La nonviolenza e' in cammino. 419



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 419 del 18 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, opporsi alla guerra
2. Lidia Menapace, sulla nonviolenza come apertura e inclusione
3. Benito D'Ippolito, una preghiera a padre Angelo Cavagna, giunto al
ventesimo giorno di digiuno...
4. Un invito alla lettura di alcuni libri di Renate Siebert
5. Tusio De Iuliis, una missione di pace in Iraq
6. Vito La Fata, la religione di Danilo Dolci
7. Gianni Moriani, le ragioni infinite contro le armi
8. Olympe de Gouges: uomo, sei capace di essere giusto?
9. Anna Kuliscioff, tutte le idee generose
10. Flora Tristan, se volete salvarvi
11. Mary Wollstonecraft, l'esercizio
12. Virginia Woolf, che spieghi e riveli
13. Riletture: AA. VV. (a cura di Franco Basaglia e Paolo Tranchina),
Autobiografia di un movimento
14. Riletture: Franco Basaglia, Scritti
15. Riletture: Romano Canosa, Storia del manicomio in Italia dall'Unita' a
oggi
16. Riletture: Domenico De Salvia, Paolo Crepet (a cura di), Psichiatria
senza manicomio
17. Riletture: Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: OPPORSI ALLA GUERRA
[Questo articolo e' apparso, col titolo "Ogni vittima ha il volto di Abele"
sul numero 24 dell'ottobre 2002 del  bimestrale di informazioni
dell'Associazione Piccola Opera papa Giovanni di Reggio Calabria "Oltre
news" (per contatti: info at piccolaopera.org)]
Ma c'e' veramente bisogno di discutere per scegliere tra la pace e la
guerra?
La guerra, ha scritto Gandhi, consiste sempre ed essenzialmente nella
commissione di omicidi di massa. C'e' qualcuno che puo' ragionevolmente
affermare che commettere omicidi di massa possa essere giusto e necessario?





Non solo: spiego' una volta l'indimenticabile Ernesto Balducci che dopo
Hiroshima noi sappiamo tre verita', le "tre verità di Hiroshima", prima non
percepite dall'umanita':
- la prima: che le sorti dell'umanita' intera sono ormai unificate e nessuno
si illuda che il crimine commesso contro alcuni esseri umani non riguardi
anche lui;
- la seconda: che nell'eta' atomica - ovvero nel tempo in cui esistono armi
in grado di distruggere l'intera civilta' umana - il desiderio razionale
della pace e l'istinto primordiale della sopravvivenza vengono ormai a
coincidere (altro che le ciance sulla naturale aggressivita' dell'uomo;
ragione ed istinto comandano ormai una cosa sola: impedire la guerra,
salvare l'umanita' e con essa, come parte di essa, noi stessi);
- la terza: che la guerra, considerata nei secoli passati come "extrema
ratio", ultimo modo di affrontare i conflitti, e' ormai uscita per sempre
dalla sfera della razionalita', ed e' quindi il nemico primo dell'umanita',
non una delle modalita' alternative con cui affrontare i conflitti, ma
proprio cio' che innanzitutto ed assolutamente occorre evitare che avvenga.
Questa e' la situazione se la guardiamo con sguardo non offuscato dagli
schermi della propaganda narcotica e obnubilatrice: da un lato vi e'
l'umanita' piagata e sofferente, dall'altro l'uccidere, la violenza, la
guerra, il pericolo che l'intera civilta' umana sia annichilita. "E noi
stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie
umana?", e' la domanda aspra e definitiva con cui Lorenzo Milani conclude la
sua lettera ai giudici del 18 ottobre 1965. Sono passati tanti anni, e'
ancora la nostra domanda.
*
Ha detto memorabilmente una volta quell'uomo di infinita bonta' che era
Heinrich Boell, che ogni vittima ha il volto di Abele. Ogni vittima ha il
tuo volto, ogni vittima ha il volto innocente dell'umanita' intera.
Vorremo o no cercare di impedire che Abele sia ancora e ancora ucciso?
E dunque dobbiamo opporci alla guerra, di una opposizione incondizionata,
poiche' di tutti i crimini, di tutti gli atti di terrorismo, di tutti i
massacri, la guerra e' il culmine, la manifestazione piu' vasta e profonda e
spaventosa, orrore che altri orrori genera in una catena senza fine.
Opporsi alla guerra: non e' solo convincimento morale di ogni persona dal
retto sentire, ma legge codificata nella Carta delle Nazioni Unite,
costituitesi appunto per impedire il ritorno del flagello della guerra; ed
e' legge codificata nei principi fondamentali della Costituzione della
Repubblica Italiana, che all'art. 11 "ripudia la guerra" con parole solenni
ed inequivocabili.
Cosicche' opporsi alla guerra e' diritto e dovere riconosciuto dalle
coscienze e dalle costituzioni, dalle leggi scritte nei codici e dalla legge
non scritta ma incisa nell'anima di ogni essere umano: tu non uccidere.
Opporsi alla guerra e' impegno diuturno: implica opporsi altresi' agli
strumenti della guerra e alle radici della guerra, all'ingiustizia e alla
menzogna; ed implica azioni concrete di umana solidarieta', contro la fame e
contro la miseria, contro la violenza e contro ogni umiliazione e
denegazione dell'umana dignita'. Implica un impegno coerente e costante.
Richiede, e' questo il nostro convincimento, la scelta della nonviolenza,
che e' la forma di lotta piu' limpida ed intransigente contro tutte le
violenze, per l'affermazione della dignita' di ogni essere umano, per il
riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.

2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SULLA NONVIOLENZA COME APERTURA E INCLUSIONE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo
intervento (che stralciamo da una sua lettera personale) che nella sua
guizzante brevita' di glossa a margine di vari interventi che ospitiamo su
questo foglio suggerisce scelte non solo di lessico, ma precipuamente di
contenuto - e di decisiva rilevanza gnoseologica assiologica ed
ermeneutica - di cui tutti sarebbe bene tenessimo sempre conto. Non vi e'
dubbio che il movimento delle donne e' la massima e decisiva esperienza
storica della nonviolenza liberante in cammino]
Spesso gli interventi a favore della nonviolenza sono centrati solo su una
cultura cristiana o comunque religiosa.
Inoltre spesso non usano il linguaggio inclusivo, e forse per questo
sembrano non accorgersi che esiste anche una diffusa oppressione e violenza
di genere, come pure che lo sfruttamento economico e la violenza di classe
sono ben lontani dall'essere finiti.
Vorrei che si ricordasse che il movimento delle donne e' da sempre
nonviolento e certo anche per lo piu' non religioso in Europa; che "Visitare
i luoghi difficili" da cui nacquero le "Donne in nero" ha sempre messo
insieme donne palestinesi e israeliane; e tra le persone che allo sviluppo
della teoria e della prassi di pace hanno dato un contributo grande meritano
di essere citati anche i nomi di molte, moltissime donne oltre quelle cui
subito corre il pensiero.
Quando si parla di diritti, si dovrebbe tradurre dall'inglese e non dal
francese: "Diritti umani" (human rights) locuzione che include gli esseri
umani di entrambi i sessi, e non "Diritti dell' omo" (droits de l'homme)
formulazione che cancella le donne.
Gia' nel 1791 Olympe de Gouges scrisse la "Dichiarazione dei diritti della
donna e della cittadina", perche' non si considerava riconosciuta, compresa
e inclusa nella famosa "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino".

3. TESTIMONI. BENITO D'IPPOLITO: UNA PREGHIERA A PADRE ANGELO CAVAGNA,
GIUNTO AL VENTESIMO GIORNO DI DIGIUNO PER UNA FINANZIARIA DI PACE E LA
DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA. IN FORMA DI SONETTO CAUDATO CON UN VERSO
DANTESCO IN CHIUSA
[Padre Angelo Cavagna, fondatore e presidente del Gavci (una delle piu'
prestigiose ed attive organizzazioni umanitarie), infaticabile promotore di
iniziative di pace, di solidarieta' e di nonviolenza, e' giunto al ventesimo
giorno di sciopero della fame "per una finanziaria di pace", per la
promozione della difesa popolare nonviolenta, contro la guerra e contro le
armi. Intorno alla sua testimonianza si sta coagulando un crescente
movimento di presa di coscienza, di testimonianza, di pubblica
manifestazione che denuncia l'iniquita' dei sempre piu' gravi e profondi
tagli alle spese sociali e del sempre piu' inaccettabile aumento delle spese
militari nel bilancio dello stato italiano. Il nostro collaboratore Benito
D'Ippolito ha scritto ad Angelo Cavagna la seguente lettera aperta "in forma
di sonetto caudato con un verso dantesco in chiusa" (e il verso e' quello di
Par. XIV, 33, con una minima modifica e che Dante ci perdoni), per
ringraziarlo ed insieme pregarlo di interrompere la sua azione nonviolenta
prima che possa avere gravi ireversibili conseguenze sulla sua stessa vita.
Per contattare padre Cavagna ed il Gavci, ed esprimere solidarieta' e
sostegno: e-mail: gavci at iperbole.bologna.it; sito:
www.peacelink.it/users/gavci]

Si', angelo vuol dire messaggero
e Angelo Cavagna da molti anni
e' annunziatore e costruttore fiero
e mite di giustizia e pace. Sganni

la sua testimonianza chi del nero
mortifero potere gli empi inganni
subisce ancora; e sveli il nudo vero:
la guerra reca solo morte e affanni

all'umanita' intera, e avere armi
e' gia' la guerra, e' gia' preparar stragi.
Dei laudatori della morte i carmi

nessuno ascolti, e gli atti dei malvagi
contrasti ognuno. Solo se disarmi
l'umanita' la salvi dai naufragi.

Accogli i miei suffragi
ed interrompi, Angelo, il digiuno
"ch'ad ogni merto sara' giusto muno".

4. MATERIALI. UN INVITO ALLA LETTURA DI ALCUNI LIBRI DI RENATE SIEBERT
[Riproduciamo qui una nostra scheda realizzata e difusa primieramente
nell'agosto 2000. Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, nata a
Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia
meridionale, dove insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di
Calabria. Opere di Renate Siebert: Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra
colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970; Interferenze,
Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo); Le ali di un
elefante, Angeli, Milano 1984; E' femmina pero' e' bella, Rosenberg &
Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, poi
Est, Milano 1997; La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare
ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia
Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999;
(a cura di) Relazioni epricolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000.
Segnaliamo alcune altre opere di autrici ed autori vari su alcuni temi
particolarmente considerati nei libri oggetto di questa scheda: Roberto
Alajmo, Un lenzuolo contro la mafia, Gelka, Palermo 1993; Felicia Bartolotta
Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1987; Antonia Cascio, Anna
Puglisi (a cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e
nella lotta antimafia, dossier, Centro Impastato, Palermo 1986; Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Donne contro la mafia,
dossier, Centro Impastato, Palermo 1989; Birgit Kienzle, Maria Teresa
Galluzzo, Frauen gegen die Mafia, Rowohlt, Hamburg 1990; Angela Lanza, Donne
contro la mafia. L'esperienza del digiuno a Palermo, Datanews, Roma 1994;
Liliana Madeo, Donne di mafia, Mondadori, Milano 1994, poi Baldini &
Castoldi, Milano 1997; Emilia Midrio Bonsignore, Silenzi eccellenti, La
Luna, Palermo 1994; Marina Pino, Le signore della droga, La Luna, Palermo
1988; Anna Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Sandra
Rizza, Una ragazza contro la mafia. Rita Atria, La Luna, Palermo 1993;
Rosaria Schifani, Felice Cavallaro, Lettera ai mafiosi. Vi perdono ma
inginocchiatevi, Pironti, Napoli 1992; vari altri materiali sono disponibili
presso il Centro Impastato di Palermo]
Nota su Renate Siebert, Le donne, la mafia
Questo testo (Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano
1994, ristampato nella Est, Milano 1997) costituisce una vasta ricerca di
grande valore.
L'autrice, sociologa di origine tedesca, gia allieva di Adorno,
intellettuale impegnata, che insegna presso l'Universita' della Calabria, vi
e' mossa "da un bisogno molto intimo, privato, personale. Quello di capire
in che mondo vivo giorno per giorno e quali siano i confini, i lembi estremi
di cio' di cui la mia coscienza possa farsi carico"; ma si leggano tutte le
pp. 9-12, che evidenziano la forza (e l'urgenza interiore) dell'impegno, e
la lucidita' (ed il coinvolgimento profondo) dell'analisi.
Del resto l'autrice ha lavorato con donne e uomini protagonisti del
movimento antimafia - quello piu' intenso e di base, piu' limpido e
militante (si veda l'elenco dei ringraziamenti alla pp. 21-22), e le decine
di pagine conclusive dedicate alle esperienze organizzate di lotta contro la
mafia documentano con efficacia come l'autrice sia ad esse legata ed
interna, non solo osservatrice partecipante, ma militante che condivide.
"Voglio comprendere a partire da un punto di vista di donna e voglio dare
voce alle donne che per un motivo o per l'altro si sono trovate invischiate
in faccende di mafia. Cerco di unire l'ascolto dell'esperienza soggettiva
della mafia con un'analisi teorica. Si tratta quindi di una interpretazione
che e' intessuta anche della mia soggettivita', oltre che di quella delle
donne e degli uomini che sono entrati a far parte di questo libro. In un
certo senso non mi sento sola in questa impresa: il modo di osservare e
molte delle categorie di analisi di cui mi sono servita sono patrimonio del
movimento delle donne a cui devo molta parte della mia formazione teorica",
scrive programmaticamente (pp. 17-18), e ci pare che il libro raggiunga lo
scopo enunciato.
Il libro si articola in tre parti.
La prima, che indaga "La mafia attraverso il prisma di genere", si articola
in cinque capitoli: 1. Una società di soli uomini (I riti di iniziazione;
Caccia e banchetti; Violenza rupestre; Un gruppo esoterico?); 2. La famiglia
(L'uso strumentale delle reti parentali; Apparire ed essere; Onore,
vergogna, vendetta; La trasmissione); 3. La donna (Mito e realta'; Amore e
sessualita'; Diffidenza; Donne o madri?); 4. La morte (Il potere; La
coazione a uccidere; La "banalita' del male"; Il prezzo della vita); 5. Eros
contro Thanatos (La qualita' della vita; Ripartire da se'; Rita Atria: non
dimenticare; Rosetta Cerminara: una storia esemplare).
La seconda parte, "Le donne con la mafia", dipana l'analisi in tre capitoli:
1. Emancipazione? (Estraneita' e complicita'; Imprenditrici, prestanomi,
intermediarie; Mafiosa? no, solo moglie); 2. Subordinazione e sfruttamento
(Le corriere della droga; Le madri spacciatrici; Donne e bambini
assassinati); 3. Complicita' palesi ("Nonna eroina"; Le donne dei boss; Il
fascino discreto della violenza).
La terza e piu' ampia parte, che conclude il libro, e' su "Le donne contro
la mafia", e si sviluppa lungo altri cinque capitoli: 1. Le emozioni come
risorsa (Le parole sono pietre; Troppo sangue, non c'e' amore qui;
"Familismo morale"); 2. Madri, sorelle e vedove in lutto: donne sole (La
mafia "in casa mia"; Emarginate nel proprio ambiente; Abbandonate dalle
istituzioni); 3. Donne di "uomini contro la mafia" (Vite blindate; Vite tra
un "prima" e un "dopo"; Il lascito dell'etica professionale); 4. Donne e
sequestri (La vita come moneta di scambio; Il coraggio di Angela Casella;
Contro la ragion di stato); 5 "Tra uccidere e morire c'e' una terza via,
vivere" (I Centri e le Associazioni; Il Pensiero materno in piazza: i
lenzuoli...; ... e il digiuno).
E' un libro che raccomandiamo caldamente.
*
Nota su Renate Siebert, La mafia, la morte e il ricordo
Questo prezioso libriccino di una cinquantina di pagine di piccolo formato
di Renate Siebert (La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1995, con una postfazione di Anna Rossi-Doria) costituisce un denso
contributo ad una riflessione ineludibile. L'autrice vi mette a frutto e per
cosi' dire vi condensa alcuni temi continuamente riemergenti dalla sua vasta

ricerca edita nel 1994.
"Ricordare persone scomparse, elaborare il lutto della loro perdita, rievoca
inevitabilmente le circostanze della loro vita, le cause della loro morte.
La memoria di morti violente, in particolare, costringe al confronto con la
possibilita' che esse avrebbero potuto essere evitate. Il ricordo del
sacrificio di queste vite pone questioni di responsabilita', offre parametri
di giudizio sul corso degli eventi e insinua il dubbio che cio' che e'
avvenuto avrebbe potuto anche svolgersi diversamente" (p. 7). E segue una
citazione di Marcuse: "Ricordare e' un modo di dissociarsi dai fatti come
sono"; ricordare e' una forma di lotta contro la violenza. La memoria contro
l'oblio, l'umano che si batte contro l'inumano, il vivo contro l'inerte; la
memoria come resistenza: su cui hanno scritto pagine indimenticabili Primo
Levi ed Elias Canetti.
Citiamo qualche passo (ma tutto il libro si legge d'un fiato ed a procedere
per excerpta ci par di straziarlo).
"Ai vivi, nei confronti dei morti, rimane il lascito del dolore, della
memoria e dell'elaborazione del lutto. Tradizionalmente, e in particolare
nel Meridione, sono innanzitutto le donne che intrattengono una relazione
vitale con i morti" (p. 17).
"Il potere mafioso, per definizione, e' totalitario: annullando diritti
individuali e collettivi, cancellando la separazione tra pubblico e privato,
la mafia controlla e domina attraverso il terrore e la paura. Prima di
uccidere i corpi, la strategia mafiosa mira ad uccidere l'anima degli
individui. Attraverso l'angoscia la mafia mina l'integrita' della persona,
corrode identita' individuali e collettive basate su diritti e doveri ben
delimitati e garantiti" (pp. 19-20).
"La presunzione mafiosa di esercitare un potere totale, oltre il presente,
investe il passato, la memoria. L'analogia con un regime a carattere
totalitario colpisce: la mafia tende a riscrivere la storia, ogniqualvolta l
'assetto di potere al suo interno muta. E parimenti la memoria delle vittime
viene denigrata, cancellata. L'accanimento della mafia contro lapidi e segni
commemorativi ne e' segno, ma svela anche un'intima debolezza dei carnefici"
(pp. 24-25).
Cosicche': "Il lavoro del lutto, da elaborazione intima e personale, in
questo contesto tende a farsi politico, diventa anche ricostruzione di
memoria sociale" (pp. 25-26).
Ma "Cosi' come non dimenticare rappresenta un imperativo etico delle
vittime, le istituzioni - insieme a molti cittadini indifferenti - appaiono,
al contrario, interessate all'oblio" (p. 27)
"Una pietra miliare del dominio mafioso e dell'ideologia che esso ha
prodotto, e' l'omerta', la qualita' del silenzio che s'identifica con la
vera "omineita'" (...): la negazione della comunicazione". "E' significativo
che la presa di parola - la trasgressione della legge dell'omerta'" da parte
delle donne "rappresenti un punto di svolta decisivo". "E' stata una lotta
comune di donne contro la mafia che in questi anni ha reso possibile che lo
choc della morte violenta si sia potuto trasformare in esperienza. Prendere
la parola, vincere riservatezza e pudore - ma anche l'opportunismo
dell'ambiente sociale - mobilita le forze di Eros [l'amore] contro Thanatos
[la morte]" (pp. 34-35).
Evidenti in questo caldo e denso saggio la meditazione di Hannah Arendt, la
riflessione psicoanalitica (riletta anche attraverso gli esiti
francofortesi, e quelli piu' militanti: Marcuse), e il lavoro comune col
Centro Impastato, ed in particolare le coordinate di Umberto Santino, le
ricerche di Anna Puglisi.
*
Nota su Renate Siebert, Mafia e quotidianita'
Il libro fa parte di una collana divulgativa dal titolo "Due punti", che in
volumetti agili ma non meramente giornalistici, propone "un saggio per
riflettere" e "un manuale per capire (non e' questa la sede per discutere
dell'efficacia della formula).
Nella misura della collana, il volumetto di Renate Siebert (Mafia e
quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996) in 128 pagine offre una serie di
riflessioni, di strumenti analitici, di percorsi di approfondimento, in una
scrittura tersa, controllata, che convoca il lettore all'attenzione e ad
interrogarsi su cio' che lui stesso possa e debba fare.
Il tema, col taglio che ad esso da' l'autrice, e' tuttora dei meno esplorati
in questo ambito di ricerche: non che manchino ricerche sociologiche ormai
classiche (come Blok, gli Schneider, ad esempio), ne' mancano ricostruzioni
di tipo cronistico e testimoniale (ad esempio Lodato, ma molti altri autori
sarebbero da citare, e tra essi Nando dalla Chiesa in alcuni suoi libri
finissimi), ed infine vi sono lavori omogenei alla ricerca della Siebert
(come quelli condotti - insieme alla Siebert, anche - dal Centro Impastato);
eppure questo libriccino introduttivo si raccomanda per chiarezza e
semplicita', nel suo genere e' nitido e perspicuo.
Del resto la Siebert dispone di una strumentazione di prim'ordine: la
formazione francofortese, l'impegno con e l'analisi dei movimenti di lotta
dei colonizzati (ed in particolare la riflessione di Fanon, e la
straordinaria lucidita' delle donne della rivoluzione algerina e
dell'opposizione all'integralismo), l'esperienza del femminismo e del
pensiero delle donne, ed una serie di riferimenti impliciti ma presenti da
Hannah Arendt a certe grandi scuole e suggestioni novecentesche fino alle
esperienze che una docente dell'Universita' di Calabria non puo' ignorare e
che chiameremo per semplificare demartiniane (intendendo cosi' quella prassi
scientifica che e' ad un tempo azione politica e scelta di classe, scelta di
lotta per il riscatto di chi subisce oppressione accogliendo criticamente il
suo punto di vista perche' ermeneuticamente fecondo e condividendo il suo
destino ed il suo impegno perche' alla violenza giugulatrice tu devi
resistere, e anche da te, dal piu' semplice dei tuoi gesti, dipende
difendere e salvare l'umanita' tutta).

5. INIZIATIVE. TUSIO DE IULIIS: UNA MISSIONE DI PACE IN IRAQ
[Riportiamo alcuni stralci del comunicato conclusivo della missione di pace
in Iraq promossa dall'associazione "Aiutiamoli a vivere". Per maggiori
informazioni e contatti,  e per contribuire all'attivita' umanitaria
concreta a favore dei bambini iracheni promossa da "Aiutiamoli a vivere":
tel. e fax: 003908544.70661, cell. 3280874950, e-mail: yuro.doc at inwind.it]
Carissimi amici,
da pochissime ore, abbiamo portato a termine una delle missioni piu'
difficili, "Butterflies of Baghdad" ed "Il cielo sopra baghdad" (due
concerti per la pace e la fine dell'embargo; il volo di tre paramotori per
protestare contro l'illegalita' internazionale delle "No fly zone"), tra le
piu' interessanti che mai siano state fatte in un'area di allarme rosso come
l'Iraq.
Possiamo dire tutti, senza enfasi ma con legittima soddisfazione, di aver
dato molto umilmente il nostro contributo concreto alla costruzione della
pace e ad un futuro migliore...
Ringrazio uno per uno quanti hanno direttamente contribuito: "Storie di
note" che ha portato a termine il concerto per la pace denominato "Il Cielo
Sopra Baghdad" con Rambaldo Degli Azzoni e Ilaria Cavena, l'artista e
fotografo Michele Stallo, l'associazione "Poiesis" di Alberobello con il
poeta Giuseppe Goffredo, la scuola di volo di "Volandia" che ha portato a
termine il progetto denominato "Butterflies of Baghdad" con Angela
Ciuffoletti, Stefano Bolognini, Achille Cesarano, la casa cinematografica
"Lunarossa" con Mario Balsamo, Stefano Scialotti, Paolo Maselli, gli artisti
Antonio Onorato, Goran Kuzminac, Luca Faggella e Desidee Infascelli, Manola
Colangelo ed Enrico Capuano, il gruppo delle "Nuvole pesanti" con Salvatore
De Siena, Giuseppe Voltarelli, Amerigo Sirianni, Domenico Mellace, Raul
Colosimo, il gruppo dei "Cuba cabbal" con Andrea Martelli, Pina Petraccia,
Roberto Fascina, Quirino Prosperi, il gruppo dei "Mandara" con Roberto
Alvaro, Piero Agostino Gallina, Giacomo De Rosis, Gennaro De Rosa, il
giornalista Domenico Affinito, l'artista e fotografo Antonio Mannu, i
tecnici Giancarlo Pelorosso e Carmine Garoffolo, il fonico Massimiliano De
Amicis...
Grazie di tutto.
Con affetto e tanta stima,
Tusio De Iuliis,
presidente dell'associazione di volontariato e solidarieta' "Aiutiamoli a
vivere" (Passage to the South), tel. e fax: 003908544.70661, cell.
3280874950, e-mail: yuro.doc at inwind.it

6. RIFLESSIONE. VITO LA FATA: LA RELIGIONE DI DANILO DOLCI
[Ringraziamo Vito La Fata (per contatti: vitofata at inwind.it) per averci
messo a disposizione anche questo suo articolo gia' apparso su "Il siculo",
anno I, n. 1, ottobre-novembre 2001. Vito La Fata e' uno dei continuatori
dell'opera dell'indimenticabile Danilo]
Come faceva Danilo Dolci, che aveva vissuto nell'agiatezza, a sopportare
tutte quelle privazioni? Le privazioni frutto di digiuni, di vita condotta
tra i poveri, poveramente e per i poveri? Come faceva a sopportare le
umiliazioni del carcere, delle cronache non sempre favorevoli? Cosa lo
spingeva ad andare avanti, a lottare, a digiunare, a denunciare chi fino ad
allora era rimasto tra gli impuniti nel regno degli intoccabili? Come
conciliava il suo pragmatismo, la ricerca delle soluzioni concrete, con la
sua spiritualita' non ben definita? Dove aveva attinto Danilo Dolci il
coraggio di vivere nella poverta' volontaria come aveva fatto San Francesco?
Danilo Dolci ha vissuto la sua vita con un profondo senso religioso.
Il suo approccio al mondo, agli uomini, alle cose e' estremamente
interrelato con una profonda visione della vita filtrata alla luce degli
insegnamenti di Gesu' e di San Francesco. Ma in lui la religione non e'
soltanto fede, speranza, mezzo attraverso il quale darsi una spiegazione del
mondo.
La religione, in Danilo Dolci, e' strettamente connessa con il suo metodo di
lavoro, con il suo pragmatismo che tanto lo distingue, con la comunicazione.
Accostarsi alle creature di Dio, aiutare l'"altro" attraverso le
potenzialita' che sono in lui, e' amore religioso e, quindi, comunicazione
maieutica. L'amore evangelico e' comunicazione, e' guardare dal di dentro.
Comunicare veramente per Dolci e' anche amare il proprio prossimo e con esso

sviluppare un rapporto di reciproca comunicazione, di profonda condivisione
del senso.
*
La famiglia
Tutto il pensiero filosofico-sociale di Danilo Dolci era di profonda matrice
evangelica anche se non trovava affinita' con chi pretende di imporre le
proprie regole agli altri. Danilo infatti aborriva l'atteggiamento del "buon
pastore" che tratta la gente come pecore subordinate e per  nulla capaci di
determinare il proprio destino.
Danilo era in verita' un grande conoscitore del vangelo, lo citava
costantemente in tutte le occasioni. La sua famiglia gli aveva impartito
un'educazione cattolica. La madre, Meli Kontely, era un'attivista di una
importante congregazione religiosa, presidente del terzo ordine dei
Francescani di Chiavari, e la zia era stata monaca.
Possiamo dire dunque che l'esperienza religiosa di Danilo Dolci nasce
all'interno della sua famiglia di origine, in una dimensione di
religiosita'.
*
Nomadelfia
La seconda fase della crescita religiosa di Danilo Dolci si realizza nella
comunita' di Nomadelfia ("citta' della fratellanza", citta' della legge di
Dio) fondata alla fine della seconda guerra mondiale da don Zeno Saltini.
Questo era un luogo dove si viveva in comunita', secondo le leggi del
Vangelo.
Don Zeno aveva raccolto molti orfani di guerra e con alcuni finanziamenti da
parte di benefattori, aveva acquistato un consistente appezzamento di
terreno costruendovi la struttura che accoglieva questa comunita'. Don Zeno
considerava il giovane Danilo il suo braccio destro, lo aveva assunto come
suo personale segretario e gli aveva affidato di costruire una nuova
comunita' in Maremma.
"Va qui ricordato che il sacerdote don Zeno Saltini - che Dolci chiamava
"santo" - e' stato avvocato e un grande agitatore sociopolitico (un
personaggio scomodo per la chiesa di quei tempi) e che per stroncarlo
intervennero Sua Santita' Pio XII e Alcide De Gasperi, tramite il ministro
Scelba, con calunnie e con la polizia. Danilo visse questi drammatici eventi
in prima persona, con atteggiamento critico, e ne tiro' conseguenze decisive
anche per i suoi rapporti con tutte le gerarchie ecclesiastiche.
A Nomadelfia, Danilo aveva imparato a vivere in questa comunita' cristiana,
del cristianesimo delle origini, secondo il vangelo di Gesu'. Ed in lui
riaffiorava forte e potente il concetto del perdonare, del non giudicare,
del prossimo.
Concetti forti, "Perdona settanta volte sette", "non giudicare, per non
essere giudicato" e "togli la trave dal tuo occhio prima di togliere il
fuscello dall'occhio del tuo prossimo". L'esperienza quasi triennale nel
villaggio apostolico di Nomadelfia e' stata per Dolci un evento
fondamentale. Danilo Dolci sviluppo' un nuovo sistema di concetti e di
espressioni in un linguaggio evangelico-scientifico.
*
Trappeto
A ventisette anni decide di abbandonare la comunita' di Nomadelfia; dira'
alcuni anni dopo che in quell'oasi chiusa in se stessa non riusciva piu' a
viverci: occorreva andare dove c'era piu' bisogno di aiuto, dove la gente
moriva di fame anche per l'incuranza dello Stato. Va in Sicilia, dove con
contadini e pescatori continua ad usare il linguaggio evangelico delle
immagini e delle parabole. Arriva a Trappeto e inizia a costruire la "Citta'
di Dio". Sul modello di Nomadelfia Dolci realizzo' un'altra comunita' che
poi venne chiamata "Borgo Di Dio".
Danilo Dolci si ritrova impegnato a trasformare l'esperienza sociale
comunitaria vissuta a Nomadelfia in un impegno e in una visione
socio-politica adeguata alla nuova epoca delle repubbliche democratiche.
A Trappeto, paese costiero fra Trapani e Palermo, la cultura intellettuale
del sociologo Dolci si trasformo' in realizzazione esistenziale di vita,
ossia anche in cultura del cuore e della volonta', a completamento della
formazione intellettuale. Scopri' in chiave eucaristica che ognuno di noi
"mangia per essere mangiato" e che ognuno di noi deve "sognare" il suo
prossimo se vuole aiutarlo nella sua evoluzione.
Un concetto di Danilo Dolci era "fiducia", ossia "fede" nella capacita' di
ognuno (capacitazione) di partecipare alla lotta per la propria lenta
trasformazione come predisposto dalla "legge della vita" che Gesu' chiama
"Dio". Questa fede nasce dall'esperienza e dalla speranza in una nuova
societa' e in un nuovo mondo delle strutture maieutiche comunicative.
Per Dolci Dio era lo "spirito" che si rinnova e partecipa e s'invera
continuamente, ed e' quindi padre e fratello e compagno; anche gli altri
uomini (giovani e vecchi, donne e bambini) sono padri e fratelli e compagni
di Danilo Dolci e fratelli e compagni di Dio. Se no, non si potrebbe capire
e meditare la sua vita a Trappeto, non si potrebbero capire le sue lotte, i
suoi digiuni, le sue sconfitte e vittorie, le accuse, le calunnie subite...
Sviluppo' in collaborazione con Aldo Capitini la nuova strategia della lotta
nonviolenta e l'evangelismo laico sociodinamico. Dolci ando' oltre i vari
dogmi riduttivi delle diverse chiese confessionali secolari creando appunto
un suo concetto dell'uomo nuovo "rinato" e del "Regno di Dio",  dove "la
legge della vita" collabora con l'essere umano per aiutarlo ad evolversi, a
diventare piu' cosciente e piu' capace di chiedere perdono, piu' capace di
criticare se stesso prima di criticare gli altri.
*
Il segreto di Danilo
"Era capace di chiedere perdono e di perdonare spontaneamente tutti,
qualsiasi cosa essi avessero fatto. Aveva perdonato anche i calunniatori che
lo avevano perseguitato - conscio di avere sempre anche la "sua" parte di
responsabilita', e che gli avversari e gli antagonisti rappresentano l'altra
parte della nostra medaglia e della verita'. "La mia verita' non puo' essere
completa senza quella del mio antagonista".
Piu' tardi chiamera' questa filosofia di matrice evangelica "poetico dialogo
degli estremi complementari" e "scienza della complessita'".
Chiedeva spontaneamente perdono e basta.
Ecco la radice della sua sincera onesta' e della sua forza maieutica. Cosi'
viveva essenzialmente il vangelo: "Chi si abbassa verra' innalzato" e
"Ognuno porti il peso dell'altro". Cosi' viveva l'umilta' creativa - ma non
la confondeva come tanti sedicenti cristiani con la mediocrita' incolore o
con il soffocamento complessato della propria personalita'. Non aveva timore
o timidezza di emergere con decisione e di focalizzare l'attenzione - ma
criticava i docenti "radiotrasmittenti" che tenevano sermoni cattedratici di
mezz'ora o piu', senza creare spazi sufficienti per un lavoro maieutico di
gruppo.
Ecco dunque il grande segreto di Danilo Dolci: sapeva chiedere e dare
perdono spontaneamente.
E cio' - piu' ancora dello sviluppo sistematico dell'autocontrollo - era la
forza recondita e centrale della sua potenza comunicativa - la base
spirituale per lo sviluppo delle strutture maieutiche - da lui tanto
auspicate per un mondo piu' giusto.
Dolci viveva cosi' a modo suo le parole di Gesu': "Pentitevi e cambiate" e
"Chi tra voi vuole essere il piu' grande sia il servo degli altri". Voleva
essere il piu' grande servo del Signore della "legge della vita" e
dell'umanita'.
Non si stancava di insistere sul fatto che lo sviluppo della potenza in ogni
persona e' una virtu', ed e' il presupposto piu' importante per lo sviluppo
della creativita' e della democrazia.
Dolci diceva: "nelle piu' profonde intuizioni religiose il vero potere e'
l'amore".
Gia' da adolescente aveva scoperto l'importanza della disciplinata
meditazione buddista per la sua vita spirituale. Nei decenni aveva
profondamente trasformato l'alto retaggio buddista ed il profondo
insegnamento cristiano di don Zeno e di Nomadelfia in una nuova dimensione
cosmica che viene anche chiamata "dialogo delle polarita'" e "scienza della
complessita'" (Prigogine) e che Dolci amava spesso esprimere in poesia e in
prosa poetica.
In Sicilia pote' mettere se stesso alla prova. Aveva veramente imparato a
Nomadelfia a concepire la vita come uno sforzo ascetico costante per ridurre
all'essenza le esigenze fisiche materiali?
Danilo Dolci dimostro', subito, una capacita' unica di adattarsi al nuovo
mondo siciliano, alla sofferenza dei digiuni forzati e volontari, ed ai
disagi negli scantinati e nelle prigioni siciliane.
Dolci scopri' ben presto che tra i semplici e schietti contadini siciliani
si sentiva completamente a suo agio. Ne apprezzava e ammirava la saggezza
genuina - non scolastica ma elementare - poiche' profondamente legata ai
ritmi della terra siciliana ed ai cicli della natura e del cosmo.
Vitale e' per il sociologo della comunicazione la "terapia di gruppo". Egli
sostiene, infatti, che gli operatori sociali devono essere dei "medici
sociali", che devono curare le malattie costituzionali croniche dei
parassitati e dei parassiti senza giudicare.
Questo nuova metodo sociologico e' nato da un profondo impulso evangelico;
da un impulso che spingeva Dolci ad aprirsi a chiunque, anche al "parassita"
piu' alienato.
Sorge, e fa sorgere in chi lo ascolta (e in chi ora, dopo la sua morte, lo
legge, cercando di capirlo, di farlo rinascere dentro di se'), l'immagine di
Gesu' e di San Francesco, di due emblemi della cristianita' di ogni tempo;
di due comunicatori sociali grandi ed unici, che si soffermavano per ore e
giornate nelle strade e nei sobborghi - tra gli emarginati, i mendicanti, i
lebbrosi, e tra gli alienati di ogni tipo.
Con Aldo Capitini e con Johan Galtung elabora e sviluppa ulteriormente i
concetti gandhiani della rivoluzione nonviolenta. Il "regno di Dio" diventa
per Dolci "democrazia maieutica".
Nel 1973 il quasi cinquantenne Dolci trasferisce il perno del suo impegno in
Sicilia dalla sfera sociale a quella socioculturale. Nasce il concetto
filosofico della "poesia dei poli complementari".
Evidente e' di nuovo la matrice evangelica di questa teoria "delle
polarita'" e "degli estremi". Il concetto cristiano "ama il tuo prossimo
come te stesso", Danilo Dolci lo traduce in: "cerco di comunicare
costruttivamente con il mio avversario". Cio' vale, egli dice, scrive e
sostiene, per tutte le istituzioni, a partire dal nucleo fondamentale, perno
delle crisi del XX secolo (e di quello appena entrato), ovvero dalla
famiglia, a seguire con la scuola (obsoleta perche' non in grado di
adeguarsi ai nuovi paradigma della vita), l'universita' (formatrice di menti
asfittiche), la chiesa (spesso isolata dal resto della societa' perche'
incapace di accettare il contrasto, sempre piu' evidente, tra norma e legge
morale e norma e legge sociale), il gruppo politico (solo e distante dai
veri bisogni dell'umile, del povero, dell'ultimo), il teatro (della vita,
dell'esistente), l'azienda (Danilo Dolci puo' considerarsi anche in questo
senso un grande precursore della psicologia ambientale: "star bene al lavoro
significa accettare l'ambiente fisico di lavoro e accettare gli altri in un
processo di adattamento e condivisione crescente").
Danilo Dolci, si aspettava un lento risveglio delle popolazioni nel giro di
qualche generazione fino al salto evolutivo della coscienza collettiva; egli
pensava che cio' sarebbe stato possibile "non appena questa diverra' capace
di realizzare in ogni ambito l'idea delle strutture sociali maieutiche" ed
il "dialogo poetico degli estremi".

7. RECENSIONI. GIANNI MORIANI: LE RAGIONI INFINITE CONTRO LE ARMI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 novembre riprendiamo questa
recensione]
Mentre Bush sta facendo scaldare i motori dei bombardieri e allenare i
marines su terreni desertici per invadere l'Iraq, l'editore Asterios manda
in libreria l'Annuario della pace (pp. 381, 14 euro): una pubblicazione
della "Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace", curata da Salvatore
Scaglione.
Con alle spalle dodici mesi in cui c'e' stata l'invasione militare
dell'Afghanistan e ci si avvia verso la seconda guerra del petrolio, un
Annuario della pace non puo' che cercare di demolire le "ragioni" della
guerra.
E' quello che nel suo saggio fa Raniero La Valle, iniziando con questa
precisazione: "La guerra globale - la cosiddetta guerra contro il
terrorismo - e' la verita' interna della globalizzazione, ed e' il punto in
cui la modernita' va a concludersi, e in cui esplode. La guerra globale e'
una guerra indistinta dalla vita, dalla pace, dalla politica. La vita, la
pace, la politica, sono diventate esse stesse guerra. La guerra e'
pervasiva, ubiquitaria, molecolare, e' la nuova modalita' universale dei
rapporti pubblici all'inizio del terzo millennio".
Soprattutto si tratta una guerra infinita, che marca una differenza, una
discontinuita' con tutte le guerre precedenti. Il Segretario di Stato Usa,
Colin Powell, non ha detto "ci fermeremo solo quando la civilta' sara' di
nuovo sicura"?: ossia mai. Per questo siamo di fronte a una guerra senza
confini, senza tempo, senza regole e che percio' spazza via in un sol colpo
le stesse regole del diritto umanitario di guerra.
Dopo la guerra del Golfo intrisa di petrolio, la "guerra umanitaria" in
Jugoslavia, la guerra "contro il terrorismo" in Afghanistan, eccoci dentro
l'avviata "guerra infinita" che sostituisce, spazzandole via, le vecchie
forme di guerra come esercizio della sovranita' o come punizione del reo. Ed
e' in questo contesto che la nuova amministrazione Usa consolida il suo
unilateralismo, inteso come volonta' possibilmente non concordata con altri
paesi, ne' condizionata dai vincoli imposti dalla partecipazione a
organizzazioni internazionali o dalla precedente ratifica di trattati non
piu' corrispondenti agli attuali interessi statunitensi. Un unilateralismo
germogliato dentro la convinzione della Casa Bianca che, essendo gli Usa
l'unica potenza globale, essa possa sottrarsi alla rete di interdipendenze
economiche, finanziarie e strategiche progressivamente estesasi nel corso
della seconda meta' del Novecento.
In un altro saggio, Mario Del Pero fa notare che la prima evidenza di tale
strategia e' costituita dal rigetto, da parte di Bush, di una serie di
trattati per poter implementare un sistema missilistico di difesa nazionale,
in grado di rendere gli Usa invulnerabili a qualsiasi forma di attacco, ma
non agli aerei guidati da terroristi come e' successo l'11 settembre.
L'emergenza terrorismo ha, inoltre, tolto ogni ostacolo all'incremento delle
spese militari Usa che, nell'anno fiscale 2003, si aggireranno intorno ai
390 miliardi di dollari, con una crescita di oltre il 15% sull'anno
precedente: uno dei maggiori aumenti relativi del dopoguerra.
La globalizzazione ha anche evidenziato che l'attuale sistema economico e
sociale vincente non e' in grado di rispondere ai fondamentali bisogni
comuni, perche' i meccanismi economici capitalistici sono congegnati
solamente per far crescere il denaro distruggendo le risorse naturali, non
per soddisfare i bisogni. Di fatto, un quinto del mondo e' contro gli altri
quattro quinti.
Per garantire alti livelli di vita a chi e' gia' sazio, l'Occidente
brandisce sul pianeta una "razionalita'" fatta di selezione ed esclusione
che materialmente rompe l'unita' del mondo. Perche', se tutto il mondo non
si puo' sviluppare, che continui a crescere e ad arricchirsi almeno una
parte: questo e' quanto impongono gli appagati agli esclusi.
Ritorna in auge la teoria di Herbert Spencer che, sulla base del barbaro
principio "vinca il piu' forte", legittima in economia il laisser-faire e la
conseguente selezione sociale, affermando che "se gli uomini sono realmente
in grado di vivere essi vivono, ed e' giusto che vivano. Se non sono in
grado di vivere, essi muoiono, ed e' giusto che muoiano".
Su questo ingiusto mondo irrompe l'antropologia della divisione e
dell'esclusione per spiegare e legittimare la spaccatura del globo in due
parti asimmetriche: quella degli uomini necessari (gli occidentali) e quella
della restante parte degli uomini "in esubero".
L'ingiustizia alimenta il terrorismo.
Ma il miope Bush, dopo l'attentato alle Twin Towers, ha gridato: e' un atto
di guerra. E ha risposto subito dopo con l'invasione dell'Afghanistan.
Perche' la guerra e' ormai l'unica lingua della politica della Casa Bianca,
e anche di Israele e della Russia. "Ma guerra e terrorismo non possono
combattere l'una contro l'altro, perche' sono la stessa cosa; nessuno puo'
vincere senza nello stesso tempo far vincere anche il suo nemico", rammenta
La Valle.
La tecnologia ha manufatto un mondo fragile e vulnerabile che non e'
compatibile ne' con il terrorismo ne' con la guerra. Questo mondo fatto di
grattacieli, di telecomunicazioni, di traffico aereo, puo' vivere solo con
la pace.
La violenza, la prepotenza, la guerra non chiudono nessun problema: rendono
il terrorismo un intollerabile fenomeno della vita quotidiana. Tutto cio'
rende l'oggi insicuro e il futuro sempre piu' incerto.
L'ingiustizia e' diffusa, ma la gente, la gente comune capisce quello che
sta accadendo? Si domanda Giulietto Chiesa in un altro saggio dell'Annuario.
La risposta per milioni di persone e' no. Ed e' gente che non capisce
perche' non ha gli strumenti, non ha l'informazione. Essa sta andando verso
il baratro seguendo il pifferaio di Hamelin. Ma chi e' il pifferaio nella
"favola" di questo XXI secolo? "Globalizzazione? Sistema mediatico? Fabbrica
dei sogni? Vanno bene tutte e tre le definizioni, anzi sono la stessa cosa",
scrive Chiesa, che vede un'unica speranza nell'opposizione coagulatasi
attorno ai giovani dei social forum. Sono giovani che parlano spesso
linguaggi cosi' diversi, esprimono sentimenti cosi' diversificati che, per
questo, "occorre pensare a un lungo lavoro per ricostruire un tessuto comune
solido, capace, tra l'altro, di tenerli assieme in previsione delle tempeste
internazionali che stanno avvicinandosi".
Gli fa eco La Valle: il punto e' attaccare il principio della divisione,
rovesciare la scelta capitalistica della discriminazione, che scinde il
mondo mettendo una parte contro l'altra. Per questo e' necessario costruire
fattori "di unita' e integrazione proprio in funzione e come caparra di
quell'altro mondo che crediamo 'sia possibile'".

8. MAESTRE. OLYMPE DE GOUGES: UOMO, SEI  CAPACE DI ESSERE GIUSTO?
[Da Olympe de Gouges, la tribuna, il patibolo. Documenti e pensieri di
donne, fascicolo monografico di "Dall'interno", n. 101, aprile 1989, p. 29.
Olympe de Gouges, nata nel 1748, autrice teatrale, riformatrice sociale,
rivoluzionaria e schierata in difesa dei diritti umani, nel settembre 1791
pubblico' la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, viene
ghigliottinata il 3 novembre 1793 accusata di complicita' con i girondini.
Ha scritto di lei Jules Michelet: "Fondo' il diritto delle donne con una
frase giusta e sublime: 'Avranno pure il diritto di salire alla tribuna, se
hanno quello di salire al patibolo'"]
Uomo, sei capace di essere giusto?
E' una donna che ti pone la domanda: non le toglierai almeno questo diritto.
Dimmi, chi ti ha dato la sovrana autorita' di opprimere il mio sesso?

9. MAESTRE. ANNA KULISCIOFF: TUTTE LE IDEE GENEROSE
[Riportiamo un minimo estratto dall'articolo di Anna Kuliscioff, Candidature
femminili, apparso in "Critica sociale" del primo giugno 1892; che
riprendiamo da Maricla Boggio, Annabella Cerliani, Anna Kuliscioff. Con gli
scritti di Anna Kuliscioff sulla condizione della donna, Marsilio, Venezia
1977, p. 162. Anna Kuliscioff (1854-1925) e' una delle figure piu' grandi
della storia del movimento socialista italiano ed internazionale]
Tutte le idee generose, prima di trionfare, traversarono l'onda del dileggio
e dei vituperi. Ma trionfarono perche' avevano dietro di se' delle forze
reali.

10. MAESTRE. FLORA TRISTAN: SE VOLETE SALVARVI
[Da Alfredo Salsano (a cura di), Antologia del pensiero socialista, Laterza,
Roma-Bari 1979, vol. I, tomo 2, p. 432 (e' un passaggio dell'opuscolo di
Flora Tristan, Union ouvriere, del 1843). "Nata nel 1803 da un colonnello
spagnolo discendente da una ricca famiglia peruviana e da madre francese,
Flora Tristan mori' nel 1844 dopo una vita tutta spesa nella realizzazione
della propria personale liberazione, che da ultimo s'identifico' con quella
della classe operaia. Figura indubbiamente eccezionale nel quadro del
socialismo francese prequarantottesco, la Tristan con Promenades dans
Londres (1840) fece conoscere in Francia le condizioni del proletariato
inglese, esponendo anche le concezioni di Owen che conobbe personalmente, e
dei cartisti, con i quali fu direttamente in contatto. Il suo posto nella
storia del socialismo - e del movimento operaio - e' pero' legato
soprattutto all'opuscolo Union ouvriere (1843), con cui introdusse per la
prima volta l'idea di un'organizzazione destinata a realizzare l''unione
universale degli operai e delle operaie'" (Alfredo Salsano)]
Operai, lo vedete, se volete salvarvi avete solo un mezzo, dovete unirvi.

11. MAESTRE. MARY WOLLSTONECRAFT: L'ESERCIZIO
[Da Mary Wollstonecraft, I diritti delle donne, Editori Riuniti, Roma 1977,
p. 157 (e' un'opera del 1791, pubblicata l'anno successivo). Mary
Wollstonecraft (1759-1797) e' una straordinaria figura di scrittrice, di
intellettuale e di militante per i diritti; fu anche la compagna di William
Godwin, e la madre di Mary Shelley]
Sono in effetti convinta che il cuore, come pure l'intelletto, si formino
attraverso l'esercizio.

12. MAESTRE. VIRGINIA WOOLF: CHE SPIEGHI E RIVELI
[Da La vita come noi l'abbiamo conosciuta. Autobiografie di donne proletarie
inglesi. Lettera introduttiva di Virginia Woolf, Savelli, Milano 1980, p. 32
(e' uno scritto del 1930). Virginia Woolf, intelelttuale e scrittrice tra le
piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di
esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue opere
letterarie scrisse saggi di cui alcuni fondamentali per una cultura della
pace. Mori' suicida nel 1941. Le sue opere sono state tradotte da vari
editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La
crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al
faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata
recentemente pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton
di Roma. Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura
della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre
ghinee, Feltrinelli, Milano 1987. Opere su Virginia Woolf: fondamentale e'
Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974, 1994]
Che questa sia o non sia letteratura, io non mi azzardo a dirlo, ma che
spieghi e riveli molte cose e' indubbio.

13. RILETTURE. AA. VV. (A CURA DI FRANCO BASAGLIA E PAOLO TRANCHINA):
AUTOBIOGRAFIA DI UN MOVIMENTO
AA. VV. (a cura di Franco Basaglia e Paolo Tranchina), Autobiografia di un
movimento. 1961-1979. Dal manicomio alla riforma sanitaria, coedizione UPI,
Regione Toscana, Amministrazione provinciale di Arezzo, "Fogli di
informazione", Psichiatria Democratica, Critica delle istituzioni, Firenze
1979, pp. 448. Una raccolta di interventi e documenti che mantiene un grande
valore non solo storico e documentario ma analitico e orientativo per
l'agire terapeutico, solidale e liberante.

14. RILETTURE. FRANCO BASAGLIA: SCRITTI
Franco Basaglia, Scritti, Einaudi, Torino 1981-1982, 2 voll. per complessive
pp. XLIV + 532 e X + 494. A cura di Franca Ongaro Basaglia la raccolta degli
scritti di uno dei piu' grandi pensatori ed operatore della liberazione del
XX secolo.

15. RILETTURE. ROMANO CANOSA: STORIA DEL MANICOMIO IN ITALIA DALL'UNITA' A
OGGI
Romano Canosa, Storia del manicomio in Italia dall'Unita' a oggi,
Feltrinelli, Milano 1979, pp. 256. Una rigorosa monografia su una delle piu'
feroci istituzioni totali.

16. RILETTURE. DOMENICO DE SALVIA, PAOLO CREPET (A CURA DI): PSICHIATRIA
SENZA MANICOMIO
Domenico De Salvia, Paolo Crepet (a cura di), Psichiatria senza manicomio,
Feltrinelli, Milano 1982, pp. 432. Una documentazione e riflessione a piu'
voci sulla riforma che ha restituito dignita' e diritti umani ai sofferenti
psichici.

17. RILETTURE. GIULIANA MORANDINI: ... E ALLORA MI HANNO RINCHIUSA
Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano 1977,
1985, pp. XVIII + 242. Testimonianze di donne dal manicomio.
Indimenticabili.

18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 419 del 18 novembre 2002