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La nonviolenza e' in cammino. 416
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 416
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 14 Nov 2002 20:36:09 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 416 del 15 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Yigal Bronner, caro generale 2. Vito La Fata: Danilo Dolci educatore e costruttore di societa' civile 3. Comunicato della delegazione delle Donne in nero in Kurdistan come osservatrici per le elezioni politiche turche del 3 novembre 2002 4. Giuliana Sgrena, rivolta studentesca a Kabul 5. Enrico Euli, sintesi del gruppo di lavoro su "Gruppi di azione nonviolenta: quali percorsi di formazione" al seminario della Rete Lilliput sulla nonviolenza 6. Una bibliografia sulla teologia femminista 7. Riletture: Etty Hillesum, Diario 1941-1943 8. Riletture: Etty Hillesum, Lettere 1942-1943 9. Riletture: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum 10. Riletture: Pascal Dreyer, Etty Hillesum 11. Riletture: Sylvie Germain, Etty Hillesum 12. Riletture: Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile 13. Riletture: Nadia Neri, Un'estrema compassione 14. Le rampogne di Brontolo: contro la tintura dei capelli 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. YIGAL BRONNER: CARO GENERALE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 novembre riprendiamo questo intervento, cui e' premessa la seguente nota redazionale che anch'essa trascriviamo: "Il professore israeliano Yigal Bronner, docente di sanscrito presso l'Universita' di Tel-Aviv, e' ospite nelle patrie galere del suo paese a causa del suo rifiuto di "fare la sua parte" nella campagna militare interminabile contro i palestinesi, una campagna che vede ormai piu' di 500 riservisti "mobilitati" a dire signorno' a Sharon, a rifiutare di prestare servizio (refusenik) nei Territori occupati. Dal carcere scrive Yigal Bronner all'amico che e' tramite di questo messaggio: 'Cari amici, sono stato imprigionato dall'esercito israeliano per aver rifiutato di partecipare all'occupazione della Palestina. Sono stato condannato a ventotto giorni di prigione militare. Le ragioni che mi hanno indotto a dire no all'umiliazione, all'espropriazione, alla riduzione alla fame di un intero popolo saranno forse ovvie a qualcuno di voi. Ciononostante ho voluto spiegare le mie motivazioni sotto forma di una lettera indirizzata ai miei superiori militari (...)'. E conclude: 'Vi prego di far circolare queste informazioni il piu' possibile. Voglio farvi sapere che sono forte, e che vi ringrazio per il vostro sostegno. Shalom, Yigal'. La lettera di Yigal Bronner e' introdotta dalla citazione dei versi di Bertolt Brecht: 'Generale, il tuo carro armato e' una macchina potente,/ spiana un bosco e sfracella cento uomini./ Ma ha un difetto:/ ha bisogno di un carrista'"]. Caro generale, nella Sua lettera mi ha scritto che "data la guerra continua in Giudea, in Samaria e lungo la striscia di Gaza, e in considerazione di bisogni militari", io sono chiamato a "partecipare ad operazioni dell'esercito" in Cisgiordania. Scrivo per dirLe che non intendo obbedire alla Sua chiamata. Durante gli anni '80, Ariel Sharon impianto' decine di colonie nel cuore dei territori occupati, una strategia il cui scopo ultimo era la sottomissione del popolo palestinese e l'espropriazione delle sue terre. Oggi queste colonie controllano quasi la meta' dei territori occupati e strozzano le citta' e i villaggi palestinesi, oltre a ostacolare - se non proibire del tutto - gli spostamenti dei residenti. Sharon e' ora primo ministro, e durante quest'ultimo anno avanza verso lo stadio definitivo dell'iniziativa che avvio' venti anni fa. Infatti, Sharon ha dato l'ordine al suo lacche', il ministro della difesa, e da li' e' passato lungo la catena del comando. Il capo di stato maggiore ha annunziato che i palestinesi costituiscono una minaccia cancerogena e ha ordinato che si applichi loro una chemioterapia. Il comandante di brigata ha imposto il coprifuoco senza limiti di tempo, e il colonnello ha ordinato la distruzione dei campi palestinesi. Il comandante di divisione ha collocato dei carri armati sulle colline in mezzo alle loro case, e non ha concesso alle ambulanze di evacuare i loro feriti. Il tenente colonnello ha annunciato che i regolamenti per aprire fuoco sono stati emendati per consentire di aprire il fuoco indiscriminatamente. Il comandante del carro armato, a sua volta, ha individuato un gruppo di persone e ha ordinato al suo artigliere di lanciare un missile. Io sono quell'artigliere, sono una piccola vite in una perfetta macchina di guerra. Sono l'ultimo anello, il piu' piccolo, nella catena di comando. Dovrei semplicemente eseguire gli ordini - ridurre la mia esistenza al livello di stimolo e risposta, sentire il comando "fuoco!" e tirare il grilletto, per portare il piano generale a compimento. E dovrei fare tutto cio' con la semplicita' e la naturalezza di un robot, che - tutt'al piu' - sente il tremore del carro quando il missile viene lanciato verso il bersaglio. Ma come ha scritto Bertolt Brecht: "Generale, l'uomo fa di tutto./ Puo' volare e puo' uccidere./ Ma ha un difetto:/ puo' pensare". E davvero, generale, chiunque tu sia - colonnello, comandante di brigata, capo di stato maggiore, ministro della difesa, primo ministro, o tutti questi insieme - io so pensare. Forse non sono capace di molto altro. Confesso di non essere un soldato particolarmente dotato o coraggioso, non ho un'ottima mira, e le mie abilita' tecniche sono minimali. Non sono neanche molto atletico, e la divisa non si adatta bene al mio corpo. Ma sono capace di pensare. Vedo dove Ella mi sta portando. Comprendo che noi uccideremo, distruggeremo, ci faremo male, moriremo, e che non se ne vedra' la fine di tutto cio'. So che la "guerra continua" della quale Lei parla, andra' avanti sempre. Vedo che, se i "bisogni militari" ci inducono a porre sotto assedio, dare la caccia, ridurre alla fame un intero popolo, allora c'e' qualcosa in questi "bisogni" che e' terribilmente sbagliato. Quindi sono costretto a disobbedire alla Sua chiamata: non tirero' il grilletto. Non m'illudo, naturalmente: Lei mi scansera' come una mosca, trovera' un altro artigliere - uno piu' obbediente e capace di me. Simili soldati non mancano. Il Suo carro continuera' ad avanzare, un tafano come me non puo' fermare un carro armato, ne' una colonna di carri, ne' tantomeno un'intera marcia di follia. Ma un tafano puo' ronzare, infastidire, urtare, e a volte pungere anche. Prima o poi altri artiglieri, carristi e comandanti, osservando le uccisioni senza senso e il ciclo senza fine di violenze, cominceranno a pensare, a ronzare. Siamo gia' centinaia, e alla fine del giorno il nostro ronzio sara' diventato un ruggito assordante, un ruggito che echeggera' nelle Sue orecchie e in quelle dei Suoi figli. La nostra protesta sara' inserita nei libri di storia per le generazioni future. Quindi, generale, prima di scansarmi, forse anche Lei dovrebbe incominciare a pensare. In fede, Yigal Bronner * Vi prego di inviare lettere di protesta a favore degli obiettori a: Ministry of Defence, 37 Kaplan St., Tel-Aviv 61909, Israel; e-mail: sar at mod.gov.il o anche pniot at mod.gov.il; fax: 0097236962757, 0097236916940, 0097236917915. Un altro indirizzo utile per inviare copia delle lettere e' quello del "Military Attorney General": Brig. Gen. Menachem Finklestein, Chief Military Attorney Military, postal code 9605 IDF Israel, fax: 0097235694370. 2. RIFLESSIONE. VITO LA FATA: DANILO DOLCI EDUCATORE E COSTRUTTORE DI SOCIETA' CIVILE [Ringraziamo Vito La Fata (per contatti: vitofata at inwind.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Il siculo", anno I, n. 0, maggio-giugno 2001. Vito La Fata e' uno dei continuatori dell'opera dell'indimenticabile Danilo] Danilo Dolci e' stato una delle figure piu' importanti di quest'ultimo secolo per il suo impegno politico, sociale e culturale. Le sue battaglie nonviolente insieme ai contadini e ai pescatori siciliani, sin dagli anni '50, per ottenere acqua, fognature, strade, lavoro, scolarizzazione, sono la prova di come sia possibile valorizzare e cambiare un territorio sottraendo anche le "leve" al ricatto mafioso. Il suo impegno come educatore negli ultimi anni della sua vita, inoltre, ha contribuito alla nascita di una nuova cultura - all'insegna della complessita', dell'evoluzione, della nonviolenza - che e' necessaria per arginare le forze pericolosamente operanti in direzione opposta. "Sapere concretare l'utopia richiede, col denunciare, un annunciare capace di lottare e costruire frontiere che valorizzino ognuno" (Danilo Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996). "Danilo Dolci non e' stato solo un uomo d'azione, un 'missionario' che ha lottato, decisamente pagando di persona, a favore dell'umanita' negata a vasti settori di popolazione, nella civilta' 'moderna'. Non e' stato un uomo d'azione cui rimane estranea l'organicita' e l'acume del pensare. Egli e' piuttosto un intellettuale nuovo, che non vive a tavolino, che non si alimenta esclusivamente alla 'spremuta di libri'. In lui il pensare e il fare non si collocano fra loro in un rapporto di 'linearita'', per cui, ad es. il secondo costituisce l'applicazione del primo" (Antonino Mangano, Attualita' del pensiero e dell'opera di Danilo Dolci). Danilo Dolci e' soprattutto un costruttore di societa' civile, un uomo che ha saputo far crescere nella coscienza collettiva la voglia di cambiare, la speranza che anche in Sicilia e' possibile trovare "le leve del cambiamento" cioe' le potenzialita' per un democratico riscatto sociale. Inizieremo la nostra conversazione descrivendo il metodo che ha accompagnato tutto il pensiero e l'opera di Danilo Dolci: la maieutica. Questo metodo ha sempre contraddistinto l'esperienza di sensibilizzazione e valorizzazione delle risorse umane operata da Danilo Dolci. Esso nasce con le autoanalisi popolari (metodo sociologico utilizzato per analizzare i problemi della gente) e si evolve negli anni in vera metodologia educativa e politica: metodo strutturale maieutico. Il metodo strutturale maieutico presuppone infatti la reciprocita' della comunicazione, la discussione dei problemi dal basso per trovarne una soluzione democratica. Ma esso e' anche metodo educativo da applicare nelle scuole. La sperimentazione fatta nella scuola di Mirto, fondata dal Centro Studi e Iniziative, ha avuto appunto come uno dei suoi principali fondamenti educativi il metodo strutturale maieutico. L'approccio strutturale maieutico e' un processo educativo volontario: l'individuo, attraverso un'azione incentivante e motivante dell'educatore scopre le proprie potenzialita', matura all'interno di un situazione comunicativa dove sono valorizzati nel gruppo i rapporti diretti, reciproci, caratterizzati dalla fiducia nell'altro e attraverso il metodo della parola presa a turno. Danilo Dolci meglio di chiunque altro ha saputo proporre un metodo (appunto il metodo strutturale maieutico) capace di educare e non insegnare, comunicare e non trasmettere, dialogare e non chiacchierare. Il suo metodo s'inserisce perfettamente nel filone delle nuove esigenze educative che negli ultimi anni si affermano sempre di piu' e che cercano di dare un'alternativa ad una scuola ancorata ancora all'unidirezionalita' del messaggio formativo e all'incapacita' di gestire le diversita' individuali che un gruppo (classe, squadra) inevitabilmente presenta. "Nel dialogo maieutico, essenziale e' che il rispondere esaudisca il chiedere, talora pure con impulsi nuovi che ancora approfondiscano il cercare focalizzandolo. Quando l'interrogare piu' si amplifica da ciascuno a ciascuno, le sorgenti vitali si strutturano - crescono - piu' complesse. Non e' vero che chi domanda ignora del tutto la materia: interrogare e' anche scienza e arte. Ne' risposte piu' valide risultano le gia' attese, ma quelle che illuminano l'essenza generale dei problemi. Non persuadere importa, ma scoprire nel suscitare dell'inseminare. Non e' affatto sterile il maieuta. Della maieutica essenziale e' pure l'inseminare: co-feconda, operando sul maschio e sulla femmina, sull'anima e sul corpo. Interrogare e' anche l'introdursi in un grembo in attesa, a fecondarlo fecondandosi: nasce da ognuno una creatura nuova, che senza presunzione favorisce il crescere di ognuno. Non per caso conoscere significa, in ebraico, amplesso, accoppiamento. La memoria necessita e non basta alla poesia, incanto senza mito: nel dinamismo dell'innamorarsi l'interesse si amplia, ed il recondito inizia a palpitarci, invenzione d'amore. La parola non basta. Pure dagli occhi una carezza suscita, ascoltando. Il dialogare tende a unificare: non solo le ragioni Dall'incontro di menti differenti, nel maieutico unirsi, non a caso emerge la creativita' pulsante, frutto di fecondante combinarsi. E un noto proverbio russo afferma: solo quanto e' discusso, si comprende. Quanti secoli passeranno prima che il modo intenda come il comunicare piu' si amplia a variate verifiche, e piu' matura il vero?" (Danilo Dolci). Le parole di Danilo Dolci meglio interpretano il processo educativo del metodo strutturale maieutico. L'autore con queste parole vuole sottolineare l'importanza della comunicazione reciproca e pluridirezionale come metodo per educare e educarsi, come strumento per decidere insieme e valorizzare ciascun individuo come componente essenziale del gruppo. Ognuno, attraverso l'azione incentivante del conduttore, diviene consapevole delle proprie potenzialita', prende coscienza della propria soggettivita' come parte integrante del processo di scelta. L'apprendimento si realizza all'interno del gruppo nella sintonia dei partecipanti. Compito dell'educatore e' di creare le condizioni affinche' il gruppo maturi armonicamente e unitariamente. All'interno del gruppo ognuno ha il diritto di parlare: a turno si prende la parola e si esprime quello che si pensa. Una comunicazione democratica, quindi, dove tutti hanno diritto di parola, in un contesto di reciproca fiducia. L'approccio educativo utilizzato propone un costante lavoro di gruppo monitorato da un esperto conduttore. L'approccio strutturale maieutico prevede, infatti, un processo di crescita/apprendimento collettivo attraverso un continuo chiedere e domandarsi da parte del conduttore sulla base di argomenti precedentemente selezionati. Questo tipo di lavoro di gruppo si realizza quindi in processi di dialogo/comunicazione. Queste modalita' di interazione consentono di apprendere nel gruppo tramite l'incontro con l'altro: nel confronto comunitario l'individuo scopre la diversita' dell'agire soggettivo, impara a capire le motivazioni altrui. E' un approccio pedagogico che non si sposa con la manualistica ufficiale ma sicuramente e' caratterizzato da una positiva innovativita'. Danilo Dolci nel proporre il metodo strutturale maieutico ha tenuto conto anche di apporti teorici proposti da personalita' non certo indifferenti alla storia del pensiero contemporaneo: Gandhi, Russell, Galtung, Montessori, Piaget, e nell'ultimo periodo Habermas riproponendo "l'agire comunicativo come fondamento democratico" anche come momento essenziale in un processo di formazione-crescita. 3. ESPERIENZE. COMUNICATO DELLA DELEGAZIONE DELLE DONNE IN NERO IN KURDISTAN COME OSSERVATRICI PER LE ELEZIONI POLITICHE TURCHE DEL 3 NOVEMBRE 2002 [Ringraziamo Nadia Cervoni (per contatti: giraffan at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questo documento] Come delegazione del movimento delle Donne in Nero, in cinque siamo partite verso il Kurdistan turco rispondendo all'appello del Dehap, il nuovo partito nato dalla coalizione a tre kurda-turca ma a forte maggioranza kurda. La richiesta di delegazioni internazionali come osservatrici per le elezioni non appare certo infondata per chi come noi da tempo segue in Turchia la questione del rispetto dei diritti umani e civili. Gravi le discriminazioni nei confronti di donne e uomini kurdi, tanto da negare loro la possibilita' di esprimersi nella loro lingua, accusandoli per cio' di separatismo dallo Stato; numerose le denunce della repressione di Stato nei confronti di quanti, kurdi e turchi, vorrebbero l'affermazione di garanzie minime di democrazia. Arrivate ad Istanbul il primo novembre, il primo incontro e' con la Piattaforma delle donne che comprende numerose associazioni kurde e turche tra cui l'Associazione delle donne del Dicli (Tigri), le Madri per la pace, l'associazione femminista delle universitarie del Bosforo. C'e' una grande aspettativa per le elezioni del 3 novembre nonostante l'alto sbarramento del 10% che il Dehap deve raggiungere per entrare in Parlamento. Nelle liste del Dehap le donne candidate sono il 30%. L'incontro e' festoso e pieno di affetto, con loro avevamo gia' passato diversi giorni fitti di incontri durante il nostro viaggio a marzo di quest'anno per il Newroz da cui il libro Con la forza della nonviolenza, a cura delle Donne in Nero, dedicato all'impegno e all'agire delle donne kurde e turche. Le copie che portiamo vengono accolte con grande entusiasmo. Decidiamo insieme che una madre per la pace, Muyasser Guner, e una donna dell'associazione Dicli, ex detenuta politica, dopo il Forum sociale europeo di Firenze, rimarranno in Italia per un giro di incontri. Purtroppo alla seconda verra' poi negato il visto dal Consolato italiano nonostante l'invito ufficiale firmato da Luisa Morgantini. Il giorno dopo siamo a Dyarbakir, veniamo ricevute da Reyhan, una giovane avvocata dirigente dell'associazione per i diritti umani Ihd. Il tempo di presentarci Jusem, un giovane studente universitario che ci fara' da interprete, e su un pulmino di linea riempito pero' da persone amiche partiamo verso la sede a noi assegnata: Siirt, una cittadina ad est della Turchia a circa 250 km da Dyarbakir, dopo la zona del progetto delle dighe, che conta in tutto, compresi i numerosi villaggi, circa 120.000 abitanti. Prima di arrivare superiamo due posti di blocco, uno militare e uno delle squadre speciali antiterrorismo. Ogni volta ci vengono ritirati i passaporti, controllati e registrati su liste che poi sapremo saranno diffuse alla polizia e all'esercito, come una di noi ha poi potuto verificare il giorno delle elezioni quando e' stata identificata da un militare che le ha mostrato la lista con tutti i nostri nomi. L'indomani, 3 novembre, abbiamo conferma della ragione dell'allarme lanciato dal Dehap. Divise in tre gruppi, a cui si aggiunge quello della delegazione ufficiale degli europarlamentari tra cui Luisa Morgantini e l'europarlamentare kurda eletta in Germania, alle 5 del mattino, insieme alla candidata capolista nella zona, Aysel Tuglule, del collegio di difesa di Ocalan, e a numerosi rappresentanti del Dehap e dell'Ihd, cerchiamo di coprire il territorio che ci e' stato assegnato. I seggi nei villaggi, insediamenti minimi di 100, 150 abitanti, al di sotto di condizioni minime di vivibilita', sono quelli che presentano le maggiori difficolta'. Qui l'esercito e i guardiani di villaggio, una sorta di milizia mercenaria composta da curdi collaborazionisti, per tutta la durata della campagna elettorale (25 giorni), hanno creato un vero clima di terrore tra la popolazione con intimidazioni che vanno dalla minaccia di morte, al ricatto, alla promessa in caso di voto al Dehap, di bruciare le case. Massiccia la loro presenza il giorno del voto. In alcuni seggi abbiamo visto filmare tutti coloro che andavano a votare, in altri abbiamo raccolto le testimonianze subito fuori il seggio di persone costrette a una sorta di voto palese, in citta' abbiamo assistito al blocco dei rappresentanti dell'associazione dei diritti umani, tenuti dentro cordoni tra cui anche noi. Il Dehap, in quanto nuova formazione politica, ha potuto avere per legge propri rappresentanti di lista solo nella fase dello spoglio ma non durante il voto. Nonostante tutto cio' quando due di noi fanno il giro di numerosi seggi durante la fase dello spoglio, grazie anche ad un ottimo gioco delle parti tra noi e un'autorevole rappresentante dell'Ihd, riusciamo a farci aprire molte porte, come fossimo una delegazione ufficiale, anche nel seggio dove davanti sostavano due carri armati, per presidiare il quartiere in quanto la mattina c'erano stati "un po' di problemi". La procedura dello spoglio ci e' sembrata ovunque regolare, cosa che non possiamo affermare per quella del voto, mentre segnaliamo che dalle informazioni avute, oltre la conta nei seggi, il Dehap non ha avuto alcuna altra possibilita' di verificare la conta dei voti su tutto il territorio nazionale. Forse per il fatto che ne' nella zona, ne' in tutta la regione a maggioranza kurda, non fossero accaduti episodi cruenti, a fine giornata, prima dell'inizio delle proiezioni, gli auspici erano molto ottimisti. Per un attimo si sono dimenticate tutte le difficolta', comprese le centinaia di migliaia di schede elettorali recapitate sbagliate e per le quali per mancanza di tempo nulla si e' potuto fare, impedendo cosi' a molte e molti di votare. Palese e totale e' stato l'oscuramento da parte dei media durante la campagna elettorale nei confronti del Dehap. Con le prime proiezioni pero' l'entusiasmo iniziale e' svanito di colpo. L'obiettivo per il Dehap di raggiungere la soglia altissima del 10% e' apparso subito irraggiungibile e il risultato del 6,3% ha confermato la sconfitta a cui non ci si era voluti preparare. Un dato su cui interrogarsi, soprattutto per i curdi della Turchia, e' che il Dehap ha avuto circa un milione di voti a fronte di circa 12 milioni di donne e uomini curdi di cui ipotizziamo almeno il 70% aventi diritto al voto. Altro dato di cui tener conto e' che in ogni citta' a maggioranza curda, il partito islamico moderato Akp, il "partito della giustizia e dello sviluppo", ha avuto intorno al 18-20%. A Siirt, dove eravamo noi a fronte del 30% del Dehap, l'Akp ha avuto il 19%, e in tarda serata e' stata anche organizzata una manifestazione con corteo per festeggiare la schiacciante vittoria dell'Akp che si e' affermato come primo partito con oltre il 35% su tutto il territorio costituendo la vera novita' e al contempo l'incognita di queste elezioni. I sondaggi lo davano gia' come primo partito e per questo ci sono stati palesi tentativi di bloccarlo da parte dell'eminenza grigia costituita dall'esercito, ma certo non si era previsto che in Parlamento entrassero solo due partiti: l'Akp, al suo debutto elettorale (ma non il suo presidente gia' sindaco di Istanbul), e il Chp, il partito di Ataturk. Si potrebbe dire: dove fallisce la democrazia, vincono i regimi, soprattutto se sostenuti dal collante religioso. Eppure qualcosa non ci convince. Sappiamo che per una buona affermazione politica contano molto i finanziamenti per costruire un partito che possa essere di riferimento e per sostenere la macchina elettorale. Se a tutti, in un contesto di geopolitica mondiale, fa gioco che i kurdi in Turchia non abbiano nessuna affermazione e visibilita' politica, nonostante le 37 municipalita' che governano, la domanda che ci poniamo e' questa: a chi fa gioco l'affermazione di un partito che si richiama alla religione e che e' a favore della pena di morte in un paese quale la Turchia, in posizione strategica rispetto agli assetti di dominio e di controllo mondiale e alla ricerca disperata, per la grave crisi economica in cui versa, del consenso per poter entrare in Europa? Prima di ripartire abbiamo di nuovo incontrato le nostre amiche di Istanbul. Il gruppo turco delle universitarie del Bosforo non ha dubbi, l'Akp e' fortemente posizionato a destra e ha usato insieme ad una politica populista l'elemento religioso per ottenere maggior consenso e in questa ottica la previsione di una restrizione dei diritti delle donne non e' certo infondata. Ci saranno pochissime donne in Parlamento a cui sara' difficile rivolgersi come riferimento cosi' come ancora sono una minoranza nel movimento delle donne quelle che hanno deciso di lavorare insieme, donne turche e curde, per la liberta', il rispetto e il riconoscimento delle minoranze, il rispetto dei diritti. Per questo ci hanno chiesto di continuare a sostenerle e per questo noi continueremo ad impegnarci. Le Donne in Nero della delegazione di osservatrici: Liana Bonelli, Nadia Cervoni, Giannina Dal Bosco, Oretta Lo Faso, Teresa Quattrociocchi Roma, 8 novembre 2002 4. AFGHANISTAN. GIULIANA SGRENA: RIVOLTA STUDENTESCA A KABUL [Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 13 novembre 2002. L'autrice e' una delle maggiori esperte italiane della situazione afghana] A segnare l'anniversario della fuga dei taleban da Kabul non saranno i festeggiamenti, ma lo scoppio della prima rivolta studentesca da oltre vent'anni a questa parte e i funerali delle vittime (due o quattro, a seconda delle fonti) della repressione. Ma a finire sotto terra sono anche molte speranze suscitate dalla fine del regime dei taleban. A scatenare la protesta di centinaia di studenti, iniziata lunedi' e continuata anche ieri, sono le pessime condizioni di vita nei dormitori dove vivono i ragazzi provenienti dal sud e dall'est dell'Afghanistan, in maggioranza di etnia pashtun. Mancanza di acqua, di cibo, ore di attesa per il pasto alla fine del digiuno di Ramadan, poi salta anche la luce - l'elettricita' e' ancora un lusso a Kabul - e il dormitorio, che peraltro, come alcune facolta' universitarie, si trova nella zona sudoccidentale della citta', quella devastata dagli scontri tra le varie fazioni dei mujahidin all'inizio degli anni novanta, esplode di rabbia. Repressa dalla polizia - quella addestrata dai contingenti stranieri presenti a Kabul, anche l'Italia aveva addestrato truppe antisommossa - con idranti e con le armi. I poliziotti hanno fatto fuoco uccidendo alcuni studenti e ferendone altri. Volevano impedire ai giovani di raggiungere il centro della citta', dove si trovano i ministeri. Ieri, finalmente, una delegazione degli studenti e' stata ricevuta da rappresentanti del ministero dell'educazione. Il cibo manca, l'elettricita' anche e i prezzi sono alle stelle. I vantaggi dell'arrivo dei dollari portati o dai paesi donatori o dalle organizzazioni internazionali non vanno sicuramente a beneficio degli studenti. La presenza delle forze internazionali - militari dell'Isaf, funzionari dell'Onu e operatori delle Ong, oltre a giornalisti diminuiti dopo il boom dello scorso anno - beneficia un numero estremamente limitato di persone che percepiscono uno stipendio in dollari. L'afghano ha dovuto essere sostituito con la nuova moneta forte che ha tolto tre zeri alla vecchia: ora un dollaro equivale a 40 afghani. I soldi arrivati sono inferiori a quelli previsti, tanto che il bilancio di alcuni ministeri - come quello delle donne, manco a dirlo il primo ad essere sacrificato - sono stati tagliati, per ora la ricostruzione e' affidata soprattutto all'iniziativa privata tutta funzionale alla presenza straniera. Non esiste nessuna industria, la principale risorsa del paese continua ad essere la coltivazione del papavero: nel 2001 l'Afghanistan e' tornato ad essere il primo produttore di oppio a livello mondiale. I profughi rientrati che avevano qualche soldo l'hanno investito nel bazar, chi non ce l'aveva sta tornando indietro, in Pakistan, dove non sara' senz'altro ben accetto. In questa situazione non puo' certo sorprendere che si acuiscano i conflitti sociali e che esplodano in rivolte. Tanto piu' che questi conflitti si innestano in rivalita' etniche tutt'altro che sopite: i pashtun si sentono mal rappresentati nel governo centrale che pur essendo guidato da Hamid Karzai, della loro stessa etnia, viene ritenuto dominato dai tagiki dell'Alleanza del nord. Del resto la forte presenza americana e' riuscita ad imporre un compromesso tra i vari signori della guerra ma non a raggiungere una pacificazione. Anzi, con i bombardamenti si provocano solo ulteriori conflitti: il malcontento e l'ostilita' crescente delle popolazioni colpite, vittime degli "effetti collaterali" della guerra al terrorismo di al Qaeda. Ed e' in questo contesto che si troveranno ad agire anche i 1.000 alpini che l'Italia inviera' in Afghanistan. E mentre il grosso delle forze Usa e britanniche si sposta verso l'Iraq, la Germania e l'Olanda hanno chiesto il supporto Nato all'Isaf schierata a Kabul, come forza di peacekeeping, ma che il presidente Karzai - con qualche appoggio occidentale - vorrebbe estesa ad altre province. E mentre Karzai e' volato negli Stati Uniti per ritirare un premio per aver promosso la liberta' in Afghanistan, a Kabul la polizia spara sugli studenti e un tribunale ha confermato la condanna a morte, emessa lo scorso ottobre, contro uno dei signori della guerra piu' feroci, Abdullah Shah, mentre gli altri continuano a farsi la guerra tra di loro. L'inizio del Ramadan ha peraltro ridato vigore alle forze piu' fondamentaliste ancora al potere: la Corte suprema del governo islamico di transizione ha deciso la chiusura di tutti i cinema del paese durante il mese sacro. Mentre l'autoproclamatosi governatore di Herat ha deciso di vietare i festeggiamenti dei matrimoni nei ristoranti per evitare che le donne possano ballare con gli uomini. Un compito arduo spetta al comitato incaricato della stesura della nuova costituzione che dovrebbe conciliare la sharia con la democrazia. 5. RIFLESSIONE. ENRICO EULI: SINTESI DEL GRUPPO DI LAVORO SU "GRUPPI DI AZIONE NONVIOLENTA: QUALI PERCORSI DI FORMAZIONE" AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT SULLA NONVIOLENZA [Pubblichiamo la sintesi del gruppo di lavoro sul tema "Gruppi di azione nonviolenta: quali percorsi di formazione" svoltosi durante il seminario della Rete Lilliput sulla nonviolenza tenutosi a Ciampino il 27-29 settembre 2002. il gruppo era introdotto e coordinato da Enrico Euli (per contatti: diabeulik at libero.it), che e' uno dei piu' noti formatore alla nonviolenza e un caro amico col quale sempre feconda e' la discussione] a) Intervento introduttivo Come e perche' formare alla nonviolenza e all'azione nonviolenta? In questa sede, potrebbero apparire domande (ed emergere risposte) ovvie, scontate. Scelgo quindi di partire da quesiti, interrogazioni, dilemmi che, anche per gente come noi, possano essere stimolanti, provocatorie, disturbanti. Perche' e' cosi' difficile agire? Come (far) uscire da una passivita' senza azione? Il fatto che le persone (noi inclusi) abbiano tanta difficolta' a vivere assertivamente e' a mio parere connesso e dipendente da una vera e propria "violenza culturale" (per utilizzare il lessico di Galtung) di un diffuso discutibilemoralismo: provo ad enumerarne molto schematicamente alcuni capisaldi: 1. la cultura del lavoro: esaltato in quanto tale come valore che produce valore, come fattore nobilitante della vita; il lavoro come droga che produce astinenza e depressione quando non c'e' (per disoccupazione o pensionamento); Hannah Arendt diceva che l'agire (la "vita activa", la "politica") inizia soltanto laddove si siano oltrepassati i tempi e i modi tipici del "produrre" e dell'"operare". Mi trovo d'accordo: sino a quando il 90% delle nostre potenzialita' d'azione saranno, non a caso, incanalate nella "produzione finalizzata" sara' difficile giungere ad un'azione diretta nonviolenta diffusa (anche se facessimo migliaia di corsi di formazione). E' l'eccesso di azione a produrre inazione. E dunque: elogio dell'ozio, dell'approccio "lentius, suavius, profundius" (Langer). E' fondamentale invertire, gradualmente ma progressivamente, le proporzioni tra tempi di lavoro e tempi di vita. 2. il pregiudizio sul potere: come "acquisizione di potere su" e quindi "male" (l'autoaffermazione come "peccato"); e' proprio la scarsa concorrenza tra i "loci" di potere a determinare un'altissima competizione, l'esaltazione dei campioni, dei divi, degli eroi, il monopolio e la concentrazione di poteri); il lavoro formativo che tende all'"empowerment" cozza contro una millenaria e potente cultura della colpa verso chiunque esprima con forza le sue qualita' e potenzialita', si mostri autonomo e dotato di "carattere" e "personalita'". L'autonomia resta il reato piu' imperdonabile e l'atteggiamento piu' minaccioso per la cultura dominante e per questo ordine sociale. 3. l'obbedienza e la delega ne sono invece garanzia; da qui il centralismo, la politica come professione, sino al culto della personalita', del capo, e, in ambito formativo-educativo, del Maestro. Chiunque non obbedisca diviene immediatamente un nemico ed un traditore, soprattutto se agisce in contrasto con ordini sottesi, impliciti (tipici della violenza strutturale e culturale). All'interno di queste tradizioni, la leadership non puo' che essere accentrata, ed il richiamo alla partecipazione attiva (che, ovviamente, non arriva) finisce per rivelarsi inutile e, a mio parere, ipocrita. Tutti conosciamo la falsa sorpresa che coglie il relatore quando, dopo un suo intervento-fiume, nessuno vuole intervenire nel dibattito. Ma c'e' una seconda dimensione su cui mi interessa riflettere: come (far) uscire da un'attivita' senza passione? E' necessario formarsi per superare la violenza culturale del ritualismo: 1. estetico: la violenza e la distruzione sono attualmente fonti e richiami inesausti di attrazione; quando agisce (come e' accaduto a Genova) il triangolo necrofilo (militari-militanti-massmedia) le possibilita' d'azione bella e nonviolenta si riducono esponenzialmente sino ad annullarsi. Eppure la bellezza e la politica non possono che andare insieme se vogliamo che le persone siano attratte dall'agire e motivate a farlo in connessione ad un senso e ad una passione (in fondo e' questo a dare la spinta, molto piu' che le strategie pianificate ed i successi...). Su questa dimensione vedi: Politiche della bellezza di J. Hillman. 2. etico-cognitivo: la precedenza e la predominanza della teoria sulla prassi, la violenza dell'istruzione, l'impotenza depressiva derivante da un eccesso di informazioni e di conoscenze (relativismo assoluto, continua negoziabilita') provocano inazione, rinvio: perche' "coloro che ricercano la verita' sono troppo consapevoli del labirinto per essere implacabili" (E. M. Forster). Ma, come ricorda Levinas, "e' li', con il volto, che ha inizio l'etica. L'origine dell'etica e' il volto dell'altro, con la sua richiesta di risposta. Solo di fronte ad un volto siamo e diventiamo responsabili, cioe' abili a dare una risposta. Il volto pretende riconoscimento, bisogna guardarlo, incontrarlo. Il volto si offre, si dona, mi chiama fuori da me stesso. "L'altro diventa il mio prossimo precisamente attraverso il modo in cui la sua faccia mi chiama... Prima di qualsiasi espressione particolare e al di sotto di tutte le espressioni particolari... c'e' la nudita' e la miseria dell'espressione in se', cioe' l'inermita', l'impotenza, la vulnerabilita' assolute, una misteriosa derelizione..." Il modo in cui trattiamo il nostro volto ha conseguenze sulla societa'. Se non mostra piu' la sua vulnerabilita' assoluta, allora l'esigenza di sincerita', la responsabilita', la richiesta di risposte, sulle quali poggia la coesione sociale, perdono la loro sorgente originaria... (citato da Hillman, in La forza del carattere. La vita che dura, Adelphi 2000, pp. 202-213). Ecco perche' per me formare alla nonviolenza cerca di non essere mai un'azione ideologica ed ideologizzante, ma un esperimento "in corpore vivo", un training continuo e senza soste nel gioco della vita e delle relazioni. Ecco perche' per me oggi formare ad un'azione diretta nonviolenta (diretta-non delegata; coerente ai fini, non strumentale; spiazzante-ludica; bella, non necrofila, mix di piacere e dolore - appassionante; intelligente-immaginativa; propositiva) significa formare alla nonviolenza di fatto. E credo che solo su queste basi il dialogo con i non-nonviolenti possa essere possibile, cosi' come la stessa espansione dell'azione diretta nonviolenta nelle aree attualmente a-violente, non-violente (molti lillipuziani inclusi) o inattive, possa essere piu' facile. E forse cosi' si riuscira' a superare finalmente quel terribile e sfiancante ritualismo 3. politico: la ripetitivita' e la noia delle forme di espressione politica pubblica (i comizi, i cortei, la novita' (?) dei girotondi, gli stessi - ormai consunti forse - sit-in e blocchi nonviolenti...). Tutto questo ripetersi e stanco procedere di riti sociali, che nessuno piu' riconosce come sensati, neppure quelli che vi prendono parte, figuriamoci chi guarda. Questo modo d'agire che non ha nulla di ludico, di creativo, di spiazzante, di veramente espressivo, come potra' mai generare un desiderio d'agire, di esserci, di avvicinarsi? Vedo l'urgenza e la possibilita' di innovazione (anche in ambito formativo: perche' non pensare ad un corso di ideazione e creazione di nuova espressivita' politica pubblica?). Gia' oggi e' lecito aspettarsi qualcosa soprattutto dai giovani e dalle donne ed e' importante valorizzare quel che gia' e' emerso. * b) Sintesi finale del lavoro di gruppo e proposte operative L'attività formativa e' considerata da tutti importante, necessaria e decisiva. La Rete deve investire su di essa sempre piu' risorse ed attenzione. Quella indirizzata alla formazione dei Gruppi di azione nonviolenta (in sigla: Gan) dovra' essere il piu' possibile: 1. aperta a tutti coloro (lillipuziani e non) che vogliano far parte dei Gan stessi e che quindi siano orientati ad una form/azione nonviolenta caratterizzata in un senso specifico, non generico; 2. stante la libertà e l'autonomia di ciascun Gan, il piu' possibile omogenea e comparabile su scala nazionale: il gruppo invita quindi tutti i lillipuziani ad avvicinarsi all'azione nonviolenta attraverso una conoscenza di base: - di alcuni passaggi storici del patrimonio teorico-pratico nonviolento; - di alcune metodologie di training (facilitazione, metodo del consenso, dinamiche di gruppo, gestione dei conflitti, organizzazione delle campagne...). Queste parti di lavoro potrebbero essere indirizzate a tutti i lillipuziani e a tutti i nodi disponibili, indipendentemente dal fatto che vogliano o meno far parte di un Gan, in modo tale che permanga una connessione ed una ricerca comune fra tutti i lillipuziani. Per chi volesse procedere alla costituzione di un Gan ed organizzare quindi azioni nonviolente si dovrebbero avviare dei momenti formativi centrati su questo obiettivo, in termini sempre più specifici; 3. sperimentale ed esperienziale, orientata in concreto all'azione: una base teorica e formativa iniziale, minima e adeguata a compiere azioni semplici, in cui le persone si mettano in gioco gradualmente ma di fatto, valutando e riflettendo in attivita' formative successive proprio a partire da quel che è accaduto. 4. continua, non emergenziale ed estemporanea: l'addestramento specifico e tecnico all'azione dovra' essere il piu' possibile legato ad un percorso-processo integrato, complesso, tipico di una ricerca personale e di gruppo rigorosa e approfondita. Le modalita' piu' adatte per realizzare questi obiettivi potrebbero essere: - che le persone, in particolare del nodo, si avvicinino alla scelta di fare un Gan non tanto attraverso riunioni o decisioni "politiche", ma secondo modalita' di incontro formativo che favoriscano gia' dall'inizio l'ascolto delle idee, degli stati d'animo, delle prospettive che portano le persone a sentirsi motivate o meno rispetto alla formazione dei Gan o, ancor prima, alla partecipazione in un'azione diretta nonviolenta; - che si parta il piu' possibile dalle competenze e dalle esperienze locali gia' presenti, chiamando formatori esterni soltanto quando esse non siano reperibili in loco o quando si ritenga utile uno "sguardo altro", magari a percorso gia' avviato; a questo proposito si ricordano a tutti/e due cose: che esiste gia' una banca-dati di formatori disponibili (link: www.peacelink.it/amici/glt) e che a giorni uscira' il libro Guida all'azione diretta nonviolenta, curato da Enrico Euli e Marco Forlani e alla cui stesura hanno partecipato vari lillipuziani, edito dalla Berti di Milano, per la modica cifra di 7 euro. Li' e' possibile trovare, tra l'altro, anche un kit per l'azione, che puo' essere una buona base per introdursi al tema. Il gruppo propone comunque di valutare la possibilita' di predisporre dei kit formativi utilizzabili localmente in modo autogestito. - che si sviluppi e si strutturi ulteriormente, dopo l'esperienza già avviata a Pruno di Stazzema quest'estate per 20 nuovi "formatori in erba", un processo nazionale organizzato per la "formazione di formatori". E' urgente quindi che i formatori gia' attivi (quelli, per intenderci, gia' inclusi nella lista della rete dei formatori alla nonviolenza) proseguano in un'azione di coordinazione e di lavoro di rete per concretizzare questo obiettivo fondamentale ed urgente; - che si inizi a realizzare uno scambio informativo e formativo tra i Gan esistenti e quelli in divenire, attraverso l'utilizzo della lista di discussione del gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza o di una nuova specifica dei Gan, in modo tale che le esperienze di tutti siano conosciute ed utilizzate in rete; - che l'attivita' formativa sia connessa alle scelte strategiche e politiche della Rete e dei Gan, e che quindi vada a dimensionarsi in scala a seconda degli sviluppi che queste scelte determineranno: si pensa infatti che sia diverso fare formazione in vista di azioni locali singole rispetto a situazioni in cui i Gan decidessero di svolgere (come alcuni hanno auspicato) azioni coordinate simultanee in vari luoghi o un'azione unica ed unitaria in un luogo definito e significativo. 6. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA SULLA TEOLOGIA FEMMINISTA [La seguente bibliografia abbiamo estratto dal sito delle comunita' cristiane di base italiane (per contatti: sito: www.cdbitalia.it; e-mail: crisbase at tin.it), che la presenta come "sintesi delle indicazioni bibliografiche dai vari incontri nazionali delle donne delle comunita' di base"] - AA. VV., La Bibbia delle donne, 3 voll., Claudiana, Torino 1996-1999; - AA. VV., Le Figlie di Abramo. Donne, sessualita' e religione (Percorsi dell'identita' femminile nel Novecento), Guerini e Associati, Milano 1998; - AA. VV., Maschio e femmina li creo'. L'immagine femminile nelle religioni e nelle scritture, Il segno dei Gabrielli, Udine 1998; - AA. VV., Riletture bibliche al femminile, Claudiana, Torino 1994; - Balsamo Gian, Rachele accucciata sugli dei. Il fallo e la legge. Biblioteca del Vascello, 1995; - Beretta Gemma, Ipazia d'Alessandria, Editori Riuniti, Roma 1993; - Bolen Jean S., Le dee contro le donne, Astrolabio, Roma; - Braekeman Lyn, La serpentessa che voleva farsi amare. Piccole storie irriverenti di spiritualita' al femminile, Piemme, Casale Monferrato; - Buehrig Marga, Donne invisibili e Dio patriarcale. Introduzione alla teologia femminista, Claudiana, Torino 1989; - Ceresa Ivana (a cura di): Donne e divino, Scuola di cultura contemporanea, 1992; - Cifatte Caterina, Dalla parte di Gezabele e delle donne trasgressive della Bibbia, "Tempi di fraternita'", n. 8/2001; Vivere il divino in spirito e verita', "Tempi di fraternita'", n.9/2001; - Currot Phillis, Il sentiero della Dea, Sonzogno; - Dahr Lambert Jean, Il cerchio sacro, Frassinelli, 1997; - Dalto Francoise, La liberta' d'amare, Rizzoli, Milano; - Dalto Francoise, Psicoanalisi del Vangelo, Rizzoli, Milano; - Daly Mary, Al di la' di Dio Padre, Editori Riuniti, Roma 1990; - De Boer Esther, Maria Maddalena. Oltre il mito alla ricerca della sua identita', Claudiana, Torino 2000; - Diotima (a cura di), La sapienza del partire da se', Liguori; - Drewermann Eugen, Il messaggio delle donne. Il sapere dell'amore, Queriniana, Brescia 1997; - Eisler Riane, Il piacere e' sacro, Frassinelli, 1996; - Garutti Bellenzier Maria Teresa, Orme invisibili. Donne cattoliche tra passato e futuro, Ancora, Milano 2000; - Gebara Ivone, Noi figlie di Eva. Potere e non potere delle donne, La Cittadella, Assisi 1995; - Gibellini Rosino, Hunt Mary E. (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, Brescia 1985; - Gimbutas Marija, Il linguaggio della Dea, Longanesi, 1990; - Green Elizabeth, Dal silenzio alla parola. Storia di donne nella Bibbia, Claudiana, Torino 1995; - Green Elizabeth, Perche' la donna pastore. Il volto femminile del ministero nelle chiese, Claudiana, Torino 1996; - Green Elizabeth, Teologia femminista, Claudiana, Torino 1998; - Green Elizabeth, Lacrime amare. Cristianesimo e violenza contro le donne, Claudiana, Torino 2000; - Hopkins Julie M., Verso una cristologia femminista, Queriniana, Brescia 1996; - Hunt Mary E., Gibellini Rosino (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, Brescia 1985; - Irigaray Luce, Sessi e genealogie, La tartaruga, Milano 1989; - Irigaray Luce (a cura di), Il respiro delle donne. Luce Irigaray presenta il credo al femminile, Il Saggiatore, Milano 1997; - Jacobelli Maria Caterina, Il risus paschalis. Il fondamento teologico del piacere sessuale, Queriniana, Brescia 1991; - Johnson Elizabeth A., Colei che e'. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999; - Leloup Jean Yves, Il vangelo di Maria, Myriam di Magdala, Servitium; - Lupi Doranna, Leggendo la prima lettera ai Corinti, "Viottoli", n. 7/2001; - Mazzinelli Tolmino, Introduzione al pensiero di frate Tissa Balassurya. Riflessioni sul libro "Mary and human liberation", Quaderni di "Viottoli", n. 4/2001; - Mc Fague Sallie, Modelli di Dio. Teologia per un'era nucleare ecologica, Claudiana, Torino; - Militello Cettina, Donna in questione. Un itinerario ecclesiale di ricerca, La Cittadella, Assisi 1992; - Militello Cettina, Il volto femminile della storia, Piemme, Casale Monferrato, 1995; - Moltmann Wendel Elizabeth, Le donne che Gesu' incontro', Queriniana, Brescia 1993; - Moltmann Wendel Elizabeth, Liberta', uguaglianza, sororita'. Per l'emancipazione della donna, Queriniana, Brescia 1979; - Moltmann Wendel Elizabeth, Il mio corpo sono io. Nuove vie verso la corporeita', Queriniana, Brescia 1996; - Monaghan Patricia, Le donne nei miti e nelle leggende. Dizionario delle dee e delle eroine, Red 1987; - Mulack Christa, Maria vergine ribelle. La dea nascosta del cristianesimo, Red 1996; - Muraro Luisa, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1993; - Muraro Luisa, La non ordinazione delle donne e la politica del potere, in "Concilium", Queriniana, Brescia 1999, a. XXXV, n. 3; - Noble Vicky, Il risveglio della dea, Tea, Milano; - Pagels Elaine, I vangeli gnostici, Mondadori, Milano 1987; - Percovich Luciana, Immagini del sacro femminile: Mitologie del divino (1999); Storie di creazione (2000), Associazione per una libera universita' delle donne; - Radford Ruether Rosemary, Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la guarigione della terra, Queriniana, Brescia 1995; - Radford Ruether Rosemary, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura, Queriniana, Brescia; - Ranke Hindemann Uta, Cosi' non sia. Introduzione al dubbio di fede, Rizzoli, Milano 1993; - Ranke Hindemann Uta, Eunuchi per il regno dei cieli. La chiesa cattolica e la sessualita', Rizzoli, Milano 1995; - RIcci Carla, Maria di Magdala e le altre. Donne sul cammino di Gesu', D'Auria, Napoli 1991; - Riggi Pignata Ausilia, Da donna a donne. Un messaggio femminile attraverso i confini del sacro nella Chiesa, Gabrielli Editori, S. Pietro in Cariano 2000; - Rodriguez Pepe, Dio e' nato donna, Editori Riuniti, Roma 2000; - Rodriguez Pepe, Marie, Claudiana, Torino 1994; - Russel Letty, Teologia femminista, Queriniana, Brescia 1988; - Schlusser Fiorenza Elizabeth, In memoria di Lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990; - Schlusser Fiorenza Elizabeth, Gesu' figlio di Miriam, profeta della Sofia. Questioni critiche di cristologia femminile, Claudiana, Torino 1996; - Le Scritture Sacre delle donne, in "Concilium", Queriniana, Brescia 1998, a. XXXIV, n. 3; - Sebastiani Lilia, Donne dei Vangeli, Tratti personali e teologici, Paoline, Milano 1994; - Sebastiani Lilia, Trasfigurazione. Il personaggio evangelico di Maria di Magdala e il mito della peccatrice redenta nella tradizione occidentale, Queriniana, Brescia 1992; - Silvestre M. L., Valerio A., Donne in viaggio, Laterza, Bari; - Solle Dorothee, Per lavorare e amare. Una teologia della creazione, Claudiana, Torino 1990; - Solle Dorothee, Teologhe femministe nei diversi contesti, in "Concilium", Queriniana, Brescia,1998, a. XXXIV, n. 3; - Valerio Adriana, Cristianesimo al femminile. Donne protagoniste nella storia della Chiesa, D'Auria, Napoli 1991; - Valerio Adriana, Maria Celeste Costarosa - Lettere, San Gerardo Mater Domini, Avellino; - Van Lunen-Chenu Marie Therese, Gibellini Rosino, Donna e teologia, Editoriale di Adriana Valerio, Queriniana, Brescia 1988; - Veroli Luisella, Prima di Eva, Melusine, 2000; - Voss Jutta, La luna nera. Il potere della donna e la simbologia del ciclo femminile, Red 1996; - Walter Karin, Bartolomei M. Cristina (a cura di), Donne alla riscoperta della Bibbia, Queriniana, Brescia 1988; - Wolf Hanna, Gesu', la maschilita' esemplare. La figura di Gesu' secondo la psicologia del profondo, Queriniana, Brescia. * Fascicoli monografici di riviste: - "Concilium", n. 6/1985: Donne - invisibili nella teologia e nella chiesa; - "Concilium", n. 5/1987: Donne, lavoro e poverta'; - "Concilium", n. 6/1989: Maternita': espeirenza, istituzione, teologia; - "Concilium",n. 6/1991: La donna ha una natura speciale? - "Concilium", n. 1/1996: Teologie femministe nei diversi contesti; - "Concilium", n. 3/1998: Le scritture sacre delle donne; - "Concilium", n. 4/2000: Il lato luminoso della fede; - "Concilium", n. 5/2000: Nel potere della sapienza: spiritualita' femministe di lotta; - "Confronti", suppl. n. 4/1990: Le donne e il sacro; - "Via Dogana", n. 48, febbraio 2000: Lontanovicino. Il Dio delle donne. 7. RILETTURE. ETTY HILLESUM: DIARIO 1941-1943 Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, pp. 268, lire 15.000. Una lettura fondamentale. 8. RILETTURE. ETTY HILLESUM: LETTERE 1942-1943 Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, pp. 158, euro 6,20. Una lettura fondamentale. 9. RILETTURE. AA. VV.: LA RESISTENZA ESISTENZIALE DI ETTY HILLESUM AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fasciclo monografico di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, pp. 84, lire 10.000. Una bella raccolta di interventi, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza di Parma. 10. RILETTURE. PASCAL DREYER: ETTY HILLESUM Pascal Dreyer, Etty Hillesum, Edizioni Lavoro, Roma 2000, pp. 184, lire 20.000. Una acuta monografia. 11. RILETTURE. SYLVIE GERMAIN: ETTY HILLESUM Sylvie Germain, Etty Hillesum, Edizioni Lavoro - Editrice Esperienze, Roma - Fossano (Cn) 2000, pp. 264, euro 11,87. Una fine monografia. 12. RILETTURE. MARIA PIA MAZZIOTTI, GERRIT VAN OORD (A CURA DI): ETTY HILLESUM. DIARIO 1941-1943. UN MONDO "ALTRO" E' POSSIBILE Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2002, pp. 64, euro 3,50. Molti e vari materiali di grande interesse. 13. RILETTURE. NADIA NERI: UN'ESTREMA COMPASSIONE Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 176, euro 9,30. Una appassionante monografia della piu' profonda studiosa italiana di Etty Hillesum. 14. LE RAMPOGNE DI BRONTOLO: CONTRO LA TINTURA DEI CAPELLI "Ah, che tristezza esser quelli che siamo, gli antichi archivisti fin dai tempi di Adamo" (Ireneo Funes, Opera omnia, Suppl. I, 1890) Lotto primo Non facciamo credere ai piu' giovani che il mondo sia cominciato ieri. Non facciamo credere loro che certe banalizzazioni e confusioni e irresponsabilita' e manicheismi d'accatto siano la scoperta delle scoperte; diciamoglielo che nei secoli scorsi tradizioni grandi hanno pensato e proposto idee e vie di liberta' e di dignita' ancora da percorrere. Invitiamoli a studiare e discutere, invece che a ripetere slogan irosi o sbertuccianti e marciare a passi lunghi e ben distesi. * Lotto secondo E non si ripeta l'errore di qualche decennio fa: diciamolo chiaro e forte e sempre che la violenza e' il nemico nostro e dell'umanita' intera. E che si puo' essere contro la guerra solo se si e' costruttori di pace. E che una e una soltanto e' la scelta oggi preliminarmente necessaria per la lotta che vuole affermare la dignita' umana di tutti gli esseri umani passati, presenti e venturi; una e una soltanto e' la scelta oggi preliminarmente necessaria per la lotta che vuole affermare la difesa dell'ambiente che e' casa comune di tutti; una e una soltanto e' la scelta oggi preliminarmente necessaria per uscire dal sistema dello sfruttamento, dell'inquinamento e della guerra che minaccia l'umanita' e il mondo. Questa scelta ha un nome: nonviolenza. Che si puo' dire altresi': nonmenzogna; o anche: principio responsabilita'. Se non si fa la scelta della nonviolenza, allora non si fa la scelta della lotta piu' limpida ed intransigente contro tutte le violenze, e dunque si resta nella zona grigia, e dunque si resta effettuali complici dell'effettuale oppressione e dell'annichilimento che l'umanita' intera gia' strozza e minaccia. * Lotto ultimo e fine dell'incanto E facciamola finita con la retorica giovanilista; che andava tanto di moda negli anni venti, quando si cantava giovinezza a squarciagola, e chi cosi' cantava poi le gole le squarciava davvero. Capisco che ci sia chi preferisca non ricordare il suo proprio passato di qualche decennio o solo qualche anno fa, quando faceva l'elogio del manganello e della spranga o dell'assassinio (pensando nella sua criminale follia d'allora che aggiungendo l'aggettivo "politico" quell'omicidio cessava di essere tale), o deliberava la guerra, o organizzava i pestaggi in piazza o in birreria. E capisco che ci sia chi preferisca non volger lo sguardo alla propria passata ignavia, o alle carriere fatte, o alle prebende e ai privilegi ricevuti. Capisco, ho una certa eta', ne ho viste tante. Capisco ma non giustifico; non giustifico ma capisco. Ma sarebbe buona creanza non travestirsi da pischelli quando si e' anzicheno' attempati quanto noi, e di barbe e capelli meglio sarebbe non occultare con untuose passate di tintura lo sbiadire e incanutire - e come le foglie l'abbandonarci. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 416 del 15 novembre 2002
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