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La nonviolenza e' in cammino. 408
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 408
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 6 Nov 2002 21:17:36 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 408 del 7 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Una proposta di legge d'iniziativa popolare: Norme di attuazione del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione 2. Presentazione di "Quaderni Satyagraha" 3. Agnes Heller, sui bisogni alienati 4. Ettore Masina ricorda Oscar Romero 5. Patrizia Violi, forse pero' 6. Margot Waddell, qualsiasi stereotipo 7. Meo Elia presenta "L'angelo della pace" di Massimo Toschi 8. Tommaso Di Francesco presenta "I padroni del mondo" di John Pilger 9. Riletture: AA. VV., Ruah 10. Riletture: Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia 11. Riletture: Ida Magli, Sulla dignita' della donna 12. Riletture: Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura 13. "Marea": alcuni siti del movimento delle donne 14. "Femmis": comprate e vendute 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. AGENDA. UNA PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE: NORME DI ATTUAZIONE DEL RIPUDIO DELLA GUERRA SANCITO DALL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE [Siamo assai grati a Danilo Zolo (per contatti: zolo at tsd.unifi.it) per averci messo a disposizione il testo di questo progetto di legge di iniziativa popolare elaborato da lui assieme a Luigi Ferrajoli e Domenico Gallo, e che Emergency, l'organizzazione di Gino Strada, fara' proprio per una campagna nazionale per la raccolta di firme. Luigi Ferrajoli, illuste giurista, e' nato a Firenze nel 1940, magistrato tra il 1967 e il 1975, dal 1970 e' docente universitario; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo particolarmente la monumentale monografia Diritto e ragione, Laterza, Roma-Bari 1989, giunta alla terza edizione; il saggio La sovranita' nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; e La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999. Domenico Gallo, illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985. Danilo Zolo, illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, docente di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze; tra le sue opere segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000] 1. Un ricorso crescente alla guerra A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la conclusione della '"guerra fredda", abbiamo assistito a un ricorso crescente alla forza militare, quasi esclusivamente da parte delle potenze occidentali: l'occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra del Golfo, l'invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia e in Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kosovo, l'Afganistan. Ora si sta progettando, per volonta' degli Stati Uniti, un attacco militare contro l'Iraq: un attacco che potra' avere conseguenze incalcolabili in termini di perdite di vite umane, di distruzioni di strutture civili, di devastazioni ambientali. Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso di armi di distruzione di massa sempre piu' potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di civili sono morti per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra tutti quello contro l'Iraq. A questo flagello vanno aggiunte la persecuzione del popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i tibetani e molto altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le atrocita' del terrorismo internazionale. All'escalation di odio, di dolore, di distruzione e di morte ha corrisposto l'inerzia o l'impotenza delle istituzioni internazionali che dovrebbero operare per la pace, anzitutto delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente ricatto da parte delle massime potenze mondiali, che se ne servono come di uno strumento di legittimazione delle proprie strategie egemoniche. Ma la Carta delle Nazioni Unite non puo' essere usata, se non sulla base di una conclamata violazione dello spirito e della lettera delle sue norme, per giustificare la guerra, e tanto meno una "guerra preventiva" come quella che Stati Uniti e Gran Bretagna si apprestano a scatenare contro l'Iraq. Questa Carta fu un patto solenne con il quale fu messo al bando, come e' scritto nel suo preambolo, il ripetersi del "flagello della guerra", che per due volte nel corso di una stessa generazione aveva causato indicibili sofferenze all'umanita'. In essa fu definito, contro le minacce alla pace, un complesso di misure, tra le quali l'uso controllato della forza nelle forme e alle condizioni stabilite dal capitolo VII. Fu insomma progettato, al fine di "conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali", il monopolio della forza in capo al Consiglio di Sicurezza, attraverso l'istituzione - che pero' non e' stata mai attuata - di organismi militari permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere di fatto funzioni di polizia internazionale. Oggi quel patto e' stato dimenticato. In tutti i casi sopra citati le potenze occidentali hanno infatti usato la forza militare ignorando il diritto internazionale e violando i diritti piu' elementari delle persone. Il bombardamento della televisione di Belgrado, la strage di Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo sono esempi di un uso criminale della forza internazionale che molto probabilmente nessuna Corte penale internazionale avra' mai il potere di sanzionare. E dopo l'attentato terroristico subito l'11 settembre, gli Stati Uniti hanno elaborato una teoria militare e inaugurato una pratica bellica che presentano aspetti eversivi non solo della Carta delle Nazioni Unite, ma anche del diritto internazionale generale: basta pensare al carattere preventivo, unilaterale, spazialmente indefinito e temporalmente indeterminato della "nuova guerra" dichiarata dal presidente Bush contro l'"asse del male". Il nostro paese, per volonta' sia di governi di centro-sinistra sia di governi di centrodestra, e' stato corresponsabile di una larga parte di questi gravissimi illeciti internazionali, partecipando sistematicamente, con le proprie strutture militari, le proprie armi e le proprie basi, alle aggressioni decise dalle potenze occidentali contro Stati sovrani e contro i loro popoli, per lo pio' deboli e poveri. Nel farlo i nostri governi e i nostri rappresentanti parlamentari - spesso votando in complicita' bipartisan - hanno apertamente violato la Costituzione repubblicana. * 2. Contro la normalizzazione costituzionale della guerra La nostra Costituzione, all'art. 11, stabilisce che "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Questa norma non solo e' stata ripetutamente violata nel corso dell'ultimo decennio, ma si e' affermata una tendenza a considerarla normativamente inesistente, come se fosse ormai del tutto desueta. E' in corso, in altre parole, un'operazione politica e giuridica di normalizzazione costituzionale della guerra che intende privare l'art. 11 della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso conserva al piu' - si sostiene - un significato programmatico: e' un nobile auspicio per tempi migliori. E' ormai un coro unanime in questo senso: il presidente del Consiglio Berlusconi ha apertamente sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo discorso alla Camera del 25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla partecipazione dell'Italia alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la sinistra deve liberarsi di ogni arcaico "tabu' pacifista". Piu' recentemente, una delle massime autorita' dello Stato - il presidente della Camera, Pierferdinando Casini - ha sostenuto che il ripudio costituzionale della guerra non ha piu' il suo significato originario, che i tempi sono cambiati, che i principi costituzionali vanno interpretati in modo flessibile. Per sconfiggere il terrorismo internazionale anche l'Italia deve impegnarsi ad usare lo strumento della guerra. Si tratta di una tendenza molto grave, come ha denunciato con forza Pietro Ingrao, e tanto piu' pericolosa perche' e' largamente sostenuta dai grandi mezzi di comunicazione di massa, controllati dal duplice monopolio multimediale, pubblico e privato, di cui e' titolare il presidente del Consiglio italiano. Contro gli apologeti della guerra, la pace deve essere considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che ne' il Parlamento, ne' il governo dovrebbero mai mettere in discussione. Parlamento e governo dovrebbero al contrario impegnarsi a realizzarlo collaborando alla costruzione della condizioni politiche ed economiche generali che rendano meno spietati e violenti - meno "terroristici" - i rapporti fra le nazioni. Il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano. E al popolo italiano spetta oggi la responsabilita' di ripristinarlo, delegittimando le scelte in senso contrario del governo, del Parlamento ed anche della Corte di cassazione. Per questo, oggi piu' che mai, e' importante - come e' stato fatto per l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori - che una larga mobilitazione politica impugni la bandiera dell'art. 11, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente ammainato. Uno strumento che puo' promuovere una vasta iniziativa popolare contro la guerra e' quello apprestato dall'art. 71 della Costituzione: una proposta di legge di iniziativa popolare, redatta in articoli, e firmata da almeno cinquantamila elettori. * 3. Una iniziativa di legge popolare contro la guerra Il progetto di legge di iniziativa popolare che viene qui presentato - Norme di attuazione del ripudio della guerra sancito dall'art. 11 della Costituzione - chiede al Parlamento l'approvazione di una serie di garanzie che rendano operante l'art. 11 della Costituzione, ne consentano una effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni delle sue violazioni. Il progetto si compone di cinque articoli. L'art. 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla prescrizione dell'art. 11 della Costituzione che bandisce l'uso della guerra in ogni sua forma (comma 1) e propone una definizione di "guerra" (comma 2) coerente con il dettato costituzionale e con la Carta delle Nazioni Unite. Al comma 3, richiamando congiuntamente l'art. 52 della Costituzione e l'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, viene affermato un principio di grande valore. L'uso della forza militare, consentito dall'art. 52 per la difesa della patria da aggressioni esterne, e' la sola eccezione ammessa sia all'art. 11 della nostra Costituzione, sia alla generale normativa della Carta delle Nazioni Unite, che riserva al Consiglio di Sicurezza il potere di usare la forza internazionale. L'eccezione prevista dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite riguarda il diritto di difesa di uno Stato attaccato militarmente da un altro Stato. In questo caso lo Stato aggredito puo' usare la forza per difendersi dall'attacco in atto, in attesa che intervenga direttamente il Consiglio di Sicurezza e prenda, a sua discrezione, le misure necessarie per il ristabilimento della pace. E' chiaro, fra l'altro, che un atto terroristico, per grave che sia, non rientra tra i presupposti della guerra di legittima difesa, previsti dalla Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni Unite. E' infatti un atto criminale, che richiede l'identificazione, la cattura e la punizione dei colpevoli, e non certo la risposta illegittima della guerra, idonea a provocare migliaia di vittime innocenti e non, come l'esperienza dimostra, a sconfiggere le organizzazioni terroristiche. L'art. 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l'impegno dell'Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace, incluse le missioni di peacekeeping, e cioe' di interposizione armata con il consenso delle parti interessate. Ma afferma anche, al comma 2, un principio di grande importanza. Afferma che qualsiasi "missione" che comporti l'uso della forza e non risponda alle rigorose previsioni degli artt. 43, 45 e 47 della Carta delle Nazioni Unite deve essere considerata illegale. Questi articoli prevedono che l'uso della forza, eventualmente deliberato dal Consiglio di Sicurezza, deve essere affidato a contingenti militari posti sotto la sua diretta responsabilita' e sorveglianza, con l'assistenza di un Comitato di Stato Maggiore permanente. Queste previsioni, come e' noto, non sono mai divenute effettive ed e' invalsa la prassi di "appaltare" l'uso della forza alle grandi potenze interessate ad esercitarla. La conseguenza e' stata che il Consiglio di Sicurezza si e' spesso limitato a legittimare ex ante o, piu' spesso, ex post guerre di aggressione che le potenze interessate avrebbero comunque condotto - o avevano gia' condotto - in ossequio alle proprie convenienze strategiche. L'art. 3 (Inammissibilita' di ulteriori interventi armati), al comma 1, vieta qualsiasi intervento militare all'estero da parte delle forze armate italiane in violazione delle norme contenute nei due articoli precedenti, e ai commi 2 e 3 prevede specifiche sanzioni per tali violazioni. L'art. 4 (Armi vietate dalla convenzioni internazionali), ai commi 1 e 2, in applicazione di vari trattati internazionali ratificati dal nostro paese, vieta non solo l'uso ma anche la produzione, il transito nel nostro paese e l'esportazione di armi biologiche, chimiche e nucleari ed estende questo divieto alle "bombe a grappolo", ai proiettili all'uranio impoverito e alle mine anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili all'uranio impoverito sono stati largamente usati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sia nella guerra del Golfo del 1991, sia nelle due guerre balcaniche, dal 1993 al 1999, sia infine in Afghanistan, con effetti che secondo molti osservatori sono stati gravissimi - e lo sono ancora - per le vite umane e per l'ambiente naturale. Le mine antiuomo sono state recentemente bandite da un trattato multilaterale, al quale solo gli Stati Uniti, fra i paesi occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le industrie belliche italiane ne hanno prodotto per decenni grandissime quantita' e le mine italiane, fra le piu' pericolose, sono ancora sparse, in centinaia di migliaia, nel territorio dell'Afghanistan. L'art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale), al comma 1, conferma la collaborazione del nostro paese con la Corte Penale Internazionale recentemente entrata in funzione (luglio 2002), nonostante l'opposizione degli Stati Uniti. La Corte ha il compito di perseguire gravi illeciti internazionali come i crimini contro l'umanita', i crimini di guerra, il genocidio, i crimini contro la pace. Nello stesso tempo, vietando al comma 2 che l'Italia possa stipulare accordi per sottrarre cittadini di paesi terzi alla giurisdizione della Corte, questo articolo intende reagire sia al sabotaggio della Corte che gli Stati Uniti hanno orchestrato sfruttando l'art. 98 del suo Statuto, sia alla complicita' del governo italiano con il sabotaggio statunitense. * Art. 1 (Ripudio della guerra) 1. La realizzazione di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, di cui all'art. 11 della Costituzione, non puo' essere perseguita facendo ricorso allo strumento della guerra. 2. Per "guerra" si intende qualunque intervento armato di uno o piu' Stati che, a causa del ricorso massiccio alla violenza, sia idoneo a provocare la morte, la mutilazione o il ferimento di persone innocenti o a produrre distruzioni indiscriminate o a causare gravi alterazioni dell'ambiente naturale. 3. La difesa della patria, di cui all'art. 52 della Costituzione, si esercita nell'ambito delle disposizioni dell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. * Art. 2 (Prevenzione dei conflitti) 1. L'Italia coopera alla soluzione pacifica delle controversie internazionali, a norma del Capo VI della Carta delle Nazioni Unite. 2. Fino a quando non avranno attuazione gli articoli 43, 45 e 47 della Carta delle Nazioni Unite, l'Italia potra' fornire soltanto formazioni non armate, nonche' contingenti militari per il mantenimento della pace ("caschi blu") con il consenso delle parti interessate. I relativi accordi dovranno essere autorizzati dalle Camere in conformita' all'art. 80 della Costituzione. * Art. 3 (Inammissibilita' di ulteriori interventi armati) 1. Le forze armate italiane non possono compiere interventi militari all'estero in contrasto con le disposizioni di cui agli articoli precedenti. 2. I fatti commessi nel corso di operazioni militari all'estero, eseguite in violazione delle disposizioni di cui sopra, sono regolati dal diritto penale comune. 3. I fatti illeciti e le conseguenze dannose connesse ad operazioni militari non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale. * Art. 4 (Armi vietate dalle Convenzioni internazionali) 1. In attuazione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, ratificato con Legge del 24 aprile 1975, n. 131, della Convenzione che vieta la fabbricazione e l'immagazzinamento di armi batteriologiche e tossiche, ratificata con Legge dell'8 ottobre 1974, n. 618, della Convenzione che mette al bando la produzione, lo sviluppo e l'immagazzinamento delle armi chimiche, ratificata con Legge del 18 novembre 1995, n. 496, sono vietati la produzione, l'introduzione e il transito nel territorio nazionale delle armi biologiche, chimiche e nucleari, nonche' la loro fornitura ai Paesi esteri. 2. Tale divieto si estende alle mine anti-uomo, alle bombe a grappolo (cluster bombs), ai proiettili e alle munizioni all'uranio impoverito ("DU") e a ogni altro sistema d'arma il cui uso sia vietato dalle Convenzioni internazionali. 3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, le violazioni del presente articolo sono punite ai sensi dell'art. 435 del Codice penale. * Art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale) 1. L'Italia fornisce piena collaborazione all'attivita' della Corte Penale Internazionale, istituita con il Trattato di Roma del luglio 1998, ratificato con legge 12 luglio 1999, n. 232, ai sensi degli articoli 88 e seguenti dello Statuto istitutivo della medesima Corte. 2. E' fatto divieto di stipulare accordi internazionali volti a sottrarre i cittadini di paesi terzi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale. 2. RIVISTE. PRESENTAZIONE DI "QUADERNI SATYAGRAHA" [Dal sito del Centro Gandhi di Pisa (pdpace.interfree.it) riportiamo la presentazione dell'ottima rivista "Quaderni Satyagraha" di cui e' in uscita il numero 2. Per contatti: e-mail: pdpace at interfree.it] "Quaderni Satyagraha. Il metodo nonviolento per trascendere i conflitti e costruire la pace". Il movimento per la pace ha di fronte a se' il compito di dotarsi, secondo l'invito di Gene Sharp, di una strategia che porti ad alternative funzionali agli eserciti e agli armamenti nel compito della difesa, della gestione delle crisi internazionali e del mantenimento della pace. In questa ottica sentiamo impellente l'urgenza di uno strumento di approfondimento e di formazione al metodo nonviolento. "Satyagraha", il nome scelto per la rivista, esprime immediatamente il richiamo al paradigma sperimentale, creativo e costruttivo della nonviolenza gandhiana: Sat e' l'essere, la verita' intesa non come dogma da imporre, ma come ricerca, tensione verso la verita'; Agraha e' il potere della nonviolenza che agisce nei conflitti per trasformarli e trascenderli verso realta' di pace. La nonviolenza si presenta come metodo sperimentale di una scienza dei conflitti. Nel sottotitolo, il riferimento al metodo indica, secondo l'etimologia del vocabolo greco methodos, la "via" (hodos) che conduce oltre (meta') il conflitto, che "lo trascende". Il metodo nonviolento nel porre l'attenzione sul rapporto mezzi-fini si afferma come una nuova razionalita' nella gestione dei conflitti piu' efficace delle strategie militari. A partire dalla consapevolezza che il conflitto di per se' non e' distruttivo, il metodo di approccio al conflitto e' decisivo per trasformare in modo nonviolento le realta' strutturali che generano l'ingiustizia e la guerra. Alla pubblicazione di una rivista di approfondimento scientifico della nonviolenza arriviamo con un ritardo quasi cinquantennale rispetto all'Europa del Nord e agli Stati Uniti, che hanno avuto come battistrada studiosi come Johan Galtung, Kenneth Boulding e Gene Sharp. L'Italia ha avuto innumerevoli maestri della nonviolenza (Capitini, don Milani, Lanza del Vasto, Danilo Dolci, ecc.), ma la loro azione e' stata emarginata dalle grandi istituzioni culturali e cio' ha per lungo tempo impedito il passaggio a un riconoscimento istituzionale dei Peace Studies, trattati con diffidenza dal mondo accademico, perche' giudicati incapaci di assumere uno statuto di oggettivita' e avalutativita' che deve sempre contraddistinguere la ricerca scientifica. Johan Galtung nella sua magistrale opera di precursore ha ampiamente confutato questo tipo di obiezioni e ha delineato con chiarezza i caratteri del paradigma scientifico degli studi sulla pace, facendo ricorso all'efficace immagine della prassi medica nei termini del triangolo diagnosi-prognosi-terapia. Alla fase dello studio e della conoscenza, segue l'acquisizione di capacita' funzionali per intervenire con una cura appropriata alla malattia, di cui la violenza e' la manifestazione sintomatica. La distinzione tra violenza diretta e violenza strutturale, l'indagine sulle cause profonde della violenza radicata nelle culture dei popoli, i nessi tra conflitto e sviluppo, tra sicurezza e disarmo, il discorso sulle alternative tra modelli di sviluppo diversi, il legame inscindibile tra pace e giustizia, la distinzione tra pace positiva e pace negativa, l'approfondimento teorico del metodo gandhiano per trascendere i conflitti, sono le tante acquisizioni di un percorso intellettuale da cui non si puo' prescindere e che costituira' la base ispiratrice della rivista che intendiamo realizzare. "Quaderni Satyagraha" pubblichera' saggi dei maggiori studiosi di tutto il mondo ma si propone anche di stimolare e promuovere l'emergere di giovani ricercatori italiani nell'ambito dei Peace Studies. Esce il primo anno come semestrale, sperando di poter presto assumere la periodicita' quadrimestrale o trimestrale, in rapporto al successo che incontrera' tra i lettori ed i ricercatori. Il primo numero (stampato grazie ad un finanziamento della Regione Toscana e dell'Associazione Amici di Tolstoj) e' stato inviato come saggio. Abbiamo chiesto di valutare liberamente la validita' e l'interesse di questa pubblicazione e di contribuire all'uscita dei numeri successivi acquistando la copia ricevuta (versamento consigliato di almeno 15 euro) o sottoscrivendo un abbonamento a due numeri effettuando al piu' presto un versamento minimo di 30 euro sul ccp n. 19254531 intestato a "Centro Gandhi - Associazione per la Nonviolenza onlus, Larggo Duca d'Aosta 11, 56123 Pisa", specificando come causale "Acquisto di un numero di Quaderni Satyagraha" o "Abbonamento per due numeri a Quaderni Satyagraha". 3. MAESTRE. AGNES HELLER: SUI BISOGNI ALIENATI [Da Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974, 1978, p. 155. Agnes Heller, filosofa ungherese, e' nata a Budapest nel 1929, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia ed attualmente in America. In Italia e' particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni '70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa anche laddove non se ne condividano alcuni impianti ed esiti teorici. Nella sua vastissima ed articolata produzione segnaliamo almeno La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli; Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti; Teoria della storia, Editori Riuniti; Etica generale, Il Mulino; cfr. anche Apocalisse atomica (con F. Feher), Sugarco; ed il volume-intervista Morale e rivoluzione, Savelli] I bisogni alienati hanno un carattere quantitativo. Il processo della loro accumulazione e' praticamente infinito. Se prendiamo in considerazione i bisogni puramente quantitativi, difficilmente troveremo il punto in cui essi raggiungono il livello di "saturazione". 4. MEMORIA. ETTORE MASINA RICORDA OSCAR ROMERO [Questo articolo di Ettore Masina (per contatti: ettore.mas at libero.it) e' stato scritto su richiesta del quotidiano "L'Unita'" nel marzo di quest'anno; ringraziamo Ettore per avercelo a suo tempo trasmesso. Ettore Masina e' giornalista e scrittore, gia' parlamentare, impegnato per la pace e i diritti umani, animatore dell'esperienza di solidarieta' della Rete Radie' Resch; tra le sue opere segnaliamo in particolare Il vangelo secondo gli anonimi, Cittadella; Un passo nella storia, Cittadella; El nido de oro, Marietti; Un inverno al sud, Marietti; Oscar Romero, Edzioni cultura della pace (poi riedito come L'arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele); ed il recente Il vincere. Oscar Arnulfo Romero, nato nel 1917, arcivescovo di San Salvador, voce del popolo salvadoregno vittima dell'oligarchia, della dittatura, degli squadroni della morte, muore assassinato mentre celebra la messa il 24 marzo 1980. Tra le opere su Oscar Romero: James R. Brockman, Oscar Romero: fedele alla parola, Cittadella, Assisi 1984; il gia' citato libro di Ettore Masina, Oscar Romero, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1993 (poi riedito, rivisto e ampliato, col titolo L' arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995); Jose' Maria Lopez Vigil, Oscar Romero. Un mosaico di luci, Emi, Bologna 1997] In molti luoghi della Terra - e in molti luoghi italiani - in questi giorni si commemora l'anniversario della morte di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato con un colpo di fucile mentre celebrava una messa. Sono passati ventidue anni da quel giorno, eppure milioni e milioni di cattolici (ma non solo di cattolici e non solo di cristiani) continuano a farne memoria. Fare memoria non significa ricordare. Fare memoria significa rendere attuale un fatto, un protagonista, le ragioni di quel fatto, la fisionomia di quel protagonista, come se fossero accanto a noi, per noi significanti. E allora: attuale El Salvador, abbandonato dai riflettori della cronaca, dopo una guerra civile che lo ha allagato di sangue? Attuale un uomo morto da tanto tempo, senza lasciare trattati teologici, faraoniche costruzioni, opere d'arte, congregazioni religiose, istituti secolari? Attuale un santo che il Vaticano non ha (ancora?) riconosciuto come tale? Attuale il suo "caso" quando cento altri si sono accumulati in questi anni? La gente risponde che si'. Romero non e' mai stato un mito e sono i miti ad avere bisogno, per sopravvivere, di mass-media, di omaggi formali, di ceralacche apposte a pergamene fra volute d'incenso; e sono i miti ad essere logorati dalle celebrazioni, ridotti spesso a statuine per i cruscotti delle automobili o a grandi statue per le piazze, a devozioni che sfiorano la magia, a titolari di santuari che richiamano allegri picnic piu' che meditazioni evangeliche. Romero e' stato un mito soltanto per i suoi avversari, quelli che lo hanno descritto come un "vescovo rosso", perche' stava dalla parte dei poveri e si opponeva, fino a morirne, all'ordine pubblico degli squadroni della morte. Mentre lui camminava per i villaggi della sua terra, fra donne violate e campesinos uccisi dopo elaborate torture, l'ambasciatore del Salvador presso la Santa Sede, nella sua suite al Grand Hotel, offriva a importanti monsignori cene prelibate e ghiotte notizie: quel Romero permette che i suoi preti alternino la mitraglietta all'aspersorio, dicano la messa fumando e usino il caffe' invece che il vino per le eucarestie. I monsignori prendevano nota. Cinque dei sei vescovi del Salvador odiavano Romero: uno di loro amava vestirsi da colonnello dell'esercito, un altro i campesinos lo chiamavano "tamagas" che e' il nome di una vipera velenosa e versipelle. Su questo Romero che non voleva capire che Mosca e Belzebu' erano alle porte scrivevano a Roma lettere collettive, in cui la frase più tenera suonava cosi': un povero pazzo. Quanto ai nunzi apostolici, vescovi ridotti a fare i diplomatici, tutti a dire: quest'uomo crea turbamenti fra Stato (fascista) e Santa Sede. Si ingiganti' cosi' il mito del vescovo che "piaceva ai guerriglieri", del vescovo-Che Guevara, o la caricatura del povero, ingenuo monsignore strumentalizzato dai comunisti. Se non fossero odiosi certi giochi di parole, si potrebbe dire che Romero non fu un mito, fu un mite. Soltanto contro chi osava ordinare il genocidio dei poveri la sua voce ebbe accenti infuocati. Per il resto la verita' e' che egli, a una immensa turba di poveri, che per secoli si erano troppo spesso sentiti predicare soltanto la croce dei doveri, diede l'annunzio che accanto ai doveri essi avevano dei diritti, e li esorto' a chiederne il riconoscimento, mettendosi insieme, nella nonviolenza attiva. No, non fu un vescovo "rosso", la sua intransigenza nei confronti del materialismo dialettico fu sempre ferrea. Ma fu un vescovo "liberatore". Aveva scritto un poeta che, a causa delle continue repressioni, ogni salvadoregno nasceva gia' mezzo morto. Romero si chino' su quelle mezze-vite ascoltandole e facendone suoi i dolori e poi annunziando loro: siete i figli prediletti del vangelo. Fu immensamente amato dai poveri. E forse in tanta avarizia di riconoscimenti da parte del Vaticano non c'e' soltanto il peso di parole profetiche annotate come "eccessive", ma anche un grano di invidia da parte di coloro che vorrebbero essere chiamati padri da ricchi e da poveri e in realta' sanno bene che il vero amore cristiano viene da coloro che hanno fame e sete di giustizia. La gente (molta gente) sente che quel monsignore, il quale nella prima parte della sua vita conobbe soltanto la pratica della preghiera e dell'elemosina, ma poi si lascio' convertire dal popolo, e' un santo che si vorrebbe avere per amico; ed e' per questo che alla fine di ogni mese di marzo gremisce le chiese nel suo ricordo. E nel ricordo di Romero, il popolo cristiano scopre che il suo sangue germina sacerdoti e vescovi che affrontano intrepidamente gli oppressori dei poveri, proferendo il "Non ti e' lecito!" che fu di Giovanni il Battezzatore: vescovi e preti assassinati, per questo, come i sei gesuiti salvadoregni massacrati nel 1986. il vescovo guatemalteco Gerardi, e forse il colombiano Duarte; vescovi in costante pericolo di vita, oggi, come alcuni brasiliani, haitiani, africani. Aveva detto, un giorno, Romero: "Se mi uccideranno, risorgero' nel cuore del mio popolo". Erano passati dodici anni dal suo martirio quando fu firmato l'accordo di pace fra il governo salvadoregno e le forze guerrigliere. Quel giorno, nella piazza del palazzo presidenziale, ebbe luogo una grande festa: finalmente dopo tanti anni i salvadoregni potevano radunarsi senza paura: muchachos con il fazzoletto rosso del fronte rivoluzionario accanto a quelli con le divise dell'esercito, in pace. Famiglie disgregate si ricomponevano dopo anni d'assenza. Poi le orchestrine cominciarono a suonare, centinaia di coppie si allacciarono nelle danze. Su una facciata della cattedrale c'era un'immensa fotografia di Romero con la scritta: "Monsignore, sei risorto nel cuore del tuo popolo". Passando accanto a quel muro, i ballerini buttavano baci. Qualcuno, tenendo la dama o il cavaliere con la sinistra, si faceva il segno della croce. Non dimentichero' mai quello spettacolo: e penso che pochi santi abbiano avuto una cosi' gioiosa, affettuosa canonizzazione. 5. RIFLESSIONE. PATRIZIA VIOLI: FORSE PERO' [Da Patrizia Violi, Le molte enciclopedie, in AA. VV., Semiotica: storia, teoria, interpretazione, Bompiani, Milano 1992, p. 110. Patrizia Violi, come e' noto, e' una delle piu' importanti studiose di semiotica] Forse pero' se il caos e l'informe potessero trovare posto entro quell'ordine invece di esserne espulsi con violenza, se potessero essere accolti nel mondo della coscienza enciclopedica, se di essi si potesse tentare anche la teoria, oltre al racconto, allora cesserebbero di essere cosi' minacciosi e devastanti, e si rivelerebbero, pur nel loro volto inquietante, come parte costitutiva di noi stessi. 6. RIFLESSIONE. MARGOT WADDELL: QUALSIASI STEREOTIPO [Da Margot Waddell, Mondi interni, Bruno Mondadori, Milano 2000, p. 184. Margot Waddell e' psicoanalista e lavora presso l'Adolescent Department della Tavistock Clinic; e' condirettrice della collana di libri Tavistock Clinic Series] Qualsiasi stereotipo si oppone chiaramente agli sforzi di una persona di essere se stessa. 6. LIBRI. MEO ELIA PRESENTA "L'ANGELO DELLA PACE" DI MASSIMO TOSCHI [Riceviamo e volentieri diffondiamo questa presentazione scritta da Meo Elia, direttore della bella rivista "Missione oggi", di un "quaderno" di Massimo Toschi "per indicare la via stretta della pace". Scrivono gli amici saveriani nella presentazione: "Abbiamo raccolto in un Quaderno sedici articoli di Massimo Toschi sui temi della pace e della guerra, pubblicati su "Missione oggi" negli ultimi dieci anni: L'Angelo della pace, il Vangelo nel tempo della guerra, pp. 130, euro 10. Si puo' richiedere a "Missione Oggi", tel. 0303772780, e-mail: missioneoggi at saveriani.bs.it] Di fronte alle crescenti ondate della cultura di guerra, diventa sempre piu' urgente predisporre argini resistenti ed elaborare una nuova cultura di pace. Da anni il prof. Massimo Toschi, storico di formazione - attualmente consigliere del presidente della Regione Toscana per la pace, la cooperazione e i diritti umani - e' impegnato in questa direzione e offre i suoi apporti attraverso le pagine di "Missione oggi". Negli articoli pubblicati sulla rivista negli ultimi dieci anni, ora riproposti in un Quaderno, si coglie la puntuale denuncia delle ambiguita' e delle ipocrisie delle diverse forme che la "dottrina della guerra giusta", sostenuta da tanti uomini di chiesa, ha assunto nelle guerre che si sono succedute. Una denuncia fatta in nome della fedelta' al Vangelo, che non puo' essere messo da parte proprio nei momenti piu' critici, ma anche in forza delle motivazioni "razionali". Come osserva Giuseppe Dossetti in un'intervista richiamata nel Quaderno, c'e' oggi una convergenza tra i due livelli di motivazioni, per dire un no assoluto ad ogni guerra del nostro tempo. Il Quaderno e' strutturato in quattro sezioni: - Il ritorno della teologia della guerra giusta. Esame critico di tre testi ecclesiali degli inizi degli anni '90: sull'ingerenza umanitaria, sui temi della guerra e della pena di morte, sul commercio internazionale delle armi. - Parole per una nuova cultura di pace. Il primo intervento parte dalla Lettera ai giudici di don Milani e matura una convinzione: occorre fare della pace un valore assoluto non negoziabile. Seguono due ampie ricerche critiche: "Le chiese e la guerra, da Hiroshima ad oggi" e "La crisi del pacifismo" (dossier che riflette sul modo con cui il popolo della pace, particolarmente quello di ispirazione religiosa, ha operato di fronte alla guerra dell'ex Iugoslavia). - Dal Kosovo all'Afghanistan e all'Iraq: il tempo della prova. Sette interventi che mostrano come in questi anni, con la "teologia della guerra", abbiamo completamente dimenticato l'Evangelo della pace, per giustificare gli stati nelle loro politiche di guerra. - Il sentiero di Isaia. Un'articolata lettura storica presenta la profezia di pace costituita dalla persona e opera di papa Giovanni. Un secondo apporto descrive altri profeti di pace della nostra storia recente. Questi richiami sono di estrema importanza perche' "se vogliamo comprendere meglio la diaconia della chiesa nel tempo di guerra - suggerisce Toschi - dobbiamo incontrare cristiani che nel nostro tempo hanno indicato altre strade, piu' attente al grido muto delle vittime e piu' fedeli al mistero del Signore". Un Quaderno di autentica profezia, che porta luce in questi tempi di buio. Oseremmo dire che e' un testo unico nel suo genere. Percio' da raccomandare a chi vuole davvero porre la propria vita al servizio della pace. 7. LIBRI. TOMMASO DI FRANCESCO PRESENTA "I PADRONI DEL MONDO" DI JOHN PILGER [Questa segnalazione abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 31 ottobre 2002. Tommaso Di Francesco, giornalista e saggista, e' un esperto vero di questioni internazionali. John Pilger e' un giornalista giustamente celebre] Un libro prezioso, unico. Parliamo de I padroni del mondo, di John Pilger, (Fandango, pp. 208, euro 16). Perche' trasforma la forma del commento in racconto e testimonianza. E' quel che fa dire a Noam Chomsky "una vera rivelazione". John Pilger e' da tanti anni uno dei principali inviati dei piu' importanti giornali internazionali ("Guardian", "Independent", "New York Times", "The Nation"). Ci piace dire anche "il manifesto". Ha attraversato diverse guerre e crisi internazionali, che da sole basterebbero a raccontare il mondo. E l'infamia dell'ultimo secolo del millennio passato e insieme del nuovo che si e' aperto all'insegna dell'11 settembre - che non ha "cambiato tutto", ha "solo" accelerato la continuita' degli eventi - della guerra all'Afghanistan e della teoria unilaterale americana della "guerra preventiva". Quello di John Pilger e' racconto. Come iniziare meglio questo viaggio nell'orrore se non citando il romanzo che ha anticipato i nostri tempi, vale a dire 1984 di George Orwell. Romanzo o realta'? Giacche' nel romanzo orwelliano "la "guerra e' pace, la liberta' e' schiavitu', l'ignoranza e' forza". Due le idee guida del libro: in primo luogo non basta piu' la categoria degli interessi dell'imperialismo (o dell'impero), o della globalizzazione (termine con il quale l'imperialismo si ricicla e ringiovanisce); e' necessario a questo punto indicare piu' precisamente che e' un'elite di interessi precostituiti, un "manipolo di affaristi e strateghi che difendono l'attuale ordine internazionale". E', potremmo dire, la nuova "classe dei padroni del mondo". Per fare un esempio, non basta limitarsi alla predica che e' il petrolio a muovere le guerre. A proposito di eventuale ricostruzione degli impianti petroliferi iracheni nel "dopoguerra", bisogna raccontare quel che e' stato pubblicato dalla Deutsche Bank il 26 ottobre: "Le prime vincitrici saranno le compagnie di servizi petroliferi, come la Schlumberger Ltd. e la Halliburton Corporation", si', proprio la Halliburton di proprieta' del vicepresidente americano Dick Cheney. Il secondo elemento decisivo per Pilger e' che l'arma piu' potente di questa nuova guerra e' la "pseudoinformazione": nel romanzo di Orwell le verita' inaccettabili venivano consegnate all'oblio, qui il dissenso e' autorizzato entro confini consensuali, consolidando l'illusione che l'informazione e la parola siano "libere". La trama dei saggi-reportage del libro - se cercate il "colore" del giornalismo quello non c'e', ma troverete la dura testimonianza diretta dei crimini - va dall'Indonesia di Suharto (massacro di un milione di comunisti e minoranze del 1965 e crisi di Timor est, invasione del 1975 e crisi della fine anni Novanta), all'Iraq sotto l'arma di distruzione di massa rappresentata dall'embargo internazionale, dalla guerra "umanitaria" della Nato per il Kosovo, ai bantustan dei Territori autonomi palestinesi occupati dall'esercito israeliano. Per concludere con la cancellazione non solo dei diritti ma dell'esistenza stessa degli aborigeni in Australia, il paese di John Pilger. Non c'e' colore, ma ecco per l'embargo in Iraq comparire nella descrizione del libro "l'armadietto" di Denis Halliday, il piu' alto funzionario dell'Onu a Baghdad nel 1999 che racconta come la' dentro ci fosse la scorta-tipo mensile che l'Onu, con i soldi iracheni dell'Oil for food, era autorizzata a spendere per milioni di iracheni: "un sacco di grano, margarina, saponette e qualche altro genere di prima necessita'", con la quale la comunita' internazionale ha organizzato con le sanzioni una strage di deboli e indifesi, rafforzando invece il regime. Con una sapienza surreale e comica che pervade il libro: tra le sanzioni scopriamo che non arrivavano libri in inglese agli studenti iracheni e che la British Library aveva informanto un traduttore di Baghdad che non poteva inviargli una copia dell'Ulisse di Joyce. O nell'intervista al portavoce della Casa bianca James Rubin che, interrogato su chi stia davvero pagando il prezzo dell'embargo in Iraq, rispondeva: "Stiamo cercando di ridurre al minimo il prezzo da pagare per il popolo iracheno... lei deve capire che esiste un mondo reale e un mondo ideale". Il libro poi resta come pervaso da un vocio di sottofondo, quello dei testimoni in prima persona. Bali e' tragicamente tornato d'attualita' per la strage feroce alla discoteca. Pilger, rivolto ai suoi concittadini australiani che hanno fatto di Bali un circuito di vacanze a buon mercato, fa parlare testimoni che hanno vissuto sulla propria pelle la strage del 1965 contro il Partito comunista indonesiano (Pki) organizzata dai generali guidati da Suharto, il grande alleato degli Usa, che poi deposero Sukarno, in assoluta intelligence - e' il caso di dire - con la Cia, con un'abile operazione di disinformazione romanzata arrivata fino al film, pure emozionante, Un anno vissuto pericolosamente: li' a Bali furono "soltanto" 80.000 le vittime di quella mattanza dimenticata in Occidente. E poi il filo tagliente della memoria: in Kosovo l'Uck - ricorda Pilger - era per il dipartimento di stato Usa una "organizzazione terroristica" fino alla fine del 1998, poi una guerra "umanitaria" Nato venne fatta per fermare la pulizia etnica che, secondo i rapporti Osce, si scateno' davvero dopo i raid e anzi, quando la Nato entro', ad esser cacciati "furono duecentocinquantamila serbi e rom", per quei raid si arrivo' alla "Fase tre": i bersagli civili. I bombardieri avevano esaurito i bersagli militari e i leader della Nato da quel momento non vollero piu' sapere quali target venivano colpiti. 8. RILETTURE. AA. VV.: RUAH AA. VV., Ruah, Stampa Alternativa, Viterbo 1997, cinque volumetti in cofanetto, lire 10.000. Le autrici (Emma Fattorini, Romana Guarnieri, Luisa Muraro, Lucetta Scaraffia, Adriana Valerio) rilfettono su "il femminile di Dio"; alcuni testi sono di grande interesse sotto piu' punti di vista. 9. RILETTURE. MARY HUNT, ROSINO GIBELLINI (A CURA DI): LA SFIDA DEL FEMMINISMO ALLA TEOLOGIA Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, Brescia 1980, pp. 208. Una bella raccolta di saggi di teologhe femministe americane ed europee. 10. RILETTURE. IDA MAGLI: SULLA DIGNITA' DELLA DONNA Ida Magli, Sulla dignita' della donna, Guanda, Parma 1993, pp. 144, lire 18.000. Un saggio che riflette sulla violenza sulle donne e sul pensiero di Wojtyla. A nostro avviso una lettura assai utile alla riflessione. 11. RILETTURE. ROSEMARY RUETHER: PER UNA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE DELLA DONNA, DEL CORPO, DELLA NATURA Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura, Queriniana, Brescia 1976, pp. 240. Una utile raccolta di saggi della prestigiosa teologa. 12. RIFERIMENTI IN RETE. "MAREA": ALCUNI SITI DEL MOVIMENTO DELLE DONNE [Dal sito di "Marea" (www.marea.it, e-mail: mochena at village.it) riprendiamo questo elenco di alcuni siti della cultura e del movimento delle donne] * Alcuni siti di informazione e riflessione delle donne: - Il paese delle donne, www.womenews.net - Medea, www.provincia.venezia.it/medea/ - Dwpress, www.mclink.it/n/dwpress/ - Feminista, www.feminista.com - Mediterranean, www.medmedia.org/ - Femina, www.femina.com - Server Donne Associazione Orlando, www.women.it/ - WebRing, www.wwwomen.com/webring - Femmis, www.femmis.org - Altrameta', www.altrameta.it - Donna news, www.donnanews.it * Alcuni siti ecofemministi: - Ecofem, http://csf.colorado.edu/ecofem/ - EcoFeminist, www.feminist.org/gateway/science.html - Eve Online, www.envorolink.org/org/eve - Spiderwomen, www.spiderwomen.org/ecofeminism.htm - Indigenous Environmental Network, www.alphacdc.com/ien/ * Alcuni centri di studio: - Rete Lilith, www.women.it/lilith/lilith.htm - Coordinamento Donne Lavoro Cultura, www.ulisse.it/~cdlc - Storia delle donne, www.storiadelledonne.it - Universita' delle donne, www.linda.it - Archivio per la scrittura delle donne, www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/ - Tuttoscuola, www.tuttoscuola.com * Alcuni siti su maternita' e paternita': - Madre provetta, www.madreprovetta.it - Qui mamme, www.quimamme.it - Il Melograno, www.logic.it/melograno - Tutte le mamme, www.tuttelemamme.it - Lega del latte materno, www.lalecheleague.org - Paternita' online, http://digilander.iol.it/uomini/patern.htm - Associazione studi sulla paternita', www.mclink.it/assoc/isp/ * Siti di donne in situazioni difficili: - Rawa, www.rawa.org - Hawca, www.hawca.org - Women for Women, www.embassy.org/wmn4wmn/ - Casa delle donne Kurde, www.casadelledonnekurde.it - Women for Women, www.wforw.it - Women against fundamentalisms, www.gn.apc.org/waf/ * Alcuni altri siti: - Il sito dello storico Centro delle donne di via Lungara a Roma, con segnalazioni delle attivita' e dei gruppi presenti, www.casainternazionaledelledonne.org - Femministe storiche e non sul web tra cultura e societa': a cura della Libera Universita' delle donne di Milano, www.linda.it - Un rotocalco per conoscere il mondo dell'impresa e della telematica femminile, www.dols.net - Un'associazione no profit che fornisce consulenza e assitenza telefonica per qualsiasi problema di salute della donna, un ambulatorio per problemi urgenti e informazioni su dove rivolgersi a Roma per qualsiasi aspetto della salute e della sessualita' al femminile, www.vitadidonna.it - sito dell'associazione omonima che propone una petizione contro la legge Bossi-Fini, www.associazionelagattoparda.com - bellissimo ed elegante sito fatto da giovani studentesse, www.tramanti.it - Un sito utile per chi vuole dare anche il proprio cognome alle figlie e ai figli e contribuire alla fine della cultuira patriarcale che vuole imporre il solo cognome paterno, cognomematerno.freeweb.supereva.it 13. DATI. "FEMMIS": COMPRATE E VENDUTE [Dal sito di "Femmis", www.femmis.org, riportiamo questi terribili dati] Del miliardo e 200 milioni di persone che vivono in poverta' assoluta (cioe' con meno di un dollaro al giorno), due terzi sono donne. Fonte: Undp (United Nations development programme) * Ogni anno: 4 milioni di donne e ragazze di cui settemila nepalesi obbligate a lavorare como sex workers nelle case chiuse di Delhi e Bombay e due terzi delle cinquantacinquemila prostitute cambogiane reclutate con la forza. Il turismo sessuale frutta alla Thailandia un miliardo di dollari all'anno. Duecentomila donne dell'est finiscono ogni anno nelle mani di sfruttatori europei. La prostituzione mondiale produce un giro d'affari tra i 5 e 7 miliardi di dollari (5,4 e 7,6 miliardi di euro). Fonti: Onu, Assoc. Empower, Lega Femm. Kiev. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 408 del 7 novembre 2002
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