[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 413
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 413
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 11 Nov 2002 20:20:42 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 413 del 12 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: note per il futuro, visto che ci sara' 2. Davide Melodia, speranza da Firenze 3. Jacqueline Russ, una comunita' senza confini 4. Giuseppe Barone: nonviolenza, utopia e progetto in Danilo Dolci 5. Isabella Camera d'Afflitto, le rose purpuree del Cairo 6. Emanuel Anselmi, un omaggio a Lelio Basso 7. Una bibliografia delle opere di Vladimir Jankelevitch 8. Riletture: Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto pubblico 9. Riletture: Ada Marchesini Gobetti, Educare per emancipare 10. Riletture: Olive Schreiner, 1899 11. Riletture: Mariana Yonusg Blanco, Io nasco donna, e basta 12. L'abbecedario ingenuo di Tricotillo Smaniconi: maschilismo 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. OGGI. LIDIA MENAPACE: NOTE PER IL FUTURO, VISTO CHE CI SARA' [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per averci trasmesso questo importante testo sulle forme politiche che un movimento che colleghi le varie esperienze di impegno per la globalizzazione della pace e dei diritti dovrebbe discutere e potrebbe darsi; testo presentato a conclusione del piu' recente incontro dalla Convenzione di Donne contro le guerre. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nei movimenti e nell'azione politica, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci più significative della cultura delle donne, dei movimenti di liberazione e di solidarieta', per la pace e i diritti. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] La prima cosa che vogliamo dire e': quel che e' successo, quello che abbiamo fatto succedere a Firenze e' di aver dato un futuro al movimento politico che possiamo intitolare ormai "Un altro mondo e' possibile". Non era scontato, molte circostanze dovevano venire a maturazione ed e' successo: una cosa grande, bella, una felicita' politica. Lasciando ad espressioni piu' personali alcuni rilievi critici, vorremmo ora contribuire - nella nostra qualita' di portavoce della "Convenzione permanente di donne contro le guerre" - ad alcune considerazioni sulla forma politica del movimento, sulla formazione della rappresentanza e sul modo di raggiungere decisioni. Sappiamo quanto sia difficile trovare le forme adeguate a un movimento di tale portata e novita'. La prima osservazione che facciamo e': un movimento non puo' adattare a se' le forme che sono tipiche di altre storie politiche, di altri modi di organizzazione. Noi conosciamo quella straordinaria invenzione della politica che e' stato il partito - massimamente il partito di massa - e ci e' difficile a nostra volta inventare qualcosa di altrettanto efficace significativo democratico e capace di autorappresentarsi. Tuttavia e' cio' che dobbiamo fare, per non mettere il nostro vino nuovo in otri vecchi che o lo manderebbero in aceto o creperebbero. Il partito politico ha una base certa (gli e le iscritte), un luogo di riconoscimento forte (sede simbolo bandiera), un metodo di formazione delle decisioni (congresso, elezione del gruppo dirigente e dell'organismo politico, tesi che indicano entro quali ambiti il gruppo dirigente puo' prendere decisioni: il tutto formato in uno statuto). Il movimento politico, massimamente un movimento molteplice, espressione di una societa' complessa, non ha una base certa, poiche' le sue varie componenti hanno modi diversi di costruire le adesioni; potrebbe avere un luogo di riconoscimento forte se tutte le sue componenti (mantenendo il proprio nome, sede, simboli, linguaggi, forme, ambiti di azione, etc.) convenissero nel dirsi aderenti o componenti di "Un altro mondo e' possibile". Resta molto difficile indicare un modo di formare decisioni. Proviamo o a dire che debbono essere diversi i tempi e i modi: non si puo' riassumere un evento come Firenze (ma gia' prima Pechino, Seattle, Genova, Porto Alegre, etc.) in un breve testo in parte prescritto, in interventi di necessita' stringatissimi. Cio' non da' voce alle peculiarita' del movimento. Proponiamo di dare un andamento narrativo alle nostre decisioni lasciando indicazioni aperte, dato che la stessa meta puo' essere raggiunta con strade differenti, passo diverso, andamento specifico: usa - in alcune sedi femministe - dare conto dei congressi narrandoli e prendere decisioni scambiandosi opinioni anche dopo il congresso. Per fare un esempio: a Firenze si sarebbe potuto decidere di indicare un gruppo redazionale, cui far arrivare aggiunte, emendamenti, osservazioni al testo base proposto; il gruppo nel giro di alcuni giorni racconta come le cose sono andate e quali indicazioni di cammino e quali mete vengono indicate; il materiale viene mandato a tutti e tutte quelli e quelle che erano a Firenze, che tassativamente debbono replicare nel giro di altri pochi giorni. Tutto cio' oggi e' possibile e poco costoso con la comunicazione elettronica. Due settimane dopo la conclusione dei lavori si puo' ridestare l'interesse dei media (perche' il movimento non scompaia dalle notizie) chiamandoli a sentire come ci presentiamo e come vogliamo andare avanti. Tutto cio' ci farebbe uscire anche dalle forme un po' autoritarie di comunicazione che erano tipiche (e forse necessarie) dei partiti e sindacati nelle societa' poco scolarizzate e dovendo usare la posta scritta, e ci farebbero capaci di inventare un linguaggio politico che ha il timbro della comunicazione parlata quotidiana. Per il gruppo dirigente si dovrebbe fare a rotazione strettamente, nel senso che anche le varie componenti ruotino al loro interno. Poiche', nonostante una cospicua presenza di donne, il movimento italiano appare il piu' squilibrato nella rappresentanza di genere ai livelli decisionali e di apparizione esterna, norma tassativa dovrebbe essere per alcuni anni la quota di genere (meta'). 2. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: SPERANZA DA FIRENZE [Ringraziamo Davide Melodia (per contatti: melody at libero.it) per averci inviato questo appassionato appello. Davide e' una delle figure piu' vive della nonviolenza in Italia; infaticabile costruttore di pace, e' nato a Messina nel 1920; prigioniero di guerra nel 1940-46; maestro elementare, pastore evangelico battista, maestro carcerario, traduttore al quotidiano "Il Giorno", pittore, consigliere comunale e provinciale, dirigente dei Verdi; pacifista nonviolento, segretario del Movimento Nonviolento (1981-83), segretario della Lega per il Disarmo Unilaterale (1979-83), membro del Movimento Internazionale della Riconciliazione, vegetariano, predicatore evangelico, dal 1984 quacchero. Ma questa mera elencazione di alcune sue scelte ed esperienze non ne rende adeguatamente la personalita', vivacissima e generosa. L'ultimo suo libro e': Introduzione al cristianesimo pacifista, Costruttori di pace, Luino (Va) 2002 (in questi giorni sono in corso iniziative di presentazione in varie citta' d'Italia)] Dalla manifestazione del Social Forum di Firenze e oltre, una fonte di speranza. In un periodo di ambascia, di guerre e minacce di guerra, l'Inconscio dei singoli esseri umani, che umani e vivi vogliono restare, e l'inconscio del popolo, ha suonato la "diana", e la migliore gioventu' e' accorsa a gridare Pace! Pace! Pace! e Giustizia! Giustizia! Giustizia! Le masse che vi hanno partecipato lietamente, non rinchiuse nelle gabbie dei partiti, devono restare libere, ma vanno nutrite di cultura e di prassi nonviolenta. I pacifisti che gia' se ne giovano hanno davanti a se' un grande ed epocale compito da svolgere, con la parola e con l'esempio, fra queste giovani forze, prima che avvoltoi partitici, detrattori e guastatori amanti della violenza, e guerre mentecatte le facciano cadere nell'egoismo, nell'indifferenza, nella delusione. La speranza deve tradursi in realta'. La diana e' suonata anche per noi. 3. RIFLESSIONE. JACQUELINE RUSS: UNA COMUNITA' SENZA CONFINI [Da Jacqueline Russ, L'etica contemporanea, Il Mulino, Bologna 1997, p. 76. L'autrice e' docente di filosofia, e dirige per l'editore Colin un corso di storia della filosofia in piu' volumi] Ma Jonas ci insegna anche che noi tutti dobbiamo rispondere della umanita' futura. Accanto alla comunicazione, l'idea di responsabilita' partecipa di questa fondazione contemporanea dell'etica: si delinea cosi' quella comunita' senza confini di cui facciamo parte e si supera l'etica classica, attraverso la spiegazione degli atti linguistici e del senso dell'esistenza della umanita' futura. 4. MEMORIA. GIUSEPPE BARONE: NONVIOLENZA, UTOPIA E PROGETTO IN DANILO DOLCI [Rigraziamo Giuseppe Barone (per contatti: ester.paone at cirass.unina.it) per averci messo a disposizione anche questo suo articolo, gia' pubblicato - con il titolo L'eredita' di Danilo: nonviolenza, utopia, progetto - su "Azione nonviolenta", anno XXXVI, n. 12, del dicembre 1999. Giuseppe Barone e' uno dei piu' importanti studiosi dell'indimenticabile Danilo, di cui ha curato tra l'altro una eccellente bibliografia ragionata: La forza della nonviolenza, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000. Per una essenziale biografia di Danilo Dolci rinviamo al n. 409 del nostro notiziario] E' stato triste, per quanti hanno avuto l'opportunita' di collaborare con Danilo Dolci, particolarmente negli ultimi anni del suo straordinario percorso intellettuale e umano, leggerne sulla stampa, nella dolorosa occasione della scomparsa, un ritratto assolutamente irriconoscibile. I giornali, salvo poche importanti eccezioni, hanno descritto un intellettuale stanco e deluso, "appartato nella sua casa a Trappeto", un isolato costretto a lavorare "a lume di candela, perche' non era piu' riuscito a pagare la bolletta", "una bandiera che da tempo aveva cessato di sventolare". E' legittimo - ovviamente - avere opinioni diverse sul significato e sugli esiti dell'opera di Danilo Dolci, ma e' inaccettabile mistificare la realta' in questi termini. Tutt'altro che "autoconfinatosi nel paese di Partinico", Dolci viaggiava moltissimo in Italia e ancor piu' all'estero. Presso scuole e associazioni hanno lavorato con lui migliaia e migliaia tra studenti, docenti, persone di ogni tipo interessate alle sue proposte. Ricordo suoi recenti viaggi in India, in Cina, negli Stati Uniti, in Canada, nell'America Latina, invitato da universita', gruppi, centri, riviste. Ogni anno, fino alla sua morte, si e' tenuto un seminario di collaboratori provenienti da ogni parte d'Italia e dall'estero. Numerosissimi i riconoscimenti assegnatigli, e tra questi il Premio Gandhi in India nel 1989 e la laurea honoris causa in Scienze dell'Educazione dell'Universita' di Bologna nel 1996. Tutt'altro che "scettico sulle possibilita' di cambiamento", Dolci continuava a dedicare la vita ad analizzare la crisi dei nostri tempi e a cercare possibili alternative, pure consapevole della difficolta' di questo tentativo. Numerosi libri, in buona misura ancora tutti da indagare, lo documentano in maniera puntuale. Ancora pochi giorni prima di morire, anche se gravemente provato nel fisico, meditava nuove iniziative e inviava appunti ai collaboratori. E' vero: non utilizzava piu' i mezzi "clamorosi" degli anni Cinquanta e Sessanta, ma solo perche' non li riteneva utili, idonei al nuovo impegno, prevalentemente educativo. Altra era l'urgenza dettata dal degrado estremo delle condizioni di vita nella Sicilia del secondo dopoguerra, dai pescatori e dai contadini che - letteralmente - morivano di fame. Il titolo di uno dei primi volumi, pubblicato nel 1954 dall'editore De Silva, e' fin troppo esplicito: Far presto (e bene) perche' si muore. Il lavoro piu' recente, non meno importante, richiedeva strumenti diversi, meno "spettacolari", poco adatti probabilmente alle prime pagine dei giornali. Nessuno si e' chiesto come mai il 31 dicembre 1997, ultimo giorno dell'anno, giungevano a Trappeto da ogni parte del paese, per tributargli un estremo saluto, migliaia di persone che lo conoscevano, lo leggevano, avevano lavorato con lui, curandosi poco del silenzio cui l'aveva condannato il mondo della cultura e dell'informazione "ufficiali" (non tutto, certo, ma quasi), forse per il suo essere figura scomoda, fuori dagli schemi, non asservita a nessun interesse; o forse perche' il senso del suo lavoro non si poteva riassumere in trenta secondi di intervista televisiva o in dieci righe di quotidiano. Credo sarebbe utilissimo cercare di spezzare il disinteresse colpevole che ha riguardato l'opera di Danilo Dolci dagli anni Settanta in poi. * In numerose occasioni e' stata evidenziata la componente utopistica del lavoro di Danilo Dolci e non e' mia intenzione negare la forza con la quale il suo sguardo si orientava verso il futuro. Mi pare essenziale, tuttavia, qualche puntualizzazione. In che senso e con quali limiti possiamo definire Dolci un utopista? E, prima ancora: di quale utopia stiamo parlando? Un conto e', infatti, la sacrosanta diffidenza nei confronti di ideologie palingenetiche, che pretendano di edificare dal nulla mondi nuovi e perfetti, salvo poi generare nelle loro incarnazioni storiche regimi totalitari e sanguinari; un altro la resa incondizionata all'idea che la storia sia finita, che non vi sia spazio per alcuna innovazione, equivocando per leggi eterne e universali meri accidenti dell'epoca attuale. Il rischio, insomma, e' quello di bollare come utopistica qualsiasi proposta di cambiamento dello status quo, qualsiasi atteggiamento che non sia di remissiva accettazione dell'ineluttabilita' delle umane cose, qualsiasi voce fornita di un accento personale che provi a distinguersi dal brusio di fondo, evitando di entrare nel merito delle proposte e delle argomentazioni. Non era forse utopistico anche solo immaginare nell'Italia e nella Sicilia del secondo dopoguerra di poter impegnare una battaglia contro la mafia e i politici ad essa organici con le armi della nonviolenza, appellandosi al senso civico e alla volonta' di riscatto dei cittadini? E non era utopistico scommettere sulla rinascita civile, democratica ed economica di una delle aree piu' povere e arretrate del paese e dell'intero Occidente, favorendo lo sviluppo della cultura cooperativa? Nel 1956, il pubblico ministero di uno dei numerosi processi subiti da Dolci aveva parlato di "fanatismo mistico". Pochi anni dopo, molti benpensanti, combattuti tra il fastidio e la derisione, pontificavano: "Non si costruiscono dighe con i digiuni", mentre il Centro Studi e Iniziative avviava la lunga e complessa battaglia per la costruzione della diga sul fiume Jato, per dare a tutti "acqua democratica". Quella diga, come noto, e' stata edificata, con i digiuni, la mobilitazione popolare, il coinvolgimento di migliaia e migliaia di cittadini, consentendo uno sviluppo economico che nessuno avrebbe potuto prevedere e strappando dalle mani dei mafiosi il monopolio della scarsa acqua prima disponibile. Quando Franco Marcoaldi gli chiede se si ritenga un utopista, Dolci risponde: "Sono uno che cerca di tradurre l'utopia in progetto. Non mi domando se e' facile o difficile, ma se e' necessario o no. E quando una cosa e' necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sara' realizzata. Cosi' come realizzammo la diga di Jato, per la semplicissima ragione che la gente di qui voleva l'acqua". Individuare modalita' concrete affinche' il sogno possa farsi progetto: mi pare questa una possibile chiave di lettura della vita e dell'opera di Danilo Dolci. Alla base di questo sforzo non un vago impeto volontaristico, ma un serio, continuo, approfondito lavoro di ricerca. Nessuna delle grandi battaglie di Dolci e' figlia dell'improvvisazione. Non sono un caso le ricerche condotte con metodo sociologico, l'accurata raccolta di documentazione antimafia, il modo scientifico di affrontare la lettura dei problemi, il coinvolgimento nella stesura dei progetti di grandi esperti italiani e mondiali delle discipline piu' diverse. E' senz'altro inusuale, e nel contempo molto significativo, il numero di uomini di scienza che, in tempi diversi, hanno collaborato con Danilo Dolci. Tra i tanti voglio ricordare i nomi di Lucio Lombardo Radice, Jean Piaget, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Giuliano Toraldo di Francia, Luca Cavalli Sforza. Riferendosi al Dolci scrittore, ma esprimendo un giudizio che credo possa avere una valenza piu' generale, Cesare Zavattini ha scritto: "La poesia e' in atto gia' nei fatti e nella vita di Danilo. E' il solo della nostra generazione che ha saputo ridurre al minimo la terra di nessuno esistente tra la vita e la letteratura". Dolci ha sempre attribuito molta importanza alle parole, al loro significato, all'uso che ne facciamo. Allora, se proprio di utopia vogliamo parlare, quella di Dolci non e' mai stata - per riferirci alla disputa ancora aperta sull'origine del vocabolo - sogno di un luogo che non esiste e non puo' esistere, vagheggiamento di un mondo impossibile, ma ricerca - costante, attiva, intensa - di una possibile eutopia, di un mondo migliore, alla cui realizzazione tutti possiamo - dovremmo - aspirare e partecipare. Senza mai trovare rifugio nell'astrazione, l'intera sua opera - sociale, politica, poetica, educativa - e' stata vigorosamente orientata alla concretezza. * Nel corso degli anni, la riflessione di Danilo Dolci e' andata via via approfondendosi. I temi della sua elaborazione piu' recente sono stati la distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, la critica della Modernita', l'allarme rispetto alle societa' contemporanee i cui cittadini sono considerati - e trattati - come massa, lo studio delle caratteristiche e delle potenzialita' della struttura maieutica, la critica della cosiddetta "comunicazione di massa" che, come dimostra efficacemente Dolci, non esiste. Un'analisi assolutamente coerente, ma anche complessa, articolata, approfondita; originale nel suo insieme, ma che trova - mi pare - copiosi echi e riferimenti in importanti autori contemporanei. Tra i tanti che potremmo enumerare, mi sembrano evidenti i punti di contatto con le opere di Habermas, Gadamer, Capitini, Chomsky, Erikson, Mumford, Bloch, Arendt, Jaspers, Prigogine, Laszlo. In nessun momento, pero', malgrado l'ampliarsi della ricerca, Dolci ha smesso di guardarsi intorno e operare nei piu' diversi ambiti ai quali si e' di volta in volta rapportato. Prima che per altri diventasse uno slogan, Dolci ha saputo pensare globalmente, agire localmente. Peraltro, mi pare, che mirare a obiettivi non immediati, piu' ardui - pure provvisori, in continuo divenire - sia essenziale per non smarrire il senso della direzione del nostro agire. Affinche' i nostri atti non si risolvano in un insieme caotico di gesti, le nostre iniziative non ci risultino un puro agitarsi senza prospettive. Se tutti concordiamo nel denunciare i rischi determinati dalla massificazione, dall'omologazione, dall'appiattimento di coscienze e culture, nel riconoscere la necessita' di salvaguardare quello straordinario patrimonio dell'umanita' costituito dalle nostre differenze, bisognera' pur sforzarsi di individuare degli strumenti, delle strade. La denuncia - certo - e' importante, ma non risolve. "Non basta dire solo no", risponde Dolci a un giornalista che gli chiede un giudizio sul valore dell'obiezione di coscienza. "Cio' che e' essenziale e' produrre alternative. Il lavoro preventivo e' un lavoro per la salute; dire solo di no e' intervenire gia' nella malattia, nella nevrosi". Non ci occorrono formule magiche o verita' rivelate, ma la capacita' di ricercare delle ipotesi e di verificarle. Dolci ha sempre sottolineato che il suo lavoro iniziava un percorso, non lo concludeva. * Sin dal suo arrivo, nel 1952, nelle poverissime terre della Sicilia occidentale, Dolci non si atteggia a detentore di verita', non si presenta come un guru venuto a dispensare ricette, a insegnare come e cosa pensare. E' convinto che le forze necessarie al cambiamento si possano trovare nelle persone piu' avvertite del luogo; che non vi possa essere alcun riscatto che non muova da una presa di coscienza dei diretti interessati. Sa quanto sia essenziale, per la riuscita di un'impresa, che ciascuno la senta propria: i progetti migliori, sulla carta piu' efficaci, falliscono se, calati dall'alto, sono avvertiti estranei, ostili. Per questo il metodo maieutico non e' un dettaglio, un accidente o, peggio, una scelta eccentrica: e' necessario alla riuscita di un programma come quello di Dolci veramente rivoluzionario e nonviolento. "Un cambiamento", sostiene Dolci, "non avviene senza forze nuove, ma queste non nascono e non crescono se la gente non si sveglia a riconoscere i propri interessi e i propri bisogni". Alcuni bellissimi libri documentano le riunioni dei primi anni, dove i contadini e i pescatori imparano a lavorare insieme, a interrogarsi, a individuare i problemi e a cercare possibili risposte. Scoprono cosi' di non essere oggetti sottoposti all'arbitrio e alla violenza di pochi criminali, ma di poter partecipare attivamente a scegliere e determinare il proprio futuro. Ancora Danilo Dolci, a proposito della diga di Partinico: "E' sempre un'azione educativa quella che crea forze nuove e porta al cambiamento. Da principio c'erano decine di migliaia di persone che vivevano come atomizzate ed erano completamente in balia di trenta malviventi comandati dal boss mafioso Frank Coppola. Quando abbiamo capito che i contadini volevano l'acqua, non abbiamo fatto comizi, ma parlando con la gente abbiamo cominciato a chiedere chi voleva l'acqua e poi a organizzare quelli che la volevano. Senza chiacchiere i contadini hanno capito che dovevano imparare a mettersi insieme e a organizzarsi". Solo con molto ritardo e' stata compresa appieno l'insufficienza dell'azione repressiva per sconfiggere la criminalita' organizzata, la necessita' di far maturare nella societa' civile un forte senso di estraneita' e ostilita' verso il sistema clientelare-mafioso. Ebbene, nella Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta, quando persino per tanti rappresentanti dello Stato la mafia neppure esisteva, Dolci riesce a organizzare migliaia di cittadini in un solidissimo fronte antimafia. In occasione delle denunce di collusione con la criminalita' organizzata rivolte a Bernardo Mattarella, allora ministro, e Calogero Volpe, sottosegretario, oltre cento persone accettano di sottoscrivere, esponendosi direttamente, testimonianze circostanziate. La storia, lo sappiamo bene, non e' fatta di ipotesi, eppure sono evidenti le responsabilita' di una classe politica e anche di una magistratura che, invece di sostenere un movimento che avrebbe potuto anticipare di alcuni decenni l'inizio di una piu' efficace e incisiva lotta alla mafia, tentarono di isolare e spegnere il fenomeno, fino all'incredibile condanna inflitta a Danilo Dolci e al suo collaboratore Franco Alasia a due anni di reclusione per il reato di diffamazione. Qualche anno prima un altro giudice lo aveva descritto come un soggetto fornito di una "spiccata capacita' a delinquere". * Anche quando, nell'ultima fase della sua opera, Dolci si concentra particolarmente sul lavoro educativo, sviluppando e approfondendo un tema essenziale dell'intero suo percorso, il metodo seguito e' lo stesso: partire dai bisogni dei diretti interessati - i bambini, le famiglie - per costruire una scuola nuova, che non sia piu' una scuola ma un centro educativo. Per far cio' Dolci visita centinaia e centinaia di centri attivi in Italia e nel mondo (dagli USA all'America Latina alla Russia), raccoglie documentazione, stabilisce un dialogo fittissimo con i maggiori esperti di educazione al mondo e con l'Unesco. Il nuovo Centro educativo di Mirto, del quale persino la collocazione geografica era stata discussa nel corso delle usuali riunioni con la gente del luogo, nasce con un gruppo di collaboratori e consulenti davvero straordinario: Paulo Freire e Johan Galtung, Ernesto Treccani e Paolo Sylos Labini, Bruno Zevi e Gastone Canziani, Gianni Rodari e Italo Calvino, Mario Lodi e Aldo Visalberghi. Ma oltre che nel Centro di Mirto, che dovra' purtroppo fare i conti con la burocrazia e i mille ostacoli opposti dalle istituzioni locali e nazionali, il nuovo metodo educativo viene messo a punto nel corso dei sempre piu' frequenti seminari che Dolci e' invitato a tenere in Italia e nel mondo. * Ricordo anch'io con enorme emozione, per quello che la mia testimonianza puo' valere, la prima esperienza di seminario con Dolci: Danilo, come voleva che ciascuno lo chiamasse. La sua capacita' di parlare poco e ascoltare molto. Le domande che poneva, spesso scarne, essenziali, che scuotevano l'intelligenza e la coscienza, impegnavano a un lavoro di scavo e di ricerca in se stessi. Disposti in circolo, tutti, a turno, intervenivano. Ciascuno chiariva il personale punto di vista, arricchendosi di quello altrui, in un clima di ascolto e rispetto reciproco. Sovente i contributi piu' profondi e importanti venivano da quanti la scuola aveva sbrigativamente bollato svogliati, distratti, incapaci. Lentamente tornavamo in possesso della nostra capacita' critica e progettuale, sentivamo risvegliarsi la nostra creativita': una sorgente di idee e di bisogni, che altri ci avevano insegnato a reprimere e spegnere. Di nuovo: un'utopia? Quanti hanno avuto l'occasione di lavorare con Danilo Dolci, anche solo episodicamente, sanno che la struttura maieutica, di cui egli parlava e scriveva, non era una favola bella, ma qualcosa di estremamente concreto. In anni piu' recenti, con diversi educatori attenti alla sua esperienza, Dolci promuove la nascita di numerosi laboratori maieutici, che ancor oggi rappresentano una realta' viva, molto piu' ampia di quanto si possa credere e che meriterebbe, forse, di essere meglio conosciuta e studiata. * Sarebbe auspicabile, piu' in generale, una rilettura complessiva e piu' attenta dell'opera di Danilo Dolci. Non solo per rendere giustizia a questa eccezionale figura di educatore, poeta, operatore sociale, nei cui confronti il nostro paese, e il Meridione in modo particolare, hanno maturato un debito enorme, ma soprattutto perche' i temi che hanno interessato il suo percorso intellettuale e ne hanno caratterizzato la vita erano e sono essenziali per il nostro futuro: l'impegno per la realizzazione di una democrazia autentica e non solo formale, la valorizzazione degli individui alternativa alla massificazione, la promozione della libera ricerca individuale e di gruppo contro ogni dogma, la pratica dell'azione nonviolenta come superamento - nel secolo di Auschwitz e Hiroshima, ma anche di tante rivoluzioni fallite - di una storia fondata prevalentemente sull'aggressione e la distruzione. 5. INCONTRI. ISABELLA CAMERA D'AFFLITTO: LE ROSE PURPUREE DEL CAIRO [Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 novembre 2002. L'autrice e' una apprezzata studiosa e fine traduttrice di letteratura araba] "La donna araba e la creativita'", intorno a questo titolo-tema si sono ritrovate in un convegno al Cairo per cinque giorni, alla fine di ottobre, centocinquanta scrittrici e studiose di tutto il mondo arabo. Dal Marocco all'Iran ai paesi della penisola araba il segno delle donne nella letteratura araba e' stato analizzato nella sua ricchezza e nelle sue diversita', geografiche, culturali e politiche. Diverse, infatti, sono le sfide che le donne affrontano nelle varie societa' arabe, sul piano dei comportamenti sociali e su quello legislativo. Un riconoscimento e' andato in primo luogo alle "pioniere" del secolo appena concluso. Come le scrittrici siriane Colette Khuri, presente al convegno, e Ghada Samman che, gia' a partire dagli anni '60, con i loro racconti e romanzi hanno affrontato e infranto molti tabu'. Una ribellione contro i divieti patriarcali che non manco' di fare scandalo ma che e' stata un punto di riferimento per le generazioni successive di scrittrici, e non solo, arabe. Un incontro che ha analizzato i cambiamenti e i paradossi della condizione della donna araba negli ultimi decenni: impedimenti, ostacoli ma anche vivacita' e creativita'. Se le scrittrici dell'Arabia Saudita e dei paesi del Golfo Arabo vivono notevoli costrizioni, e' proprio in questi paesi che negli ultimi anni si registra un sostanziale aumento della produzione letteraria femminile. Una realta' che ha costretto i critici arabi, finora disinteressati ai paesi del Golfo, a rivolgere la propria attenzione verso questa letteratura emergente, e in particolare quella delle donne. E nutrita e' stata la partecipazione delle scrittrici e studiose saudite, tra le quali la potessa Fawziyya Abu Khaled, che ha parlato dell'isolamento che costringe le donne del suo paese a vivere perennemente in condizioni di insicurezza. Per queste scrittrici l'imposizione di evitare i temi legati alla vita sessuale e intima della donna, rappresenta una grave limitazione alla creativita' e si trasforma in un'odiosa auto-censura preventiva. Una realta' quella della penisola araba che risulta spesso sconosciuta alle donne degli altri paesi arabi che talvolta la giudicano attraverso le stesse immagini stereotipate delle/degli occidentali (Rose d'Arabia, e/o 2001). Per Fawziyya Abu Khaled la partecipazione di tante donne alla vita culturale del suo paese e' comunque una sfida straordinaria e sicuramente avra' conseguenze profonde su tutta la societa'. Un altro interessante dato emerso nel convegno riguarda proprio la lingua araba. Le scrittrici, appartenenti a diverse correnti culturali e letterarie, utilizzano l'arabo in modo piu' innovativo rispetto agli scrittori, al punto che le voci femminili provenienti dalla Penisola Araba sono oggi considerate all'avanguardia nella cosiddetta scrittura modernista araba. Il convegno ha anche analizzato la produzione letteraria molto ricca delle irachene. Per molte donne che vivono nell'Iraq della guerra, dell'embargo e dell'insicurezza perenne, scrivere e' diventato uno strumento necessario per esprimere il proprio dolore e le proprie angosce. E, anche se la scrittura non riesce a guarire le ferite che la guerra, la morte e la desolazione portano con se', la creativita' letteraria diventa una forma di sopravvivenza a cui molte si aggrappano. Ilham Abu Ghazalah, scrittrice e accademica originaria di Nablus, ma residente a Ramallah, ha parlato dello stato di emergenza in cui sono costretti a vivere tutti i palestinesi. Un ostacolo pesantissimo alla creativita'. "Come si puo' scrivere - si chiede Ilham Abu Gahazalah - mentre i carri armati circondano la tua casa che non e' piu' un rifugio, ma diventa una trappola mortale? Come si puo' scrivere quando si e' costretti per trenta giorni a non uscire di casa, come e' accaduto a Nablus? In queste condizioni gli orizzonti diventano sempre piu' limitati. Come si puo' scrivere quando la propria citta' e la propria casa vengono distrutte? La distruzione regna nelle strade di Ramallah. Quando ti viene distrutta la casa, il luogo dell'infanzia, dei ricordi, e' come se venisse distrutta la tua stessa memoria. Come si puo' creare, scrivere, quando per andare all'universita', da casa, un percorso di sette minuti, diventa, se tutto va bene, un tragitto di due ore? Non percorriamo piu' strade asfaltate, ma siamo costretti ad arrampicarci su pietre e rocce. Io non riesco piu' a scrivere romanzi, ma solo a tenere un diario, perche' la memoria di cio' che ci sta accadendo non vada perduta. Cio' che piu' mi spaventa e' che questo stato di cose persiste, e sono sempre piu' angosciata perche' la voce dell'uomo arabo non si e' ancora levata in difesa dei palestinesi". Ma nel convegno del Cairo si e' parlato anche molto della scuola e del sistema educativo nei vari paesi arabi. Un sistema che tende ancora oggi a incoraggiare un apprendimento nozionistico, mnemonico, piuttosto che stimolare la capacita' critica del singolo. Un sistema educativo che trasforma uomini e donne in facili prede per i vari movimenti fondamentalisti, come ha denunciato il famoso editorialista di al-Ahram, al-Sayyid Yasin. Questi cambiamenti non si possono piu' rinviare di fronte alla sfida della modernita' che la societa' araba deve raccogliere, e che potra' affrontare e vincere solo con le donne. Nell'orizzonte della modernita' c'e' anche la globalizzazione, tema che gli interventi del convegno hanno declinato come occasione di confronto e dialogo, come incontro e scambio tra culture, pur senza rinunciare alle proprie radici. Con la capacita' di sovvertire gli stereotipi culturali. E a questo proposito lo scrittore marocchino Muhammad Barrada parla della colpa degli arabi, ovvero l'incapacita' di intervenire sull'immaginario occidentale e contribuire a mutare le immagini stereotipate sugli orientali. E Sahar Khalifah, nota scrittrice palestinese, ha sottolineato, con la passione che la contraddistingue, il ruolo che le donne possono e devono svolgere nel favorire una migliore conoscenza dell'altro, senza preconcetti e pregiudizi reciproci, nella speranza che soprattutto la tragedia palestinese venga vista in Occidente nella sua reale dimensione. E la letteratura puo' essere un grande strumento di conoscenza. 6. MEMORIA. EMANUEL ANSELMI: UN OMAGGIO A LELIO BASSO [Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie at libero.it), dottore in economia, gia' obiettore di coscienza al militare, e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Lelio Basso nacque a Varazze nel 1903, fin da giovanissimo si impegno' nel movimento socialista e collaboro' a vari fogli democratici, tra cui la "Rivoluzione liberale" di Gobetti; avvocato, antifascista, perseguitato, resistente, il 25 aprile 1945 partecipo' all'insurrezione di Milano; costituente, parlamentare, dirigente della sinistra italiana, fondatore e direttore di varie riviste (tra cui "Problemi del socialismo"), studioso del marxismo e particolarmente di Rosa Luxemburg; fondatore della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, promotore della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (Algeri 1976); e' scomparso nel 1978. Opere di Lelio Basso: della sua vastissima produzione si veda almeno l'opera postuma Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980; e l'ampia introduzione (pp. 13-129) a Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976. Opere su Lelio Basso: per un avvio cfr. almeno Enzo Collotti, Oskar Negt, Franco Zannino, Lelio Basso, teorico marxista e militante politico, Angeli, Milano 1979 (con scritti di Basso e una bibliografia curata da Fiorella Ajmone). Un riferimento utile: Fondazione Basso, via della dogana vecchia 5, 00186 Roma, e-mail: filb at iol.it] Una delle figure piu' rappresentative nel panorama del pensiero politico italiano ed europeo prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale e' certamente quella di Lelio Basso. Oltre che grande dirigente politico del movimento operaio e' stato scrittore fecondo, ha pubblicato innumerevoli scritti su riviste e quotidiani quali Critica sociale, Avanti!, Rivoluzione liberale, Il Caffe', Conscientia, Pietre, Quarto stato, La Fiera letteraria, prima del suo arresto ad opera del regime fascista; ha continuato, durante il periodo della dittatura in Italia, scrivendo sui giornali - perlopiu' clandestini - Avanti!, Bandiera rossa, Gioventu' socialista, L'Operaio, Il Movimento letterario, Quaderni di GL, Gioventu' cristiana, Politica socialista, ed altri ancora; ha proseguito dopo la guerra su Problemi del socialismo, Rivista storica del socialismo, Rinascita, Mondo operaio, Il Paradosso, etc., scrivendo anche articoli pubblicati poi in tedesco, inglese, spagnolo, serbo-croato, catalano, francese e giapponese e rappresentando un personaggio guida per tutta la sinistra italiana. A lui e' dedicata una raccolta di scritti di autori vari, uscita piu' di venti anni or sono presso Franco Angeli Editore, intitolata Marxismo, democrazia e diritto dei popoli, nella quale e' possibile leggere contributi di molti autori, redatti in italiano, inglese, spagnolo, tedesco e francese. Il tomo (oltre mille pagine) e' stato curato da uno stuolo di giuristi, economisti e pensatori, tra i quali si citano G. Amato, A. Cassese, O. Negt, S. Rodota', e raccoglie le riflessioni dei numerosi autori riguardanti tematiche di significativo interesse, nell'ambito del vasto pensiero socialista e delle sue prospettive, tematiche care allo stesso Basso. Gli interventi di Negt, Altvater, Mattick, Balducci, Girardi, Cassese, Matarasso, Amin - solo per citarne alcuni - spaziano dalla questione femminile al rapporto tra il pensiero marxista e il cristianesimo, dall'auspicio per la nascita di un tribunale internazionale dei popoli allo studio e alla critica delle relazioni internazionali e dell'operato delle multinazionali. Dalla lettura di questa raccolta emerge subito una critica diretta a quella nutrita frangia di pensatori di ascendenza marxista che hanno fatto delle idee di Marx un sistema chiuso su se stesso ed autoalimentantesi, non piu' in grado di analizzare criticamente la societa' contemporanea se non attraverso il filtro delle categorie acquisite e dogmatiche che questi hanno ereditato da chi li ha preceduti, i quali, seppure piu' o meno onestamente, hanno contribuito a creare un discorso ideologico in senso forte ed una ortodossia. Il maggior contributo di Basso - oltre alla demistificazione della scienza dapprima ritenuta un ambito nel quale, in apparenza, ci si muoveva al di la' di qualsiasi questione legata a qualche interesse particolare ossia, in quanto scienza, neutra - e' sicuramente stato il tentativo di porre ogni considerazione ed ogni analisi scientifica in relazione al contesto storico di riferimento, nella prospettiva di superare l'assetto sociale vigente, al fine di conseguire il progresso sociale ed economico dell'umanita'. Percio', rimanere fedeli alle sue idee ed alle sue linee guida, richiede un atteggiamento antidogmatico, per non storpiare il suo lascito intellettuale e non tradirne il metodo scientifico. In secondo luogo, da parte di molti autori vi e' il tentativo di rivalutare la figura di Rosa Luxemburg: la posizione della marxista si differenzia in modo netto da entrambe le correnti dominanti nella sua epoca, nell'ambito del pensiero socialista, cioe' il marxismo leninista da un lato e la socialdemocrazia dall'altro, correnti alle quali il movimento operaio pareva non trovare alternativa. Il merito della Luxemburg fu quello di aver dato corpo all'esigenza di un risveglio del movimento per una sua partecipazione dal basso ai processi rivoluzionari, attraverso il ruolo forte dell'educazione, opponendosi alla giustificazione dell'esistenza delle avanguardie di partito separate dal movimento. Il terzo aspetto fondamentale della raccolta sta nel sottolineare la vicinanza del pensiero marxista al cristianesimo messianico, la cui espressione piu' radicale e' riconducibile alla teologia della liberazione, dottrina il cui precursore viene individuato nel teologo protestante Richard Shaull e che trova il suo sistematore in Gustavo Gutierrez, sino ad arrivare a Giulio Girardi, di cui nel volume troviamo un intervento. Caratteristico della dottrina in discorso e' il suo legame con la realta' latino-americana ed i moti rivoluzionari del subcontinente. Quarto ed altrettanto importante aspetto e' l'opportunita' del ricorso al diritto, nazionale ed internazionale, quale strumento per l'acquisizione ed il rispetto della dignita' e dei diritti fondamentali dell'essere umano, in vista della liberazione dei popoli. Interessante e', da questo punto di vista, la considerazione che, nella tradizione marxista, si ha della violenza quale levatrice della storia: la dialettica tra nonviolenza e violenza il lettore la coglie in diversi punti del testo, nei quali ci si interroga sull'opportunita' del ricorso alla forza nelle lotte di liberazione e sulla possibilita' di farne a meno ove si possa ricorrere a strumenti legali e pacifici. Il richiamo alla nonviolenza quale teoria e prassi di lotta non viene fatto esplicitamente, e si intuisce, da qualche parte, che gli autori non si schierano a favore dell'una o dell'altra metodologia, facendo implicitamente appello ad un certo pragmatismo rivoluzionario. Di Basso in questa raccolta vi e' molto, e cercare di riassumere brevemente, in una cosi' scarna recensione, il suo pensiero e quanto di lui e' servito da ispirazione agli intellettuali che ne hanno raccolto il messaggio, e' un compito assai gravoso, e non e' nemmeno la mia intenzione. Valga soltanto sottolineare che sicuramente l'opera di Lelio Basso demarca chiaramente le linee sulle quali si sono mossi successivamente i partiti ed i movimenti di liberazione dell'essere umano e dell'umanita', i quali, grazie anche alla sua figura, hanno rotto qualunque riferimento che potesse ancora collegarli in qualche modo ad ideologie di tipo autoritario o persino totalitario. 7. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI VLADIMIR JANKELEVITCH [Riproduciamo qui la bibliografia delle opere apparse in volume di Vladimir Jankelevitch (divisa in due ambiti, l'ambito filosofico e quello musicale), riprendendola dall'assai piu' ampia bibliografia (cui rinviamo per l'indicazione di articoli, prefazioni e interviste di Jankelevitch e dei principali scritti su di lui) a cura di Daniela Calabro' apparsa nelle pp. 135-156 del volume monografico della rivista filosofica "aut aut", n. 270 del novembre-dicembre 1995, interamente dedicato a "Vladimir Jankelevitch. Pensare al margine". Vladimir Jankelevitch e' nato il 31 agosto 1903 a Bourges, ed e' deceduto a Parigi il 6 giugno 1985; ha preso parte alla Resistenza ed e' stato docente di filosofia morale alla Sorbona; la sua riflessione e le sue ricerche in ambito filosofico, morale, musicale, costituiscono grandi contributi alla cultura contemporanea] Filosofia: volumi 1931: Henri Bergson, I ed., Alcan, Paris 1931, pp. 293; II ed. aum., P. U. F., Paris 1959, pp. 300; III ed., ivi, Paris 1975, pp. 300; IV ed., ivi, Paris 1989, pp. 299; trad. di G. Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1991. 1933: L'Odyssee de la conscience dans la derniere philosophie de Schelling, Alcan, Paris 1933, pp. 357. - Valeur et Signification de la mauvaise conscience, I ed., Alcan, Paris 1933, pp. 159; La Mauvaise Conscience, II ed. (aum.), P. U. F., Paris 1939, pp. 200; III ed., ivi, Paris 1951, pp. 200; IV ed., Aubier-Montaigne, Paris 1966, pp. 218; V ed., ivi, Paris 1982, pp. 224. 1936: L'Ironie, I ed., Alcan, Paris 1936, pp. 149; L'Ironie ou la bonne conscience, II ed., P. U. F., Paris 1950, pp. 170; L'Ironie, III ed., Flammarion, Paris 1964, pp. 200; IV ed., ivi, Paris 1972, pp. 200; V ed., ivi, Paris 1979, pp. 200; trad. di F. Canepa, L'Ironia, Il Melangolo, Genova 1987. 1938: L'Alternative, Alcan, Paris 1938, pp. 220; ripreso in L'Aventure, l'Ennui, le Serieux, Aubier-Montaigne, Paris 1963, cap. II. 1942: Du Mensonge, I ed., Confluences, Lyon 1942, pp. 128; II ed., ivi, Lyon 1945, pp. 110; ripreso in Traite' des vertus, Bordas, Paris 1968-1972, cap. IX. 1947: Le Mal, Cahiers du College Philosophique, Arthaud, Paris 1947, pp. 164; ripreso in Traite' des vertus, Bordas, Paris 1968-1972, capp. XIII-XIV. 1949: Traite' des vertus, I ed., Bordas, Paris 1949, pp. 847; II ed. aum., tomo I: Le serieux de l'intention, Bordas-Mouton, Paris 1968, pp. 275; tomo II: Les Vertus et l'Amour, Bordas-Flammarion, Paris 1970, pp. 752; tomo III: L'innocence et la mechancete', Bordas-Flammarion, Paris 1972, pp. 454; trad. parziale di E. Klersy Imberciadori, Trattato delle virtu', a cura di F. Alberoni, intr. di R. Maggiori, Garzanti, Milano 1987. 1954: Philosophie premiere. Introduction a' une philosophie du "Presque", P. U. F., Paris 1954, pp. 268; II ed. 1986; trad. di un capitolo, La via negativa, G. Gabetta, "aut-aut", 1987, 219, pp. 21-42. - L'austerite' et le myte de la purete' morale, C. D. U. (Les cours de la Sorbonne - Lettres), Paris 1954, pp. 146; ripreso in L'Austerite' et la Vie morale, Flammarion, Paris 1956, pp. 251. 1956: L'Austerite' et la Vie morale, Flammarion, Paris 1956, pp. 251. 1957: Le je-ne-sais-quoi et le Presque-rien, P. U. F., Paris 1957, pp. 216; II ed. aum., Ed. du Seuil, Paris 1980: tomo I, La maniere et l'occasion, pp. 144; tomo II, La meconnaissance. Le malentendu, pp. 248; tomo III, La volonte' de vouloir, pp. 86; trad. di C. Bonadies, Il non-so-che e il quasi niente, Marietti, Genova 1987. 1960: Le Pur et l'Impur, Flammarion, Paris 1960, pp. 282; II ed., ivi, Paris 1978. 1963: L'Aventure, l'Ennui, le Serieux, I ed., Aubier-Montaigne, Paris 1963, pp. 223; II ed., ivi, Paris 1976; trad. di C. Bonadies, L'avventura, la noia, la serieta', Marietti, Genova 1991. 1966: La Mort, I ed., Flammarion, Paris 1966, pp. 426; III ed., ivi, Paris 1977, pp. 474. 1967: Le Pardon, Aubier-Montaigne, Paris 1967, pp. 216; trad. di L. Aurigemma, Il perdono, IPL "Studi e opinioni", Milano 1969. 1971: Pardonner? [Suivi de deux lettres de Pierre Abraham et Jacques Madaule et des reponses de V. Jankelevitch], Le Pavillon, Roger Maria, Paris 1971, pp. 101; trad. di D. Vogelmann, Perdonare?, La Giuntina, Firenze 1987 e 1988. 1974: L'Irreversible et la Nostalgie, I ed., Flammarion, Paris 1974, pp. 319, II ed., ivi, Paris 1983, pp. 392. 1978: Quelque part dans l'inacheve' (conversazione-intervista a V. Jankelevitch condotta da Beatrice Berlowitz), Gallimard, Paris 1978, pp. 265; II ed. Paris 1987, pp. 312; trad. parz. del XVIII capitolo, "Vagabondo umorismo", in R. Prezzo (a cura di), Ridere la verita', Cortina, Milano 1994, pp. 176-183; trad. di M. Osti del XXI capitolo, "Il rumore del silenzio", in "Tellus", 9, maggio 1993, pp. 12-13; qui [scilicet: "aut aut" n. 270 del novembre-dicembre 1995, da cui abbiamo estratto la presente bibliografia], pp. 15-22 e 105-111. 1981: Le paradoxe de la morale, I ed., Ed. du Seuil, Paris 1981, pp. 188; II ed., ivi, Paris 1989, pp. 187; trad. di R. Guarini, Il paradosso della morale, Hopefulmonster, Firenze 1986. 1984: Le Serieux de l'intention, Flammarion, Paris 1984 (nuova ed. del tomo I del Traite' des vertus, cit.). - Sources, a cura di F. Schwab, Ed. du Seuil, Paris 1984, pp. 158; trad. parz. di D. Vogelmann, La coscienza ebraica, La Giuntina, Firenze 1986. 1986: L'Imprescriptible, (Pardonner?, Dans l'honneur et la dignite'), Ed. du Seuil, Paris 1986, pp. 110. - L'innocence et la mechancete', Flammarion, Paris 1986, pp. 464 (nuova ed. del tomo III del Traite' des vertus, cit.). - Les vertus et l'amour, Flammarion, Paris 1986, 2 voll.: 1. De la vertu; Le courage et la fidelite', La Sincerite'; L'Humilite' et la modestie, pp. 416; 2. De la iustice a l'equite'; L'Amour, pp. 360 (nuova ed. del tomo II del Traite' des vertus, cit.). 1994: Penser la mort?, Liana Levi, Paris 1994, pp. 160; trad. a cura di E. Lisciani-Petrini, Pensare la morte?, Cortina, Milano 1995. - Premieres et Dernieres Pages, a cura di F. Schwab, Ed. du Seuil, Paris 1994, pp. 314. 1995: Une vie en toutes lettres, a cura di F. Schwab, Liana Levi, Paris 1995, pp. 471. * Musica: volumi 1938: Gabriel Faure' et ses melodies, I ed., Plon, Paris 1938, pp. 250; poi in Gabriel Faure', ses melodies, son esthetique, II ed. aum., Plon, Paris 1951, pp. 350. 1939: Ravel, I ed., Rieder, Paris 1939, pp. 130; II ed., Ed du Seuil, Paris 1956, pp. 192; III ed., ivi, Paris 1975, pp. 200; IV ed., ivi, Paris 1988; trad. di L. Lovisetti, Mondadori, Milano 1962. 1942: Le Nocturne, I ed., A. C., Lyon, 1942, pp. 50; poi in Le Nocturne: Faure', Chopin et la nuit, Satie et le matin, II ed., Albin Michel, Paris 1957, pp. 220; ripreso in La Musique et les Heures, Ed. du Seuil, Paris 1988, capp. 1, 3, 4. 1949: Debussy et le mystere, I ed,, La Baconniere, Neuchatel 1949, pp. 152; trad. di C. Migliaccio, Debussy e il mistero, a cura di E. Lisciani-Petrini, il Mulino, Bologna 1991, pp. 146; ripreso in Debussy et le Mystere de l'instant, t. II della raccolta De la musique au silence, Plon, Paris 1976, pp. 316. 1955: La Rhapsodie, verve et improvisation musicale, Flammarion, Paris 1955, pp. 251. 1961: La musique et l'ineffable, Armand Colin, Paris 1961, pp. 198; II ed., Ed. du Seuil, Paris 1983, pp. 200; trad. a cura di E. Lisciani-Petrini, La musica e l'ineffabile, Ed. Tempi Moderni, Napoli 1985. 1968: La vie et la mort dans la musique de Debussy, La Baconniere, Neuchatel 1968, pp. 152. 1974-1979: De la musique au silence, raccolta prevista in 7 tomi che doveva riprendere e riunire i resti piu' importanti di Jankelevitch sulla musica. Ne sono stati pubblicati invece, presso Plon, soltanto tre: 1. Faure' et l'inesprimable, I ed., Plon, Paris 1974, pp. 382; II ed., Presses Pocket, Paris 1988; 2. Debussy et le mystere de l'instant, I ed., cit., Plon, Paris 1976, pp. 316; II ed., ivi, Paris 1989; 3. Liszt et la rhapsodie, I ed., Plon, Paris 1979, pp. 183; Liszt et la rhapsodie: essai sur la virtuosite', II ed., ivi, Paris 1989, pp. 300. 1983: La Presence lointaine, Albeniz, Severac, Mompou, Ed. du Seuil, Paris 1993, pp. 160. 1988: La Musique et les Heures, a cura di F. Schwab, Ed. du Seuil, Paris 1988, pp. 293. 8. RILETTURE. AUGUSTO ILLUMINATI (A CURA DI): AVERROE' E L'INTELLETTO PUBBLICO Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto pubblico, Manifestolibri, Roma 1996, pp. 224, lire 18.000. Una antologia di scritti del grandissimo intellettuale Ibn Rushd (Averroe' per gli "occidentali" - che peraltro per lui, che viveva in Andalusia, sarebbero stati "orientali"), con una lettura critica che ne evidenzia la forte attualita'. 9. RILETTURE. ADA MARCHESINI GOBETTI: EDUCARE PER EMANCIPARE Ada Marchesini Gobetti, Educare per emancipare, Lacaita, Manduria 1982, pp. 252. Una bella raccolta di scritti pedagogici dal 1953 al 1968 della grande Ada Gobetti, una delle figure di massimo rilievo dell'antifascismo e della vita civile italiana del Novecento. 10. RILETTURE. OLIVE SCHREINER: 1899 Olive Schreiner, 1899, Edizioni Lavoro, Roma 1988, Feltrinelli, Milano 1991, pp. XXX + 170, lire 12.000. Alcuni racconti della scrittrice sudaricana (1855-1920) impegnata per i diritti delle donne e contro il colonialismo e il razzismo. 11. RILETTURE. MARIANA YONUSG BLANCO: IO NASCO DONNA, E BASTA Mariana Yonusg Blanco, Io nasco donna, e basta, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1991, pp. 160, lire 22.000. Una antologia delle liriche della poetessa e militante venezuelana-nicaraguense. 12. L'ABBECEDARIO INGENUO DI TRICOTILLO SMANICONI: MASCHILISMO E' l'ideologia della dittatura di meta' del genere umano sull'altra meta'. Per durata storica, estensione numerica, profondita' psicotica ed esiti effettuali e' di gran lunga la piu' ampia e piu' grave di tutte le ideologie totalitarie. E ci sara' pure un motivo per cui e' ammesso parlarne cosi' poco. E adesso smetto di scrivere perche' sento che bussano alla porta, mi pare con gli scarponi. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 413 del 12 novembre 2002
- Prev by Date: La Linea del Piave Anno I° Numero V° 11 novembre 2002
- Next by Date: Luisa Morgantini intervista il Presidente del Dehap, Mehmet Abbasoglu
- Previous by thread: La Linea del Piave Anno I° Numero V° 11 novembre 2002
- Next by thread: Luisa Morgantini intervista il Presidente del Dehap, Mehmet Abbasoglu
- Indice: