La nonviolenza e' in cammino. 421



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 421 del 20 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Pax Christi, la strada maestra della nonviolenza
2. Le domande senza risposta di Brontolo: sovversivi ed anime belle
3. Benedetta Frare, solidali con gli esseri umani e con la natura
4. Chiara Schiavinotto, il 22 e il 23 novembre e' in Italia Celina Cossa
5. Enrico Peyretti, sul fronte della coscienza
6. Lidia Menapace, una pratica di nonviolenza attiva
7. Enrico Euli, nonviolenza e autorita'
8. Peppe Sini, elogio del salvare questo mondo ancor prima di progettarne un
altro
9. Giulio Vittorangeli: Kurdistan, con la forza della nonviolenza
10. Documentazione: l'esito di un processo
11. Tre paragrafi per Benedetto Croce, nel cinquantesimo anniversario della
scomparsa
12. Riletture: Biancamaria Frabotta (a cura di), Femminismo e lotta di
classe in Italia (1970-1973)
13. Riletture: Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia
14. Riletture: Rosalba Spagnoletti (a cura di), I movimenti femministi in
Italia
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PAX CHRISTI: LA STRADA MAESTRA DELLA NONVIOLENZA
[Riportiamo il testo diffuso da Pax Christi dal titolo "La strada maestra
della Nonviolenza. Nota del Consiglio nazionale di Pax Christi sugli arresti
di esponenti del movimento 'Un altro mondo e' possibile'". Per contatti con
Pax Christi, movimento cattolico per la pace fortemente impegnato per la
nonviolenza: paxchristi at tiscali.it. Anche rispetto a questo pur apprezzabile
intervento dobbiamo esprimere il nostro sbigottimento per
l'irresponsabilita' di alcune sciagurate e non meditate affermazioni: prima
di contestare le ordinanze della magistratura bisognerebbe leggerle: alla
base delle imputazioni a carico degli arrestati (che chi scrive queste righe
si augura vivamente che siano del tutto innocenti di atti di grave violenza)
vi e' la tesi (che ovviamente il processo potra' dimostrare o smentire) che
i fatti-reato rubricati sotto la fattispecie della "sovversione" si siano
concretati in azioni violente. Non crediamo che Pax Christi intenda
dichiararsi disposta ad agire una "sovversione" che si avvalga della
violenza come mezzo di lotta politica. E sarebbe dunque ora che tante
persone perbene la facessero finita di inneggiare alla "sovversione", senza
rendersi conto che chi li ascolta vi legge l'avallo a pratiche scellerate; e
la facessero finita anche di continuare a regalare la rappresentanza del
"movimento dei movimenti" - persino a livello di lessico -, ad alcuni dei
peggiori nostri nemici: i violenti, i militaristi, i callidi e impenitenti
nipotini e allievi degli sprangatori di appena ieri, peraltro gia'
ampiamente infiltrati e troppo a lungo tollerati (e peggio, coperti e
vezzeggiati): accadde gia' trent'anni fa che tante brave persone
sottovalutarono gli esiti degli inneggiamenti alla violenza: e fini' con il
sangue per le strade. Ve lo chiedo dal profondo del cuore, amici cari:
fermatevi, piantatela di dire sciocchezze, prima che accadano cose
irreparabili (Peppe Sini)]
Il Consiglio Nazionale di Pax Christi si e' riunito presso la Casa per la
Pace di Firenze il 17 novembre scorso e si e' soffermato tra l'altro sul
Forum Sociale Europeo che si e' svolto nei giorni scorsi proprio nel
capoluogo toscano.
Ne abbiamo apprezzato il lavoro, il percorso organizzativo (cui peraltro Pax
Christi ha offerto il proprio apporto), i risultati ed i metodi che hanno
visto il contributo di tante organizzazioni e cittadini europei. Alle
assemblee plenarie e ai 151 seminari sulle tematiche della risoluzione dei
conflitti, della globalizzazione, dei diritti e della democrazia, si e'
aggiunta la manifestazione colorata, partecipata e nonviolenta di sabato 9
novembre.
Accanto alla piena soddisfazione abbiamo condiviso anche l'amarezza per la
linea seguita dalla maggior parte dei mezzi di informazione che in troppi
casi hanno posto l'attenzione esclusivamente sul problema dell'ordine
pubblico.
*
Cio' premesso e' emerso sconcerto riguardo all'arresto delle 20 persone
espressione di quello stesso movimento di Firenze. Pur riaffermando la
fiducia e il rispetto nei confronti della Magistratura, il Consiglio ha
espresso quantomeno perplessita' e riserve sul merito dei reati contestati,
sull'opportunita' di ricorrere alla custodia cautelare, sugli effetti che
tale operazione potra' generare e sui tempi scelti per realizzarla.
Rispetto ai reati che risalgono all'ordinamento fascista, si ha il sospetto
piu' che fondato che anche moltissimi tra gli aderenti a Pax Christi
potrebbero ricevere le stesse accuse.
Non v'e' ombra di dubbio che anche noi sognamo di "sovvertire", ovvero di
cambiare radicalmente l'ordine economico attuale che condanna
quotidianamente a morte migliaia di vite umane.
Ed e' certo che anche Pax Christi e' impegnato a favorire e costruire un
ordine economico e politico rispettoso della dignita' di tutte le persone.
Siamo tra coloro che credono fortemente che "un altro mondo e' necessario" e
non solo possibile.
*
Certo, attendiamo di conoscere nel dettaglio i fatti contestati e di
comprendere in che modo questi giustifichino gli arresti e la strana
coincidenza che essi siano avvenuti nei giorni immediatamente successivi al
Social Forum.
Ciononostante riteniamo che, se pure venissero provati dei fatti certi e
gravi ai danni degli arrestati, questo non pregiudicherebbe assolutamente
l'orizzonte di valori, la riflessione e l'azione del movimento composito che
si e' riconosciuto nel percorso di Porto Alegre e di Firenze.
Sono queste considerazioni che ci portano a ritenere eccessive e fuorvianti
le formule accusatorie fino a farci comprendere che siamo di fronte ad una
forzatura che tende a trasformare il dissenso in crimine.
Avvertiamo questo come un'ulteriore violenza del sistema sulla societa'
civile che si organizza, protesta e propone il cambiamento.
D'altra parte la stessa inchiesta di Amnesty International conclude che a
Genova: "Si e' verificata la piu' clamorosa violazione dei diritti umani
realizzata in Europa negli ultimi anni". E ancora ci chiediamo: chi
processera' l'Italia che potrebbe ancora una volta violare in maniera
clamorosa l'articolo 11 della Costituzione che "ripudia lo strumento della
guerra"?
*
A queste operazioni ci sentiamo di rispondere con gli strumenti della
nonviolenza, gli unici che ci sottraggono alla logica e agli interessi dei
grandi potentati economici che frenano i cambiamenti.
Alla stessa nonviolenza vogliamo richiamare in maniera accorata tutti coloro
di cui ci siamo fatti le compagne e compagni di strada.
La nonviolenza, che pure parte dall'analisi precisa delle violenze
strutturali gia' in atto e subite come sempre dai piu' poveri, appare oggi
piu' che mai la strada maestra di tutti coloro che nel mondo vogliono essere
voce degli esclusi e delle vittime.
Parliamo di una nonviolenza attiva, di una lotta nonviolenta trasformatrice
in grado di contestare il sistema adottando le forme eticamente praticabili
delle obiezioni e della disobbedienza civile, del boicottaggio organizzato e
dello sciopero, del digiuno e di nuovi stili di vita, di tutte le forme che
la lunga pratica dei nonviolenti puo' suggerirci in modo creativo per
costruire una storia ricca di umanita'.

2. LE DOMANDE SENZA RISPOSTA DI BRONTOLO: SOVVERSIVI ED ANIME BELLE
I. Quando vedo tanti bravi giovani sfilare per le vie al delirante motto di
"siamo tutti sovversivi" mi chiedo se stiano manifestando l'intenzione di
iscriversi tutti a Forza Italia o alla Lega.
II. A sentire tante brave persone che fino a ieri ritenevo sane di mente
autodenunciarsi e proporre ad altri di autodenunciarsi per sovversione e per
condivisione di gravi fatti di violenza giustamente configurati come reati
(sebbene le fattispecie sotto cui siano stati qualificati almeno a me
appaiano quantomeno discutibili, ma quel che piu' conta e' la sostanza dei
fatti, non la denominazione che ad essi si attribuisce) ed attribuiti a
torto o a ragione a persone agli arresti (che vanno ritenute innocenti
finche' non si sia dimostrato che siano colpevoli di qualcosa; e la cui
scarcerazione, in attesa del processo, auguro sia prossima: nessuno dovrebbe
essere detenuto prima di una sentenza di condanna se non vi sono gravissimi
motivi), mi vien da controproporre: non sarebbe meglio autodenunciarsi per
eccesso di retorica e obnubilamento dei sensi e dell'intelletto? Poiche'
autodenunciarsi per reati non commessi configura il reato di autocalunnia, e
dichiararsi complici di ipotizzati gravi atti di violenza non mi pare che
sia il modo per costruire "un mondo diverso" migliore del mondo attuale.
III. Vorrei acquistare anch'io la sfera di cristallo che evidentemente tanti
possiedono per essere certi che nessuno degli imputati abbia giammai
promosso o commesso atti di violenza (soprattutto alla luce di certe fin
rumorose dichiarazioni di taluno di essi in passato). Dove la vendono?
IV. Molto controvoglia ma per senso del dovere ho letto alcune centinaia di
pagine dell'ordinanza della Procura di Cosenza, disponibile integalmente nel
sito della Rai (www.rainews24.it): non l'ho letta tutta; ma suggerirei a
tutti coloro che in questi giorni stanno facendo dichiarazioni a dir poco
avventate e sovente deliranti o in palese malafede che forse farebbero bene
a darvi un'occhiata.
V. Ritengo un dovere dfendere i diritti umani di tutti; invece indurre tante
brave ed ingenue persone ad autodenunciarsi dichiarandosi correi di fatti di
cui spero che invece gli imputati vorranno dichiararsi innocenti, non mi
pare un dovere, e neppure un diritto, ma una infamia e una idiozia. Che
questa infamia sia commessa da illustri personalita' non ne muta la natura
di infamia e di idiozia.
VI. Se non fermiamo subito la deriva di parte non piccola del movimento per
la pace e la giustizia verso la catastrofe intellettuale e morale in corso,
se non ristabiliamo subito il criterio del rispetto della verita' e il
criterio dell'opposizione assoluta alla violenza, se non si esce subito
dalle mostruose ambiguita' in cui tanti pretesi "leader" (proclamati tali
non da procedure democratiche nel movimento, poiche' questo movimento per la
pace e la giustizia giustamente non ha e non deve avere ne' "capi" ne'
"politburo"; ma in parte per selezione di macchine burocratiche e lobbies
neppure granche' trasparenti, e fondamentalmente per decisione dei
mass-media, cioe' dal potere mediatico autoritario contro cui si dice che ci
si batte) si voltolano da troppo tempo, temo che la fine nel tragico oltre
che nel ridicolo sia prossima.
VII. Certi errori li abbiamo gia' visti trent'anni fa, e ad essi seguirono
orrori. Cerchiamo di evitare gli uni per impedire che seguano gli altri.

3. INIZIATIVE. BENEDETTA FRARE: SOLIDALI CON GLI ESSERI UMANI E CON LA
NATURA
[Dall'ufficio stampa di Transfair Italia (per contatti: tel. 3488243386, o
anche: 0498750823, fax: 0498750910, e-mail: stampa at transfair.it) riceviamo e
diffondiamo]
Finalmente le banane biologiche ed equosolidali certificate dal marchio
TransFair arrivano in Italia.
A partire da novembre saranno presenti in 500 negozi specializzati in
prodotti biologici in tutta Italia e nei supermercati e ipermercati Coop che
hanno scelto di aggiungere alle loro referenze le banane buone con la natura
e con i diritti dei lavoratori. Il rapporto con i produttori del Commercio
Equo e Solidale non e' cosa nuova: da molti anni i negozi specializzati e la
rete Coop commercializzano i prodotti provenienti dal Sud del mondo,
cercando di coniugare l'ecologia con una giusta economia.
Le banane sono garantite dal marchio TransFair che certifica la provenienza
dalle cooperative e aziende che lavorano nel circuito del Commercio Equo e
Solidale e la loro importazione e' curata da Organic Sur di Bologna, per lo
specializzato biologico, e da Peviani di Pavia per quanto riguarda Coop.
In particolare provengono da El Prieto, azienda di recente iscritta nel
registro internazionale dei produttori ma una delle prime a lavorare banane
biologiche certificate in Ecuador. Il crollo del prezzo delle banane, che ha
raggiunto i minimi storici, aveva compromesso la tenuta di El Prieto e dei
suoi lavoratori. In questo senso, in un solo anno, il Fair Trade ha fatto
miracoli: sono nati dei "comitati" impegnati in diversi fronti, da quello
sanitario, alla scuola, allo sport fino all'organizzazione della
piantagione. E' stato possibile inoltre sviluppare il margine sociale
derivato dalla vendita per ampliare il servizio medico con un ambulatorio
per combattere la disidratazione dei lavoratori. L'azienda, di concerto con
loro, ha ideato poi una forma di assicurazione sui servizi sanitari: il
versamento di una quota minima dello stipendio consente a ciascuna famiglia
di accedere all'assistenza e alle cure dentali. Non viene trascurato nemmeno
l'aspetto formativo con occasioni di approfondimento anche esterne
all'azienda riguardo alla legislazione vigente in tema di lavoro e su
tecniche di comunicazione e dialogo. A ciascun lavoratore che abbia maturato
sette anni di anzianita' in azienda, El Prieto concede inoltre un bonus di
3.500 dollari per l'acquisto o il risanamento di un'abitazione. Sul fronte
dei diritti sindacali e' stata inserita la figura di un "valutatore del
lavoro" con l'incarico di redigere lo statuto per un'associazione tra
lavoratori ed un primo contratto collettivo. Oggi, grazie a questa nuova
apertura nel mercato italiano, i lavoratori di El Prieto avranno ulteriori
opportunita' di sviluppo per se stessi e per le loro famiglie.

4. INCONTRI. CHIARA SCHIAVINOTTO: IL 22 E IL 23 NOVEMBRE E' IN ITALIA CELINA
COSSA
[Dall'ufficio stampa del Consorzio Etimos (per contatti: tel. 3405311835;
e-mail: chiara at koinecomunicazione.it, o anche: etimos at etimos.it; sito:
www.etimos.it) riceviamo e diffondiamo]
A dieci anni dalla firma degli accordi di pace per il Mozambico, Celina
Cossa, leader della piu' importante rete di cooperative femminili del paese,
e' in Italia, ospite del Consorzio Etimos. Sabato 23 novembre interverra'
alla Giornata della finanza etica di Bologna.
Celina Cossa non e' un nome noto al grande pubblico, ma la sua storia si
identifica con quella di una generazione di donne che hanno contribuito a
riscattare la storia tragica del proprio paese, il Mozambico. E' infatti tra
le fondatrici dell'Unione Generale delle Cooperative (Ugc),
un'organizzazione che comprende piu' di 200 cooperative, prevalentemente
agricole e zootecniche, e coinvolge quasi 9.000 lavoratori, al 95% donne,
nella regione di Maputo.
Nata nel 1954, Celina Cossa alla fine degli anni '70 e' maestra elementare
in un paese che, dopo aver ottenuto l'indipendenza dal Portogallo, e'
dilaniato da una sanguinosa guerra civile: villaggi distrutti, fattorie
disseminate di mine, centinaia di migliaia di sfollati che fuggono dalle
campagne alle citta' o trovano accoglienza nei paesi vicini.
In un contesto che vede intrecciarsi guerra, poverta', carenze alimentari,
inadeguatezza tecnica e mancanza di sementi, l'esperienza cooperativistica
nell'area di Maputo viene incoraggiata dallo stesso governo al potere per
far fronte al fabbisogno alimentare della capitale, ma si sviluppa e
rafforza autonomamente, anche in contrapposizione al governo, dando vita,
nel 1981, al primo nucleo dell'Unione Generale delle Cooperative, presidente
appunto Celina Cossa.
Una fortissima fiducia nel movimento cooperativistico e la consapevolezza
che il riscatto, anche economico, della societa' mozambicana doveva passare
attraverso le donne (e la loro emancipazione) sono gli elementi che danno
una particolare connotazione alle iniziative di Celina Cossa, come emerge
anche dalle sue parole: "la nascita dell'Unione Generale delle Cooperative
rappresento' una reazione al degrado assoluto delle condizioni di vita, alla
mancanza di ogni cosa, alla tendenza diffusa a sperare nelle iniziative
ufficiali, a dipendere dagli altri. E' stata, ed e' tuttora, un'esperienza
quasi esclusivamente femminile: gli uomini tradizionalmente lavoravano in
citta', nell'apparato pubblico, nelle imprese statali, o come salariati".
Ora l'Unione Generale comprende 185 cooperative di primo grado (quelle piu'
semplici), e 42 di secondo grado, 9.000 soci e 3.000 ettari di terre
coltivate; e' il primo produttore di polli del paese e ha contribuito a
stabilizzare il prezzo della carne, riducendo il volume delle importazioni e
la dipendenza dall'estero; si calcola che siano quasi 50.000 i beneficiari
indiretti delle attivita' dell'organizzazione. Oltre alle attivita'
produttive (orticoltura e produzione di cereali, allevamento di polli da
carne e di pulcini da riproduzione, produzione di uova e fabbrica di
mangimi, mattatoio, incubatrice...), offre servizi di assistenza legale,
fiscale e contabile e sostegno per la commercializzazione dei prodotti; ha
avviato una serie di servizi sociali in ambito educativo e sanitario (scuole
medie, istituti tecnici e di formazione, piccoli ospedali rurali) e da un
anno ha attivato la Cooperativa di Risparmio e Credito per formalizzare le
attivita' di sostegno finanziario che da sempre vengono offerte agli
associati.
Come riconoscimento per i risultati ottenuti, a Celina Cossa e' stato
attribuito nel 1998, a New York, il prestigioso Africa Prize nell'ambito
dell'Hunger Project, riservato ai leader africani che si sono maggiormente
distinti nel combattere la fame e la poverta' nel loro paese.
Celina Cossa sara' in Italia a partire dal 22 novembre, sabato 23
partecipera' alla Giornata della finanza etica a Bologna e successivamente
sara' a disposizione della stampa per interviste e approfondimenti.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: SUL FRONTE DELLA COSCIENZA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' una delle piu' prestigiose
personalita' della nonviolenza in Italia]
Dalla "Catena di san Libero" (l'ottima rivista diffusa per e-mail a cura di
Riccardo Orioles, per richieste: ricc at libero.it) del 18 novembre: "La
Conferenza Episcopale Usa - la massima assemblea della Chiesa Cattolica
negli Stati Uniti - ha emesso un documento ufficiale di condanna della
politica militare del governo, invitando fra l'altro i fedeli a praticare
l'obiezione di coscienza contro una eventuale guerra in Iraq. La decisione
e' stata presa quasi all'unanimita' (quattordici voti contrari su
duecentoquaranta)".
*
L'importanza non sta solo nel fatto che sono i vescovi americani (durante il
Concilio i loro predecessori frenarono il testo sulla pace, nella Gaudium et
Spes), ma nel fatto che preti, vescovi e papi, per lo piu' anzitutto
incaricano Dio di fare la pace con un miracolo al posto della nostra azione,
poi pregano i capi di stato di essere buoni e non fare la guerra, e solo
raramente ricordano alle coscienze delle persone che il male non si puo'
fare, che uccidere come strumento politico e' male e dunque la guerra non si
puo' fare.
Prima di questa bella eccezione collettiva, ho presenti solo pochi esempi:
Primo Mazzolari e certamente altri preti sconosciuti, tra i vescovi Oscar
Romero, Tonino Bello, Pier Giorgio Debernardi (vescovo di Pinerolo, con
poche righe chiare sul suo giornale, all'inizio della guerra del Kossovo).
Sarei lieto di essere aiutato ad apprendere altri esempi, che ci sono ma che
non sono ora in grado di documentare. Anche per ricordarli a preti, vescovi
e papi, che passano l'incarico a Dio e ai governi.
Affinche' la chiesa sia finalmente una chiesa delle coscienze e non un
potere che (sulla guerra; altra cosa e' l'etica sessuale) tratta solo coi
suoi pari, gli stati. Ora vedremo quanti soldati americani cristianissimi
(in quanto occidentali) useranno la coscienza. Senza la quale ci si dimette
da esseri umani.

6. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA PRATICA DI NONVIOLENZA ATTIVA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questa
saggia considerazione che estraiamo da un suo intervento nella mailing list
"Territori" di commento e sostegno all'articolo "tre glosse" apparso sul
notiziario di ieri. Lidia Menapace e' una delle figure piu' belle dei
movimenti di pace, di solidarieta', di liberazione, della nonviolenza in
cammino]
Tutti e tutte sappiamo che e' in corso nel movimento "un altro mondo e'
possibile" un serrato e per mio gusto un po' troppo sotterraneo confronto su
simbolico, pratiche e forme: cose non dappoco che chiedono anche una certa
sottigliezza di giudizio.
Insomma il vecchio Tommaso non aveva torto a consigliare "distingue
frequenter".
Avverto nel sottofondo di certe posizioni echi di Padova, sede
dell'estremismo di sinistra e di destra, non per caso in qualche modo
accorpati anche ai margini di Firenze.
Tengo troppo a quanto spero succeda e cioe' che non sbagliamo clamorosamente
un'altra volta nel giro di pochi decenni e che si affermi invece una pratica
di nonviolenza attiva e di impegno etico forte.
Il brigatismo ha sbagliato e fallito, riconosco a Curcio di averlo detto con
ferma severita' e almeno vedo che ora sceglie opere di solidarieta', non
farnetica di "stato borghese che si abbatte, non si cambia". Mi ricordo che
gia' negli anni settanta i piu' dotati di ironia avevano variato lo slogan
cosi': "Lo stato borghese ci abbatte e non si cambia". Infatti e' lo stato
come istituzione violenta che deve deperire, dato che lo stato socialista
non pare sia stato meglio, quanto a liberta'.

7. DIBATTITO. ENRICO EULI: NONVIOLENZA E AUTORITA'
[Ringraziamo di cuore Enrico Euli (per contatti: diabeulik at libero.it) per
questo intervento in fraterno dibattito con quello di Mao Valpiana apparso
sul n. 398 del nostro notiziario. Enrico Euli e' uno dei piu' apprezzati
formatori alla nonviolenza, e un caro amico discutere col quale e' sempre
prezioso]
Per amore del dibattito in corso non da ora tra amici della nonviolenza su
temi come lo stato, le leggi, il monopolio della violenza legittima, le
politiche della sicurezza, vorrei provare a commentare lo scritto di Mao
Valpiana (apparso su "La nonviolenza e' in cammino" del 28 ottobre scorso),
cosi' pertinente ed attuale, ma per alcuni aspetti distante dal mio sentire.
Ovviamente nessuno di noi propone un approccio che descrive un'unica linea
come se fosse la sola possibile; nell'area nonviolenta le sensibilita' e gli
approcci presenti sono vari e diversi e da sempre mi piacerebbe se tutti
potessero trovare almeno un po' di spazio.
Per cui, quando si dice: "i nonviolenti sono sempre stati favorevoli alla
legge e alla polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai
soprusi dei violenti", vorrei ricordare che esiste anche un'area del
pensiero e della prassi nonviolenta - forse minoritaria in Italia, ma non
vedo perche' fingere che non esista - che non e' mai stata favorevole agli
stati, alle leggi e alle istituzioni statuali, e che non si e' mai
riconosciuta nella legittimita' del monopolio della violenza (naturalmente
proprio perche' ad ogni violenza si oppone).
Per come la vedo io (e vorrei soltanto che anche questa posizione possa
essere ascoltata e rispettata come legittimamente nonviolenta) mi sento
disposto a riconoscere le leggi se e solo se mi convincono della loro
legittimita' morale e politica, se e solo se difendono i deboli dai soprusi
dei violenti (e non mi riconosco in esse se servono, come spesso capita e
non per caso, al contrario); ed a riconoscere di poter essere punito
dall'autorita' legale in relazione alle leggi che infrangessi, senza per
questo riconoscere la legittimita' dell'autorita' stessa, ma anzi
utilizzando il processo penale per smascherarne la violenza strutturale e
culturale.
Non sono favorevole invece a riconoscermi nella giustizia penale come unico
strumento e procedura per raggiungere la verita' e la giustizia; ne' ad
essere difeso da chiunque voglia utilizzare la violenza per proteggermi da
eventuali aggressioni.
Credo, piu' in generale, che sia giunto il momento di rimettere in
discussione la nostra fiducia negli stati; essi evolvono verso direzioni non
piu' compatibili con la minima violenza necessaria, ma piuttosto con la
massima violenza possibile.
Come direbbero Marcos e Bauman, allo stato e' lasciato, nella
globalizzazione, quasi soltanto il ruolo di repressore. Gli esperimenti per
saggiare la tenuta presso l'opinione pubblica di un'autorita' statale
siffatta, tendenzialmente sempre piu' coincidente con il mero potere
militare e finanziario, sono gia' in corso: i fatti di Pristina, Genova,
Kabul, Mosca, pur nelle loro evidenti differenze, vanno tenuti insieme, in
un unico tragico filo.
Lo stato sembra non essere piu' (sempre che lo sia mai stato) la forma
adatta a gestire la vita dei popoli e delle persone.
Stiamo facendo davvero tutto per tenere la nonviolenza in relazione e
all'altezza dei tempi che viviamo, o continuiamo soltanto a difendere una
filosofia scolastica? Di fronte a quel che accade chiederei a tutti di farci
domande nuove, di non vivere di rendita, di provare a dare nuove risposte.
Non smettiamo di guardare oltre il buio. Non accontentiamoci di questa vita.
Non accontentiamoci del meno peggio...

8. DIBATTITO. PEPPE SINI: ELOGIO DEL SALVARE QUESTO MONDO ANCOR PRIMA DI
PROGETTARNE UN ALTRO
Ha ragione Enrico Euli, ci sono domande da tempo ineludibili.
Ad esempio: cosa sono diventati gli stati negli ultimi decenni.
E' una domanda che in relazione agli sconquassi provocati dalla
globalizzazione neoliberista ha tematizzato con acutezza e limpidezza ad
esempio un intellettuale liberale come Ralf Dahrendorf in un libriccino la
cui lettura sarebbe assai piu' utile delle logorroiche ciance su "imperi e
moltitudini" che oggi troppi ripetono a orecchio senza accorgersi che sono
scatole vuole e trappole ideologiche che nascondono un sostanziale
smarrimento.
E forse ai piu' giovani sarebbe utile leggere dei grandi dibattiti degli
anni sessanta e settanta sulla crisi fiscale dello stato, e sulla crisi
della forma stessa dello stato-nazione come lo abbiamo conosciuto
dall'inizio dell'eta' moderna; sul nesso a coppia conica delle strategie e
dei progetti di riforma graduale e di trasformazione radicale; e ancora
prima, i grandi dibattiti nel movimento operaio e socialista (e
liberalsocialista, anche e forse soprattutto) sul welfare, sul controllo dal
basso, sulle ipotesi consiliari, su quella che Aldo Capitini chiamava
"omnicrazia", il potere di tutti, e Mohandas Gandhi "swaraj" (l'autogoverno,
la vera indipendenza); e si dovrebbe risalire ancora prima (ma un prima che
si prolunga ancor oggi e che ci accompagnera' nel futuro - c'e' una pagina
fulminante di Marx all'inizio del Capitale in cui ricorda il detto che "le
mort saisit le vif" -, e nell'eredita' del passato vi e' tutto il futuro, e
sarebbe ora di farla finita di gettare i bambini con l'acqua sporca).
Enrico ha ragione: se non si accetta la societa' della "personalita'
autoritaria" indagata da Orwell e da Fromm, occore sottoporre le istituzioni
e le leggi al vaglio della coscienza: e' il principio di Antigone (e di
Socrate ateniese, e di Gesu' di Nazareth), che da Thoreau, a Tolstoj, a
Gandhi, a Virginia Woolf, alla Resistenza, al movimento delle donne, tutte
le grandi figure ed esperienze storiche della nonviolenza in cammino hanno
affermato.
Ed occorre saper obiettare e pagarne il prezzo.
D'altronde e' questa la forza della democrazia: che come diceva quello
statista britannico sara' pure una pessima forma di governo ma e' pur sempre
"la meno peggio" che fin qui l'umanita' abbia saputo escogitare e mettere in
pratica.
Poi, ovviamente, vi possono essere punti di vista diversi, ed e' bene che
siano in feconda dialettica anche tra gli amici della nonviolenza, tra chi
ad esempio e' piu' incline o affine a una visione della societa' e della
politica piu' caratterizzata in senso libertario ed anarchico, e chi esprime
altri punti di vista; tra chi propugna forme piu' specificamente federaliste
e chi no; tra chi propone alcune forme consiliari e chi altre. In un
dibattito che tutti accoglie, rispetta e discute i punti di vista che siano
comunque caratterizzati dal rispetto intransigente dei diritti umani di ogni
essere umano, dall'opposizione alla violenza, dalla scelta della
nonviolenza.
Personalmente, ad esempio, ritengo che lo stato di diritto e la democrazia
siano una conquista grande dell'umanita' intera, e che vadano estese, e
difese - come si dice - con le unghie e coi denti.
E non credo affatto che nella globalizzazione la forma statuale e
l'ordinamento giuridico siano solo cadaveri o maschere; al contrario,
ritengo che la forma repubblicana dell'organizzazione istituzionale della
societa' sia un utile strumento di resistenza alla ferocia predatoria e
onnivora dei potentati economici che non a caso sono sempre piu' intrecciati
ai poteri criminali tout court; e ritengo altresi' che il principio di
legalita' sia la chiave di volta per la resistenza alla barbarie.
In concreto, e per fare un esempio cruciale: la difesa della Costituzione
della Repubblica Italiana mi pare sia un diritto e un dovere per tutti.
I casi della vita hanno fatto si' che alcuni dei miei amici piu' cari siano
morti per colpa dei poteri criminali; che alcuni dei miei amici piu' cari
siano familiari di vittime della mafia; e che anch'io abbia sentito il
dovere di impegnarmi, nei limiti delle mie capacita' naturalmente, nella
lotta contro il potere mafioso.
La nonviolenza e' questo: la lotta contro la violenza, o non e' nulla. E in
questi ultimi decenni in Italia innanzitutto essa e' stata, e' e sara' lotta
contro i poteri criminali di tipo mafioso che opprimono e uccidono e sempre
piu' pervadono l'economia, la societa', le istituzioni stesse (si leggano i
libri fondamentali di Umberto Santino o alcuni lavori di Jean Ziegler, o
anche quella utile sintesi di Luciano Violante di qualche anno fa, per avere
un quadro nitido e terribile; e se si e' cosi' sciaguratamente pigri da non
voler leggere, e' sufficiente che ci si guardi intorno).

9. INCONTRI. GIULIO VITTORANGELI: KURDISTAN, CON LA FORZA DELLA NONVIOLENZA
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo notiziario, e un luminoso militante della
solidarieta' internazionale]
Sabato 16 Novembre, ho partecipato a Tuscania (Vt) ad una "piccola"
iniziativa sul "Kurdistan... il paese che non c'e'.
Relatrice: Muyesser Gunes, giornalista, 49 anni, del quartiere curdo Gazi di
Istanbul, madre di due figli uccisi in guerra, rappresentante del movimento
"Madri per la pace" in Turchia, del quale dirige la rivista mensile. Del
prezioso lavoro di questo movimento ha gia' parlato, sul n. 418 di questo
notiziario, Nadia Cervoni delle Donne in Nero.
Posso solo aggiungere l'emozione, il cuore che si fa piccolo, nel sentire le
cose dette da Muyesser Gunes. Testimone diretta (come in moltissime altre
parti di questo nostro sofferente mondo) di una violenza, feroce e disumana,
che colpisce personalmente e quotidianamente; nonostante questo capace di
una scelta profonda di nonviolenza, come risposta alle ingiustizie subite. E
posso dire del nostro disagio, della nostra impotenza, ed anche della nostra
inadeguatezza... anche quando - con evidenti limiti - cerchiamo di batterci,
nel migliore dei modi, a fianco di questi popoli oppressi e cancellati.
*
Colpisce, e non puo' essere diversamente, questo protagonismo della donne
che segna l'insorgenza kurda in Turchia.
Come non ricordare la vicenda di Leyla Zana?
Eletta nel parlamento turco nel 1991 (su 450 deputati le donne erano
soltanto otto, e Leyla era l'unica deputata kurda), al momento
dell'investitura parlamentare (comportava il riconoscimento della
Costituzione turca, elaborata dopo il putsch militare e promulgata nel 1982,
dove e' insita la negazione dell'esistenza del popolo kurdo), il suo
discorso le scateno' contro un odio viscerale.
Cosi' descrive nel suo libro la scena che per lei sarebbe stata cosi'
gravida di conseguenze: "Per evidenziare il mio attaccamento all'identita'
kurda, quel giorno mi legai i capelli con una fascia con i colori kurdi.
Quando fu chiamato il mio nome piombo' il silenzio nell'affollato emiciclo
parlamentare. I pochi metri che separavano il mio scranno dal podio mi
parvero interminabili. Giunta sul podio, vidi fra i banchi degli uditori
un'imponente schiera di generali zeppi di decorazioni e medaglie dorate, ma
anche parecchi diplomatici stranieri. I dirigenti di partito e i membri del
governo erano presenti al gran completo per assistere alla cerimonia,
ripresa in diretta televisiva. E' il momento della verita', mi dissi. Ecco
la piccola kurda di campagna gettata in pasto ai leoni. Per padroneggiare la
situazione feci appello a tutte le mie forze. Prima lessi con tutta calma,
in lingua turca, la formula del giuramento che dava effettivita' al mio
mandato. Poi aggiunsi in turco e in kurdo questa frase: Sono stata obbligata
ad adempiere la formalita' richiesta. Io lotto per la fraterna convivenza
del popolo kurdo e del popolo turco in un quadro democratico".
Dopo il massacro di Cizre (21 marzo 1992, in occasione del Newroz, il
capodanno curdo), e il successivo abbandono del gruppo parlamentare di cui
faceva parte, la vita di Leyla Zana fu in pericolo piu' di quella di
qualunque altra donna in Turchia. Esisteva una lista nera dei "nemici della
Stato". Nel '93 Leyla sfuggi' a due attentati; nel '94 dopo la revoca
dell'immunita' parlamentare fu arrestata. Nel processo, la procura dello
Stato chiese la pena di morte, e se alla fine essa non fu erogata, lo si
dovette forse alle proteste internazionali e alla presenza in aula di
numerose osservatrici provenienti da tutto il mondo. La misura della pena fu
comunque scandalosa, Leyla Zana fu condannata a quindici anni di carcere per
il reato di alto tradimento e separatismo. Con questa condanna politica lo
Stato turco dimostro' chiaramente di non avere alcun interesse a una
soluzione pacifica e politica della questione kurda. Nell'ottobre del '95 la
corte d'appello ha poi confermato la condanna; infine contro questa condanna
definitiva per motivi di opinione e' stato inoltrato nel luglio 1966 un
ricorso contro la Turchia presso la Corte europea per i diritti umani di
Strasburgo.
*
Intanto una cosa semplice e facile possiamo farla subito anche noi.
Acquistare il libro delle Donne in Nero, Con la forza della nonviolenza.
Voci di donne curde e turche, appena otto euro. La divulgazione del testo e'
interamente finalizzata a sostenere i lavori delle associazioni di donne
curde e turche per i loro progetti di pace.
Per contatti, iniziative, presentazione del libro: Nadia Cervoni (Donne in
Nero), e-mail: giraffan at tiscalinet.it

10. DOCUMENTAZIONE. L'ESITO DI UN PROCESSO
[Venendo incontro alla richiesta di vari interlocutori pubblichiamo qui a
fini documentari il comunicato emesso dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo il 7 ottobre 2002 al termine del processo che ha visto la vittoria
di Peppe Sini. L'Enzo Cafari di cui qui si parla secondo autorevoli fonti e'
l'ultima persona ad essersi incontrata con Mino Pecorelli prima che fosse
ucciso. Il capo della corrente andreottiana a Viterbo, Rodolfo Gigli, e'
attualmente deputato in parlamento per Forza Italia; l'allora suo vice,
Giuseppe Fioroni, e' attualmente deputato in parlamento per la Margherita]
Vittorioso Peppe Sini in Tribunale.
Assolto dall'imputazione di diffamazione a mezzo stampa per il documento
"Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei poteri criminali a
Viterbo. Dieci note bibliografico-documentarie del 22 settembre 1995".
Sconfitto il querelante Enzo Cafari.
*
Il Tribunale di Viterbo nella seduta odierna ha assolto Peppe Sini (gia'
consigliere provinciale di Viterbo ed allora presidente della commissione
d'inchiesta sulla penetrazione dei poteri criminali promossa
dall'Amministrazione Provinciale di Viterbo, attualmente responsabile del
"Centro di ricerca per la pace") dall'accusa di diffamazione a mezzo stampa,
accusa avanzata dal signor Enzo Cafari in relazione ad un testo di Peppe
Sini dal titolo "Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei poteri
criminali a Viterbo. Dieci note bibliografico-documentarie del 22 settembre
1995".
Peppe Sini era difeso dall'avvocato Marcello Polacchi, una delle figure piu'
autorevoli e prestigiose della societa' civile viterbese (e gia' presidente
dell'Amministrazione Provinciale di Viterbo).
Peppe Sini ha citato e illustrato in aula una cospicua mole di
documentazione, sia di provenienza giudiziaria, sia estratta dalla
letteratura scientifica prodotta dai piu' qualificati autori impegnati nello
studio e nella lotta contro la corruzione politica, l'economia illecita e i
poteri criminali.
L'assoluzione di Peppe Sini e' stata piena.
Dopo la sentenza Peppe Sini ha dichiarato: "Una vittoria del diritto, una
vittoria della verita'".
Alleghiamo una minima documentazione ai fini della comprensione dei fatti,
rinviando ad un ulteriore comunicato una piu' ampia documentazione recante,
quando sara' disponibile, la motivazione della sentenza emessa quest'oggi
dalla magistratura.
Viterbo, 7 ottobre 2002
*
Elenco degli allegati:
- Allegato 1: Peppe Sini, Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei
poteri criminali a Viterbo. Dieci note bibliografico-documentarie del 22
settembre 1995;
- Allegato 2: alcuni documenti depositati in Tribunale;
- Allegato 3: breve notizia su Peppe Sini [qui omessa].
*
Allegato 1. Peppe Sini, Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei
poteri criminali a Viterbo. Dieci note bibliografico-documentarie del 22
settembre 1995
1. Il "caso Gigli-ICEM": l'ICEM di Palermo, occultamente controllata dalla
famiglia Matta e titolare della manutenzione dell'illuminazione pubblica del
capoluogo siciliano, venne a Viterbo negli anni '70 Rodolfo Gigli sindaco, a
vincere l'appalto per la realizzazione dell'impianto di illuminazione
pubblica cittadino. La vicenda ICEM diede luogo a una serie di processi, tra
cui uno intentato dal Gigli nei confronti di Peppe Sini, autore di un
articolo dal titolo "La mafia a Viterbo". Quel processo si concluse con la
vittoria di Peppe Sini e la condanna del Gigli al pagamento delle spese.
Peppe Sini sosteneva nell'articolo che il sistema di potere viterbese di cui
l'andreottiano Gigli era il vertice operativo aveva costruito i prerequisiti
per la penetrazione mafiosa a Viterbo.
Sulla vicenda si veda l'esauriente opuscolo di Peppe Sini, Il caso
Gigli-ICEM, Viterbo, 1991.
2. Le imprese dei "cavalieri dell'apocalisse mafiosa" di Catania penetrano
nell'Alto Lazio: e' documentata la presenza sia nel cantiere della centrale
di Montalto, sia nell'operazione "CAT-nuovo porto di Civitavecchia" di
imprese dei gruppi facenti capo ai "cavalieri dell'apocalisse mafiosa" di
Catania, particolarmente Graci e Rendo. Sui "cavalieri" di Catania si
espressero duramente il giudice Livatino, il generale Dalla Chiesa, il
giornalista Pippo Fava, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tutti
poi assassinati dalla mafia; li fece arrestare il giudice Carlo Palermo che
anch'eglì subi' poi un attentato mafioso da cui si salvo' a stento.
Collegate ai cavalieri erano anche alcune delle imprese che avevano composto
il consorzio "Alosa" che doveva ristrutturare la Valle di Faul a Viterbo.
Sui cavalieri di Catania cfr. Peppe Sini (a cura di), L'arrembaggio del
cavaliere, (dossier documentario con testi, fra gli altri, di Santino, Dalla
Chiesa, Bocca, Falcone e Borsellino, Palermo), Viterbo 1992; ed i fascicoli
monografici di "Alternativa Vetrallese" nn. 69, 70, 73, 96.
3. La presenza di Alvaro Giardili: l'imprenditore, collegato alla camorra
cutoliana e al Supersismi del faccendiere Pazienza, che svolse un ruolo
nella vicenda del Banco Ambrosiano (fu l'ultimo a contattare il banchiere
Calvi poi trovato morto a Londra sotto il Ponte dei Frati Neri), e nella
vicenda della trattativa tra DC, servizi segreti deviati, camorra, brigate
rosse, in relazione al sequestro Cirillo. Anni fa subi' un attentato con
autobomba. Coinvolto in vari processi su alcuni dei piu' gravi misteri d'
Italia.
Su Giardili cfr., tra le tantissime pubblicazioni in cui e' citato, l'atto d
'accusa del giudice Carlo Alemi pubblicato in L'affare Cirillo, Roma 1993;
ed il rapporto della Commissione Parlamentare Antimafia, Camorra e politica,
Roma-Bari 1994.
4. La presenza nel viterbese dei boss mafiosi Pippo Calo' e Gaspare Mutolo:
Pippo Calo', il "cassiere" di Cosa Nostra, il plenipotenziario della mafia a
Roma, il contatto con la banda della Magliana e con gli ambienti
politico-affaristici e dell'eversione di destra romana, per lungo tempo ha
avuto un alloggio a Tuscania ove era in clandestinita'; Gaspare Mutolo,
importante boss palermitano poi divenuto collaboratore di giustizia, e'
stato arrestato a Montalto di Castro.
Sui citati personaggi la letteratura e' immensa e si identifica con quanto
pubblicato di valido sulla mafia negli ultimi anni.
5. Il finanziamento della Cassa di Risparmio di Viterbo all'operazione
"Hotel Costa Tiziana" a Crotone: la Carivit finanzio' Cafari e Telesforo
nell'operazione Hotel Costa Tiziana su cui e' in corso un processo a Roma
per reati gravissimi. Cafari in particolare e' personaggio collegato alla
'ndrangheta, alla criminalita' romana, alla massoneria deviata.
Cfr. al riguardo il dossier inviato alla Procura della Repubblica di Viterbo
da Peppe Sini in data 19/9/'94 ed i materiali successivamente raccolti dalla
Commissione conoscitiva istituita dalla Provincia di Viterbo e presieduta
dallo stesso Peppe Sini; inoltre cfr. Tranfaglia (a cura di), Cirillo,
Ligato e Lima: tre storie di mafia e politica, Bari 1994; vedi anche il
volume che da' conto delle inchieste del giudice Cordova, di Forgione e
Mondani, Oltre la cupola, Milano 1994; inoltre cfr. Ciconte, 'Ndrangheta:
dall'Unita' ad oggi, Bari 1992.
6. Le inquietanti allusioni di Sbardella: nel 1990 attraverso l'agenzia
giornalistica "Repubblica" diretta dall'inquietante personaggio Lando
Dall'Amico (su cui cfr. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia,
Roma 1991), il leader andreottiano romano Vittorio Sbardella lanciava oscure
allusioni a viaggi ed interessi del leader andreottiano viterbese Rodolfo
Gigli in Sicilia (a Termini Imerese): cio' durante un durissimo scontro tra
i luogotenenti andreottiani risoltosi rapidissimamente con una nuova
alleanza di ferro tra i due; a Viterbo, feudo di Gigli, Sbardella operava
con la Coop Casa Lazio guidata dall'altro andreottiano Falco che,
successivamente arrestato, ammise dinanzi ai magistrati che lo inquisirono
che le spericolate operazioni edilizie e finanziarie illecite eseguite erano
sostenute da amministratori pubblici collegati al gruppo. A seguito di altre
vicende i fratelli Gigli (Rodolfo, gia' sindaco di Viterbo, assessore e
presidente della Regione Lazio, segretario regionale della DC, attualmente
presidente Arsial; e Ugo, direttore generale dello IACP di Viterbo) sono
tuttora titolari di un fascicolo presso la Procura di Roma per l'ipotesi di
reato di ricettazione. Il sistema di potere andreottiano domina notoriamente
da decenni a Viterbo.
Su questi argomenti cfr. riassuntivamente l'ultimo dossier documentario
trasmesso alla magistratura da Peppe Sini in data 21 agosto 1995 (in
relazione ad una precedente serie di esposti sui fratelli Gigli) con
centinaia di pagine di documenti.
7. Salvo Lima a Viterbo: nel 1977 Salvo Lima presiedeva il congresso
provinciale della DC viterbese (una DC dominata pressoche' totalitariamente
dalla corrente andreottiana; gli andreottiani ovviamente controllano anche
enti locali, istituti di credito, Usl, Universita', et similia).
Al riguardo cfr. quanto riportato nell'esposto-dossier citato al punto 6.
8. La banda della Magliana: e' presente nel viterbese per vari contatti ed
in varie forme. Oltre ai contatti con vari personaggi citati ai  punti
precedenti, va rilevato che anni fa fu presidente della societa' calcistica
cittadina l'Annibaldi condannato per il crack dell'Ambrosiano, del clan
Annibaldi collegato alla banda della Magliana.
Sulla banda della Magliana cfr. almeno Flamini, La banda della Magliana,
Milano 1994.
9. La confessione Mammoliti: pochi giorni fa e' stata resa nota la
confessione dello 'ndranghetista Mammoliti di un intervento di Andreotti
tramite la mafia siciliana su quella calabrese per far cessare attentati ai
danni di un imprenditore viterbese operante in Calabria, e diminuire l'
importo del "pizzo" richiesto.
Su questo argomento cfr. i quotidiani degli ultimi giorni che riportano la
notizia della confessione acquisita agli atti del processo a carico di
Andreotti; particolarmente "La Repubblica" del 20/9/'95, ed "Il messaggero",
cronaca di Viterbo, del 21 e 22/9/'95. Una intervista all'estensore di
queste note e' sul "Corriere di Viterbo" del 22/9/'95.
10. Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei poteri criminali nel
viterbese: da anni alcuni osservatori della realta' altolaziale, ed in
particolare l'estensore di queste note, hanno elaborato un modello
interpretativo della situazione viterbese fondato sulla relazione tra
sistema di potere andreottiano, intreccio politico-affaristico, modello di
sviluppo, penetrazione dei poteri criminali.
Su questo tema, sull'approccio interpretativo e sui riscontri documentari su
cui il paradigma si appoggia cfr. ad esempio i seguenti lavori: Peppe Sini,
Modello di sviluppo, sistema di potere, penetrazione mafiosa, (con enorme
bibliografia ragionata), Viterbo 1989; Idem, Regime della corruzione e
penetrazione dei poteri criminali nell'Alto Lazio, Viterbo 1993.
Fondamentale e' la consultazione delle varie annate del settimanale
viterbese "Sotto Voce" che dagli anni '80 conduce un'importante azione di
informazione e sensibilizzazione su questi temi.
Viterbo, 22 settembre 1995
(Postilla del 7 ottobre 2002 al documento sopra riportato: e' ovvio che
questo documento riferisce di situazioni e cognizioni dell'epoca; nel
frattempo ad esempio i procedimenti giudiziari citati si possono essere
conclusi con diversi esiti. Naturalmente questo documento e' qui riprodotto
esclusivamente per necessaria conoscenza del lettore. del presente
comunicato. Dal '95 ad oggi molte cose sono accadute).
*
Allegato 2. Alcuni documenti depositati in Tribunale
- Estratto da Enzo Ciconte, Isaia Sales, Vincenzo Vasile, a cura di Nicola
Tranfaglia, Cirillo, Ligato e Lima. Tre storie di mafia e politica, Laterza,
Roma-Bari 1994;
- Estratto da Enzo Ciconte, 'Ndrangheta dall'Unita' a oggi, Laterza,
Roma-Bari 1992;
- Estratto da Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia, Edizioni
Associate, Roma 1991 (alla p. 158 si cita testualmente una durissima
dichiarazione dell'allora Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli
sul Cafari);
- Estratto da Francesco Forgione, Paolo Mondani, Oltre la cupola, Rizzoli,
Milano 1994;
- Estratto da Enzo Fanto', Massomafia, Koine', Roma 1997;
- Estratto da Marco Corrias, Roberto Duiz, Mino Pecorelli un uomo che sapeva
troppo, Sperling & Kupfer, Milano 1996;
- Estratto da Mario Guarino, I santuari proibiti, Laser Edizioni, Viareggio
1996;
- Estratto dai capi di imputazione a carico di Cafari e altri, riportati
nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere degli stessi Cafari e altri
emessa dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Roma,
dott.ssa Maria Luisa Carnevale, in data 12 ottobre 1992;
- Documento della Questura di Roma sui rapporti tra Enzo Cafari ed Alvaro
Giardili, in data 8 aprile 1992;
- Estratti dagli atti del processo di Roma sulla vicenda "Costa Tiziana".
* Peppe Sini dispone inoltre nel suo archivio personale di numerosi altri
documenti ancora, sia messi a disposizione dalla magistratura romana, sia
estratti da pubblicazioni a stampa.
* Peppe Sini redasse inoltre e invio' alla magistatura e ad altre
istituzioni un ampio dossier documentario di 219 pagine, dal titolo
"Documentazione su caso Carivit; affaire "Costa Tiziana"; contesto
politico-affaristico e presenze mafiose nel viterbese. Dossier inviato dal
consigliere provinciale Peppe Sini alla Procura della Repubblica di Viterbo
in data 19 settembre 1994".
(Postilla del 7 ottobre 2002 all'elenco di documenti sopra riportato: e'
ovvio che questi documenti possono aver dato luogo a valutazioni e vicende
diverse, nel frattempo ad esempio i procedimenti giudiziari citati si
possono essere conclusi con diversi esiti. Naturalmente quanto precede e'
qui riprodotto in quanto documentazione esclusivamente per necessaria
conoscenza del lettore del presente comunicato).

11. MEMORIA. TRE PARAGRAFI PER BENEDETTO CROCE, NEL CINQUANTESIMO
ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA
[Il 20 novembre 1952 scompariva Benedetto Croce, il grande filosofo
antifascista]
1. Scrisse don Benedetto: "malinconica e triste che possa sembrare la morte,
sono troppo filosofo per non vedere chiaramente che il terribile sarebbe se
l'uomo non potesse morire mai".
2. Scrisse don Benedetto: "quella fede che si compose di amore alla verita',
di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per
l'educazione intellettuale e morale, di sollecitazione per la liberta',
forza e garanzia di ogni avanzamento" (sono parole del manifesto degli
intellettuali antifascisti del '25).
3. Per lungo tempo parlar male di Croce e' stato una specie di sport
nazionale. Sarebbe ora invece di rileggerlo. Con tutti i suoi limiti, con
tutti i suoi difetti, e' ancora un maestro.

12. RILETTURE. BIANCAMARIA FRABOTTA (A CURA DI): FEMMINISMO E LOTTA DI
CLASSE IN ITALIA (1970-1973)
Biancamaria Frabotta (a cura di), Femminismo e lotta di classe in Italia
(1970-1973), Savelli, Roma 1973, 1975, pp. 256. Una bella raccolta di
documenti.

13. RILETTURE. GIOVANNA PEZZUOLI: PRIGIONIERA IN UTOPIA
Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia, Il Formichiere, Milano 1978, pp.
204. "La condizione della donna nel pensiero degli utopisti": un inferno.

14. RILETTURE. ROSALBA SPAGNOLETTI (A CURA DI): I MOVIMENTI FEMMINISTI IN
ITALIA
Rosalba Spagnoletti (a cura di), I movimenti femministi in Italia, Savelli,
Roma 1971, 1978, pp. 176. "Le posizioni teorico-politiche del femminismo
italiano delle origini in un'antologia dei documenti piu' significativi
(1966-'71)".

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 421 del 20 novembre 2002