DOSSIER FSE: DALLA FESTA DI FIRENZE ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEL DISSENSO



DALLA FESTA DI FIRENZE ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEL DISSENSO

Un forum creativamente caotico ha preparato il terreno per un'ondata umana che ha superato ogni previsione, legittimando definitivamente un nuovo soggetto politico, con cui i due poli dovranno sicuramente fare i conti anche in futuro. Dopo la dura esperienza di Genova, e la "rielaborazione del lutto" nel luglio successivo, l'"attivismo globale" e' entrato nella fase della maturita'. A tutto questo si aggiunge un epilogo oscuro, con una serie di arresti dal sapore "politico".

di Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>

La festa di Firenze comincia il sei novembre, con un concerto in piazza santa Croce. Dieci, quindici, forse ventimila persone. Sembrano tante, e ancora non si immagina che sabato saranno almeno venti volte di piu'. Lo striscione sul palco riassume i temi portanti del Forum, e conferma che questo movimento e' schierato "contro il neoliberismo, la guerra e il razzismo". Tra una banda musicale e l'altra, sale sul palco anche Franca Rame, a inaugurare quello che nei giorni successivi diventera' lo sport preferito dei manifestanti: la critica, l'ironia e lo sberleffo alle "idee Fallaci". "La signora Fallaci ha seminato il terrore in questa citta' -ha detto Franca Rame- e come si chiamano quelli che seminano il terrore? Terroristi". Accompagnato da una lunga ovazione, anche Dario Fo si rivolge ai ragazzi presenti in piazza S.Croce, raccontando che "quando a Firenze c'e' stata l'alluvione sono stati i ragazzi come voi a salvare la citta'. Con il vostro canto, la vostra gioia, il vostro umorismo riuscite a dire che si puo' essere vivi in questo mondo. Quando viene negata la satira e la gioia del riso -ha proseguito Dario Fo- cominciano ad apparire momenti duri che sanno di morte". Il riferimento, nemmeno troppo velato, e' alla ventata di censura che attraversa la televisione pubblica. Al termine del concerto si sentono delle grida provenire dal fondo della piazza. Non sono dei "black bloc", ma i ragazzi appena arrivati da Camp Darby che continuano a gridare i loro slogan con il filo di voce che gli rimane.

Il forum ai blocchi di partenza

7 novembre: si parte. Alla Fortezza da Basso sei conferenze parallele aprono i lavori del Forum Sociale Europeo, che proseguono ininterrottamente fino a sabato pomeriggio con una lunga teoria di seminari, workshop, incontri informali e dibattiti improvvisati sui prati della Fortezza. Il primo dato tangibile per chi si aggira nei saloni gremiti di attivisti e' l'eta' molto giovane del pubblico che si accalca attorno a relatori decisamente piu' anziani: la grande maggioranza dei partecipanti al Forum dimostra attorno ai vent'anni, e molti di loro prendono appunti durante i lavori come se fossero sui banchi di scuola. Questo "gap generazionale" non pregiudica la comunicazione tra i relatori delle conferenze e la gioventu' che partecipa ai lavori: anche una composta signora dai capelli bianchi riesce a catalizzare l'attenzione su di se', soprattutto quando questa signora si chiama Luciana Castellina e parla senza mezzi termini di "colonizzazione culturale" degli Stati Uniti d'America. "Il mercato audiovisivo europeo e' controllato per il 70% dalla produzione di Hollywood, e solo l'1% dei film e della fiction che arriva in Italia proviene da paesi asiatici o africani", ha detto la Castellina durante una delle sei conferenze di apertura del forum, dichiarando di provare "pena per i bambini americani, ai quali viene negato il contatto con altre culture in televisione e al cinema". Giovedi' e' anche la giornata di allestimento degli stand e dei banchetti delle associazioni, che riempiono i saloni della fortezza con bandiere, volantini, striscioni, libri, video, opuscoli, foglietti, sussidi, spillette, adesivi, giornali, riviste e ogni genere di materiale promozionale. Rispetto a Genova salta all'occhio una evidente differenza di partecipazione, una maggiore quantita' e varieta' delle presenze: nel capoluogo ligure i lavori dei "Public Forum" si sono svolti su tre tendoni che hanno ospitato gruppi di poche centinaia di persone, mentre a Firenze sono state decine le sale dedicate ai dibattiti e ai lavori di approfondimento, e gli incontri piu' "gettonati" hanno richiamato diverse migliaia di partecipanti.

Bandiere rosse, bandiere arcobaleno e preti di frontiera

Un altro salto di qualita' rispetto alla contestazione di Genova e' stata la composizione molto piu' eterogenea dei partecipanti al forum fiorentino. Sicuramente il colore dominante nel padiglione centrale era il rosso di molte bandiere, e sarebbe stupido negare un profondo radicamento del movimento nella cultura marxista e comunista, ma a Firenze qualcosa di nuovo ha prodotto una positiva contaminazione di culture, l'antimilitarismo si e' confrontato con la nonviolenza, le lunghe treccine rasta hanno incontrato i pantaloni corti degli scout, accanto alle bandiere rosse sono apparse anche molte bandiere arcobaleno, frotte di ragazzi col piercing e i cani "bandanati" hanno ascoltato Don Ciotti in un silenzio che si puo' definire solamente "religioso". A Firenze un movimento che invoca la tolleranza, il rispetto della diversita' e l'attenzione alle idee degli altri ha vissuto sulla propria pelle la fatica del confronto e dell'incontro tra diverse sensibilita' che portano alle stesse scelte di campo. Piu' di tremila persone hanno risposto con un applauso a scena aperta all'intervento di don Luigi Ciotti, che l'8 novembre ha dimostrato di essere una delle guide piu' apprezzate e meno mediatiche del movimento, sostenendo che "il nuovo killer mondiale e' la sicurezza, perche' in nome della sicurezza si stanno calpestando i diritti umani, la storia, la speranza e la dignita' di altre persone. Anche gli infortuni sul lavoro e la corruzione politica sono un problema di sicurezza ma nessuno ne parla mai". La voce di Ciotti e' scuote i muri, e da' la sensazione di assistere ad una versione moderna del discorso della montagna: "i 700 morti affogati all'anno nei nostri canali, ed altre migliaia nei mari dell'Europa, sono un omicidio premeditato -ha tuonato Ciotti-. Vogliamo citta' vivibili e accoglienti, non citta' sicure, e le vogliamo anche per difendere il diritto alla sicurezza dei Rom che muoiono nei campi nomadi. Uno di loro, che aveva appena quindici anni, prima di morire aveva scritto in un tema 'il mio sogno e' diventare un cittadino italiano'". Ciotti ha descritto la legge Bossi-Fini come "un provvedimento tratta le persone come merci, garantendo diritti solo a chi lavora, revocandoli quando il lavoro non c'e' piu'. Quelli che vengono chiamati centri di permanenza temporanea vanno chiamati con il loro nome: centri di detenzione. Provo vergogna a dire che nel mio paese, con tanta fretta, si sono fatte leggi forti contro i deboli e deboli contro i forti. Queste leggi hanno permesso il rientro dei capitali illeciti accumulati all'estero, e a guadagnarci e' stata la Mafia". Luigi Ciotti non e' il solo ad esprimersi senza mezzi termini: l'aria di Firenze ha un effetto particolare, e invita i presenti ad abbandonare ogni forma di diplomazia, buonismo e tatticismo nel fare affermazioni. E' cosi' che Paolo Serventi Longhi, il segretario della Federazione Nazionale della Stampa, abbandona la sua abituale compostezza e durante un seminario sull'informazione si infervora al punto di affermare che "se dovesse scoppiare una guerra in Iraq, temo la censura e la propaganda che verra' fatta da chi aggredira' quello stato. Ci sara' bisogno di qualcuno che racconti la sofferenza di questo popolo. Il nemico della verita' sara' il potere, e chi all'interno degli Stati Uniti cerchera' di nascondere quello che accadra'".

La Polizia chiede aiuto

La cosa e' passata piuttosto inosservata, ma l'8 novembre anche i poliziotti hanno partecipato attivamente al forum europeo, con un workshop intitolato "democrazia e diritto al dissenso", organizzato dalla Rete di Lilliput e dalla sezione Toscana del sindacato di polizia Silp-Cgil. Durante questo incontro anche i rappresentanti delle forze dell'ordine hanno arricchito il dibattito sulle istanze di cambiamento sociale aperto a Firenze. Dopo una onesta autocritica sugli eventi del luglio genovese, gli esponenti delle forze dell'ordine presenti all'incontro hanno invitato la societa' civile a sostenere le lotte sindacali dei lavoratori in divisa, per non abbandonare i poliziotti alle strumentalizzazioni politiche e a chi ha tutto l'interesse ad allargare la spaccatura tra i poliziotti democratici e i cittadini. Rita Parisi, rappresentante del sindacato di polizia Siulp, ha parlato di "scollamento delle forze dell'ordine dalla societa' civile", e ha descritto i problemi culturali delle forze dell'ordine, affermando che "l'organizzazione della Polizia e' estranea al concetto di diversita', ed e' improntata all'omogeneita'. Se qualcuno non ci aiuta, per noi e' impossibile aprirci alle differenze". A questa iniziativa ha partecipato anche Lorenzo Guadagnucci, uno dei 93 arrestati (e pestati) all'interno dell'istituto Pertini (ex Diaz) durante il vertice G8 di Genova. "A distanza di un anno, siamo ancora accusati di associazione a delinquere -ha detto Guadagnucci- e iniziamo a sentirci soli, mentre i problemi nati a Genova sono problemi collettivi, che riguardano la qualita' della nostra democrazia".

Una festa col fiato sospeso

Alle 13 di sabato la testa del corteo non puo' piu' aspettare l'orario ufficiale di partenza e si avvia con due ore di anticipo in direzione dello stadio, sospinta dalla pressione di un numero di persone inimmaginabile fino a quel momento. Alla testa del lungo serpentone che si snoda dalla fortezza si respira un clima di fortissima tensione, che avvolge gli organizzatori, i manifestanti e soprattutto i poliziotti, che si guardano attorno impauriti e pronti al peggio. Il nervosismo si scioglie attorno alle due e mezza, quando il gruppo di poliziotti che precede la testa del corteo imbocca via de Santis. Dalle finestre e dai balconi parte un applauso di solidarieta', e altri ne seguiranno piu' avanti. "Via i caschi!" ordina qualcuno, e dagli elmetti compaiono dei visi di ragazzini che abbozzano un sorriso per quella inaspettata accoglienza da parte dei cittadini di Firenze. Il clima si distende. Una donna si avvicina e consegna a un poliziotto un biglietto con un "pensiero positivo", e mi sorprende il fatto che un agente accetti il biglietto e lo legga assieme ai colleghi, mentre a Genova i fiori offerti dai manifestanti in via Assarotti sono stati fatti cadere al suolo. Cos'e' cambiato da allora? Quella volta alle spalle degli agenti c'era la zona rossa, adesso c'e' un milione di persone. Ad ogni passo i respiri diventano piu' lenti e profondi. Quello che era iniziato come un cammino lento e circospetto si trasforma in una marcia serena, che porta i poliziotti a scherzare tra di loro e con chi gli sta attorno. Qualcuno si allontana correndo, ma si tratta di un tipo di allarme diverso da quelli di Genova: c'e' bisogno di raggiungere in fretta il bagno di uno dei pochi bar rimasti aperti. Nel frattempo le persone affacciate alle finestre sono sempre piu' numerose. Quest'anno dai balconi non arrivano getti d'acqua come nel 2001: fa freddo e non ci sono i lacrimogeni. Il cielo di Firenze si colora con minuscoli pezzettini di carta, coriandoli festosi e casarecci piovono sulle teste dei manifestanti che applaudono ad ogni lancio. Ma alle cinque meno dieci qualcosa si rompe nell'oliata macchina del corteo, lasciandomi perplesso e pensieroso.

I ragazzi in nero

Allo stesso incrocio dove qualche ora prima i poliziotti si erano tolti il casco, un ragazzo vestito di nero e con molti pearcing sul viso cerca di scrivere qualcosa sul muro con una bomboletta spray. Il servizio d'ordine della Cgil strappa di mano la bomboletta al ragazzo senza troppi complimenti, e dopo qualche minuto l'aspirante graffitaro ritorna con un gruppo di amici giovanissimi e incappucciati, del quale fa parte anche qualche ragazza. "Ridammi la bomboletta", grida il ragazzo in nero, e gli energumeni del servizio d'ordine non vanno certo per il sottile. Volano spintoni, la tensione si alza, qualcuno si copre il viso e stringe nervosamente in mano l'asta di legno di un cartello, in mezzo alle urla e agli spintoni il proprietario della bomboletta afferra una bottiglia di vetro da un sacchetto dei rifiuti, e il ragazzo giovanissimo con lo stecco di legno in mano lo imita. "Ecco, ci siamo", mi viene da pensare, e un brivido mi percorre la spina dorsale. Dal corteo partono i primi cori di protesta: "scemi, scemi... bu-ffo-ni bu-ffo-ni". Le bottiglie vengono di nuovo gettate al suolo. Ma una ragazza vestita di nero non ci sta, e urla con tutto il fiato che ha in gola: "siete degli sbirri, siete delle pecore, manifestare non serve a niente. Una manifestazione felice nasconde che il mondo fa schifo". Alla fine si raggiunge un accordo: la bomboletta trattenuta verra' pagata al suo ex-proprietario. Quello scontro e la rabbia sofferta che intuisco dietro le urla di quei ragazzi mi lasciano l'amaro in bocca. E' con loro che si dovrebbe parlare, e' a loro che ci si dovrebbe rivolgere per capire fino a che punto arriva la malattia di una societa' che riesce a convincere dei ragazzi giovanissimi che l'unico modo per cambiare qualcosa e' rompere con tutti gli schemi e lanciarsi a testa bassa in uno scontro grafico, fisico e spirituale contro tutto e tutti: poliziotti, pacifisti pecoroni, manifestanti inquadrati, istituzioni irriformabili, "vigilantes" delle associazioni. Uno dei ragazzi in nero trascina via la sua amica che urla ancora contro i manifestanti, rassegnato al fatto che nessuno potra' capire il loro punto di vista. E' giusto che siano loro il capro espiatorio della violenza sociale? E' giusto che questi ragazzi vengano giudicati proprio dal nostro mondo benpensante, che condanna chi scrive con lo spray sui muri e applaude chi va in guerra contro altri paesi? Con questi pensieri mi immergo nella folla del corteo osservando altri visi, altri striscioni, altri gruppi. Non incontrero' piu' altri ragazzi in nero, ma per tutta la serata sentiro' il bisogno di parlare con qualcuno di loro. Al termine del corteo la zona attorno allo stadio si trasforma in un "centro sociale a cielo aperto", e migliaia di ragazzi ballano, cantano, bevono, suonano e si amano fino a notte fonda, per le strade di una citta' liberata almeno per un giorno dal traffico e dalle macchine.

La vittoria di Vittorio

"Abbiamo vinto" ha detto Vittorio Agnoletto durante il dibattito di domenica 10 novembre che ha chiuso i lavori del forum europeo, e chi ha vissuto nel 2001 il dramma delle giornate genovesi non ha potuto fare a meno di ricordare quando dal palco di piazza Ferraris Agnoletto ha pronunciato quelle stesse parole a poche ore di distanza da una mortale tragedia collettiva. Questa volta pero' e' stato diverso, l'amarezza e il lutto di quei giorni hanno lasciato il passo alla gioia di chi non sa se riuscira' a cambiare il mondo, ma e' contento per essere riuscito a cambiare la vita di una citta', trasformando Firenze in un immenso laboratorio sociale. Gli interventi finali che sono stati pronunciati nella sala Leopolda hanno aperto lo scenario alle manifestazioni dei prossimi mesi, con un calendario della contestazione sempre piu' fitto e frenetico. L'attivita' del movimento di Seattle, Genova, Porto Alegre e Firenze sara' segnata da una mobilitazione permanente contro la guerra e il neoliberismo. Si manifestera' a Praga contro la Nato il 21 novembre, poi dal 23 al 28 gennaio 2003 l'appuntamento e' a Porto Alegre per la terza edizione del Forum Sociale Mondiale. Per il 15 febbraio sono state annunciate altre manifestazioni antiguerra nelle capitali d'Europa, con un occhio rivolto al secondo Forum Sociale Europeo, che sara' ospitato dal 12 al 16 novembre 2003 nella citta' francese di Saint-Denis, alla periferia nord di Parigi.

Vince la politica, perdono i partiti

Dopo essere stata descritta come la capitale del caos, Firenze si è trasformata per un giorno nella capitale d'Europa, e dalla babele del forum fiorentino nasce un nuovo soggetto politico, che i partiti non guardano più con l'astio o la sufficienza di qualche mese fa. A Firenze l'unica devastazione è stata quella che ha travolto la politica in doppiopetto. Un centrosinistra ottuso che scopre di aver perso per strada la sua base e un centrodestra kamikaze che innalza barriere tra i commercianti e i loro guadagni sono le vere vittime della "furia" degli attivisti. Sul forum di Firenze si possono dire molte cose: c'è stata una grande voglia di parlare e una scarsa capacità di ascolto reciproco, i gruppi di attivisti hanno puntato molto sull'autopromozione e poco sulla creazione di reti, durante i seminari l'età media dei relatori superava di parecchi lustri quella del pubblico, la fortezza è diventata una nuova "zona rossa" preclusa ai normali cittadini sprovvisti del "pass" che costava dieci euro. Quello che non si può dire, invece, è che dopo Firenze le cose siano ancora quelle di prima: una nuova generazione di attivisti ha saputo incontrarsi per far festa, nonostante i limiti dei suoi leader, l'assenza di una cultura sociale all'interno delle forze dell'ordine, i tentativi di strumentalizzazione politica della vigilia. A Firenze tutte queste miserie umane hanno lasciato il posto a qualcosa di più bello: poliziotti che dopo i primi metri di paura si tolgono il casco in mezzo agli applausi dei passanti, ex-partigiani che applaudono il corteo lanciando coriandoli improvvisati con carta di giornale, bambini di otto anni che "difendono" un bancomat sventolando bandiere della pace, famiglie di immigrati che si affacciano dai balconi mettendosi a ballare, migliaia di persone che li salutano dal basso e ballano con loro. Per incontrarli di nuovo basta andare a Porto Alegre.

Epilogo

A cinque giorni dalla festa di Firenze 42 arresti colpiscono duramente l'ala antagonista del movimento, quella piu' "mediatica", quella che ha sempre pubblicizzato le sue azioni, quella che ha agito sempre alla luce del sole e paga con il carcere il prezzo della sua trasparenza. E' difficile raccontare una vicenda giudiziaria quando a subire le conseguenze dell'ignoranza e del pregiudizio sono anche persone a te vicine: amici, parenti e gente che si impegna nel sociale assieme a te, magari usando strumenti, linguaggi e analisi politiche diverse dalle tue, ma con lo stesso amore per la giustizia e la democrazia e con una carica "sovversiva" che non e' certamente superiore a quella di alcuni ministri della Repubblica pronti a giurare fedelta' alla Padania mentre partecipano alle "celebrazioni del Dio Po". "Un principio fondamentale che sta alla base di tutte le Costituzioni, è quello della resistenza che i cittadini e i popoli hanno il diritto di fare nei confronti di uno Stato quando commette ingiustizie". La citazione non e' di Francesco Caruso, ma di Umberto Bossi (se non ci credete, provate a fare un salto sul sito della Lega Nord). Questo e' un altro dei tanti misteri italiani: alcune forme di resistenza contro le ingiustizie delle istituzioni vengono criminalizzate, mentre altre possono diventare addirittura un programma di governo. Per inciso, il reato di cui sono accusati i "noglobal" arrestati il 15 novembre e' il 270/bis del codice penale, che riguarda le "associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico". Viene da chiedersi che cosa accadrebbe se qualcuno pensasse di leggere il codice penale qualche riga piu' sotto, scoprendo a poche righe di distanza l'articolo 271, che punisce le "associazioni antinazionali" e prevede la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque "promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono di svolgere o che svolgono un'attività diretta a distruggere o deprimere il sentimento nazionale". Se tanto mi da' tanto, la prossima retata sara' a Pontida. A Taranto, quando c'e' stata una durissima contestazione davanti alla Questura immediatamente dopo i fatti di Genova, gli attivisti nonviolenti si sono interposti tra le forze dell'ordine e la pioggia di uova "antagoniste", che rischiavano di aumentare la tensione con conseguenze non prevedibili. Oggi gli stessi pacifisti tarantini che in quell'occasione hanno "difeso" le forze dell'ordine sono pronti a difendere altre persone da accuse infamanti, uomini e donne che rischiano di essere colpiti da qualcosa che fa molto piu' male di un uovo marcio, e che domani potrebbe colpire chiunque si rendera' colpevole di quello che appare come il piu' grande crimine dei nostri tempi: il dissenso.

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Carlo Gubitosa e' un giornalista freelance che collabora con l'associazione di volontariato dell'informazione PeaceLink <www.peacelink.it> - per contatti: 3492258342