellerata sottovalutazione del fatto che la violenza e' sempre nostra nemica furono quelli che chiunque ha la mia eta' ricorda con un dolore inestinguibile: tante persone furono uccise (e troppi troppo a lungo acclamarono le stragi o ne giustificarono gli esecutori, contribuendo cosi' a che nuove stragi avvenissero). Oggi vedo commettere lo stesso errore che trent'anni fa porto' a quegli esiti tragici: un movimento di giovani generosi che viene trascinato da alcuni ciarlatani e mascalzoni verso la sottovalutazione del fatto che alla violenza bisogna opporsi sempre; e questa sottovalutazione e' gia' una sciagurata giustificazione della violenza, e quindi una effettiva complicita' con la violenza, oscenamente glorificata come strumento di lotta politica. A qualcuno sembra cosi' strano che io ne provi ripugnanza, che ne sia angosciato, e che senta il dovere di oppormi con tutte le mie forze a questa pericolosissima follia che puo' portare a conseguenze orribili? E qualcuno e' cosi' ipocrita da poter sostenere di non essersi accorto che nel "movimento dei movimenti" gia' troppo si e' stati complici con chi predica e pratica la violenza? * Aver tollerato, e peggio: permesso e avallato, le violenze del "blocco blu"a Praga due anni fa (avallato poiche' si arrivo' addirittura a una sorta di ignobile divisione dei ruoli nell'organizzazione stessa delle iniziative) fu o non fu un crimine e una follia? Molte persone come conseguenza degli scontri furono ferite e subirono poi crudeli violenze da parte di appartenenti alle forze dell'ordine sadici. Aver scelleratamente per mesi e mesi cianciato di "dichiarazioni di guerra" ed aver continuato fino al disastro a propugnare l'idea demente e suicida dell'invasione della "zona rossa" a Genova, ha contribuito o no allo scatenamento della violenza da parte dei settori sadici e nazisti delle forze dell'ordine? La vicenda dell'assalto al furgone dei carabinieri e il tentativo di linciaggio dei ragazzi che vi erano dentro ha contribuito o no a provocare la morte del povero Carlo Giuliani? E dopo la morte di un ragazzo, dopo gli orrori della Diaz e di Bolzaneto, cosa deve pensare una persona non obnubilata di una leadership che cianciava insensatamente di una "vittoria" del movimento? Una vittoria? Una catastrofe con un morto e innumerevoli feriti e torturati e' una vittoria? Alla base di un'affermazione simile c'e' una cultura militarista che disprezza la vita e l'incolumita' delle persone. E passando ad altri episodi grotteschi e inquietanti: spedire pallottole a un ministro e' ammissibile? Minacciare ceffoni a dei deputati se partecipano ad una manifestazione pacifica e' ammissibile? Andare alle manifestazioni mascherati e' ammissibile? Andare alle manifestazioni armati (e sia pure di armi improprie raccattate sul posto) e' ammissibile? Partecipare alle manifestazioni con l'esplicito obiettivo di provocare uno scontro fisico, addirittura preparando e portando l'attrezzatura utilizzabile a questo fine, e' ammissibile? Correre il rischio di far ferire o peggio uccidere delle persone per conquistare un po' di spazio sui mass-media e' ammissibile? A me sembra di no. A qualcuno pare di si'? Le violenze di cui e' stata testimone e vittima Ipazia, sono ammissibili? A me sembra di no. A qualcuno pare di si'? Lo dico chiaro: io non sono disposto a stare a cavillare su queste cose: chi giustifica gli squadristi e' complice degli squadristi. Lo ho imparato da due maestri grandi che ho avuto e che sono ormai scomparsi da molti anni ma che non ho dimenticato: Primo Levi e Vittorio Emanuele Giuntella, entrambi superstiti dei lager nazisti: da loro ho imparato che alla violenza bisogna opporsi sempre. * Concludo: credimi, Timandro, mi pare che troppi eludano il nocciolo della questione che pongo, e questo eludere il nocciolo della questione e' una cosa che trovo gravissima nella condotta di molti, di troppi, in questi giorni. E il nocciolo della questione che ho posto (e che e' di fondo; qui non stiamo affatto parlando dell'inchiesta cosentina, ma di scelte di principio) e' il seguente: se ci si vuole impegnare per la pace e per la giustizia non si puo' essere complici della violenza e dei violenti. Dal mio punto di vista e' una cosa semplice ed ineludibile: non ci si puo' girare intorno, o si fa una scelta o si fa quella contraria; non scegliere significa aver scelto di essere complici della violenza. Dico di piu': mi era parso di capire che la Rete di Lilliput pur con tutte le sue possibili confusioni non solo voleva impegnarsi per la pace e la giustizia, ma voleva anche fare riferimento alla nonviolenza. Vorrei che qualcuno mi spiegasse come fa a conciliare la dichiarazione di avere la nonviolenza come punto di riferimento e poi essere indulgente, e quindi complice, con la propaganda e l'uso della violenza. Non dico che tutti devono condividere il punto di vista degli amici della nonviolenza, dico piu' semplicemente che non si puo' essere contemporaneamente una cosa e il suo contrario. Del resto non e' neppure necessario essere amici della nonviolenza per opporsi alla violenza; opporsi alla violenza dovrebbe essere l'atteggiamento naturale e spontaneo di tutte le persone ragionevoli e non prepotenti. * A Ipazia, cui invio questa lettera per opportuna conoscenza, esprimo tutta la mia solidarieta' e profondo il mio affetto; come don Milani non ho esitazioni a scegliere con chi schierarmi tra chi fa il picchiatore e chi viene picchiato. Mi sorprende che molti altri che pur dicono di volersi impegnare per la pace e la giustizia non abbiano il pudore di fare una scelta: se vogliono impegnarsi per la pace e la giustizia la smettano di essere complici degli squadristi; se vogliono essere complici degli squadristi la smettano di spacciarsi per amici della pace e della giustizia. * Ti prego, Timandro, mandami due righe di risposta in ogni caso, ci conto. E se nella fretta con cui ho scritto questa lettera ci dovesse essere qualche espressione che ti e' parsa troppo brusca te ne chiedo scusa. Non amo le espressioni gridate, ma poiche' mi par di vedere che tante brave ed ingenue persone per mancanza di esperienza e perche' sedotte e ingannate da vecchi marpioni in carriera stiano venendo trascinate nel baratro che comincia con l'acquiescenza nei confronti della violenza e puo' finire nella follia e nell'orrore, non essendo abbastanza vicino ad ognuna di esse da poterle afferrare e trattenere come il catcher in the rye di Salinger, mi pare necessario dar loro una voce, lanciar loro un grido di avviso, sperando che possa servire a qualcosa. Vorrei poter contare sul fatto che tutti gli amici della Rete di Llliput si impegnassero per lo stesso fine, nelle forme e nei toni che ciascuno riterra' piu' adeguati. Se vogliamo essere costruttori di pace e di giustizia dobbiamo essere intransigenti e limpidi nella lotta contro la violenza e la menzogna, di cui l'ipocrisia e l'indifferenza sono altre forme appena camuffate. Con amicizia, un abbraccio, Misone 10. CHE FARE. TRIBUNALE 8 MARZO: LA PAROLA [Quella che riportiamo e' la frase conclusiva della Carta costitutiva del Tribunale 8 marzo, redatta in Roma il 6 marzo 1979 (che riprendiamo da Tribunale 8 marzo, Cosa loro. Testimonianze-denunce al Tribunale 8 marzo, Bulzoni, Roma 1980, p. 126] Tra il grido, la violenza e il silenzio scegliamo la parola. 11. POESIA E VERITA'. MARIA LUISA SPAZIANI: IL SOGNO GIUSTO [Da Maria Luisa Spaziani, Poesie 1954-1996, Mondadori, Milano 2000, p. 267. Maria Luisa Spaziani e' tra le grandi poetesse della lingua italiana del Novecento] Se faccio un sogno, e poi me ne nascono versi, quei versi sono il sogno che sognate con me. Attenti ad incarnarvi nel sogno giusto. Nascono da una pagina scritta, in fitta schiera, mostri, presagi o angeli. 12. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Le cose difficili diventano facili. La strada lunghissima, a ogni passo diventa piu' corta. Tu migliori ogni volta che fai la cosa giusta. La nonviolenza e' questo cammino. Che invece di stancarti ti fortifica. 13. RILETTURE. ROBERTO DALL'OLIO: ENTRO IL LIMITE Roberto Dall'Olio, Entro il limite, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000, pp. 176, euro 11,36. Una ottima monografia su Alexander Langer. 14. RILETTURE. DONATELLA DELLA PORTA: MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA POLITICO IN ITALIA. 1960-1995 Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia. 1960-1995, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. VIII + 216, lire 28.000. Una utile sintesi. 15. RILETTURE. MARCELLA FERRARA: LE DONNE DI SEVESO Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 216. Una inchiesta esemplare condotta dalla giornalista e militante recentemente scomparsa. 16. RILETTURE. GERSHOM SCHOLEM: LE GRANDI CORRENTI DELLA MISTICA EBRAICA Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino 1993, pp. XIV + 402, lire 16.000. Un classico, e una lettura straordinariamente appassionante. 17. RILETTURE. LUCIA VENTURI (A CURA DI): MAI PIU' CERNOBYL Lucia Venturi (a cura di), Mai piu' Cernobyl, Cooperativa centro di documentazione, Pistoia 1996, pp. 80, lire 10.000. Una sintesi ragionata su cosa e' successo dopo l'incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. 18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 19. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 429 del 28 novembre 2002
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