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La nonviolenza e' in cammino. 414
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 414
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 13 Nov 2002 00:42:13 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 414 del 13 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace, a Firenze il movimento delle donne... 2. Patrizia Pasini, il silenzio che disarma e che sorprende 3. Enrico Euli, Marco Forlani: introduzione a "Guida all'azione diretta nonviolenta" 4. Giulio Vittorangeli: Salvador, tracce di memoria 5. Luisa Morgantini intervista Mehmet Abbasoglu 6. Marina Forti, l'Asia a Firenze 7. Giuliana Sgrena, israeliani e palestinesi per la pace e la giustizia a Firenze 8. Guido Ambrosino ricorda Rudolf Augstein 9. Una bibliografia delle opere di Gilles Deleuze 10. Riletture: Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione 11. Riletture: Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia 12. Riletture: "Nuova dwf - donnawomanfemme" n. 14/1980 13. L'abbecedario ingenuo di Tricotillo Smaniconi: disobbedienti 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: A FIRENZE IL MOVIMENTO DELLE DONNE... [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' l'umanita' come dovrebbe essere] A Firenze il movimento delle donne e' stato abbastanza presente e le donne nei movimenti misti pure, insomma sembra che si sia ottenuto un diritto di accesso e non dalla porta di servizio. E' vero che le presenze per la parte italiana sono state piu' di ascolto e di visibilita' silente che di voce e direzione, ma insomma - date le tradizioni - e' piu' di qualcosa. Mi pare di poter dire - sempre salvo errori ed omissioni - che il femminismo si e' presentato in tre filoni o forme o storie. La Convenzione sui temi specifici della riunione fiorentina, dato che portava col proprio seminario la proposta dell'Europa neutrale; il seminario di storia del movimento, preparato dall'incontro alla Casa internazionale e promosso da illustri sedi del femminismo; e quello della Marcia di grandissimo successo di presenze, apparso talora un po' piu' tradizionale, persino attardato sulla domanda se il femminismo divida il proletariato o no, alla quale - modestamente - mi pare di poter dire che aveva gia' risposto Engels. Tuttavia il richiamo della Marcia e' stato molto grande ed e' utile che vi sia un luogo che eserciti tale richiamo anche un po' generico. Quanto a noi della Convenzione - le presenti a Firenze - siamo contentissime, oltre che per l'andamento generale - del fatto che la nostra posizione (elaborare da un punto di vista di donne proposte rivolte a donne e uomini) abbia avuto una eco cosi' forte e positiva, tanto che qualche giornale ha scritto che la proposta di introdurre l'art.11 della Costituzione italiana in quella europea e lanciare una campagna per un'Europa neutrale e disarmata e' l'unica concreta uscita da Firenze sul tema guerra. Le donne presenti nei movimenti misti sembrano aver acquisito gli strumenti di analisi del cosiddetto femminismo diffuso e le altre, le piu' giovani, sono ancora nella nota fase "non sono femminista, ma", comunque significativa. Nel suo complesso e non piu' riferendomi solo alle donne, nel movimento mi par di vedere porzioni residuali e decrescenti di aree ostili a una dichiarazione di azione nonviolenta di principio, crescente atteggiamento nonviolento magari non razionalizzato, e interesse a una conoscenza piu' precisa di cosa sia l'azione nonviolenta: ad esempio l'analisi della Convenzione sui movimenti nonviolenti (sindacato, movimento operaio, femminismo) nella storia d'Europa e sulla disobbedienza civile hanno trovato un riscontro di grande interesse. Mentre la proposta dei Disobbedienti di fare grandi manifestazioni davanti alle ambasciate americane ecc. ecc. dopo la caduta della prima bomba e' ancora nella logica della risposta e non dell'iniziativa preventiva, ma ha il pregio di indicare strumenti di azione nonviolenta: e' molto. Quanto alle pratiche - sempre con grande sommarieta' per fissare nella memoria le impressioni piu' immediate - (il fatto si ripete dai movimenti misti a quelli di genere) direi che vi e' una specie di gradatio dai Corteofili con aree di disprezzo e rifiuto di "altre pratiche", e di "Altre pratiche" con rifiuto del corteo, con una ricca commistione di posizioni piu' ragionate, tipo "va bene il corteo dato che siamo belli/e e abbiamo cose da dire e da mostrare e vogliamo non essere relegati nei ghetti perche' disturbiamo il manovratore e perche' il diritto democratico di manifestare non ce lo deve togliere nessuno" ma "per poter manifestare senza fare solo delle processioni o dei riti ripetitivi e' importante che ci siano anche altre pratiche, momenti di riflessione ecc.". La forma gia' sperimentata a Genova e del resto a Porto Alegre e a Pechino, di un equilibrio vivo tra cortei e seminari sembra pero' entrata nelle scelte dei piu'. Chiacchierando nei corridoi e in treno al ritorno ho raccolto una certa mugugnosita' verso il gruppo dirigente che del resto e' improprio chiamare cosi', perche' ha poco da dirigere, data la grande autonomia delle varie componenti, e non e' stato eletto da nessuno. Ma non si tratta di atteggiamenti di delegittimazione del gruppo stesso, che nessuno mette in discussione, quanto di critiche sul prevalere di pratiche "partitiste", con interventi inseriti col bilancino indipendentemente dall'interesse delle cose da dire, scontro tra correnti interne di partiti ecc.: un modo dei partiti di stare nei movimenti del resto non c'e' piu', finita la ricca sperimentazione del Pci verso il sindacato e i movimenti di massa, che non e' riproducibile -per fortuna- perche' e' stata una grande stagione, ma si riferiva a una societa' molto diversa dall'oggi. Vi sono aree critiche tra le Donne in nero e in molte altre forme di aggregazione autonoma non facilmente catalogabili, in particolare i movimenti che hanno una pratica soprattutto legata al territorio e che da li' sperimentano una forma di organizzazione non solo sociale, ma dello stato del tutto diversa e che si sentono piuttosto trascurati. Per chiudere, una barzelletta: un tipo molto marziale con passamontagna e aggeggi e' stato fermato da un signora cinquantenne che gli ha levato il velo e gli ha detto puntando la macchina fotografica: "o bischero, ti ho bell'e preso". Forza degli argomenti e dell'ironia... Ricca la produzione di scritte ironiche sulle vetrine protette da materiali molto scrivibili: tipo "Chiuso per mancanza di riflessione". Tutto e' bene quel che finisce bene. 2. TESTIMONIANZE. PATRIZIA PASINI: IL SILENZIO CHE DISARMA E CHE SORPRENDE [Ringraziamo Patrizia Pasini (per contatti: delc.mc at pcn.net) per questa testimonianza di straordinario, luminoso candore. Sr. Patrizia Pasini fa parte della Commissione Giustizia e Pace delle Missionarie della Consolata] Sono le ore 13 di sabato, il Forum Europeo di Firenze sta prendendo la forma della manifestazione: composta, gioiosa, educata, interessante, cosi' come sono state le giornate dei dibattiti, delle tavole rotonde, degli scambi. Ho smarrito il mio borsone e quindi devo uscire dalla fortezza, con difficolta' riesco ad uscire, e mi trovo in mezzo a centinaia, migliaia di persone; giovani, di mezza eta', donne e bambini, la gente sorride, cerco di farmi spazio in una calca impossibile ma tutto nel rispetto delle persone: questa moltitudine non fa paura, anzi mette dentro speranza e fiducia. Vengo a sapere che il mio borsone e' rimasto dentro la fortezza proprio nel posto dove al mattino lo avevo posato, mentre aprivo la porta dello spazio del silenzio. Sono passate migliaia di persone e nessuno ha toccato, spostato, preso a calci il mio borsone blue. * Noi religiosi e religiose promotrici di "Giustizia, Pace, Integrita' del Creato" insieme a Pax Christi abbiamo organizzato dentro la Fortezza da Basso, durante il Social Forum Europeo, uno spazio di silenzio con due motivazioni: per sentirci solidali con i popoli oppressi e sfruttati, e per riflettere che un mondo diverso, cioe' una globalizzazione non esasperata solo sul profitto ma costruita nella giustizia e nella solidarieta' e' possibile. Lo spazio e' diviso in due parti, la prima parte e' dedicata alla lettura. Appesi alle pareti sono fatti, idee, proposte, critiche, petizioni, e poi la possibilita' di scrivere su grandi fogli di carta le proprie idee o messaggi, ed eventualmente per chi lo desidera firmare due bandiere della pace da far pervenire una a Bush e l'altra a Sharon. Facciamo conoscere e facciamo assaggiare il guarana', concentrato in succo, che diluito in acqua minerale frizzante naturale diventa una bevanda buonissima. Il Guarana' arriva al commercio solidale direttamente da una cooperativa di aborigeni dell'Amazzonia: con questo gesto vogliamo dimostrare che questi popoli, impoveriti dallo sfruttamento, posseggono risorse straordinarie, ed e' giusto impegnarsi affinche' i loro prodotti trovino mercati e prezzi adeguati. La seconda parte dello spazio e' dedicata totalmente al silenzio e alla riflessione. Un cartello chiede prima di entrare di togliersi le scarpe come segno di umilta', solidarieta' con i popoli impoveriti e oppressi. Alle colonne sono appesi i nomi dei popoli delle etnie piu' sfruttate. In fondo arde la lampada del silenzio, una fiamma che puo' simboleggiare molte realta', ai piedi della lampada i simboli della sofferenza di questi popoli impoveriti e privati dei beni essenziali: cibo, acqua, medicine. Organizzando questo spazio non pensavamo di attrarre tante persone, tanta simpatia e tanto interesse; giornalisti della carta stampata e della televisione di tutta Europa sono entrati e rispettando il silenzio e togliendosi le scarpe hanno fotografato e poi intervistato le persone solo all'uscita. Le persone, giovani e meno giovani, con il loro comportamento e il loro silenzio hanno dato uno straordinario senso di sacralita' a questo luogo e a questi giorni. * La meditazione buddista, la meditazione cristiana e la meditazione yoga sono stati momenti importanti, ma persone di tutte le religioni e confessioni e anche coloro che non si riconoscono in nessun credo o Dio sono entrate per sostare e per riflettere, il silenzio e' diventato una piattaforma di rispetto e di intesa che ci accomuna e ci fa solidali gli uni con gli altri. Noi religiosi e religiose a Firenze, insieme a tantissime altre cose, abbiamo imparato e sperimentato che il silenzio, oggi, ha un fascino straordinario, che giovani e non giovani cercano questi spazi, ne hanno bisogno e forse noi dovremmo pensare come renderli possibili questi spazi, visibili e aperti a tutti, luoghi ospitali, accoglienti e rispettosi delle differenze. Abbiamo imparato che esiste un rapporto strettissimo e creativo tra silenzio e impegno sociale, silenzio e promozione della giustizia, silenzio e rispetto delle differenze, silenzio che si fa riflessione e quindi capace di denuncia efficace e nonviolenta. Silenzio che mette in discussione il nostro stile di vita, cio' che compriamo, mangiamo e purtroppo sprechiamo. Silenzio, che per noi diventa luogo dove fare l'esperienza del Cristo Risorto. 3. MATERIALI. ENRICO EULI, MARCO FORLANI: INTRODUZIONE A "GUIDA ALL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA" [Ringraziamo Enrico Euli (per contatti: diabeulik at libero.it) per averci messo a disposizione le pagine introduttive del recentissimo libro suo e di Marco Forlani, Guida all'azione diretta nonviolenta. Da Comiso a Genova e oltre. Come ci si prepara alla protesta, Ed. Berti, pp. 110, 7 euro. Enrico Euli e Marco Forlani svolgono attivita' di formazione alla gestione nonviolenta dei conflitti] Il devastante crollo delle Torri Gemelle e i magniloquenti fuochi su Kabul e Kandahar hanno fatto luce sui fatti di Genova. Li hanno resi comprensibili, piu' chiari, piu' coerenti. La violenza e la morte di quei giorni assumono piu' ampie dimensioni e nuovi significati. I poteri politici ed economici hanno intrapreso la via della militarizzazione globale come unico approccio ai conflitti tra uomo e natura, tra esseri umani, tra culture. La guerra guerreggiata si fa strada, la' dove i condizionamenti del denaro e del consumo non sono sufficienti o non sono esportabili. La' dove si resiste. E cosi' come a Genova si lasciavano agire i black bloc per poter reprimere i pacifici, cosi' nel mondo gli attentati terroristici (in USA, in Europa, in Medio Oriente) sono utilizzati per opprimere ed aggredire chi resiste alla violenza, alle ingiustizie e alla guerra. Di fronte a questo scatto, a questa accelerazione, il "movimento dei movimenti" (sia a Genova, sia dopo l'11 settembre) si e' trovato impreparato e vive una fase di relativo disorientamento. Non tanto a livello di contenuti, di progetti, di campagne, di idee, quanto e soprattutto - a nostro parere - a livello di metodo. Al suo interno assistiamo al rischio di una riproposizione di modelli abituali, gia' sperimentati e consunti, tipici della tradizione politica d'opposizione: assemblearismo, collateralismo, leaderismo. Verso l'esterno persistono le rincorse alle scadenze imposte dall'avversario, i ritualismi nelle manifestazioni di piazza, le operazioni di immagine. Storie gia' viste, fallimenti gia' vissuti. Ma c'e' anche altro. Una nuova generazione e' in campo, con le sue ingenuita' certo, ma anche con la sua pulizia, creativita', voglia di cambiare il mondo. Genova, e' importante insistere su questo, non e' stata soltanto violenza e morte, come l'informazione dominante e necrofila ha tentato di far credere. Ed anche il mondo, questo nostro mondo disperato, ha ancora in se' la speranza di una trasformazione, di una rivoluzione radicale e profonda. I cambiamenti, sotto traccia, appaiono anzi gia' in corso: "un altro mondo e' possibile" non e' soltanto uno slogan autocompiacente. Qualcosa si muove e le violenze dei potenti di turno, smascherati nella loro debolezza, lo dimostrano. Ma e' necessario, a questo punto, fare un salto ulteriore. Crescere nella nostra capacita' di vivere e di sperimentare l'azione nonviolenta. Agire in prima persona, da soli e con altri, nel quotidiano e nel locale. Mettendosi in gioco contro la rassegnazione e l'impotenza, senza ricadere nei circoli viziosi della violenza e della distruttivita'. Senza lasciare alibi agli avversari perche' possano giustificare le loro aggressioni. E' fondamentale renderci riconoscibili, moralmente inattaccabili, psicologicamente preparati, socialmente organizzati, politicamente efficaci. La nonviolenza, se non assunta genericamente (come purtroppo ancora in tanti continuano a fare, anche nei movimenti), pu' darci un supporto ed un orientamento decisivi. Questo piccolo libro, che ricostruisce una storia e prova a comunicare idee e a dare strumenti, vorrebbe essere soprattutto questo: un aiuto ulteriore a chi vuole praticare, oggi, una nonviolenza attiva. Ci piacerebbe sapere, e solo voi potete farcelo capire, se ci siamo riusciti. 4. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: SALVADOR, TRACCE DI MEMORIA [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario, e una delle persone migliori che ti possa capitare di incontrare] Puo' essere utile cominciare con una poesia: Ai Martiri dell'Uca, di Luis de Sebastian, Barcellona, 23 novembre 1989: Vi vedo arrivare al porto, uno ad uno con le barche cariche di talenti ed i "premi" presi nelle reti in pochi anni di intenso lavoro. Vi vedo arrivare con rami di garofani rossi come il sangue del mio popolo, raccolti nella notte ancora con il fresco. Vi vedo arrivare al porto, uno ad uno, desiderosi di riposare dopo tanta fatica. Venite cosi', stanchi ma allegri come veniste dal fronte della lotta. Arrivate sorridenti, ma seri, avete lasciato laggiu' il bombardamento, le perquisizioni, gli squadroni e la paura, voi, liberi ormai dalle torture, ma il popolo continua ancora a soffrire. Il popolo di El Salvador, il mio popolo scelto e amato senza che lui lo sappia. Io scelsi El Salvador per giudicare il mondo, per separare i cattivi dai buoni, per baciare i poveri in fronte e popolare le dimore del mio Regno. Ellacu, Nacho, Amando, Lolo, Segundo, Moreno Venite benedetti dal padre mio eterno, martiri della fede e della giustizia; siete le foglie rosse del mio manto regale. Era il 16 novembre 1989 e nella capitale salvadoregna venivano uccisi sei gesuiti, mentre l'offensiva della guerriglia (Fmln) era al suo culmine. Le foto dell'eccidio all'Universita' centroamericana (Uca), con la loro atmosfera irreale, giunsero anche in Italia. La visione dei quattro cadaveri nell'androne, vicino al muro lungo il quale erano stati assassinati - solo piu' tardi si seppe che gli assassini avevano spostato i corpi dopo l'omicidio con il proposito, non riuscito, di riportarli nelle stanze dalle quali li avevano strappati all'alba - era sconvolgente. Il cadavere di Ellacuria era irriconoscibile. L'impatto dei colpi sparati da una distanza ravvicinata ne aveva deformato il cranio; il cervello era sparso sul muro contro il quale era stato fucilato. Quel cervello aveva prodotto le idee piu' generose e brillanti che si fossero ascoltate nel Salvador da molti anni. Altri due religiosi erano stati trasportati nelle loro camere ed era visibile la traccia del sangue lasciato a terra. Anche la donna che faceva i lavori domestici nella residenza e sua figlia erano state uccise dai criminali che non volevano testimoni. L'assassinio di Ellacuria e dei suoi compagni era stato annunciato da tempo, erano l'obiettivo designato dai militari e dagli squadroni della morte salvadoregni. Nonostante questo, l'ambasciatore statunitense William Walker, il dipartimento di Stato e il Pentagono incolparono del delitto la guerriglia e fecero di tutto per ostacolare le indagini. Walker e' lo stesso che poco tempo prima aveva occupato l'ambasciata statunitense in Nicaragua e che nel 1999 ha presieduto la commissione Osce che ha visitato il Kossovo prima della guerra e che ha portato al duro scontro con Milosevic. La reazione dell'opinione pubblica internazionale fini' con il mettere in difficolta' l'allora presidente George Bush. Una commissione investigativa del Congresso si impegno' per svelare la verita' e ammise la responsabilita' diretta, nella pianificazione dell'assassinio, del capo di stato maggiore dell'esercito, il colonnello Rene' Emilio Ponce, che sarebbe poi diventato ministro della Difesa. Per il massacro venne condannato solo un ufficiale: il colonnello Guillermo Benavides, direttore della Scuola militare. Il processo che si e' svolto in Salvador stabili' la complicita' di un solo altro membro dell'esercito, ma i risultati lasciarono insoddisfatti i compagni dei religiosi assassinati e tutti quelli che conoscevano la versione integrale dei fatti. Ellacuria era un vero intellettuale; mentre altri sacerdoti si dedicavano al lavoro quotidiano nella comunita' povera, lui era piu' degli altri l'ispiratore, colui che elaborava la dottrina, fonte costante di rinnovamento per la Chiesa e di preoccupazione per il papa. Dal Vaticano parti' una vera e propria aggressione alle espressioni pastorali della teologia della liberazione in tutta l'America Latina. Citiamo solo alcuni casi: il riconoscimento da parte della Santa Sede del bestiale governo dei golpisti haitiani, l'ostruzionismo alla causa di canonizzazione di monsignor Romero, il breve pontificio (un messaggio molto ufficiale di congratulazioni) inviato a Pinochet per le sue nozze d'oro, ecc. Comunque, l'assassinio di Ellacuria e degli altri cinque sacerdoti (quattro spagnoli e un salvadoregno) certamente diede l'impulso per una conclusione piu' rapida della guerra. Ma il ricordo delle loro figure e del loro messaggio e' oggi purtroppo scarso. Il loro messaggio, a giudicare dalla violenza, questa volta sotto forma di delinquenza comune, che continua a insanguinare il Salvador, non si e' diffuso a sufficienza tra coloro per i quali donarono la vita. Nella cappella nella quale e' stato celebrato il loro funerale sono incise alcune parole di un altro uomo della Chiesa caduto nello stesso paese, il vescovo Oscar Romero: "Se mi uccidono, resuscitero' nel popolo salvadoregno". 5. ELEZIONI IN TURCHIA. LUISA MORGANTINI INTERVISTA MEHMET ABBASOGLU [Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) per averci messo a disposizione questa intervista. Luisa e' parlamentare europea, e una delle figure piu' note del movimento pacifista italiano; Mehmet Abbasoglu e' presidente del Dehap, coalizione laica e democratica maggioritaria nella regione del Kurdistan. L'incontro ha avuto luogo a Istanbul] - Luisa Morgantini: Come valuta questi risultati elettorali, si tratta davvero di una svolta storica per la Turchia? - Mehmet Abbasoglu: La Turchia e' un paese interessante e particolare, intanto ha una legge elettorale antidemocratica, lo potete vedere dai risultati: su 41 milioni di aventi diritto al voto hanno votato 32 milioni; di questi, il 46%, pur avendo scelto un partito, non avranno nessuna rappresentanza in parlamento per non aver il partito votato raggiunto il quorum del 10%. L'AKP ha stravinto con il 34%, ma rappresenta soltanto il 25% dell'elettorato, eppure grazie a questa legge ha preso 364 seggi su 550. La nostra non e' una societa' sana, la popolazione e' stata corrotta e delusa dalla crisi economica oltre che dalla incapacita' dei precedenti governi; basti pensare che Ecevit, che nel '99 aveva vinto le elezioni con il 23%, oggi ha ottenuto l'1,3%. Ha pagato cosi' la mancanza di principi e di ideali. L'AKP ha raccolto i voti di una composita base sociale, dai poveri agli industriali del Tusiad e del Musiad. Non penso che Erdogan sia cosi' autonomo, la vecchia nomenklatura, compresi i militari, decidera' ancora, e il problema curdo resta un banco di prova. - L. M.: Come si caratterizza la pratica politica dell'AKP? - M. A.: E' un partito nuovo, per ora si adatta alle diverse situazioni, noi diciamo che si presenta islamista a Konya, curdo a Sirnak, kemalista ad Ankara, quello che e' certo e' che e' liberista in economia; in questo senso il FMI puo' dormire sonni tranquilli, meno l'Unione Europea che e' piu' interessata alla democrazia e al rispetto dei diritti umani, bisogna ricordare che gli islamisti hanno votato contro la soppressione della pena di morte. - L. M.: Il Dehap e' il primo partito nella regione del Kurdistan anche se molti voti sono andati all'AKP e anche ad altri partiti. La delusione di non essere entrati al Parlamento pensa che possa determinare un allontanamento dei curdi dalla partecipazione politica e dal Dehap? - M. A.: Certo entrare al parlamento sarebbe stato di enorme importanza. Abbiamo lavorato molto, l'entusiasmo e la partecipazione alle nostre manifestazioni ci aveva fatto ben sperare. Abbiamo condotto una campagna elettorale affrontando estreme difficolta' e discriminazioni, praticamente inesistenti sui media, controllati e bloccati dalla polizia e dall'esercito; un solo esempio: il nostro pulmann con i candidati e' stato fermo due giorni ad un posto di blocco. Nei villaggi sono state fatte gravi intimidazioni, gli ufficiali hanno raccolto i mukhtar e spiegato che se un solo voto per il Dehap fosse uscito dalle urne tutti ne avrebbero pagato le conseguenze: niente carte d'identita', assistenza medica, lavoro, molti i ricatti delle guardie dei villaggi. Dove vi sono i nostri sindaci, il governo centrale taglia ogni forma di sostegno economico cercando in questo modo di sottrarci consenso. La societa' curda e' in gran parte ancora una societa' feudale chiusa dove dominano i clan e la religione gioca un ruolo importante; se si analizza il voto si vede dove i proprietari terrieri o i religiosi hanno fatto una propaganda e una pressione ferrea perche' noi siamo laici e di sinistra. Malgrado tutto cio' siamo in netta maggioranza, nella citta' di Dyarbakir abbiamo preso il 56%. Moltissimi sono i curdi che non hanno potuto votare, sfollati, profughi. Non siamo entrati in parlamento e questa e' una sconfitta, se pero' guardiamo piu' lontano e pensiamo alla questione curda vediamo che la consapevolezza della nostra identita' e la determinazione a non essere assimilati e' sempre piu' evidente, i colori della nostra bandiera hanno sventolato in tutte le manifestazioni, molti candidati hanno parlato in curdo, anche se la legge elettorale prevede che l'unica lingua ammessa sia il turco; con questa campagna elettorale ci siamo indubbiamente rafforzati. - L. M.: Un fatto nuovo si e' verificato con queste elezioni, due partiti turchi anche se piccoli, hanno partecipato insieme all'Hadep a formare la lista del Dehap, questo uscire dalla rappresentanza solo curda e' una scelta limitata alle elezioni o di lungo periodo? - M. A.: Non e' stata una scelta tattica per avere piu' voti, che infatti vista la dimensione dei due partiti non sono stati molti, ma strategica: vogliamo continuare ad ampliare le nostre alleanze, perche' come dicevo all'inizio il problema curdo rimane il cuore del problema e la Turchia potra' andare verso le democrazia solo se sara' capace di riconoscere identita' e autonomia ai curdi, potremo parlare la nostra lingua, dare nomi curdi ai nostri figli. Insieme curdi e turchi dobbiamo unirci per uscire dalla poverta' e dalla crisi economica: in questo senso la giustizia sociale e la libera espressione della nostra identita' e delle differenze culturali, politiche e religiose costituiscono la strada sulla quale siamo incamminati. 6. INCONTRI. MARINA FORTI: L'ASIA A FIRENZE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2002 riportiamo questo articolo] La sala e' gremita, ragazze e ragazzi sono arrampicati all'esterno dei finestroni, i corpi si pigiano. Oggetto di tanto interesse, venerdi' sera nella sala dell'Arsenale, e' una "finestra" aperta sull'Asia, continente che a Firenze si materializza in alcuni volti. Quello dell'economista filippino Walden Bello, che riesce a spiegare come il "miracolo asiatico" cantato negli anni '90 sia evaporato in poche settimane di speculazioni monetarie lasciando una scia di disastri sociali. Quello di una giovane rappresentante di Rawa (l'associazione delle donne rivoluzionarie afghane), che ha spiegato come la "globalizzazione" si sia manifestata nel suo paese con decenni di guerra e di oppressione. Il volto di Meena (nella concitazione sfugge il cognome) e di Anil Mishra, indiani, che rappresentano il segretariato dell'Asian Social Forum (si terra' in India, in gennaio). Volti diversi, e altri ne mancavano - inutilmente e' stata attesa la superstar Vandana Shiva. Voci che hanno composto un quadro inedito, almeno per gran parte dell'uditorio: un'Asia di conflitti sociali e di movimenti. E di conflitti guerreggiati, ovviamente, a partire da quello afghano. La rappresentante di Rawa (niente nomi, e "niente foto o videocamere per favore") ha suscitato emozione. "L'Afghanistan e' stata la piu' grande tragedia dimenticata", dice lei, e accusa l'occidente di aver "creato un nemico" finanziando una guerriglia islamica negli anni '80. Avverte: "Il fondamentalismo religioso e' un fenomeno globalizzato e minaccia tutto il mondo". Altrettanta attenzione riscuotera' Walden Bello, che il pubblico segue a bocca aperta in un escursus geopolitico complicato che lui rende chiarissimo: la crisi economica che nel '97 ha fatto tramontare le "Tigri" e apparire l'altra faccia del miracolo, devastazioni ambientali e sfruttamento del lavoro; gli imperativi geostrategici, la pressione militare degli Stati Uniti, il confronto con la Cina, la pressione della "guerra al terrorismo" dopo l'11 settembre 2001... E i movimenti popolari: ad esempio contro grandi infrastrutture. Bello, che vive in Thailandia, cita ad esempio "la lotta contro la diga di Pak Mun (affluente del Mekong, ndr), un movimento autorganizzato di comunita' rurali". Poteva citare allo stesso modo il movimento contro le dige nella valle del Narmada in India. O le battaglie sindacali in Corea del Sud, che si materializzano qui in un sindacalista degli ospedalieri di Seul: da mesi lottano per il contratto negli ospedali cattolici e hanno mandato una delegazione in Italia a chiedere solidarieta' (la sede centrale del loro datore di lavoro e' qui, al di la'del Tevere...). O le lotte contro le privatizzazioni, dall'India all'Indonesia. "Tutti questi movimenti cominciano a costruire contatti e solidarieta' attraverso l'Asia, per uno sviluppo a beneficio dei cittadini, dell'ambiente, dei valori umani", conclude Bello. Suggerisce, insomma, che sara' un evento assai importante il Social Forum Asiatico che si prepara a Hyderabad, India. Meena articola l'agenda: parla di privatizzazioni, di agricoltura e produzione alimentare, informazione ("in Corea possono scioperare per mesi senza che la vostra stampa qui ne dia notizia"). Bello insiste sulla battaglia contro i prossimi negoziati del Wto. Anil Mishra, professore di scienze politiche a Delhi, insiste sul "comunalismo", i conflitti tra comunita' religiose o etniche, guerre sante e intolleranza, "vera minaccia alla pluralita' e alla democrazia"; sui diritti democratici dei dalit ("intoccabili"), dei piccoli contadini, delle popolazioni cacciate dalla terra... "Le classi agiate nei nostri paesi non si sono ancora rese conto dei pericoli di questa globalizzazione", dice Mishra, della tendenza a creare una piccola elite consumatrice globale e una under-class marginalizzata sempre piu' estesa in ogni paese. 7. INCONTRI. GIULIANA SGRENA: ISRAELIANI E PALESTINESI PER LA PACE E LA GIUSTIZIA A FIRENZE [Anche questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2002] La Palestina e' entrata pienamente nel cuore dei no-global e lo si e' visto anche dalla presenza delle bandiere palestinesi alla manifestazione di ieri. Per molti dei partecipanti al forum fiorentino lo era da tempo, da quando hanno cominciato a fare politica e, non a caso, l'eta' dei partecipanti ai dibattiti sul Medioriente era in media superiore a quella di altri appuntamenti. Ma tant'e'. A Genova, poco piu' di un anno fa, di Palestina non si parlava, o quasi. A Firenze invece erano in migliaia ad ad assistere al dibattito "Palestina-Israele: il conflitto, l'Europa, solidarieta' attiva per una pace giusta", coordinato da Alessandra Mecozzi. Erano in migliaia ad ascoltare il noto medico palestinese Mustafa Barghouti (rappresentante di Pingo, il coordinamento delle Ong palestinesi), Fadwa Barghouti, avvocato e moglie di Marwan, che si trova sotto processo in Israele, ma anche di israeliani impegnati da anni contro l'occupazione come Michael Warshawsky, direttore dell'Alternative information center, Yoni Liderman, donna in nero di Bat Shalom, e soprattutto un giovane refusenik, uno dei 500 soldati che si e' rifiutato di andare a servire l'esercito nei territori occupati. Insieme, solidali, per dimostrare che il dialogo e' possibile. Un messaggio forte e sentito trasmesso a una platea emozionata, militante. Un messaggio che chiama in causa anche l'Europa come istituzione, come ha piu' volte sottolineato Ali Rashid, della delegazione palestinese in Italia. E il dibattito era stato introdotto proprio da una eurodeputata, Luisa Morgantini, presidente della delegazione del parlamento europeo per i rapporti con il Consiglio legislativo palestinese, da anni impegnata a favore dei diritti del popolo palestinese. Che, qui a Firenze, ha proposto la costituzione di un comitato di sostegno per i detenuti palestinesi, oltre 8.000, di cui 49 donne e oltre 250 bambini - tenuti in carcere contro ogni convenzione internazionale - come ha denunciato Fadwa Barghouti. Un atteggiamento (la violazione dei diritti umani), quello di Israele, che dovrebbe mettere in discussione l'Accordo di associazione con la UE, tema al centro di una iniziativa che si terra' il 20 novembre a Parigi, organizzata dal comitato Francia-Palestina. E' passato piu' di un anno da Genova, un anno terribile per i palestinesi che hanno visto le loro citta' rioccupate dai carri armati, le sedi dell'autorita' palestinese assediate con all'interno lo stesso presidente Yasser Arafat, i campi profughi, come quello di Jenin, distrutti, gli alberi di ulivo sradicati, le case demolite, migliaia di arrestati. In questi terribili mesi i "disobbedienti" si sono uniti ai militanti di Action for peace da anni impegnati a fianco dei palestinesi insieme agli israeliani che si oppongono all'occupazione e alla politica di Sharon. Firenze, con i suoi seminari, scambi e dibattiti, sara' riuscita se non altro a rafforzare questi legami e pratiche di solidarieta'. Che devono servire ad esercitare una pressione sulle istituzioni, soprattutto quelle europee, affinche' i palestinesi non debbano piu' essere costretti, appena alzati, a telefonare all'apposito numero istituito dalle autorita' militari israeliane per sapere se possono uscire di casa o sono ancora sotto coprifuoco. 8. LUTTI. GUIDO AMBROSINO RICORDA RUDOLF AUGSTEIN [Anche questo articolo riprendiamo dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2002. Guido Ambrosino e' corrispondente del quotidiano dalla Germania. Rudolf Augstein, da poco scomparso, e' stato il fondatore dello "Spiegel", per la cui scuola tutti siamo passati] Domani, come ogni lunedi' da 55 anni a questa parte, sara' in edicola Der Spiegel. Stavolta vendera' piu' del solito milione di copie, che ne fanno il maggior settimanale tedesco, il piu' grande in Europa. Sara' un numero speciale dedicato a Rudolf Augstein, ma senza di lui. Il fondatore della testata e' morto il 7 novembre, due giorni dopo aver compiuto 79 anni. Der Spiegel significa "lo specchio": si e' imposto riflettendo quella modernizzazione della politica e del costume che ha ora trovato un provvisorio approdo nel governo rosso-verde. E che prima si era espressa nella coalizione social-liberale di Willy Brandt, il cancelliere della Ostpolitik che voleva "osare piu' democrazia". Col senno del poi si potrebbe dire che lo Spiegel e' andato con la corrente. A leggerlo negli ultimi tempi irritano le sue prediche liberiste, l'ossessione che la Germania vada emancipata dai lacci della regolamentazione corporativa e dello stato sociale. Gia' nel 1962 Hans Magnus Enzensberger criticava l'"ideologia" dello Spiegel, riconducendola a "una scettica saputaggine, che di tutto dubita tranne che di se stessa". Il rischio di ridursi a megafono del trend dominante e' certo piu' forte oggi, per un settimanale divenuto istituzione. Ma l'ascesa della testata fu piuttosto dovuta alla capacita' di Augstein di farne uno specchio focale, che concentrava l'attenzione sui punti deboli del potere anche quando erano in sella governi "amici", organizzava l'opinione pubblica liberal, la guidava. "Nel dubbio a sinistra", diceva Augstein, che pero' di dubbi ne aveva pochi. Dalla famiglia cattolica si era emancipato con un intransigente laicismo. Dall'esperienza del nazismo aveva imparato a non mettersi sull'attenti di fronte alle autorita', nemmeno a quella d'occupazione britannica che gli aveva dato la licenza per lo Spiegel. Augstein e' stato in realta' un "nazionalliberale", che vedeva nell'appiattimento occidentale di Adenauer una rinuncia alla riunificazione. E che nel 1989 ha caldeggiato la sbrigativa annessione della Rdt, contro i dubbi di chi avrebbe preferito una fusione dal basso. Riferendosi alla sua campagna contro il bigottismo di Adenauer, Augstein defini' lo Spiegel "il cannone d'assalto della democrazia". Fatta la tara dalle esagerazioni, il settimanale fu davvero un organo di battaglia politica contro la "democratura", la dittatura in forme democratiche del patriarca renano. La polemica divento' scontro aperto nel 1962, quando la polizia arresto' undici membri della redazione e ne occupo' i locali a Amburgo. L'accusa era di "tradimento della patria", che sarebbe stato consumato rivelando "segreti di stato". Lo Spiegel aveva scritto in un resoconto sulla manovra militare Fallex che la Bundeswehr non era in grado di reggere con armi convenzionali a un'invasione dall'est. E aveva denunciato che il ministro della difesa Strauss puntava a compensare questa debolezza dotando l'esercito di artiglieria atomica, con proiettili che avevano l'inconveniente di ricadere davanti al naso di chi li lanciava. Lo scenario della manovra aveva messo in conto la morte di 15 milioni di tedeschi. Augstein trionfo', dopo 103 giorni di prigione. Cadde invece Strauss. Il ministro della difesa, che aveva tirato le fila della vendetta poliziesca, aveva mentito al parlamento, negando di aver avuto un ruolo nella vicenda. Quando la menzogna fu smascherata, fu costretto a dimettersi. Anche il cancelliere Adenauer si ritiro' nell'ottobre del '63. Strauss, azzoppato dalle bordate pubblicistiche di Rudolf Augstein, dovette rinunciare all'ambizione di succedergli. E questa fu la piu' bella soddisfazione nella vita del cannoniere-giornalista. 9. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI GILLES DELEUZE [Riproduciamo qui una bibliografia delle opere apparse in volume di Gilles Deleuze, riprendendola dall'assai piu' ampia bibliografia (cui rinviamo per l'indicazione di articoli, prefazioni e postfazioni, interventi a convegni e interviste) a cura di Fabio Polidori con la collaborazione di Giuliano Antonello e Roberto Sieni, apparsa nelle pp. 173-184 del volume monografico della rivista filosofica "aut aut", n. 276 del novembre-dicembre 1996, interamente dedicato a "Gilles Deleuze. L'invenzione della filosofia". Gilles Deleuze (1925-1995) e' stato uno dei pensatori francesi piu' influenti degli scorsi decenni] - Empirisme et subjectivite', P. U. F., Paris 1953; trad. di M. Cavazza, Empirismo e soggettivita'. Saggio sulla natura umana secondo Hume, Cappelli, Bologna 1981. - Instincts et institution. Textes choisies (a cura di G. D.), Hachette, Paris 1955. - Nietzsche et la pbilosophie, P. U. F., Paris 1962; trad. di S. Tassinari, con intr. di G. Vattimo, Nietzsche e la filosofia, Colportage, Firenze 1978; nuova trad. di F. Polidori, con intr. di M. Ferraris e postazione di F. Polidori, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992. - La philosophie critique de Kant. Doctrine des facultes, P. U. F., Paris 1963; trad. di M. Cavazza con intr. di E. M. Forni, La filosofia critica di Kant. Dottrina delle facolta', Cappelli, Bologna 1979. - Proust et les signes, P. U. F., Paris 1964, 1970 (II ed.); trad. di C. Lusignoli e D. De Agostini, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 1986 (II ed.). - Nietzsche, P. U. F., Paris 1965; trad. a cura di F. Rella, Nietzsche. Con antologia di testi, Bertani, Verona 1977. - Le bergsonisme, P. U. F., Paris 1966; trad. di F. Sossi, Il bergsonismo, Feltrinelli, Milano 1983. - Presentation de Sacher-Masoch. Le froid et le cruel, Minuit, Paris 1967; Grasset, Paris 1971; trad. di M. de Stefanis, Masochismo e sadismo, Iota, Milano 1973; Presentazione di Sacher-Masoch, Bompiani, Milano 1978; nuova trad. di G. Da Col, Il freddo e il crudele, ES, Milano 199 l. - Spinoza et le probleme de l'expression, Minuit, Paris 1968. - Difference et repetition, P. U. F., Paris 1968; trad. di G. Guglielmi con intr. di M. Foucault, Differenza e ripetizione, il Mulino, Bologna 1971; nuova trad. Cortina, Milano, di prossima pubblicazione. - Logique du sens, Minuit, Paris 1969; trad. di M. de Stefanis con una "Nota dell'autore per l'edizione italiana", Logica del senso, Feltrinelli, Milano 1975. - Spinoza. Philosophie pratique, P. U. F., Paris 1970; Minuit, Paris 1981; trad. e postfazione di M. Senaldi, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e Associati, Milano 1991. - Francis Bacon. Logique de le sensation, La Difference, Paris 1981, 1984 (II ed.), 2 voll.; trad. di S. Verdicchio, Francis Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata 1995. - Cinema l. L'image-mouvement, Minuit, Paris 1983; trad. di J.-P. Manganaro, L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984. - Cinema 2. L'image-temps, Minuit, Paris 1985; trad. di L. Rampello, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989. - Foucault, Minuit, Paris 1986; trad. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Foucault, Feltrinelli, Milano 1987. - Le pli. Leibniz et le Baroque, Minuit, Paris 1988; trad. di V. Gianolio, La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino 1990. - Pericles et Verdi. La philosophie de Francois Chatelet, Minuit, Paris 1988. - Pourparlers. 1972-1990, Minuit, Paris 1990. - Critique et clinique, Minuit, Paris 1993; trad. Cortina, Milano, di prossima pubblicazione. * Con Felix Guattari: - L'Anti-Oedipe. Capitalisme et schizophrenie, Minuit, Paris 1972; trad. e intr. di A. Fontana, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, Einaudi 1975. - Kafka. Pour une litterature mineure, Minuit, Paris 1975; trad. di A. Serra, Kafka. Per una letteratura minore, Feltrinelli, Milano 1975. - Rhizome (introduction), Minuit, Paris 1976, ripreso in Mille plateaux; trad. di S. Di Riccio con pref. di J. Risset, Rizoma, Pratiche, Parma-Lucca 1977. - Mille plateaux. Capitalisme et schizophrenie, Minuit, Paris 1980; trad. di G. Passerone con una "Prefazione per l'edizione italiana", Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987, 2 voll. - Qu'est-ce que la philosophie?, Minuit, Paris 1991; trad, di A. De Lorenzis a cura di C. Arcuri, Che cos'e' la filosofia?, Einaudi, Torino 1996. * Con altri: - G. Deleuze e A. Cresson, Hume, sa vie, son oeuvre avec un expose' de sa philosophie, P. U. F., Paris 1952. - G. Deleuze e C. Pamet, Dialogues, Flammarion, Paris 1977, 1996 ; trad. di G. Comolli, Conversazioni, Feltrinelli, Milano 1980. - C. Bene e G. Deleuze, Sovrapposizioni, trad. di J.-P. Manganaro, Feltrinelli, Milano 1978. - G. Deleuze e G. Agamben, Bartleby. La formula della creazione, trad. di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 1993. * Testi in opere collettive: - Bergson, in M. Merleau-Ponty (a cura di), Les philosophes celebres, Mazenod, Paris 1956. - AA. VV., H. Bergson. Memoire et vie. Textes choisis, P. U. F., Paris 1963. - AA. VV., Spinoza. Etudes et textes choisis, P. U. F., Paris 1970. - M. Foucault (a cura di), L'assassinat de George Jackson, "Groupe d'information sur les prisons", Gallimard, Paris 1971, trad. di M. Gregorio, L'assassinio di George Jackson, Feltrinelli, Milano 197 l. - Hume, in F. Chatelet (a cura di), Histoire de la philosophie, Hachette, Paris 1972, vol. IV; trad. Storia della filosofia, Rizzoli, Milano 1976, vol. IV. - A quoi reconnait-on le structuralisme?, ivi, 1973, vol. VIII; trad. Da che cosa si riconosce lo strutturalismo?, ivi, vol. VIII. - Grande Encyclopedie des homosexualites, "Recherches", marzo 1973. - Les plages d'immanence, in M. Gandillac, L'art des confins, P. U. F., Paris 1985. - A. Grillo (a cura di), A partire da Foucault. Studi su potere e soggettivita', La Zisa, Palermo 1993. 10. RILETTURE. SHEILA ROWBOTHAM: DONNE, RESISTENZA E RIVOLUZIONE Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976, 1977, pp. VIII + 320. Il movimento di liberazione delle donne dal Seicento al Novecento nell'analisi della grande studiosa inglese. 11. RILETTURE. SHEILA ROWBOTHAM: ESCLUSA DALLA STORIA Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 272. Ricerche e analisi sull'oppressione della donna in Inghilterra dagli esordi del capitalismo agli anni trenta del Novecento. 12. RILETTURE. "NUOVA DWF - DONNAWOMANFEMME" N. 14/1980 "Nuova dwf - donnawomanfemme" n. 14/1980, pp. 190. Volume monografico su "Femminismo/socialismo, partiti/movimento", dedicato alla discussione con Sheila Rowbotham. 13. L'ABBECEDARIO INGENUO DI TRICOTILLO SMANICONI: DISOBBEDIENTI C'e' un'ideologia dietro questa parola, ed essa si chiama: subalternita'. Poiche' definire come centrale nella propria azione e persino nella propria autorappresentazione il mero disobbedire implica la delega ad altri di condurre il gioco, di ordinare la societa', di stabilire le regole, di decidere i fini. E invece no: se dalla Resistenza una lezione ci e' venuta, se dal movimento delle donne una lezione ci e' venuta, se insomma dalle piu' grandi e decisive esperienza della nonviolenza in cammino una lezione ci e' venuta, essa e' la seguente: rompere la complicita', uscire dalla subalternita', assumere responsabilita', elaborare ed agire un programma costruttivo di trasformazione sociale e di gestione dei conflitti; non accettare piu' il discorso dominante e l'ordine oppressivo di cui costituisce il correlato ideologico e il repertorio simbolico; ed altro discorso, altra prassi, altro sguardo, altro cammino proporre. Limitarsi al disobbedire, e peggio farne un totem novello, ci si permetta di dirlo, e' cosa da fanciulli da romanzi per la piccola borghesia ottocentesca, ha sentore di paternali e sculaccioni. Quel che occorre e' invece la nonviolenza delle e dei forti. La nonviolenza delle e dei forti, la lotta piu' limpida e piu' intransigente contro tutte le violenze: era questo che intendeva Lorenzo Milani quando affermava che l'obbedienza non e' piu' una virtu'; chi invece elabora e promulga e propugna una ideologia della mera disobbedienza, ahime', si pone agli antipodi del messaggio di Barbiana, e di Rosa Luxemburg, e di Dietrich Bonhoeffer. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 414 del 13 novembre 2002
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