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La nonviolenza e' in cammino. 415
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 415
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 13 Nov 2002 20:32:03 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 415 del 14 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Angelo Cavagna, al quindicesimo giorno di digiuno per una finanziaria di pace... 2. Benito D'Ippolito, sette commenti a Vinoba nel XX anniversario della scomparsa 3. Gruppo migranti del Lecce social forum: una riflessione ed alcune proposte 4. Nella Ginatempo, il nuovo movimento dei movimenti per la pace 5. Anna Fazi, non c'e' bisogno di un nemico per esistere 6. Laura Colombo e Sara Gandini: presentazione della Libreria delle donne di Milano 7. In uscita "Il diritto non cade in prescrizione" di Daniela Binello 8. Riletture: Marie-Magdeleine Davy, Simone Weil 9. Riletture: Julia Kristeva, Sole nero 10. L'abbedecario ingenuo di Tricotillo Smaniconi: vincolo 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. ANGELO CAVAGNA: AL QUINDICESIMO GIORNO DI DIGIUNO PER UNA FINANZIARIA DI PACE... [Dagli amici del Gavci e da padre Angelo Cavagna (per contatti: e-mail: gavci at iperbole.bologna.it; sito: www.peacelink.it/users/gavci) riceviamo e diffondiamo questo comunicato dell'11 novembre. A padre Angelo Cavagna, straordinario costruttore di pace, va tutto il nostro affetto e sostegno; invitiamo tutti i nostri lettori a contattarlo] Quindicesimo giorno di digiuno per il sottoscritto. Al controllo medico di stamane sono risultati valori fisici normali. Quindi: avanti ancora! Oltre ad Andrea Mazzi (tutti i venerdi), si aggiungono nel digiuno per una Finanziaria di Pace anche Lorena Vandelli di Bologna, iniziando da domani, per alcuni giorni, Silvano tartarini (Caschi Bianchi) da Lucca, da oggi tutti i lunedi e padre Silvio Turazzi, un grande missionario saveriano in Congo-Kinshasa, disabile in carrozzella da circa venti anni, nei giorni mercoledi 13 e venerdi 15 novembre. Le motivazioni del digiuno si rivelano di giorno in giorno piu' che mai fondate. I soldi per la cooperazione Internazionale sono ridotti al minimo; e' la Focsiv (Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario) che lo afferma. I soldi per il servizio civile internazionale di pace degli obiettori (Caschi Bianchi) sono pochi o nulla. I soldi del misero rimborso spese per "vitto e alloggio" degli obiettori sono in ritardo di mezzo anno. Quasi non bastasse, le pressioni che giungono al nostro governo da Europa e Fondo Monetario Internazionale (FMI) chiedono tagli alle pensioni ecc. ecc. Intanto viene confermato l'aumento della spesa militare nel 2003 rispetto al 2002 del 3,1% in termini monetari, +1,4% in termini reali, ma che dovrebbe salire quasi del 50% entro il 2006, come scritto nel Dpef del governo. Insomma, non si vuol capire cio' che la povera gente ha capito da tempo: "Batter le noci, spazzar la neve, ammazzar la gente: tutti lavori fatti per niente". Rivolgiamo un appello urgente ai parlamentari: tagliate le spese militari. padre Angelo Cavagna 2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: SETTE COMMENTI A VINOBA NEL XX ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA [Presso il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo si terra' il 15 novembre una commemorazione di Vinoba, una delle figure piu' fulgide della nonviolenza. Per l'occasione uno dei collaboratori della struttura pacifista viterbese, Benito D'Ippolito, ha scritto in omaggio alla grande personalita' nonviolenta il testo che di seguito si riporta. Vinayak Bhave, detto Vinoba, 1895-1982, discepolo e collaboratore di Gandhi, ne prosegui' l'impegno. Promosse grandi campagne nonviolente, la "Societa' per l'elevazione di tutti" (Sarvodaya Samaj), il movimento per il dono della terra ai contadini. Opere di Vinoba: Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991. Opere su Vinoba: Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella, Assisi 1974; Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980. In rete: www.mkgandhi-sarvodaya.org/vinoba] "Vinoba e' un fuoco che brucia e una lampada accesa" (Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980, p. 212) I. Disse Vinoba: "Quando parla un re si muovono gli eserciti. Quando parla un fakir si muove soltanto la sua barba" (in Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella, Assisi 1974, p. 267). Felice colui la cui parola solo muove una barba, felice colui la cui parola e' solo balsamo ed agli eserciti tutti si oppone. * II. Disse Vinoba: "In democrazia la pistola e' stata sostituita dal voto" (in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 163). Lo sciopero e il voto, diceva il priore di Barbiana; e per stringere ancora: l'esempio, e null'altro. * III. Disse Vinoba: "si deve agire: 1) civilmente, cioe' entro i limiti che ci si e' posti; 2) in una forma ordinata, non ammettendo alcuna infrazione di disciplina da alcuna parte; 3) apertamente, cioe' senza nascondere nulla e senza alcuna simulazione o inganno; 4) con fermezza, presentando le proprie richieste minime in relazione alla questione controversa e non cedendo finche' non sono state soddisfatte. Qualunque punizione venga inferta per una tale infrazione all'ordinamento giuridico dovrebbe venire subita con animo lieto e senza alcun sentimento di odio. Una formazione di questo tipo dovrebbe entrare nel cuore della gente e a questo fine dovrebbe trovare un posto stabile nella pedagogia e nei codici etici della nazione" (in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 115; ed anche in Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980, p. 218). La scienza dell'attaccamento alla verita' (ma anche: del contatto con l'essere, dell'adesione al buono che e' vero, la forza dell'amore) questo richiede, e non altro: responsabilita' il rispondere al volto muto e sofferente dell'altro, il rispondere della sofferenza altrui, che diviene la tua: il sentire che tutti siamo uno (che una e' la carne, diceva Danilo). * IV. Disse Vinoba: "Sto cercando di camminare sulle orme del Budda e di Cristo. Voglio soltanto che il fiume di compassione - oggi asciutto - torni a scorrere" (in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 222). Lo appresi da Sancho, ed ero ancora giovane: la misericordia e' quella giustizia che invera la giustizia ed oltre la giustizia apre una via e lungo questa via si puo' salvare il mondo. * V. Disse Vinoba: "Che cosa e' il satyagraha? Senza rimanere scossi da piacere e dolore cerchiamo di portare alla luce cio' che vi e' di buono nell'avversario. Questo e' il senso di cercare il buono in ogni essere umano, questa e' la base del satyagraha. Tutti i programmi di dono sono basati su questa fede. L'intero programma del sarvodaya (elevazione di tutti) e' basato sul vedere il buono in ogni essere umano (Vinoba, Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 36). In ogni essere umano la favilla ancora arde dell'umanita' la nostra lotta e' questo riscattare l'umanita' di tutti, ed in ognuno. * VI. Disse Vinoba: "Gandhiji ha spiegato la differenza tra 'resistenza passiva' e satyagraha nei termini seguenti: 1) l'amore non ha posto nella resistenza passiva. La malevolenza non ha posto nel satyagraha. 2) La resistenza passiva sovente precede la resistenza armata. Il satyagraha preclude la resistenza armata. 3) Non si puo' opporre resistenza passiva ai propri amici e parenti. Si puo' rivolgere il satyagraha anche verso chi si ama. 4) L'idea soggiacente alla resistenza passiva e' di preoccupare e mettere in imbarazzo l'avversario. Il satyagraha preclude idee di questo genere" (Vinoba, Gandhi. La via del maestro, cit., pp. 60-61) La nonviolenza e' attiva e' lotta e contemplazione a un tempo e' riconoscimento e suscitamento del conflitto, e via a piu' alte e fraterne e sororali contraddizioni, a piu' profondi sororali e fraterni incontri. * VII. Disse Vinoba: "Se verro' a sapere che un uomo ha dato cedendo alla minaccia o a qualche altra costrizione, gli rendero' subito cio' che e' suo" (in Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, cit., p. 102). Il dono vince la violenza la generosita' sconfigge la paura. Lo vedi da te, la nostra lotta convincere vuole, che e' vincere insieme. 3. DOCUMENTI. GRUPPO MIGRANTI DEL LECCE SOCIAL FORUM: UNA RIFLESSIONE ED ALCUNE PROPOSTE [Riceviamo (da Luisa Rizzo, per contatti: lu-sa at mail.clio.it) e volenteri diffondiamo questo utilissimo documento diffuso il 12 novembre 2002 in vista dell'incontro il 13 novembre a Lecce dei rappresentanti di tredici paesi dell'area del Mediterraneo] Il fenomeno migratorio in Italia, come in tutti i Paesi a sviluppo avanzato e', ormai, un fenomeno strutturale destinato a rimanere tale fino a quando rimarra' invariata l'attuale distribuzione delle risorse che vede il 23% della popolazione mondiale consumare l'80% delle risorse disponibili, mentre il restante 77% deve accontentarsi del 20%. Tale modello mette nel conto che ogni settimana muoia, nel cosiddetto Terzo mondo, tanta gente quanta ne mori' con le bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki. Secondo attendibili stime fatte dal Segretariato delle Nazioni Unite, il moderno fenomeno migratorio interessa un miliardo circa di persone, e sono oltre 18 milioni coloro che quotidianamente partecipano a questo evento. A queste stime bisogna poi aggiungere le consistenti quote di popolazioni ancora nomadi o seminomadi, per le quali migrare rientra nel consueto modo di esistere. Migrare, percio', oggi come ieri, non e' un fatto eccezionale - come il senso comune ci spinge a credere - ma una condizione normale dell'esistenza degli esseri umani. E' tale condizione che nel corso dei secoli ha sedimentato civilta', popoli e culture, creando, nel contempo, grandi sconvolgimenti irreversibili, tanto nelle zone di partenza che in quelle d'arrivo: ogni cultura, ogni popolo sono frutto delle grandi migrazioni. * In Italia, il fenomeno migratorio ha acceso, negli ultimi anni, animati dibattiti che quasi sempre, pero', hanno focalizzato l'attenzione sulla dimensione quantitativa del fenomeno, sulla sua presunta eccezionalita' e sulla ossessione mediatica della clandestinita'. Gli esiti di questo approccio - che di fatto ha condizionato il "comune pensare" e indirizzato il "comune agire" - sono stati la costruzione della "sindrome da invasione e da accerchiamento", la canalizzazione di tutte le risorse economiche per la gestione delle diverse "emergenze" (clandestinita', criminalita', prostituzione, ecc.) e la criminalizzazione dell'immigrato, "tollerato" solo se funzionale ai bisogni dell'economia nazionale. A questo immaginario si contrappone il fenomeno reale che demolisce tutte le pseudo argomentazioni allarmistiche e pancriminologiche. I recenti dati del Ministero dell'Interno, resi noti dal rapporto Caritas 2002, svelano un ridimensionamento numerico degli immigrati. I soggiornanti stranieri, che erano risultati 1.388.153 alla fine del 2000, sono scesi a 1.362.630 al 31 dicembre 2001. Tenendo conto della presenza dei minori e dei ricongiungimenti familiari si puo' ipotizzare una presenza straniera regolare di circa 1.600.000 persone, pari al 2,8% della popolazione. Uno straniero ogni 38 residenti: e' questa l'invasione? Relativamente alla tipologia dei permessi di soggiorno, inoltre, i dati ufficiali indicano una immigrazione stabile, presente nel 59% per lavoro, nel 29% per motivi familiari e nel 7% per altri motivi anch'essi stabili o comunque di una certa durata (adozione, motivi religiosi, residenza elettiva): nel complesso si tratta del 95% del totale e cio', senza alcun margine di dubbio, porta a leggere l'immigrazione come una dimensione strutturale della nostra societa' che esige correlative politiche di inclusione e di estensione della cittadinanza sociale. In particolare, gli immigrati soggiornanti per motivi di lavoro sono 800.680 e il tasso di disoccupazione e' pari al 7,5%: quest'ultimo dato non solo e' molto contenuto ma certamente e' anche sovrastimato, se si considera il consistente numero di persone che lavora senza copertura contributiva tanto nel settore domestico, quanto nel settore delle imprese. * Vale la pena ricordare che gli immigrati regolari di oggi sono stati i "clandestini" di ieri poiche' e' risaputo che l'irregolarita' e' una costante di tutte le migrazioni ed e' fortemente dipendente dal carattere piu' o meno aperto delle normative che disciplinano i flussi migratori. Il modo con cui si affronta questo aspetto della migrazione e' un imprescindibile indicatore della capacita' delle politiche migratorie di tutelare i diritti fondamentali dei migranti rifiutando la logica del proibizionismo per la quale vietare equivale ad impedire. Questa appare essere, invece, la logica ispiratrice delle attuali politiche migratorie degli stati europei, che propongono una gestione dell'immigrazione irregolare in chiave segregazionista e razzista. Una logica fatta propria anche dall'Italia con l'emanazione della legge 189/2002, cosiddetta Bossi-Fini: una legge che, con l'introduzione del contratto di soggiorno, riduce lo straniero a mera forza-lavoro; che, attraverso la pratica della rilevazione delle impronte digitali, tratta l'immigrato alla stregua del criminale; che, istituendo nuove strutture di detenzione per i richiedenti asilo (i cosiddetti Centri di Identificazione) e militarizzando coste e mari, priva di ogni effettivita' l'art.10, comma 3 della nostra Costituzione; che, attraverso l'art.14, commi 5, 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies (T. U. Immigrazione modificato dalla L. 189/02) trasforma la cosiddetta clandestinita' da illecito amministrativo in illecito penale destinando, cosi', migliaia di stranieri e/o richiedenti asilo ai circuiti penitenziari; che restringendo, de iure et de facto, il ricongiungimento familiare nega il costituzionale diritto all'unita' della famiglia. Un esempio eloquente relativo a quest'ultimo punto e' l'atteggiamento fortemente ostativo delle ambasciate italiane all'estero, le quali anche di fronte ai nulla-osta rilasciati dalle questure non concedono i visti per i ricongiungimenti familiari, o addirittura, come nel caso del consolato di Casablanca, chiudono l'Ufficio Visti "per cause di forza maggiore". * Tutte queste misure compromettono o addirittura negano i diritti di liberta' e le garanzie giurisdizionali dei migranti, contraddicono in maniera eclatante i principi fondamentali dello stato di diritto, rivelano la tendenza alla criminalizzazione delle migrazioni e, di fatto, creano le condizioni per proclamare lo "stato d'emergenza". In nome dello "stato d'emergenza", il 20 marzo scorso e' stata emanata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri recante "Nuove disposizioni urgenti per fronteggiare l'eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari giunti irregolarmente sul territorio nazionale", predisponendo la costruzione di altri CPT (Centri di Permanenza Temporanea) e dei nuovi Centri di Identificazione. In cosa consiste questo eccezionale afflusso se, come orgogliosamente dichiarano gli stessi ministri e sottosegretari dell'attuale governo, esso risulta, invece, addirittura diminuito? In verita', il governo italiano e' prigioniero della sua stessa politica che affronta il fenomeno migratorio solo in termini di sicurezza. La legge Bossi-Fini, infatti, impone, per ogni immigrato irregolare, la detenzione o l'espulsione immediata. Provvedimento di difficile attuazione che impone percio' la disponibilita' di spazi "detentivi" sempre piu' numerosi: l'emergenza, pertanto, e' creata dalla norma, non dal fenomeno in se'. Senza considerare i costi economici di questa politica: se le cifre indicate, "sia pure per eccesso", dall'onorevole Mantovano (intervista pubblicata sul "Quotidiano" di domenica 10 novembre) corrispondono a verita', per gli "800.000 clandestini e irregolari", diminuiti dei "550.000 nuovi regolarizzati", la somma da destinare per le operazioni di trattenimento e di espulsione varierebbe dai 500 milioni ai 750 milioni di euro, considerato che, secondo i dati riferiti dal Rapporto Caritas, per ogni immigrato da espellere occorrono dai duemila ai tremila euro. A fronte della "eccezionale" disponibilita' economica in questo senso, si assiste invece alla soppressione del Programma di sostegno economico dei richiedenti asilo e dei rifugiati per i quali, tra l'altro, l'Italia non ha ancora adottato una legge organica. In questo quadro non desta meraviglia il tasso di respingimento pari al 95% delle domande d'asilo da parte della Commissione centrale. * La convocazione qui, oggi, dei Ministri dell'Interno dei Paesi aderenti all'Iniziativa Adriatico-Ionica per mettere a punto "il Piano di Allerta e Reazione Rapida contro l'immigrazione illegale" e' espressione, ancora una volta, di una concezione che riduce il fenomeno immigratorio a problema di ordine pubblico da gestire solo in termini repressivi. Esemplare, in questo senso, anche la terminologia utilizzata nella presentazione dell'iniziativa: "allerta", "reazione rapida", "contrasto alla criminalita' internazionale, all'immigrazione clandestina e ai fenomeni criminali ad essa collegati". Le misure di allontanamento che, con ogni probabilita', i ministri convenuti intendono adottare comporteranno rilevanti compressioni dei diritti fondamentali di migliaia di esseri umani costretti a fuggire da situazioni intollerabili di guerra e di miseria determinate dalle scelte neoliberiste. Non saranno certo politiche piu' repressive a fermarli. Cio' che e' accaduto e continua ad accadere nel Canale d'Otranto e nel Canale di Sicilia sta a dimostrare che l'uso della forza militare e' destinato soltanto ad aumentare il numero delle vittime innocenti. Inoltre, prevedere l'espulsione o il respingimento coatto come sanzione per qualsiasi forma di irregolarita' significa consegnare i migranti alla gestione arbitraria delle autorita' di polizia. Misure che si collocano persino al di fuori della prospettiva di gradualita' della disciplina degli allontanamenti entro cui si muove il recente Libro verde della Commissione europea. * Siamo convinti, invece, che un altro approccio e' possibile. Occorre assicurare l'imprescindibile tutela dei diritti fondamentali dei migranti, emancipandosi dalla filosofia dell'ordine pubblico e dal rifiuto razzista dell'immigrazione. Ci permettiamo di avanzare solo alcune proposte: a) ripristino dell'istituto della sponsorizzazione, previsto dalla legge 40/1998 e soppresso dalla 189/2002 perche' "pregiudizialmente" ritenuto una sorta di porta d'ingresso per etnie e individui poco raccomandabili. Riteniamo, invece, che tale istituto possa garantire la possibilita' di un incontro tra domanda e offerta, soprattutto per alcune tipologie occupazionali e dare uno sbocco legale alle reti familiari e amicali, coinvolgendo la societa' tutta (gli italiani e gli stessi immigrati) nello sforzo di assicurare dignitose politiche di inserimento, peraltro senza onere alcuno a carico dello Stato; b) applicazione delle norme dello Stato italiano da parte delle Ambasciate in merito alle richieste di visti d'ingresso; c) automatica concessione dei visti per ricongiungimento familiare; d) riconoscimento del diritto d'asilo per coloro che fuggono da situazione belliche o di grave compromissione delle liberta' civili, politiche e religiose; diritto che e' riconosciuto come diritto soggettivo perfetto sia dalla nostra Costituzione (art.10, comma 3) sia dal diritto internazionale a cui la nostra Costituzione si rifa'; e) rifiuto di qualsiasi accordo di riammissione con quei Paesi indicati da Amnesty International come Paesi che violano i diritti fondamentali dell'uomo; f) soppressione, dalla normativa vigente, della forma di allontanamento attraverso il respingimento, in quanto non idonea ad accertare i presupposti "di diritto e di fatto" di permanenza in Italia dello straniero; g) ricorso all'espulsione solo come extrema ratio nella gestione del fenomeno migratorio; h) superamento della logica dell'emergenza e conseguente canalizzazione delle risorse economiche disponibili per approntare concrete politiche di inclusione sociale che consentano a tutti i cittadini, nativi e non, di agire i comuni diritti di cittadinanza sociale. * La Storia ci ha gia' indicato gli esiti possibili di relazioni umane basate sulla paura e sulla negazione dell'alterita'. Primo Levi, esemplare protagonista di uno di questi tragici esiti, cosi' scrive, esortando al recupero dell'umanita': "A molti, individui o popoli, puo' accadere di ritenere, piu' o meno consapevolmente che "ogni straniero e' nemico". Per lo piu' questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso e' il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finche' la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano" (Primo Levi, Se questo e' un uomo). 4. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: IL NUOVO MOVIMENTO DEI MOVIMENTI PER LA PACE [Dalla mailing list "Peacelink news" (news at peacelink.it) riprendiamo questo bell'intervento - ad avviso di chi scrive queste righe eccessivamente entusiasta e semplificatore - di Nella Ginatempo, sociologa all'Universita' di Messina, della Convenzione permanente di donne contro le guerre] E' nato qualcosa di nuovo. E' difficile riconoscerlo per chi ne sta al di fuori. Ma e' facile riconoscerlo per chi lo sognava da piu' di vent'anni. I sociologi italiani miei colleghi stanno in gran parte affacciati alle finestre della loro torre d'avorio e ancora non capiscono di che si tratta, tranne le dovute splendide eccezioni nel mondo. Ma io sento che si realizza un sogno: lo sviluppo tumultuoso di un soggetto rivoluzionario mondiale. Per quanti anni avevamo dibattuto sull'assenza del soggetto sociale in grado di trasformare la societa'? Non ci aspettavamo che venisse da questo strano orizzonte, questo magma composito di tutti gli esclusi e gli sfruttati del mondo, che venisse dalle periferie del mondo e non solo dalle capitali dell'Occidente, anzi che proprio dalle periferie portasse linfa e nuovi messaggi. Avevamo cominciato con l'affermazione: "un altro mondo e' possibile", contro il liberismo che regge l'ingiustizia globale. Ma quando l'11 settembre ha reso chiaro quale sarebbe stata la risposta dell'Impero alle contraddizioni ingovernabili della globalizzazione - la guerra- allora e' cominciato un processo nuovo: si sviluppava in embrione un salto di civilta'. E questo e' inevitabile nella nascita degli autentici soggetti rivoluzionari: partire da una visione nuova che produce con effetto moltiplicatore un nuovo immaginario, nuove pratiche e nuovi linguaggi. La trasformazione antropologica precede e sostiene il percorso politico. Ed oggi a Firenze, dopo queste straordinarie giornate di dibattito in cui quarantamila persone hanno frequentato le conferenze plenarie e gli incredibili, appassionati seminari, e dopo la piu' grande manifestazione per la pace mai vista in Europa, ho capito una cosa nuova di questo movimento: si e' prodotto un salto antropologico ed uno politico. Il salto antropologico e' la coscienza diffusa della necessita' di fondare non solo il tabu' della guerra, ma il tabu' della violenza. La fuoruscita dalla civilta' dell'uccidere significa una rotazione del mondo a 180 gradi. Non e' esistita civilta' finora che non abbia praticato e giustificato la violenza. Quando si sono formati gli Stati-Nazione, essi hanno avocato a se' il monopolio della violenza ed hanno fondato la licenza pubblica di uccidere, lo jus ad bellum, cioe' il potere legittimato di fare guerra. Il tentativo della Carta dell'Onu e delle Costituzioni italiana e tedesca, dopo le inaudite sofferenze della seconda guerra mondiale e i milioni di morti, fu quello di interdire il diritto di guerra degli Stati e di avocare all'Onu l'uso regolato della forza. Questa Carta dice che non solo e' vietato fare la guerra, ma che e' obbligatorio perseguire la pace con mezzi pacifici, cioe' nega il vecchio adagio imperiale romano che recitava: "si vis pacem para bellum". Oggi la Carta dell'Onu e' carta straccia: l'equilibrio del mondo dopo l'89 ha inaugurato un decennio di guerre a ritmo forsennato, condotte dagli Usa, con o senza la Nato, contro il resto del mondo, in base ai propri interessi strategici imperiali. Dunque, il tentativo di interdire la guerra e' fallito. Contemporaneamente, si sono intensificati l'uso della lotta armata oppure del terrorismo da parte di differenti movimenti in diverse parti del mondo. Ma oggi si verifica un fatto nuovo, un salto di civilta': l'unificazione di un immenso movimento mondiale che vuole cambiare il mondo e la sua ingiustizia globale, ma vuole farlo in modo nonviolento, anzi ripudiando la violenza, quella stessa violenza della quale e' rimasto vittima a Genova, ed alla cui trappola e' oggi riuscito mirabilmente a sfuggire. E' come se il popolo che ho visto sfilare a Firenze esprimesse una crisi di rigetto della violenza e della guerra, una forma di disgusto e rifiuto che e' l'anticamera del tabu'. Basta con i morti, basta col sangue, basta con i lutti, basta col terrore, basta con le guerre che sono il terrore di Stato: vogliamo vivere. Il bellissimo messaggio delle donne, espresso dal personaggio di Cassandra: "Tra uccidere e morire c'e' una terza via: vivere", e' oggi diventato un contagio sociale. Era un ruscello tre anni fa quando poche associazioni femministe si riunivano per chiedere "Fuori la guerra dalla storia": oggi e' diventato un oceano. Proprio questo ripudio della violenza, questa partecipazione di massa ad un metodo di protesta pacifico e creativo, ha costituito l'elemento di coesione sociale piu' forte, il cemento che ha legato insieme i vecchi e i bambini, i cinquantenni e i ventenni, le femministe e i sindacati, i cattolici, i comunisti, i verdi, gli anarchici e i semplici democratici, i professori e i disoccupati, le donne di ogni generazione ed estrazione sociale con una elevatissima partecipazione, ed ancora i pacifisti e le pacifiste storiche con i disobbedienti, i preti ed i sindaci, i ragazzi e le ragazze d'Europa, i sacchi a pelo ed i colletti bianchi, le mamme gioiose insieme ai loro figli noglobal, i papa' in bicicletta o con la carrozzina, i centri sociali insieme ai boy scouts. Cosi' si e' realizzato il sogno di Pasolini: una vera unita' del popolo. Quella che qualcuno chiama le moltitudini e che non e' una astrazione sociologica, e neanche una pura somma di centinaia di associazioni. E' un effetto moltiplicatore che genera un soggetto: l'unita' del popolo in Italia, e, come sembra, in tutta Europa. Questa e' oggi una forza epocale, la piu' grande che si sia mai avuta sulla scena della politica. Non piu' solo la classe lavoratrice classica (perche' i disoccupati, i pensionati, le donne lavoratrici in famiglia, gli studenti, i bambini e le nonne dove li mettiamo?) ma un popolo: quello delle chiese, delle scuole, dei quartieri, dei bar, dei mercati, dei paesi, non solo delle citta'. Un popolo che chiede la pace, che vuole l'Europa fuori dalla guerra. E qui l'altra straordinaria novita': il salto politico che si e' prodotto oggi, che si leggeva sugli striscioni, sui volti, negli slogans, negli interventi alle assemblee, negli applausi e nei fischi. Quella nuova coscienza pubblica dilagante che unisce al "no alla guerra" di tipo etico, il "no alla guerra" di tipo politico. E' infatti profondamente diffusa la coscienza del perche' della guerra in Iraq, del suo significato politico epocale come messa in pratica della "guerra preventiva", non solo cioe' una guerra per il petrolio, piu' sporca delle altre perche' intollerabilmente diretta contro una popolazione gia' sterminata dalla precedente guerra del Golfo e dall'embargo, ma una tappa della guerra globale, cioe' di un nuovo sistema di dominio della piu' grande potenza che vuole imporre al mondo il sopruso globale col bombardamento globale. E l'allarme e' grandissimo: tutte e tutti ad occhi aperti guardiamo la deriva verso cui la guerra preventiva di Bush ci trascina: il baratro della guerra mondiale, con il libero uso dell'atomica e la totale mancanza di freno alle armi di distruzione di massa ed al dilagare dell'escalation della violenza planetaria. Per questo l'opposizione alla guerra e' contemporaneamente etica e politica: perche' ripudiamo la guerra in quanto tale, e perche' vogliamo fermare questa strategia politica di guerra come strumento di dominio del mondo e di ricatto e oppressione infinita. La saldatura tra pacifismo etico e pacifismo politico e' l'inizio della fine per i signori della guerra. E' qualcosa che taluni pubblicisti non potranno mai capire: sfugge loro l'elemento essenziale: la capacita' di immaginare il futuro, un mondo diverso dall'attuale in cui l'umanita', a partire dal tabu' della guerra, sapra' salvare il pianeta e tutti i nati di donna insieme alle creature viventi. E non sapendo immaginare un mondo diverso in cui la pace e' possibile, irridono la capacita' utopica di questo movimento, dichiarano che la guerra e' la struttura del mondo, che e' inevitabile, che molto spesso la guerra e' necessaria e giusta. Perche' non sanno capire che il futuro non potra' cominciare se lo condanniamo ad essere pura ripetizione di un passato che e' costato troppe vite. I morti lasciamoli riposare in pace, cominciamo ad immaginare che ci lascino un messaggio di pace e non di vendetta, un messaggio che dice: da qui in poi mai piu' guerre. Da qui comincia un'altra Europa possibile. 5. RIFLESSIONE. ANNA FAZI: NON C'E' BISOGNO DI UN NEMICO PER ESISTERE [Ringraziamo Mercedes Mas (per contatti: merchemas at tiscalinet.it) per averci trasmesso questa riflessione di Anna Fazi (di cui riportiamo ampi stralci, e che apparira' integralmente sulla rivista "Appunti") sul "movimento dei movimenti" e la scelta della nonviolenza. Anna Fazi (per contatti: nafazi at tin.it) e' insegnante di lettere e fa parte dell'associazione "Pace e dintorni" e del nodo Lilliput di Milano] A Firenze il movimento ha dimostrato di avere scelto la nonviolenza. Tre giorni di conferenze, seminari, workshop su differenti argomenti raccolti in tre grandi aree tematiche: globalizzazione e liberismo; guerra e pace; diritti, cittadinanza e democrazia. Centinaia i relatori; piu' di 60.000 le presenze registrate, estremamente varie sia per provenienza che per appartenenza. Una manifestazione di 700.000 persone, allegra e colorata, nonostante la criminalizzazione a cui il movimento era stato sottoposto da mesi sulla stampa e la tv nazionale e locale. I mass media hanno reagito inizialmente con un silenzio piuttosto imbarazzato, viste le catastrofiche previsioni che avevano alimentato, con poche eccezioni. Una tendenza costante e' comunque quella di non dare spazio ai contenuti, genericamente screditati come utopistici ed ingenui, come "chiacchiere", per usare le parole di un noto commentatore televisivo. L'unico tema a cui si e' data una certo eco, anche perche' era il motivo della manifestazione, e' stato quello dell'opposizione alla guerra. * Le speciose accuse dei fautori della guerra Prima di arrivare a definire cosa significa la scelta della nonviolenza, in particolare per la "Rete di Lilliput" a cui appartengo, ma anche piu' in generale per il "movimento dei movimenti", vorrei partire da una serie di argomentazioni frequentemente ricorrenti, che tendono a squalificare tale posizione. Mai visti tanti attacchi come in questo periodo, sia sui giornali che in televisione, alla posizione dei cosiddetti pacifisti. Nel momento in cui siamo di fronte al rischio di vivere una guerra preventiva, in una forma ancora inedita nella storia, molti dei fautori della guerra piu' che sostenere l'opportunita' di tale evento, hanno scelto come strategia retorica quella di dimostrare l'inefficacia delle alternative. Provo ad elencare alcune delle argomentazioni che ho fin qui raccolto. Un autore sul quotidiano "la Repubblica" un po' di tempo fa ha accusato il movimento nonviolento di incapacita' di compiere adeguate analisi del presente, a partire da una scarsa conoscenza della storia; l'analisi del passato, a suo avviso, ci insegna che in alcuni casi la nonviolenza nasconde vigliaccheria e incapacita' di reagire di fronte a palesi ingiustizie e solo un intervento energico, anche violento, consente la fine delle stesse. A questa si ricollega l'accusa di sottovalutare l'effettivo pericolo attuale del terrorismo internazionale; pericolo invece assai percepito dalla gente, che sempre piu' cerca risposte all'inquietudine crescente; la nonviolenza viene presentata come una proposta mielosa e irresponsabile, che si fa forte di argomentazioni moralistiche e soprattutto del fatto che l'Italia non e' ancora stata colpita direttamente dagli attentati; risulta quindi irritante la pretesa dei pacifisti di dar lezioni agli altri che vivono in situazioni ben piu' drammatiche, chiedendo loro di sopportare il rischio e la tragedia, senza autorizzarli a reagire. L'idealismo astratto, la superficialita' e la non preparazione di molti viene poi, secondo pareri diffusi, sapientemente manipolata da alcuni, che hanno invece una maggiore esperienza politica e con questa incanalano con opportunismo il movimento su una posizione anti-americana, cieca ed unilaterale; di questa realta' e' una prova la mancata reazione di fronte a tutte le altre situazioni di violenza presenti nel mondo e l'incosciente disponibilita' a comprendere i problemi di paesi che avallano il potere di dittature teocratiche, che violano i diritti umani con una sadica pratica quotidiana, che sembra non indignare i presunti pacifisti e che e' ben piu' pericolosa delle supposte violenze americane. Per concludere, un politologo ha addirittura affermato che l'inconsistenza della posizione pacifista sarebbe dimostrata da un altro dato, sempre confermato dalla storia, che la pace non e' per gli uomini il primo valore. A suo avviso l'uomo non esita a ricorrere alla guerra, quando vengono toccati i suoi interessi. Evidentemente la coscienza nata dall'esperienza delle due guerre mondiali, che ha alimentato la stesura della nostra Costituzione, si sta sbiadendo. In sintesi secondo la rappresentazione che ne danno questi autori la posizione nonviolenta viene liquidata come ingenua, forse comprensibile come scelta etica, ma non praticabile come opzione politica da chiunque abbia accettato di crescere, di studiare e di comprendere il passato ed il presente, e di assumersi responsabilita' verso il mondo. * Venendo a noi Comincerei ora ad analizzare le motivazioni del movimento. Innanzitutto e' estremamente riduttivo intendere la scelta nonviolenta come semplice opposizione alla guerra. Il fatto che per tre giorni gli incontri si siano svolti su temi di tipo economico, finanziario, politico, ambientale, ha molti significati. Galtung gia' dagli anni '50 ha proposto un'interessante analisi della violenza, individuandone tre categorie: una violenza diretta, che e' quella esplicitamente militare della guerra; una violenza strutturale, che e' quella apparentemente non visibile, agita dal sistema economico-finanziario; una violenza culturale, spesso subdola, esercitata dai mezzi di informazione. Sono ormai concetti chiari per molti. Se e' violento un bombardamento, lo e' anche un sistema che si alimenta di ingiustizie; il paradossale squilibrio della distribuzione delle risorse (il 20% della popolazione mondiale che consuma l'80% delle risorse) e' gia' di per se' un dato sufficiente per comprendere tale questione. Una scelta realmente nonviolenta deve quindi costruire alternative concrete per un cambiamento profondo della societa' e del sistema. Penso che si possa parlare di novita' storica di fronte ad un processo che sta elaborando "dal basso" un pensiero collettivo, a partire dalla condivisione delle esperienze che tanti come individui, come associazioni, come intellettuali, come economisti, come amministratori, ora anche come sindacati, stanno vivendo in questi anni di crisi della politica, a partire dall'analisi delle contraddizioni che hanno una ripercussione sempre piu' evidente nella vita quotidiana di ciascuno. Della Tobin tax, proposta avanzata da Attac, si discute ormai a livello europeo. La nascita della Banca etica ha consentito di richiamare l'attenzione sull'uso improprio che spesso le banche fanno dei soldi che noi vi depositiamo. Il microcredito sta aprendo circuiti alternativi di finanziamento, in Argentina, per esempio, ha creato ormai una rete di milioni di persone a cui sta consentendo di sopravvivere al crollo finanziario provocato dalle scelte economiche imposte dal Fondo monetario internazionale. La proposta di sostituire il Pil con indicatori capaci di registrare anche altri aspetti della vita quotidiana e' un modo per riaffermare la centralita' dell'essere umano rispetto al mercato. Il consumo critico ci ha consentito di scoprire che di fronte ad un mercato che ci considera solo in quanto consumatori, noi abbiamo il potere di incidere, imparando a scegliere non solo sulla base della qualita' e della convenienza, ma pretendendo tra i criteri il rispetto dei diritti dei lavoratori a livello nazionale e globale. Il commercio equo rappresenta in questo senso un percorso sperimentale, che sta allargando sempre piu' i suoi circuiti e le sue possibilita'. Il criterio della sostenibilita' ambientale non puo' piu' essere l'opzione adottata da individui sensibilizzati, ma deve diventare il parametro obbligatorio per l'apertura di qualsiasi iniziativa produttiva. Il tentativo di ridurre la nostra "impronta ecologica" e' una proposta per modificare il proprio stile di vita, rendendolo piu' sobrio, premessa necessaria per una piu' giusta ripartizione delle risorse. L'attenzione alle proposte della democrazia partecipativa stanno interrogando numerose amministrazioni locali, che avviano sperimentazioni del bilancio partecipativo di Porto Alegre. La ricerca di nuovi modelli di rappresentanza politica sta facendo emergere le contraddizioni di un sistema democratico che, con il voto del 30% della popolazione di uno stato, puo' autorizzare un governo a scatenare una guerra che mette a rischio gli equilibri di un'intera area geografica. Se e' vero che la nonviolenza de "il potere di chi non ha potere" e puo' contare sulla forza del numero, il "movimento dei movimenti" ne costituisce in qualche modo una prova: e' formato da una societa' civile che si sta presentando come soggetto politico attivo; che sta scoprendo di poter incidere su un sistema, anche cosi' complesso come quello globalizzato; che sta proponendo all'Europa di non appiattirsi sul modello americano, a partire dal suo patrimonio di esperienza civile ed etica. * Un salto culturale da compiere C'e' un salto culturale da compiere: di fronte ad una globalizzazione ormai in atto, e' importante imparare a concepirsi come "cittadini planetari"; e' urgente comprendere che il funzionamento trasparente, corretto e democratico degli organismi internazionali e' diventato una necessita' improrogabile. Per la creazione di equilibri piu' giusti sono indispensabili le riforme dell'Onu, della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale, del Wto, organismi nati dalle migliori intenzioni, ma che attualmente stanno difendendo gli interessi protezionistici degli stati piu' sviluppati, rendendo sempre piu' grave il divario tra i paesi del nord e quelli del sud del mondo. Perche', in ambito nazionale, di fronte ad un omicidio, anche il piu' efferato, per noi e' normale pensare che sia un tribunale a dover compiere giustizia e non il diretto interessato con azioni vendicative, mentre se allarghiamo l'orizzonte ad un ambito internazionale, anche il benpensante piu' tranquillo trova legittimo il bombardamento di un paese non necessariamente coinvolto, invece di ritenere che dovrebbe essere un tribunale internazionale a farsi carico della tragedia in corso? Cosa c'entra il bombardamento dell'Iraq con gli attentati terroristici di New York, di Bali, di Mosca, nei territori palestinesi e in Israele...? Non sarebbe piu' opportuna un'analisi diversificata delle situazioni, che consentisse l'adozione di scelte piu' mirate al miglioramento delle condizioni di vita di ciascun paese, in modo da prevenire il desiderio della morte come aberrante alternativa strategica? Un maggiore e serio investimento sulle energie alternative al petrolio, peraltro in via di esaurimento, spezzerebbe spirali che gia' troppe volte si sono dimostrate drammatiche; una reale volonta' politica di ridurre la spesa militare e il mercato delle armi, renderebbe disponibili capitali che sarebbero sufficienti per risolvere il problema della fame e della diffusione dell'Hiv nel mondo. Le varie anime del movimento sono arrivate per percorsi diversi alla scelta della nonviolenza. La Rete di Lilliput ne ha fatto il cardine del proprio manifesto, sia a livello di contenuto che di metodo: la volonta' di non avere leader, di prendere le decisioni con il "metodo del consenso", di definire ruoli di responsabilita', ma sempre a rotazione e improntati ad una funzione di servizio, sono scelte metodologiche e organizzative che si ispirano al principio gandhiano della necessita' della coerenza dei mezzi con i fini; non si puo' pensare di costruire un modello alternativo, senza cercare percorsi che anche nel metodo riproducano una diversa concezione del potere e della partecipazione. Altre parti del movimento sono arrivate alla scelta nonviolenta per una motivazione tattica, di opportunita' politica: dopo Genova e' diventato chiaro a tutti che solo in questo modo si sarebbe potuta salvare la credibilita' dei contenuti su cui si sta lavorando. Firenze ha dato la prova del percorso compiuto. 6. LUOGHI E PRATICHE. LAURA COLOMBO E SARA GANDINI: PRESENTAZIONE DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO [Siamo assai grati a Sara Gandini per averci messo a disposizione questa scheda di presentazione della Libreria delle donne di Milano] La Libreria delle donne e' una realtq' politica composita e in movimento: pubblica una rivista trimestrale ("Via Dogana"), organizza riunioni, discussioni politiche, presentazioni di libri, proiezione di film, gestisce un sito web (www.libreriadelledonne.it), e' centro di incontro per moltissime donne e anche uomini. Naturalmente vende libri, anche per posta. E' una viva realta' che esiste dal 1975, e conta fra le sue stabili partecipanti piu' di quaranta donne. Negli anni in cui la libreria e' nata c'era bisogno di avere un luogo che desse risalto al pensiero e alla scrittura delle donne. Cosi' ha avuto origine un'impresa femminista che non diceva "tra donna e uomo non c'e' differenza" e non rivendicava la parita', ma, al contrario, diceva che la differenza c'e' e noi la teniamo in gran conto, la coltiviamo con la pratica delle relazioni fra donne e con l'attenzione alla poesia, alla letteratura, alla filosofia... delle donne. Per questo, anche quando la produzione femminile ha cominciato a circolare di piu', la Libreria ha continuato a vivere. Attualmente in Libreria si possono trovare piu' di 3.000 autrici e una quantita' complessiva di opere che supera i 10.000 titoli. Inoltre vi e' un fondo di testi esauriti e introvabili (se la legge ce lo permettesse, faremmo molte fotocopie di questi rarissimi libri...). La Libreria e' dunque un progetto, che ora abbraccia anche nuove pratiche e nuove modalita' di espressione. Infatti da poco piu' di un anno, in aggiunta alle tre grandi vetrine su via Pietro Calvi a Milano, dove vengono ciclicamente esposte opere d'arte insieme ai libri, la Libreria ha un altro affaccio sul mondo: il sito internet www.libreriadelledonne.it Anche il sito e' un luogo prezioso, virtuale e virtuoso: e' infatti una miniera di idee facilmente attingibile, e questa ricchezza e' accompagnata da un costante lavoro di redazione. E' suddiviso in diverse sezioni. Nel Cosa c'e' di nuovo si puo' trovare una rassegna stampa con articoli, oppure stralci da quotidiani e riviste, e anche contributi inediti, introdotti e commentati dal gruppo di redazione. Vi sono le segnalazioni dei libri arrivati di recente in libreria, e le comunicazioni di eventi per noi interessanti dal punto di vista culturale e politico. Un'altra sezione offre il Catalogo dei libri in vendita presso la libreria e l'indice tematico della rivista "Via Dogana" (con la possibilita' di usare un motore di ricerca ad hoc), ottimi strumenti per approfondite ricerche bibliografiche. Ci sono anche i nostri Libri preziosi, introdotti da brevi commenti: testi che l'esperienza di lettura e riflessione ha posto al centro del cammino di molte donne. E poi c'e' Mappamonda: e' uno spazio senza confini ma con una chiave data dalla relazione. E' un invito a raccontarsi, con alcuni racconti gia' in rete. Vogliamo citare anche la Posta in gioco: e' un mercato, una piazza in cui si portano cose ed esperienze, dove si chiacchiera, ci si racconta, ci si arrabbia, e si pensa anche un po'... Ci fermiamo perche' una narrazione sara' sempre insufficiente: e' necessario invece potervi navigare, e scoprire i tesori che vi sono riposti... La Libreria delle donne di Milano e' stata fondata nel 1975 e ne e' presidente Renata Dionigi; si trova in via Pietro Calvi 29, 20100 Milano, tel. 0270006265, fax: 0271093653, e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it 7. LIBRI. IN USCITA "IL DIRITTO NON CADE IN PRESCRIZIONE" DI DANIELA BINELLO [Riportiamo la presentazione del libro Il diritto non cade in prescrizione, a cura di Daniela Binello (nostra amica e collaboratrice; per contatti: blusole.db at flashnet.it), edito dalla Ediesse di Roma, in uscita alla fine di questo mese e che verra' presentato a Venezia in occasione dell'importante appuntamento costituito dal II Salone dell'editoria di pace] Sono trascorsi piu' di vent'anni dall'epoca della "guerra sucia" perpetrata in Argentina dal 1976 al 1983. La dittatura militare, in nome della "Dottrina della sicurezza nazionale", valuto' nei minimi particolari le forme di violenza e annientamento, anche psicologico, di un'intera generazione di giovani, studenti, operatori sociali, sindacalisti, giornalisti, religiosi, insegnanti, che si ricordano come i Desaparecidos, un termine emblematico che indica trentamila esseri umani scomparsi nel nulla solo in Argentina. Senza contare quelli del Cile e di altri Paesi che utilizzarono sistemi repressivi del tutto simili in un silenzio coperto da interessi e complicita' multinazionali. Appellandosi all'articolo 8 del Codice Penale, dopo anni di denunce, indagini e inchieste della magistratura, dei parenti delle vittime e di parte della stampa, finalmente nel 1998, con il parere positivo del Ministero di Grazia e Giustizia, lo Stato italiano si e' costituito parte civile e il 21 ottobre del 1999 si e' potuto avviare a Roma il processo in contumacia contro sette militari argentini accusati della morte di otto persone di origine italiana. Fra le vittime vi erano anche dei sindacalisti. In accordo con la Cisl internazionale (Icftu) Cgil, Cisl e Uil si sono presentate fra le parti civili del processo a sostegno dei parenti delle vittime. La sentenza del 6 dicembre del 2000 ha condannato i generali Carlos Suarez Mason e Santiago Omar Riveros all'ergastolo e a 24 anni gli altri cinque militari. Il volume attiva un confronto con Adolfo Perez Esquivel, il pm Francesco Caporale, il penalista Giancarlo Maniga, i rappresentanti di Amnesty International Italia - attraversando i ricordi drammatici di tanti testimoni (fra cui Italo Moretti, le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo, Marco Bechis, Emilio Gabaglio e alcuni sindacalisti argentini) - per aprire con Sergio Cofferati, Enrico Calamai, Antonio Papisca, Horacio Verbitsky, Julio Velasco, Gianni Tognoni e altri esperti un ragionamento sulla globalizzazione dei diritti umani e sull'importanza di realizzare concretamente al piu' presto organismi transnazionali di giustizia internazionale. La curatrice del volume, Daniela Binello, 44 anni, e' una giornalista free lance. Collabora con agenzie della stampa estera e testate (fra cui: Rassegna sindacale; Qualita' Equita'; Affari sociali internazionali; Vita; LiberEta', Radio Popolare) nel campo dei diritti umani e dei conflitti internazionali. Come inviata ha realizzato reportage sociali da Corea del Nord, Afghanistan, Sudan, Nicaragua, Colombia, Brasile, Palestina, Israele, Balcani, Iraq e altri Paesi. Nel 1999/2000 ha allestito la mostra sulla "Infanzia tradita" ospitata a Milano da Pubblicita' Progresso. Per la Cgil del Veneto ha curato nel 2001-2002 la mostra itinerante "A.A.A. Cittadini ce rcansi" sui lavoratori immigrati nel Nordest, di cui e' pubblicato un libro-reportage. 8. RILETTURE: MARIE-MAGDELEINE DAVY: SIMONE WEIL Marie-Magdeleine Davy, Simone Weil, Borla, Torino 1964, pp. 182. Questo studio e' altresi' un appassionato incontro di due anime. Con una presentazione di Gabriel Marcel. 9. RILETTURE. JULIA KRISTEVA: SOLE NERO Julia Kristeva, Sole nero, Feltrinelli, Milano 1988, 1989, pp. 216, lire 30.000. Un appassionante libro della grande studiosa sulla malinconia e la depressione. 10. L'ABBECEDARIO INGENUO DI TRICOTILLO SMANICONI: VINCOLO E' obbligo e legame: senza obbligazione reciproca non c'e' legame autentico, ergo non c'e' societa'. Ma dove non c'e' legame, ergo societas, "esser soci", reciprocita', non puo' esservi neppure obbligo. Cosicche' la norma occorre, per la convivenza civile; ma deve essere norma che promuove l'esistenza, i diritti e il riconoscimento di tutti: se esclude qualcuno, non e' piu' tale. E dunque le leggi razziste, come quella attualmente in vigore in Italia che proditoriamente nega dignita' e diritti umani alle sorelle e ai fratelli immigrati, a rigor di termini non e' neppure legge, ma mera statuizione della violenza e ideologia della violenza, violenza essa stessa: e denuncia cosi' i suoi ideatori, promotori e sostenitori per fautori dell'anomia, ovvero della barbarie. Ed assai bene ha fatto il Tribunale di Viterbo a rinviare quella legge alla Corte Costituzionale affinche' sia abrogata in quanto infrange il nostro ordinamento giuridico e viola i diritti umani che la nostra Costituzione afferma e difende. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 415 del 14 novembre 2002
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