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La nonviolenza e' in cammino. 412
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 412
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 10 Nov 2002 20:41:26 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 412 dell'11 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Gli stupori di Rubizzo Barbacane: televisione 2. Benito D'Ippolito, tra il settembre e il novembre del '38 3. Daniela Padoan presenta "Una figlia di Iside" di Nawal El Saadawi 4. Ida Dominijanni intervista Elena Paciotti 5. Augusto Cavadi, il primato dell'amore 6. Una bibliografia delle opere di Maria Zambrano 7. Riletture: Hannah Arendt, Tra passato e futuro 8. Riletture: Simone de Beauvoir, Le deuxieme sexe 9. Riletture: Umberto Galimberti, Psiche e techne 10. Riletture: Hans Kueng, Dio esiste? 11. Riletture: Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito 12. Riletture: Sebastiano Timpanaro, Sul materialismo 13. Riletture: Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Anselmo d'Aosta 14. Riletture: Simone Weil, Quaderni, I-IV 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. GLI STUPORI DI RUBIZZO BARBACANE: TELEVISIONE Non posso crederci: siamo nel ventunesimo secolo e c'e' ancora qualcuno che guarda la televisione? 2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: TRA IL SETTEMBRE E IL NOVEMBRE DEL '38 Tra il settembre e il novembre del '38 la barbarie razzista fu eretta a legge in Italia dall'infame regime fascista e con l'avallo di scienziati, ma non sapienti, che la parte di loro oltracotata al servizio del male miseri misero. Oggi che su quell'orrore si pretende l'oblio, e che nuove leggi razziste deturpano il nostro paese e la vita di tutti minacciano, ricordati tu di quell'infamia, e ricorda le vittime di allora e di oggi, e chi allora disse di no, e oggi. Tra esse vittime, tra essi resistenti, anche la tua tenda decidi di piantare. 3. LIBRI. DANIELA PADOAN PRESENTA "UNA FIGLIA DI ISIDE" DI NAWAL EL SAADAWI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 novembre 2002 riprendiamo questa recensione] "Fu mia madre a insegnarmi a leggere e scrivere. Scrissi per prima la parola Nawal, il mio nome. Ne amavo la forma e il significato: il dono. Quel nome divenne parte di me. Immediatamente dopo imparai a scrivere il nome di mia madre, Zaynab, che accostavo al mio in modo da renderli inseparabili". Cosi' inizia Una figlia di Iside (Nutrimenti, trad. di Roberta Bricchetto), l'autobiografia che Nawal El Saadawi, intellettuale e femminista egiziana, scrive a 64 anni nell'esilio americano di Duke Forest, North Carolina, quasi a segnare che la narrazione della vita di una donna non puo' che inscriversi nella genealogia materna. "Volevo piu' bene a lei che a mio padre, finche' lui un giorno separo' i nostri due nomi e al posto di Zaynab scrisse il proprio. Non riuscivo a spiegarmene la ragione. Quando glielo chiesi rispose: 'E' la volonta' di Dio'. Era la prima volta che sentivo pronunciare la parola 'Dio' e venni a sapere che viveva nei cieli. Ma cio' nonostante non riuscivo ad amare l'uomo che aveva separato il mio nome da quello di mia madre, che l'aveva cancellata, come se avesse cessato di esistere. Dentro di me, il responsabile di questo misfatto era diventato Dio". La cifra delle 300 pagine del libro e' gia' tutta in questo attacco. Il nome come dono e il linguaggio come opera materna, interrotta con l'entrata in scena del padre. L'autorita' della madre spodestata da un potere dispotico, in un racconto che sembra incarnare il momento in cui, secondo Lacan, con l'accettazione del nome del padre, il bambino divenuto soggetto entra contemporaneamente nell'ordine del simbolo e del linguaggio. Nawal El Saadawi vive in Egitto fino all'eta' di 60 anni. Laureata a pieni voti, viene nominata direttore del ministero della sanita' con delega all'assistenza per le donne ma, nel '72, in seguito alla pubblicazione del libro Women and Sex in cui si schiera contro la circoncisione femminile, perde il lavoro. Nell'81 viene incarcerata senza processo per crimini contro lo stato, nel corso di una retata che coinvolge 1.600 intellettuali. La prigionia dura un mese perche' Sadat viene assassinato e Mubarak, appena eletto presidente, concede a tutti la grazia. Nel '92, viene messa sulla lista nera della jihad islamica. La sua condanna a morte e' scandita dai muezzin dall'alto dei minareti. Non restandole che l'esilio, si trasferisce negli Usa con il marito. Di tutto questo, pero', Una figlia di Iside non parla, se non per brevissimi cenni; la narrazione abbraccia l'infanzia e l'adolescenza - quasi che quel periodo sia la chiave di tutto cio' che accade in seguito - per fermarsi sulla soglia segnata dai due momenti che concludono l'"educazione sentimentale" di Nawal, facendosi passaggio per la vita adulta: la scoperta della scrittura come continuazione dell'opera materna e l'incontro con la politica. "Se provo a ricordare che cosa e' successo quando sono venuta al mondo tutto quello che so e' che sono nata donna. Sentivo dire che Dio crea il maschio e la femmina, e che, molto prima che nascessi, le neonate venivano sepolte vive... Ma i miei erano tempi migliori. Quando veniva alla luce una bambina non le si faceva niente: semplicemente la vita si fermava". Tuttavia Nawal si rende presto conto che nascere segnata dalla differenza costituita dall'essere donna non vuol dire necessariamente un destino di subordinazione. Nel libro si sviluppa un orizzonte di liberta' reso possibile dalla forza femminile, in cui sono centrali le relazioni con la madre, la nonna, le compagne di studi. Gli uomini - eccetto il padre schierato contro l'occupazione inglese, figura circonfusa da un alone eroico - sono poco piu' che comparse. La presenza maschile e' invece immanente nell'ordine sociale, nelle prescrizioni e nei divieti religiosi, nelle angustie e nelle sofferenze volute da Dio. Il maschile e' il fato, il destino, la punizione che si abbatte dal cielo, l'ordine divino. La vita visibile delle donne ruota attorno al matrimonio, parola avvolta da molti segreti. Ogni volta che risuona nell'aria, la zia divorziata impallidisce, la zia zitella torce le labbra in segno di disprezzo, sul viso della madre passa una tristezza impalpabile. "La nonna smetteva di bisbigliare e di girare i grani del rosario tra le dita, gli occhi si fissavano e assumevano il colore dell'acqua melmosa e stagnante... La sentivo mormorare: 'Sia lode a Lui, perche' solo Lui va lodato per le sofferenze che ci toccano'". Nawal comincia a capire che quella terza persona cui le donne della famiglia si riferiscono con "Lui" e' Dio, colui dal quale provengono tutte le disgrazie che si abbattono sulla sua casa. E, per quanto piccola e incapace di comprendere il significato condiviso della parola "Dio", mentalmente l'associa a "disgrazia", a sua volta legata all'oscura parola "matrimonio". Nonostante provenga da una famiglia di mentalita' aperta, in cui il marito rispetta le opinioni della moglie e l'istruzione e' tenuta in gran conto, a 6 anni una daya - l'ostetrica - le si avvicina con un rasoio e, dopo averla immobilizzata insieme ad altre tre donne della famiglia, le asporta il clitoride. Sara' una ferita dell'anima, insanabile. E' il destino di tutte le bambine, cosi' come e' normale che a 10 anni venga scelto per loro un marito. Il futuro sposo attende Nawal in salotto, seduto in poltrona accanto al padre, lo scacciamosche in mano, il fez rosso sulle ventitre. Nawal sta per entrare reggendo il vassoio del caffe', bambina travestita da donna dalle zie delle due famiglie, i denti sbiancati a forza col sale, gambe e braccia depilate col miele, guance e labbra truccate, il passo malfermo sui tacchi alti indossati per la prima volta. Ha gia' preso in considerazione l'ipotesi di tagliarsi le vene, di dare fuoco alla casa, e invece si ferma davanti allo specchio nel corridoio, si strofina via il rossetto, affonda i denti in una melanzana cruda che fa venire le macchie sui denti, avanza fin davanti al pretendente e gli rovescia addosso il vassoio, inciampando nel tappeto. Non sara' che il primo matrimonio mandato a monte. Nawal non vuole saperne di seguire il destino della madre, cacciata da scuola dal padre a bastonate e data in sposa a un uomo di sedici anni piu' vecchio, che aveva incontrato solo sul letto nuziale, dove si era lasciata ingravidare del primo figlio senza nemmeno togliersi i vestiti o guardarlo. "Anno dopo anno, nell'oscurita' della notte, mia madre resto' incinta dieci volte e diede alla luce nove bambini. Subi' un aborto con il decimo, prima di raggiungere il trentesimo anno di eta', e il tutto senza aver mai provato cio' che viene definito 'piacere sessuale'. Poi mori', era ancora giovane, stringendo la mia mano nella sua, con gli occhi di bambina color miele che mi guardavano con meraviglia". Nawal, incoraggiata dalla madre riesce a iscriversi alla Scuola Superiore Femminile Helwan, dove spicca tra le allieve migliori. A 17 anni, in occasione dei festeggiamenti per la Eid Al-Hajira, le viene chiesto di tenere un discorso sulla vita di Maometto. Fino al giorno prima non ha fatto che pregare Dio perche' le faccia terminare le mestruazioni, di modo che l'offesa del sangue non la colpisca proprio in quel frangente, vietandole di citare i versi del Corano. Il flusso si ferma e Nawal, dritta come un fuso, inizia a declamare il discorso con un tono simile a quello di suo padre. Quando conclude pronunciando il nome di Allah l'Onnipotente, la voce vibrante di sacro fervore, nel salone rimbombano gli applausi. Inizia cosi' ad addentrarsi, affascinata, in quell'ordine simbolico fatto di assoluti, di universali, che vuole condurre il tutto a Uno. "Nella mia mente la letteratura araba comincio' a legarsi all'Islam. Il credo religioso, insieme all'amore per mio padre, divenne parte dei miei sentimenti piu' radicati. Non so come, ma mi dimenticai dell'infanzia. Da bambina dubbiosa della giustizia di Dio mi trasformai in una ragazza profondamente religiosa... Iniziai cosi', con il passo sicuro di mio padre, la discesa verso un credo assoluto, diventando un modello di pieta' e virtu' morali per le altre ragazze". Ma alla fine le domande della bambina riprendono il sopravvento sovvertendo la realta' data, e la scrittura, che si presenta irruente e necessaria, diventa riunione alla madre. E' proprio la scrittura a far si' che l'influenza del padre, creduta in quel momento piu' significativa, si stemperi. Da allora sara' sempre figlia di Zaynab e, simbolicamente, di Iside, la dea luna che ha impersonato in una recita scolastica e che ha costituito la sua prima apparizione nel mondo. Le parole che Noot dice a Iside prima di morire, le resteranno impresse come cifra dell'esistenza femminile: "Figlia mia, tu che erediterai il trono dopo la mia morte, governerai con giustizia e clemenza e non dipenderai dal sacro potere per esercitare la tua autorita'". L'altro passaggio che, parallelamente, fa da soglia all'ingresso nella vita adulta, e' la partecipazione al Cairo, il 14 novembre 1951, alla cosiddetta "manifestazione silenziosa" che fu una delle ultime spallate contro il dominio coloniale inglese. In quell'occasione Nawal incontra l'uomo di cui si innamora, colui che, chiamandola tra la folla, le restituisce il nome. "Di nuovo quel nome, ma adesso mi arrivava alle orecchie con un suono diverso... Era davvero il mio nome? E perche' riecheggiava cosi' nell'universo? Perche' aveva un suono nuovo?". L'autobiografia termina con queste parole, con il nome nato a una vita nel mondo, con quell'esistenza pubblica che sola, secondo Hannah Arendt, racchiude l'apparizione della liberta', resa possibile, pero', in virtu' dell'autorizzazione materna e della relazione d'amore con l'altro. Se, in Una figlia di Iside, il succedersi dei ricordi segue il corso accidentato della memoria, in un qui americano visitato da momenti del passato - immagini, suoni, colori, resi preziosi dalla distanza dell'esilio - il lettore percorre parallelamente un'altra biografia narrata dalle foto in bianco e nero. La prima ritrae Nawal a due mesi, i grandi occhi gia' curiosi del mondo; nel '56 con la madre a Giza; nel '70 all'inaugurazione dell'Associazione delle scrittrici egiziane; nell'82 nello Yemen con Arafat; nel '96 all'universita' dell'Illinois dove riceve il dottorato ad honorem, l'espressione commossa, il tocco posato sulla criniera leonina ormai candida. In quel profilo che sembra racchiudere infinite emozioni e' impressa l'impronta di un'intera esistenza, e forse anche quell'albero solitario davanti alla sua casa di Giza: "Un giorno aprii la finestra: l'albero solitario non c'era piu'. Era arrivata una ruspa e lo aveva sradicato... Al disopra di un muro si erge il minareto di una nuova moschea, immersa nel biancore delle luci al neon. Sul muro opposto era cresciuta un'insegna di McDonald's... Mi abituai a tenere chiuse finestre e imposte di giorno e di notte, ma il frastuono e le luci pulsanti non smettevano di attraversarmi il corpo, mescolati all'odore di hamburger, al rimbombo della discoteca e alle grida: 'Allah e' il grandissimo... Venite alla preghiera'. Durante quelle dolorose notti insonni mi chiedevo se Allah e McDonald's non avessero stretto un patto per allontanare il sonno che mi pesava sulle palpebre e mandarmi via dal posto in cui vivevo". 4. DIBATTITO. IDA DOMINIJANNI INTERVISTA ELENA PACIOTTI [Ancora dal quotidiano "Il manifesto" del 6 novembre 2002] Gia' protagonista della Convenzione che diede vita alla Carta europea dei diritti, Elena Paciotti, europarlamentare Ds, fa parte ora della Convenzione che sta lavorando al progetto di Costituzione europea, e che dovrebbe portare a termine il suo compito a marzo del 2003 (anche se il calendario prevede riunioni almeno fino a giugno). Non sara' a Firenze, come annunciato dal programma di uno dei seminari a tema europeo previsti per giovedi' ("L'ho saputo solo ora e casualmente - precisa - , e quel giorno c'e' una riunione plenaria della Convenzione"), ma non e' certo poco sensibile allo svolgimento di un Social Forum a dimensione europea. "Spero davvero - dice Paciotti - che il Social Forum capisca che quello europeo e' l'unico terreno possibile di una politica reale, non di pura protesta, contro la logica di mercato e di potenza che domina la globalizzazione. Se c'e' uno spazio per influire in qualche modo sui destini del mondo globale, quello spazio e' l'Europa. Perche' sulla scena mondiale ci vuole un soggetto abbastanza forte che si faccia portatore di valori non conformi a quella logica. E l'Unione europea ha nel suo dna i valori della solidarieta', della tolleranza, della tutela dei diritti umani e sociali, di una economia sociale di mercato". Non solo: per un fortunato caso, le giornate fiorentine coincidono con un passaggio importante dei lavori della Convenzione, che comincia a lasciar intravedere, nel bene e nel male, i suoi possibili esiti. Discutibili, come emergera' nel corso di questa conversazione. - Ida Dominijanni: Pochi giorni fa Giscard e' andato in visita dal papa. Perche'? Pare che abbia assicurato che la Convenzione terra' conto dei valori cristiani... - Eena Paciotti: Giscard e' il presidente della Convenzione sul futuro dell'Europa. Il Santo Padre e' il capo dell'unico stato teocratico europeo-occidentale, uno stato che non rispetta i principi fondamentali di democrazia e stato di diritto dell'Unione europea, che non aderisce alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e che solo nel 2000 ha preso posizione contro la pena di morte. Giscard non e' certo andato in Vaticano a titolo personale, ma non ha dichiarato nella Convenzione gli scopi della sua visita, ed e' stupefacente che nessuno gliene chieda conto. Se si trattava di consultare un autorevolissimo capo spirituale, analoghe visite dovrebbero essere programmate nei confronti di altre autorita' spirituali di altre religioni. - I. D.: C'e' un contenzioso esplicito su questo punto, all'interno della Convenzione? - E. P.: Le autorita' religiose cattoliche chiedono alla Convenzione di inserire nella Costituzione quello che avrebbero gia' voluto e non hanno ottenuto nella Carta dei diritti, un richiamo alle radici giudaico-cristiane dell'Europa. E la maggior parte dei rappresentanti italiani nella Convenzione - Fini, Tajani, Follini, Dini - si sono dichiarati favorevoli. E' una richiesta molto preoccupante: significa voler dare all'Europa un'identita' fondata su una religione o una tradizione religiosa, che la contrapporrebbe di fatto ad altre identita' religiose. E significa confondere la storia di un popolo con le radici della sfera pubblica. La storia dell'Europa e' insanguinata di conflitti motivati su base religiosa, dalla strage degli Ugonotti alle guerre civili di religione fino alla vicenda dell'Irlanda. Ma le radici della costruzione europea, i valori a cui si ispira, stanno nella tradizione illuminista e nella Rivoluzione francese: difesa dei diritti fondamentali, liberta' della scienza e della ricerca, laicita' delle istituzioni. Se c'e' un tratto specifico della civilta' europea occidentale, sta proprio nella separazione fra sfera pubblica e sfera religiosa. Dunque le istituzioni non possono richiamarsi a radici religiose. Non solo: un'Europa laica e di pace dev'essere rispettosa di tutte le religioni, ma anche degli atei e degli agnostici. Il che non significa, ovviamente, che le religioni non abbiano una dimensione sociale, peraltro ben individuata nella Carta dei diritti, che riconosce a ciascuno liberta' di fede e di pratica pubblica del rito. - I. D.: Ed e' banale osservare che in questo momento il richiamo alle radici giudaico-cristiane suonerebbe quasi come una provocazione agli occhi dei paesi islamici... - E. P.: Ovviamente. Prendi la Turchia, dove dopo la vittoria del partito islamico non sappiamo se prevarra' la conferma dello Stato laico o la sua islamizzazione. Di fronte a queste situazioni, l'Unione deve ribadire il valore della laicita' delle istituzioni, contro ogni tentazione di far prevalere l'una o l'altra tradizione religiosa. - I. D.: La Convenzione e' arrivata ormai a piu' di meta' del suo cammino. Intravedi l'esito, e come lo valuti? - E. P.: La Convenzione sta lavorando intensamente e si cominciano a vedere i primi risultati. Alcuni sono positivi, altri no, anzi direi che sono allarmanti. - I. D.: Cominciamo da quelli positivi. - E. P.: Intanto si e' fatta strada l'idea, all'inizio tutt'altro che pacifica, che sia necessaria una vera e propria Costituzione dell'Europa. Un testo che contenga diritti, principi fondamentali e poteri sovranazionali dell'Unione, rigido e distinto dai trattati, che, a loro volta unificati e semplificati, dovrebbero contenere i dettagli delle politiche comuni ed essere piu' flessibili, cioe' piu' facilmente modificabili. Si fa strada anche l'idea che, per colmare il deficit democratico dell'Unione, ogni decisione del Consiglio dovrebbe sempre essere accompagnata da una co-decisione del Parlamento, in modo da avere una legislazione europea emanata sia dai rappresentanti dei governi sia dai rappresentanti del popolo. Ancora, si fa strada la necessita' di ampliare i casi di decisione del Consiglio a maggioranza qualificata. Infine, si fa strada la convinzione che e' necessaria una competenza dell'Unione nella politica estera. - I. D.: Quale competenza? Questione delicata e dirimente, di questi tempi. - E. P.: Non c'e' alcuna disponibilita' a far diventare la politica estera una politica comune. Dunque le linee strategiche di politica estera continuerebbero a essere decise dal Consiglio all'unanimita', ma la loro attuazione dovrebbe essere affidata a un rappresentante dell'Unione, non dei governi, che secondo il parlamento dovrebbe essere un vicepresidente della Commissione, magari con rapporti speciali con il Consiglio. Quello che succede oggi, invece, e' che anche l'attuazione e' affidata all'unanimita' del Consiglio, si' che gli stessi governi che in Consiglio danno il loro assenso alle linee strategiche, quando si tratta di attuarle pongono i loro veti nazionali e le bloccano. - I. D.: Passiamo ai risultati negativi dei lavori della Convenzione. - E. P.: Il rischio e' questo: che si arrivi a soluzioni istituzionali non abbastanza nette, a compromessi ambigui o contraddittori, che possono favorire una deriva di ri-nazionalizzazione dei poteri. Tendenza questa che all'inizio pareva solo britannica ma che ora rischia di generalizzarsi. L'esempio piu' rilevante e' quello della Carta dei diritti. La Convenzione si e' pronunciata a grandissima maggioranza per il suo inserimento, senza modifica alcuna, nella Costituzione. Senonche', su richiesta dei britannici sono state inserite alcune clausole finali che non sono minacce dirette all'effettivita' della Carta, ma hanno l'effetto di sminuirne il valore, sottolineando la necessita' che essa sia interpretata tenendo conto delle tradizioni costituzionali, della legislazione e delle pratiche degli stati membri. Si tenta cosi' di demandare l'attuazione dei principi a scelte politiche discrezionali. - I. D.: Nessuno si e' opposto all'inserimento di queste clausole? - E. P.: Solo il politologo francese Duhamel e io. Il fatto e' che i britannici restano attestati sulla loro posizione sostanzialmente anticomunitaria, che concepisce l'Unione solo come un grande mercato con qualche competenza politica saldamente nelle mani dei governi, e nei gruppi di lavoro non mollano mai. Cosi', la necessita' di trovare mediazioni e compromessi con le loro resistenze finisce col prevalere. Tuttavia nel gruppo di lavoro della Convenzione sul governo dell'economia c'e' una spaccatura netta, fra chi si orienta con la bussola del libero mercato e chi con quella dei diritti sociali. - I. D.: Altri punti di contenzioso? - E. P.: La Presidenza dell'Unione. Che dev'essere della Commissione, non del Consiglio. Chi vuole metterla in capo al Consiglio, nella persona di un ex-premier nazionale autorevole, punta a ridurre la Commissione a mero organismo esecutivo delle volonta' degli Stati e dei governi, secondo la deriva alla ri-nazionalizzazione di cui sopra. E poi, i governi cambiano rapidamente colore politico, e il Consiglio di conseguenza. - I. D.: A proposito di colori politici. Quanto ha pesato la fine dell'Europa di centro-sinistra nella deriva di ri-nazionalizzazione che descrivi? - E. P.: Moltissimo ovviamente - basta pensare che nella Convenzione sulla Carta dei diritti il rappresentante del governo italiano era Rodota', mentre nella Convenzione sulla Costituzione e' Fini. Ma proprio per questa ragione sono assai sorprendenti e allarmanti il silenzio e l'inerzia del centrosinistra italiano sui lavori della Convenzione. E si' che la Costituzione europea non e' oggetto di divisioni all'interno dell'Ulivo, mentre potrebbe essere il terreno di una opposizione unitaria contro la Casa delle liberta' che in materia e' invece eclatantemente divisa fra le posizioni di Bossi e quelle dei centristi. La verita' e' che nella costruzione europea quello che sta mancando e' la politica, e in primo luogo il ruolo di mediazione dei partiti nei confronti dell'opinione pubblica. Se salta questo ruolo, la politica diventa pura protesta, le istituzioni diventano tecnocratiche quando non autoritarie, e il populismo e' in agguato. Anche l'esperienza di scrittura della Costituzione europea insegna che il compito piu' urgente, nelle democrazie occidentali di oggi, e' reinventare la politica. 5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: IL PRIMATO DELL'AMORE [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione il testo della sua relazione (il cui titolo originale e': "Distruggere le religioni: e dopo?") al convegno promosso dal Cepes svoltosi a Palermo il 4 novembre 2002, relazione in cui riflette in fraterno dialogo con grandi e cari maestri. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia, tra le opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, II ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, II ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001] Non so a che titolo sono stato invitato a questo seminario, se come intellettuale o come animatore sociale, ma, se proprio dovessi esibire un biglietto di presentazione, preferirei qualificarmi quale socio dell'Associazione Teologica Italiana e membro della redazione palermitana della rivista nazionale "Filosofia e teologia". Questa precisazione, che rischia di ingabbiarmi in un'etichetta riduttiva, serve a giustificare il taglio specifico del mio intervento che, grosso modo, potrebbe sintetizzarsi in una domanda: a quali condizioni le religioni potrebbero trasformarsi da occasioni di conflitto in strumenti di pacificazione? * Per rispondere, sia pur sommariamente, alla questione, vorrei prendere le mosse da un articolo di Enzo Mazzi, gia' parroco dell'Isolotto di Firenze, che molti di voi avranno letto perche' apparso sul "Manifesto" il 10 agosto di quest'anno. L'autore, ignoto ai piu' giovani ma non a chi ha vissuto il '68 in Italia, parte dalla constatazione di un dato di fatto: "Nel ricco programma proposto per il Forum sociale europeo che si terra' a novembre a Firenze manca completamente ogni riferimento ai temi riguardanti il rapporto fra religioni e globalismo, religioni e sistema mondiale di dominio e di guerra, religioni e fondamentalismo, religioni e pace. A differenza di Porto Alegre dove questi temi furono invece oggetto di importanti approfondimenti". Quali le ragioni di questa assenza? Mazzi non ha dubbi: da una parte significa che i cristiani progressisti europei, cattolici e protestanti, sono poco significativi quantitativamente e qualitativamente; ma, dall'altra, significa anche che tutta la cultura europea laica, anche la piu' progressista, e' "ancora ferma ai paradigmi dell'Ottocento". Che intendeva asserire l'autore? Probabilmente, mi pare di leggere fra le pieghe del suo intervento, che la cultura odierna e' ancora ferma ad una disastrosa divisione dei compiti: i credenti (soprattutto i preti) si occupano di religione, i laici (soprattutto i noncredenti) si occupano di politica. Quasi che la religione non avesse conseguenze, e pesanti, in campo politico e la politica non avesse implicazioni, e notevoli, in ambito religioso. La sua convinzione, e la riprendo perche' la condivido perfettamente, e' di segno opposto: la questione religiosa e' talmente intrecciata con quella politica che i politologi non la possono ignorare proprio come i teologi non possono ignorare i risvolti politici delle pratiche religiose. Ma dire questo significa andare dove i nuovi movimenti non dovrebbero avere paura di andare: "oltre tutte le ortodossie". Significa fare propria la tesi del sociologo Franco Ferrarotti che "la fame di sacro e il bisogno di religione vanno sottratti all'abbraccio mortifero della religione-di-chiesa, burocratica e gerarchicamente autoritaria" - e che cio' va fatto con una lotta su pi? fronti, "dentro ma anche fuori della chiesa". Insomma: "I laici non possono piu' continuare a chiamarsi fuori dai problemi religiosi, ecclesiali e perfino teologici. (...) Ci si scalda quando gli interventi ecclesiastici ci toccano negli interessi diretti e immediati: contraccettivi, aborto, omosessualita', ingerenza politica, scuola cattolica, violenza psicologica sui bambini a base di colpevolizzazioni. Ci si esalta e giustamente quando i prelati o i preti condannano la guerra o denunciano la ingiustizia o vivono da eroi fra i poveri. Il resto e' considerato questione interna alla religione. Questo giocar di rimessa con le religioni e' una caratteristica congenita del laicismo. Cent'anni fa, quando era 'certo' che la religione, considerata residuo dell'eta' infantile dell'umanita', sarebbe stata superata dal progresso, poteva apparire razionale lasciar sopravvivere la teocrazia come gioco da riserva indiana. Oggi tale atteggiamento e' chiaramente distruttivo. Perche' il liberismo sta cavalcando la ripresa delle religioni a livello mondiale con una capacita' di penetrazione i cui effetti si vedranno a lunga scadenza. Il sistema di dominio globale se ne fa un baffo delle condanne ecclesiastiche. Le mette nel conto come pedaggio. A lui serve che l'abbraccio materno delle religioni, contribuendo a rassicurare e consolare, stabilizzi il potere". Sulla stessa lunghezza d'onda alcune dichiarazioni che leggo in un'intervista, su "Repubblica" del primo novembre, a Regis Debray, di cui e' stato tradotto recentemente Dio, un itinerario: "Le mie posizioni politiche non sono cambiate, appartengo a quella che in Francia viene chiamata 'la sinistra della sinistra', ma cio' non mi impedisce di occuparmi della religione da un punto di vista culturale. (...) La dimensione religiosa della storia (...) e' fondamentale per comprendere l'attualita'. Oggi, ad esempio, per capire la realta' americana e' bene ricordare che sui dollari c'e' scritto In God we trust e che Bush inizia e conclude i suoi discorsi dicendo sempre God bless America. Solo Bin Laden fa lo stesso". * Cio' premesso sul piano metodologico, proviamo a entrare nei contenuti. Sul piano dei contenuti si impone una constatazione storica che possiamo condensare con le parole di Ernesto Balducci, un altro prete cattolico, amico di Mazzi, morto dieci anni fa: "Le religioni sono sempre religioni di guerra, anche quando predicano a parole la pace". E, per essere sicuro di essersi espresso bene, altrove Balducci ribadisce che la violenza e' iscritta nel codice genetico delle religioni. Questo e' il fatto, questa e' la diagnosi. E un romanziere come Jose' Saramago l'ha saputa di recente rappresentare plasticamente nel suo Il Vangelo secondo Gesu', soprattutto nelle pagine dedicate ai sacrifici rituali degli animali nel Tempio di Gerusalemme: "L'interno e' una fucina, una macelleria e un mattatoio. Sopra due grandi tavoli di pietra si preparano le vittime, le piu' grandi, buoi e vitelli soprattutto, ma anche montoni e pecore, capre e capretti. Accanto ai tavoli vi sono degli alti pilastri ai quali sono appese, con ganci conficcati nella pietra, le carcasse degli armenti, e si nota la frenetica attivita' dell'arsenale dei macelli, coltelli e coltellacci, accette e seghe, l'aria e' impregnata dei fumi della legna e dell'afrore delle interiora bruciate, del vapore di sangue e di sudore, qualunque anima, che non dovra' neppure essere santa, un'anima normale trovera' difficile capire come Dio possa sentirsi felice in mezzo a una simile carneficina, essendo, come dice di essere, il padre degli uomini e delle bestie" (pp. 77-78). Quale terapia e' possibile ed auspicabile? La risposta che don Mazzi riprende da padre Balducci, a sua volta preceduto e influenzato dal pastore protestante tedesco antinazista Dietrich Bonhoeffer, puo' suonare demagogica, fatta apposta per attirare il consenso di un pubblico laicista (specie se lettore di Marx e di Lenin): bisogna distruggere le religioni. Per vivere come fattore di crescita umana esse devono morire. Sarebbe possibile fermarsi a questa "pars destruens" senza chiedersi che cosa ci attenderebbe, se pure riuscissimo ad estirpare il bisogno di religione dal cuore dell"umanita', dopo? Sarebbe possibile, ma ingenuo. Non si puo' essere critici a meta'. Anche se non riesce agevole, occorre provare a immaginare - e giudicare - gli scenari eventuali. Che, per comodita' dialettica, potremmo ridurre a due. Primo scenario: la religione si estingue e trionfa l'ateismo nel senso piu' radicale del termine. Questo perfetto ateismo e', nell'accezione letterale ed etimologica, alfa-teismo: totale cancellazione di ogni interrogativo religioso. Ma si tratta di uno scenario realizzabile? E, ammesso che lo fosse, sarebbe anche auspicabile per l'umanita'? Che non sia realizzabile, ce lo insegna la storia. Quando sono stati abbattuti gli altari nella Francia illuministica della Rivoluzione Francese si e' instaurato il culto della Dea Ragione cosi' come, dopo l'incendio delle chiese nella Russia sovietica della Rivoluzione d'Ottobre, sono state instaurate nuove dogmatiche, nuove liturgie e nuove inquisizioni. Alle religioni della trascendenza sono subentrate le religioni dell'immanenza. Vogliamo chiamare questi processi "secolarizzazione" o, se dobbiamo essere schietti e realistici, "sacralizzazione" compensatrice e sostitutiva? Ma ammettiamo pure che l'operazione di azzeramento della religione riesca in maniera definitiva e irreversibile: sarebbe senza dubbio un guadagno per l'umanita'? Il filosofo Umberto Galimberti, nel delineare con simpatia questa eventualita', usa delle formule a mio parere piu' istruttive di quanto egli stesso non sospetti: "La storia umana e' uscita dalla dimensione simbolica solo da due secoli e limitatamente all'Occidente, che con l'illuminismo ha promosso il primato della ragione e quel suo corollario che e' l'ateismo, essendo Dio il fondamento di ogni dimensione simbolica" ("Repubblica", 25 settembre 2001). Se capisco bene, il prezzo da pagare per ottenere l'ateismo sarebbe la dissoluzione della dimensione simbolica dell'umanita': ma una umanita' senza simboli, senza sogni, senza poesia, senza arte e' davvero un'umanita' piu' ricca, piu' felice e piu' pacifica? Lascio la domanda sospesa: mi basta insinuare il dubbio che distruggere le religioni attuali sia necessario, ma non sufficiente; che il futuro post-religioso non e' garantito da nessuna mistificazione e da nessun fallimento; che non c'e' alcun passaggio meccanico, automatico, scontato verso un livello di liberazione piu' alto. In alternativa alla previsione razionalistico-atea, la teologia post-bonhoefferiana prefigura un secondo scenario: la morte delle religioni come anticamera della "fede non-religiosa". Che potrebbe significare questa espressione apparentemente contraddittoria? Una risposta completa implicherebbe l'analisi di varie religioni, ma a titolo puramente esemplificativo potremmo limitarci al caso del cristianesimo: esso dovrebbe tornare ad essere, proprio come sulle labbra e nella vita di Gesu' di Nazareth, una "fede" piuttosto che una "religione". Per capirci qualcosa, possiamo restituire la parola a Enzo Mazzi: "Noi siamo stati educati a cercare un Padre nostro che sta nei cieli, un Dio onnipotente su cui scaricare la nostra limitatezza, impotenza e irresponsabilita'. Grandi masse umane, in tutto il mondo, sono indotte a guardare in alto per cercare Dio. Gridano la loro sofferenza verso il cielo ed evitano cosi' di indirizzare il loro grido verso la terra. Qui sta una grande radice di indifferenza, di non-ascolto e quindi di stabilizzazione della violenza. In sostanza, non voleva dire proprio questo chi ha parlato di religione-oppio dei popoli? In realta' le orecchie di Dio siamo noi. A noi giunge il grido di ogni Abele e a noi spetta tutta la responsabilita' di rispondere. Noi siamo le orecchie e le mani e il cuore di Dio. Questo e' il messaggio di tutti i profeti, messaggio originario che le religioni hanno deformato e piegato ad interessi di parte. Non si tratta di sapere che cosa 'fanno' le religioni per la pace, ma cosa 'sono', quale funzione strutturale assolvono. Singoli 'religiosi', preti, laici, associazioni, comunita', che operano anche eroicamente per la pace e per la giustizia ce ne sono tanti per fortuna. La domanda e' questa: come e' possibile operare per la pace dall'interno di una funzione simbolica, la religione istituita appunto, che sacralizza il sistema di guerra? Detto brutalmente: e' possibile 'operare' per la pace ed 'essere' guerra? E come si puo' 'essere pace' senza annullare la propria identita' religiosa, senza perdere la ricchezza di valori accumulata dalle religioni? (...) Fra gli obbiettivi che si deve porre una cultura della nonviolenza - sostiene ancora Balducci - non puo' mancare l'impegno per aiutare le religioni a morire perche' nasca o rinasca una fede non-religiosa, la fede dell'uomo planetario". Vivere una fede non-religiosa significa, insomma, opporsi a qualsiasi alienazione e a qualsiasi strumentalizzazione. Non puoi trovare il Dio che non vedi se non passi attraverso le piaghe del fratello che vedi. Non sarai giudicato in base al numero di candele accese o di ostie consumate, ma di "corpi" salvati dalla fame, dalla sete, dall'aids, dall'analfabetismo. Milioni di persone fanno questo senza nessuna motivazione "teistica" e cio' e' un bene per l'umanita': i credenti possono attingere tutte le motivazioni che ritengono dal silenzio, dalla meditazione, dalla preghiera, dalle celebrazioni liturgiche... ma devono partire dal volto dell'altro e tornare al volto dell'altro. Questo non lo dice la teologia contemporanea che vuole rendersi accettabile dagli ambienti no global, ma la teologia contemporanea che vuole scavare alle radici del messaggio biblico e, in particolare, evangelico. Questo lo dice ogni teologia che voglia liberare la "fede" dall'involucro ingombrante della "religione". * La prospettiva di Bonhoeffer, ripresa tra gli altri da padre Balducci e da Enzo Mazzi, nella sostanza mi convince. Ma, se non vedo male, cosi' come e' formulata potrebbe implicare equivoci comunicativi o, addirittura, presupposti ingiustificati. La ritengo dunque preziosa, ma perfettibile. Essa eredita una contrapposizione fra "fede" e "religione" tipica del filone luterano, suggestivamente riproposto nel XX secolo da Karl Barth. Ma siamo proprio sicuri che (prima obiezione) il valore, il positivo, stia tutto dalla parte della "fides" e che (seconda obiezione) il disvalore, il negativo, stia tutto dalla parte della "religio"? Per quanto riguarda la prima obiezione, penso che la parola "fede" (sia pur accompagnata subito dall'aggettivazione "non-religiosa") sia fuorviante per indicare l'atteggiamento post-religioso piu' auspicabile per l'umanita' futura. Essa ha precise caratterizzazioni nel vocabolario protestante: e' dono della "grazia" di Dio, sintomo di "elezione" rispetto alla massa dannata, espressione di un "affidamento" al Trascendente che sottovaluta - quando non disprezza - la ragione. Quando la usiamo nella cultura del XXI secolo, riusciamo (ammesso che lo si voglia) a liberarla dall'impronta originaria? O non sarebbe meglio trovare qualche altro semantema per denotare l'atteggiamento di consapevolezza della propria finitudine, di apertura al Mistero, di ascolto della Natura, di sollecitudine per qualsiasi sofferenza umana e animale? Non e' facile, ma se ci riuscissimo (per esempio, in attesa di proposte migliori, preferirei "spiritualita'" al posto di "fede") potremmo meglio evidenziare la "laicita'" di tale atteggiamento esistenziale che e' fiducia, solidarieta', senso critico, liberta'... fuori da ogni limitazione non solo confessionale, ma anche etnica e culturale. Per quanto riguarda, infine, la seconda obiezione, penso che non tutto cio' che denominiamo "religione" sia da seppellire per sempre. Qui avverto la distanza sia dagli "atei" che dai "credenti non-religiosi". Entrambi sono giustamente critici verso le religioni come si sono storicamente configurate. Ma si puo' arrivare ad affermare, per esempio con quell'articolo di Galimberti, che i "simboli (...) annullano le differenze, infiammano i cuori, dopo avere assopito o addirittura ottenebrato le menti"? Ce la sentiamo di sostenere che una societa' in cui il legame con gli altri e con l'Altro fosse esclusivamente "interiore" (senza luoghi "sacri", senza tempi "sacri", senza assemblee, senza feste, senza canti, senza balli, senza anniversari, senza modelli di vita...) sarebbe una societa' piu' matura e non piu' piatta, piu' anonima, piu' omologata di quella attuale? La condanna del ritualismo non implica il rifiuto del rito piu' di quanto, ad esempio, la condanna del moralismo non implichi il rifiuto della morale. Anche in questo caso, probabilmente, il termine "religione" e' talmente compromesso dall'uso e dagli abusi da risultare inservibile: ma dopo la necessaria morte delle religioni sarebbe, dal mio punto di vista, auspicabile la rinascita di una dimensione "simbolica" costantemente (qui vale in pieno la preoccupazione dei razionalisti alla Galimberti) sottoposta al controllo della "ragione" e (qui vale in pieno la preoccupazione dei credenti alla Mazzi) finalizzata al primato della "fede" - o della "spiritualita'" o, per usare un termine inflazionato ma eloquente proprio nella sua generalita', dell'amore. 6. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI MARIA ZAMBRANO [Riproduciamo qui la bibliografia delle opere apparse in volume di Maria Zambrano, riprendendola dall'assai piu' ampia bibliografia (cui rinviamo per l'indicazione di prefezioni e articoli della Zambrano) a cura di Rosella Prezzo apparsa nelle pp. 151-160 del volume monografico della rivista filosofica "aut aut", n. 279 del maggio-giugno 1997, interamente dedicato a "Maria Zambrano, pensatrice in esilio". Maria Zambrano (1904-1991) e' una delle piu' grandi pensatrici del Novecento] - Horizonte del liberalismo, Morata, Madrid 1930. - Los intelectuales en el drama de Espana, Panorama, Santiago de Chile 1937; seconda edizione ampliata con "Ensayos y Notas (1936-1939)", Hispamerica, Madrid 1977; in Senderos, Anthropos, Barcelona 1986. - Pensamiento y poesia en la vida espanola, La Casa de Espana, Mexico 1939; in Obras reunidas, Aguilar, Madrid 1971. In versione italiana (parziale): Pensiero e poesia, "In forma di parole", II, 2, 1991, trad. di Antonio Melis. - Filosofia y poesia, Publicaciones de la Universitad Michoacana, Morelia (Mexico) 1939; in Obras reunidas, Aguilar, Madrid 1971. - El freudismo, testimonio del bombre actual, La Veronica, La Habana 1940; in Hacia un saber sobre el alma, Losada, Buenos Aires 1950. In versione italiana: Il freudismo, testimone dell'uomo contemporaneo, "Settanta", IV, 34, 1973; e in Verso un sapere dell'anima, a cura di Rosella Prezzo, trad. di Eliana Nobili, Cortina, Milano 1996. - Isla de Puerto Rico (Nostalgia y esperanza de un mundo mejor), La Veronica, La Habana 1940. - La confesion, genero literario y metodo, Luminar, Mexico 1943; Mondadori, Madrid 1988. In versione italiana (parziale): La confessione come genere letterario, trad. di Federico Ziberna, "aut aut", 265-266, 1995; (integrale): La confessione come genere letterario, trad. di E. Nobili, introduzione di Carlo Ferrucci, Bruno Mondadori, Milano 1997. - El pensamiento vivo de Seneca (Presentacion y antologia), Losada, Buenos Aires 1944, 1975; Catedra, Madrid 1987. - La agonia de Europa, Sudamericana, Buenos Aires 1945; Mondadori, Madrid 1988. - Hacia un saber sobre el alma, Losada, Buenos Aires 1950; Alianza, Madrid 1987. In versione italiana: Verso un sapere dell'anima, a cura di R. Prezzo, trad. di E. Nobili, Cortina, Milano 1996. - El bombre y lo divino, F. C. E., Mexico 1955; seconda edizione aumentata del saggio "El libro de Job y el pajaro", 1973; Siruela, Madrid 1992. - Persona y democracia. La historia sacrifical, Departamento de Instruccion Publica, San Juan de Puerto Rico 1958; Anthropos, Barcelona 1988. - La Espana de Galdos, Taurus, Madrid 1960; La Gaya Ciencia, Barcelona 1982; terza edizione corretta e ampliata, Endymion, Madrid 1989. - Espana, sueno y verdad, Edhasa, Barcelona 1965; seconda edizione ampliata, 1982. In versione italiana (parziale): Spagna: pensiero, poesia e una citta', trad. di Francesco Tentori, Vallecchi, Firenze 1964. - El sueno creador, Universitad Veracruzana, Xalapa (Mexico) 1965; in Obras reunidas, I, Aguilar, Madrid 1971; Turner, Madrid 1986 (edizione corretta e ampliata con gli articoli "Los suenos y el tiempo", "Lugar y materia de los suenos" e "Sueno y verdad"). In versione italiana (parziale): I sogni e il tempo, trad. di Elena Croce, De Luca, Roma 1964. - La tumba de Antigona, Siglo XXI, Mexico 1967; in Senderos, Anthropos, Barcelona 1986; Mondadori, Madrid 1989; pubblicato con "Diotima de Mantinea", "Litoral", Malaga 1989. In versione italiana: La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, trad. e introduzione di C. Ferrucci, con un saggio di R. Prezzo, La Tartaruga, Milano 1995. - Obras reunidas, I, (contiene: El sueno creador, Filosofia y poesia, Apuntes sobre el lenguaje sagrado y las artes, Poema y sistema, Pensamiento y poesia en la vida espanola, Una forma de pensamiento: "la guia"), Aguilar, Madrid 1971. - Claros del bosque, Seix Barral, Barcelona 1977. In versione italiana: Chiari del bosco, trad. di C. Ferrucci, Feltrinelli, Milano 1991. - El nacimiento (Dos escritos autobiograficos), Entregas de la Ventura, Madrid 1981. - Dos fragmentos sobre el amor, Imprenta Dardo, Malaga 1982. - Andalucia, sueno y realidad, seguito da Teoria de Andalucia di Jose' Ortega y Gasset, Ed. Andaluzas Unidas, Granada 1984. - De la Aurora, Turner, Madrid 1986. In versione italiana i capitoli: L'aurora della parola, trad. di A. Melis, "In forma di parole", II, 2, 1991; e Il tracciato della scrittura, trad. di E. Nobili, "Il gallo silvestre", 8, 1996. - Senderos, Anthropos, Barcelona 1986. - Maria Zambrano en Origines, El Equilibrista, Mexico 1987. - Notas de un metodo, Mondadori, Madrid 1989. - Delirio y destino (Los viente anos de una espanola), Mondadori, Madrid 1989. - Para una historia de la piedad, Torre de las Palomas, Malaga 1989. - Algunos lugares de la pintura, Acanto, Espasa Calpe, Madrid 1989. - Los bienaventurados, Siruela, Madrid 1990. In versione italiana: I beati, trad. di C. Ferrucci, Feltrinelli, Milano 1992. - El parpadeo de la luz, Rayuela, Malaga 1991. - Los suenos y el tiempo, Siruela, Madrid 1992. - La razon en la sombra. Antologia del Pensamiento de Maria Zambrano, a cura di Jesus Moreno Sanz, Siruela, Madrid 1993. - Nacer por si' misma, Horas, Madrid 1995. In versione italiana: All'ombra del dio sconosciuto, a cura di E. Laurenzi, Pratiche, Milano 1997 (contiene i saggi La donna nella cultura di Occidente; Delirio di Antigone; Eloisa o l'esistenza della donna, Diotima di Mantinea). 7. RILETTURE. HANNAH ARENDT: TRA PASSATO E FUTURO Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 312, lire 23.000. Una perspicua raccolta di saggi della grandissima pensatrice. 8. RILETTURE. SIMONE DE BEAUVOIR: LE DEUXIEME SEXE Simone de Beauvoir, Le deuxieme sexe, Gallimard, Paris 1949, 1976, 1989, 2 voll. per complessive pp. 416 + 672 (vi e' anche una traduzione italiana presso Il Saggiatore, Milano 1961, e successivamente ristampata). Un testo ancor oggi da leggere. 9. RILETTURE. UMBERTO GALIMBERTI: PSICHE E TECHNE Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 1999, 2002, pp. 816, euro 15. Un testo di grande ricchezza, che a tutti consigliamo. 10. RILETTURE. HANS KUENG: DIO ESISTE? Hans Kueng, Dio esiste?, Mondadori, Milano 1979, pp. 954. Uno studio dell'illustre teologo che ricostruisce con la consueta acribia e sistematicita' il dibattito di filosofi e teologi da Cartesio ad oggi. 11. RILETTURE. EMMANUEL LEVINAS: TOTALITA' E INFINITO Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1990, 1995, pp. LXXVIII + 320 (recte: 302), lire 36.000. Un libro fondamentale. 12. RILETTURE. SEBASTIANO TIMPANARO: SUL MATERIALISMO Sebastiano Timpanaro, Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1970, 1975, Unicopli, Milano 1997, pp. XXXVIII + 234, lire 35.000. Uno dei capolavori di rigore intellettuale e morale dell'indimenticabile Sebastiano Timpanaro. 13. RILETTURE. SOFIA VANNI ROVIGHI: INTRODUZIONE A ANSELMO D'AOSTA Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Anselmo d'Aosta, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 192. Una presentazione di Anselmo essenziale e rigorosa della grande studiosa, nella utilissima collana laterziana di profili filosofici. 14. RILETTURE. SIMONE WEIL: QUADERNI, I-IV Simone Weil, Quaderni, I-IV, Adelphi, Milano 1982-1993, 4 volumi per complessive pp. 412 + 374 + 428 + 632. A cura di Giancarlo Gaeta, l'edizione integrale italiana dei Quaderni di Simone Weil, e' una testimonianza e un monumento della cultura del Novecento, il capolavoro che documenta, attesta, esprime - e per quanto attiene all'opera scritta risolutivamente e' - il work in progress e il lascito grande di una delle figure decisive del XX secolo. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 412 dell'11 novembre 2002
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