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La nonviolenza e' in cammino. 399
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 399
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 29 Oct 2002 00:40:31 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 399 del 29 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Vandana Shiva e molti altri, un appello perche' a Firenze non vi siano violenze 2. Peppe Sini, un discorso a Terni per la liberta' e i diritti del popolo palestinese 3. Salvatore Scaglione, premessa all'Annuario della pace 2002 4. Giuliana Sgrena, inchiesta sui crimini di guerra in Afghanistan 5. Cinzia Gubbini, presentato il Dossier annuale della Caritas sull'immigrazione 6. Giobbe Santabarbara, una legge razzista ed incostituzionale 7. Mohandas Gandhi, un ritratto di Giuseppe Mazzini 8. Ada Negri, fine 9. Presentato alla stampa estera il libro di Fabio Galluccio, I lager in Italia 10. Riletture: Eileen Barker, I nuovi movimenti religiosi 11. Riletture: Marcella Delle Donne, Convivenza civile e xenofobia 12. Riletture: Margherita Isnardi Parente, Citta' e regimi politici nel pensiero greco 13. Riletture: Ileana Montini, Parlare con Dacia Maraini 14. Riletture: Gabriele Raether, Aleksandra Kollontaj 15. Riletture: Adriana Zarri, Erba della mia erba 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. APPELLI. VANDANA SHIVA E MOLTI ALTRI: UN APPELLO PERCHE' A FIRENZE NON VI SIANO VIOLENZE [Dall'ottima amica Yukari Saito (yukaris at tiscalinet.it), prestigiosa giornalista giapponese da molti anni in Italia, amica della nonviolenza, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo appello promosso dall'illustre scienziata e costruttrice di pace Vandana Shiva e da molte altre e molti altri, con l'invito ad aderire e a diffonderlo] Lettera aperta sul Social Forum Europeo alle autorita' e ai cittadini di Firenze * Sappiamo della diffusa preoccupazione che nel Forum Sociale Europeo che si terra' fra il 6 e il 10 novembre prossimi, si possano infiltrare degli specialisti della violenza, come e' avvenuto a Genova durante le manifestazioni del luglio 2001, anche se questo forum non contiene occasioni di scontro perche' non sono in programma manifestazioni contro nessuna istituzione ufficiale come i G8, la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. Quasi tutti coloro che verranno hanno in comune la certezza che le politiche socio-economiche attuali minacciano seriamente il nostro futuro insieme alla vita stessa su questo pianeta sempre piu' malmesso, e credono che queste politiche debbano essere profondamente cambiate. Il Forum Sociale Europeo dovrebbe essere condotto nello stesso spirito dei Social Forum internazionali tenuti in Brasile a Porto Alegre, capitale del Rio Grande do Sur. Ricordiamo che in nessuna delle due occasioni vi e' stata traccia di violenze. I responsabili principali delle violenze a Genova, i cosiddetti Black Bloks, non facevano in alcun modo parte del movimento per cui simpatizzano coloro che saranno presenti a Firenze in novembre. Nessuno di noi aveva nemmeno sentito parlare dei Black Bloks prima di Genova. Infatti ancora oggi ignoriamo che cosa esattamente volessero ottenere e pensiamo che soprattutto ci fosse l'intento di screditare cio' che, senza di loro, sarebbe stato un grandissimo evento e un messaggio molto forte proprio perche' totalmente pacifico. Sappiamo che esistono grossi interessi economici nel mondo a cui farebbe comodo distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai problemi che ci preoccupano. Percio' chi, durante il forum sociale europeo, facesse atti di violenza a cose o persone sara' oggettivamente un promotore di quei grossi interessi, non dei nostri, e cioe' sara' nostro nemico, non alleato. Chiunque giustifica in qualsiasi modo la violenza non parla a nostro nome. (Quanti vogliono veramente combattere e modificare la politica delle banche non vanno a sfasciar vetrine, trasferiscono i propri soldi nelle banche etiche). Puo' valere la pena ricordare che anche se c'e' una notevole diversita' di posizioni fra coloro che hanno partecipato fin qui ai Social Forum, il principale comune denominatore e' stato e resta quello di convertire la societa' dal suo attuale cammino suicida per dirigerla verso un'autonomia molto maggiore delle comunita' locali, e verso un'economia che, invece di essere governata da imprese multinazionali incontrollabili e irresponsabili, protette da un mercato unico globale, sia nelle mani di attivita' economiche piccole e medie, le piu' congeniali con mercati regionali e locali. Queste attivita' possono sentirsi veramente parte della societa' in cui operano e avere per lei un senso di responsabilita', il che sempre meno si puo' dire delle multinazionali che stanno avviandosi a monopolizzare il mondo. E' certo che si puo' contare su di noi per fare tutto il possibile, in collaborazione con le pubbliche autorita', affinche' il Social Forum Europeo sia un evento pacifico e festoso che possa entrare con fierezza fra quelli memorabili che Firenze ha ospitato. * Dei seguenti firmatari i portavoce ufficiali sono: Edward Goldsmith, Helena Norberg Hodge, Giannozzo Pucci per le firme europee, Vandana Shiva per la firme extraeuropee. * Prime adesioni: Edward Goldsmith (GB), Simon Retallack (GB), Agnes Bertrand (France), Giannozzo Pucci, Alex Zanotelli, Thierry Jaccaud (France), Helena Norberg Hodge (Sweden), Franco Cardini, Gianfranco Zavalloni, don Luigi Ciotti, Fabrizio Vincenti, Marco Tarchi, Alessandro Michelucci, Alessandro Bedini, Massimo Angelini, Michele Boato, Tiziano Terzani, Wolfgang Sachs (Germania), Vandana Shiva (India), Bittu Sahgal (India), Ashish Fernandez (India), John Cavanagh (USA), Key Weir (New Zealand), Rejanae Maria Ludwig (Brazil), Nucleo dos Ecojournalistas do Rio Grande do Sul (Porto Alegre, Brazil), Roberta Coimbra (Brazil), Lisa Sfei Cordeiro (Porto Alegre, Brazil), Jaime Carvalho (Brazil), Mark Ritchie (USA), Jiri Tutter (Greenpeace). 2. MATERIALI. PEPPE SINI: UN DISCORSO A TERNI PER LA LIBERTA' E I DIRITTI DEL POPOLO PALESTINESE [Il 25 ottobre si e' svolta aTerni in largo Villa Glori una iniziativa pubblica sul tema "Liberta' e diritti per il popolo palestinese", promossa dal Terni Social Forum. Ad essa sono intervenuti come relatori Bassam Saleh, portavoce della comunita' palestinese di Roma, e Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; riportiamo una sintesi della relazione svolta da quest'ultimo] 1. Tra i maestri che ho avuto due mi sono assai cari, defunti ormai da anni; si chiamavano - si chiamano, poiche' la memoria non muore - Primo Levi e Vittorio Emanuele Giuntella. Entrambi erano superstiti dei lager nazisti. Primo Levi credo sia il piu' grande testimone della dignita' umana; e forse grazie a lui piu' che a ogni altro noi serbiamo memoria dell'orrore di Auschwitz; da lui piu' che da ogni altro abbiamo ereditato la consegna di impedire che Auschwitz ritorni. Non possiamo dimenticare. Vittorio Emanuele Giuntella fu uno degli ufficiali italiani nei Balcani che dopo l'8 settembre 1943 dovettero scegliere tra continuare la guerra al servizio dei nazisti, o il lager. Scelse il lager, scelse quella che Alessandro Natta ha chiamato "l'altra Resistenza", la Resistenza dimenticata ma non meno eroica di migliaia e migliaia di soldati italiani che dissero di no a Hitler e Mussolini, e subirono il lager: migliaia e migliaia di uomini spesso molto giovani che posti per la prima volta in vita loro di fronte a una concreta e cogente possibilita' di scelta tra diventare complici dei carnefici ed avere garantita la vita, o essere fedeli all'umanita' e subire ogni sorta di angherie ed essere esposti alla morte, seppero fare la scelta giusta, la scelta metuenda e sublime di donare interamente se stessi alla causa dell'umanita'. Non possiamo dimenticare. 2. Ho fatto questa premessa per due motivi: a) il primo: la Shoah, e a monte di essa e intorno ad essa la bimillenaria bestiale persecuzione antiebraica, e' per me, per la mia esistenza, nel mio vissuto di essere umano, un nodo storico e morale ed esistenziale decisivo: non tradiro' mai i miei maestri vittime del lager. b) Il secondo: Primo Levi e' anche l'uomo, il giusto, il saggio, che nel 1982 levo' la sua voce che risuono' in tutto il mondo come la voce stessa dell'umanita' contro i rsponsabili e i complici dei massacri di Sabra e Chatila, e tra essi c'era anche Ariel Sharon. Ed e' nel ricordo e nel nome di Primo Levi e delle sue parole che qui io oggi ripeto: "Sharon deve dimettersi". 3. E un altro ricordo mi affiora alla mente: molti anni fa come molti altri adottai a distanza un bambino palestinese. Non so se e' ancora vivo, oggi sarebbe un uomo. Vorrei che almeno lui, Muatez, possa vedere quel giorno che tarda tanto a venire, in cui due popoli in due stati possano vivere da vicini in fraternita'. 4. Ma perche' questo accada, e mentre la tragedia e' in corso, occorre, io credo, un agire consapevole per la giustizia e quindi la pace e quindi la riconciliazione; un agire che per essere consapevole, di questa tragedia, di questo conflitto, deve cercare e cogliere le radici, le piu' profonde radici, e queste radici stanno qui, in Europa. Siamo noi europei i responsabili di cio' che accade cola' dal '48; e quindi prima di fare la predica agli altri, facciamo un esame di coscienza a noi stessi. In due forme l'Europa e' responsabile: a) per il colonialismo: lungo cinque secoli, e che continua tuttora; rapporto Nord/Sud e' un eufemismo che occulta e insieme dice questa rapina che da cinque secoli le elites del quinto piu' ricco dell'umanita' compiono ai danni dei quattro quinti dell'umanita' impoveriti perche' rapinati. b) per il razzismo: che oggi raggiunge forme parossistiche e nuovamente atrocemente invade fino le legislazioni; e nell'alveo del pregiudizio e della persecuzione razzista quella sua manifestazione la piu' prolungata e feroce, la persecuzione antiebraica: persecuzione compiuta dai romani prima con l'invasione, la distruzione del tempio, la deportazione, il disconoscimento di dignita'; dalle chiese cristiane poi, con una crudelta' superiore a quella stessa dei romani; al delirante razzismo scientista delle epoche illuminista e romantica; fino al culmine dei pogrom come arma politica e tecnica amministrativa stragista, fino all'orrore assoluto della Shoah. L'antisemitismo che e' ancora cosi' diffuso, pervasivo e virulento in Europa e nel nostro paese, l'antisemitismo che contamina oscenamente anche tante persone che pure si credono sinceramente democratiche ed antifasciste. Come possiamo, noi che sappiamo questo, non capire le forti autentiche ragioni della maggioranza della popolazione di Israele e dell'ebraismo della diaspora nella difesa di Israele come ultimo, estremo rifugio per le vittime di duemila anni di persecuzione, per i sopravvissuti dei campi di sterminio e i loro figli? La nostra sodarieta' con il popolo palestinese, ed affinche' cessi la persecuzione, l'occupazione, l'iniquita' mostruosa che esso subisce, e' anche la nostra solidarieta' con la popolazione di Israele e con entrambe le diaspore: affinche' mai piu' alcun essere umano debba temere la persecuzione e la morte; affinche' mai piu' colonialismo e razzismo terrorizzino, opprimano, massacrino, neghino il diritto stesso ad esistere ad alcuna cultura e ad alcun essere umano. 5. Solo recuperando la memoria di tutte le vittime si puo' operare per una strategia nonviolenta di liberazione, per un'azione di pace che costruisca riconoscimento di diritti e convivenza. 6. Ma il conflitto israelo-palestinese va contestualizzato non solo lungo l'asse del tempo ma anche nel campo spaziale, ovvero - come si usa dire oggi - geopolitico. Rispetto al paradigma interpretativo consueto e consunto che vede solo un conflitto tra due soggetti peraltro assimmetrici, uno stato occupante e una popolazione disperata; o all'altro paradigma anch'esso consueto e consunto che vede solo un conflitto tra un popolo perseguitato per millenni e circondato da stati dittatoriali ostilissimi; credo occorra un modello ermeneutico piu' complesso rispetto agli approcci banalizzanti e disutili che in quanto si prestano alla propaganda piu' irriflessa divengono complici degli errori ed orrori ideologici e pratici che ne conseguono. Da tempo propongo un approccio per cosi' dire "a scatole cinesi": quel conflitto - che pure ha le sue assolute peculiarita' - intendendo come spicchio (ma per molti versi olografico) del conflitto regionale, che a sua volta e' spicchio e specchio del conflitto nord/sud, luogo di precipitazione di cruciali nodi economici, strategici, politici: ovvero del sistema di dominazione di quella che oggi si usa chiamare globalizzazione neoliberista ma che in termini di modellistica economica dovremmo chiamare espansione su scala quasi planetaria del modo di produzione capitalistico nelle forme tipiche dello stadio neoimperialistico - ma mi rendo ben conto che anche questi termini perdono molto della loro capacita' euristica se intesi come etichette ideologiche invece che come indicazioni metodologiche per la riflessione, la ricerca, l'analisi (ed ovviamente per l'azione contro l'ingiustizia e in difesa ed a promozione dell'umanita', ovvero del riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani). 7. Ed anche la memoria delle vittime ha le sue dialettiche (Tzvetan Todorov ha scritto delle pagine indimenticabili ed imprescindibili su questo cruciale argomento), ed occorre quindi avere memoria delle vittime nella prospettiva della liberazione e della riconciliazione (penso all'esperienza dalla Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sudafrica, un'esperienza non solo morale e politica, ma giuridica e giuriscostituente che porta la nonviolenza al cuore dell'organizzazione delle istituzioni, dello stato, della societa' e della cultura, proprio a partire dal recupero della memoria e dal riconoscimento della verita' e dei crimini subiti e commessi); la memoria quindi che salva e che libera e che riconcilia, che fonda convivenza; non quella dell'infinitizzazione degli odi e delle faide, del disprezzo e del rancore gentilizio e razzista, degli egoismi di massa e delle abominevoli "pulizie etniche". 8. E allora una strategia di solidarieta' e di liberazione che tenga conto di cio' io credo debba avere due caratteristiche, o - se si preferisce - debba muovere da due persuasioni (come tali indimostrabili): a) che l'indipendenza dei popoli oppressi o sara' socialista, democratica e libertaria o non sara'; intendendo con il decisivo aggettivo "socialista" purtroppo cosi' abusato e deturpato nel corso del Novecento l'impegno ad una organizzazione sociale che sia intesa al fine della giustizia e della solidarieta', che non permetta la riproduzione sotto mentite spoglie della dominazione oppressiva dei pochi sui piu', ma tutti chiami a cooperare per il comune benessere: la storia delle decolonizzazioni del XX secolo ci rivela come il non essere riusciti a dotare i paesi di nuova indipendenza di autentiche caratteristiche socialiste, democratiche e libertarie abbia provocato la degenerazione delle esperienze di liberazione e il permanere o il riaffermarsi di forme di dominazione ferocissime e sostanzialmente neocoloniali; b) che la strategia e la prassi della lotta di liberazione dei popoli oppressi o sara' tendenzialmente sempre piu' e sempre piu' unicamente nonviolenta, o quella liberazione non sara'; intendendo con questo aggettivo la scelta intellettuale e morale della lotta piu' nitida ed intransigente contro l'ingiustizia e l'oppressione, la lotta che della violenza della dominazione tutto ripudia e rigetta, nei fatti e nei metodi; la scelta che caratterizzo' la grandissima parte delle esperienze storiche di Resistenza e di liberazione da quando l'umanita' e' in lotta per il diritto a vivere e la dignita'. Di contro ad una storiografia sempre "dalla parte dei vincitori" ed affascinata e fin ipnotizzata dalla violenza, occorre affermare che le lotte piu' grandi e le piu' grandi conquiste di liberta', di diritto, di solidarieta', hanno avuto precipue e decisive caratteristiche nonviolente; e che anche quel grandioso fenomeno di cui tutti noi siamo figli riconoscenti che e' la Resistenza vittoriosa dei popoli contro il nazifascismo e' stata nella sua massima parte una esperienza di lotta nonviolenta, come testimoniano le memorie e le analisi di moltissimi eroici protagonisti dell'antifascismo e della stessa lotta partigiana. 9. Perche' questa e' la mia convinzione: che la nostra solidarieta' con il popolo palestinese oppresso deve essere concreta e nonviolenta, rigorosa ed esigente, esigente nei cofnronti di noi stessi e degli altri; e che in quanto questa solidarieta' svolgiamo, dobbiamo chiedere a chi lotta per il diritto ad esistere di voler vivere, di non darsi alla morte, e di accostarsi sempre di piu' alla nonviolenza. Come ci hanno insegnato nel loro estremo agire e nelle loro ultime parole i condannati a morte della Resistenza al nazifascismo; come ci ha insegnato Gandhi; come ci ha insegnato Nelson Mandela; come ci ha insegnato il movimento delle donne, la piu' grande esperienza storica di lotta nonviolenta, la lotta che ha promosso il piu' grande cambiamento positivo della storia, una lotta nel corso della quale le protagoniste di essa non hanno mai ucciso una sola persona. 10. Questa scelta implica altresi' il il rifiuto della menzogna e di ogni atteggiamento totalitario. Implica il rifiuto di ogni ideologia sacrificale. Implica la scelta di quel principio che e' alla base di tutte le grandi tradizioni di pensiero religiose e laiche: non uccidere. Implica la solidarieta' piena con tutte le vittime (ha scritto una volta - e per sempre - Heinrich Boell che "ogni vittima ha il volto di Abele"). Implica la condanna di ogni terrorismo: di stato, di gruppo e individuale. Implica l'affermazione del diritto del popolo e dello stato palestinese a esistere; ed implica il diritto del popolo e dello stato di Israele a esistere. Verra' forse un tempo in cui l'umanita' riuscira' a superare le divisioni di stati e di classi, ma per preparare quel tempo, per muovere in quella direzione, per uscire da questo nostro terribile tempo che quel geniale pensatore defini' "la preistoria dell'umanita'", occorre intanto, qui e adesso, riconoscere il diritto di ogni popolo ad esistere, ad avere la sua cultura, la sua terra in cui vivere liberamente, il suo stato. 11. Ocorre che cessi l'occupazione dei territori palestinesi da parte dell'esercito dello stato di Israele. Occorre che cessino gli insediamenti coloniali nei territori palestinesi. Ocorre il riconoscimento immediato della nascita dello stato palestinese. Ed occorre un piano internazionale di aiuti al popolo e allo stato palestinese per lo sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza; ed occorre altresi' un piano di aiuti al popolo e allo stato di Israele per lo sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza. Ed occorre sconfiggere il terrorismo, innanzitutto cessando di mettergli a disposizione armi e pretesti, risorse economiche ed esseri umani disperati. 12. E per contrastare il terrorismo occorre altresi' bandire la guerra dal novero delle azioni lecite; le leggi vigenti lo dicono gia': e' scritto nella Carta delle Nazioni Unite; e' scritto anche nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana. Poiche' di tutti gli atti di terrorismo la guerra e' il piu' grande; consistendo essa, come osservava Gandhi, della ripetuta commissione di omicidi di massa di esseri umani del tutto innocenti. Nessun motivo puo' giustificare una guerra, che invece di sconfiggere il terrorismo ne prosegue e ingigantisce la spirale. Ne' e' ammissibile l'idea di una guerra contro un paese perche' questo detiene armi di sterminio di massa: da questo punto di vista i sostenitori di tale teoria - in primis il presidente degli Usa - dovrebbero allora muover guerra innanzitutto contro il loro stesso paese. Ne' e' ammissibile l'idea di una guerra contro un paese sulla base dell'accusa di aver fornito sostegno a gruppi terroristici: sotto questo punto di vista mentre non e' dimostrato che ad esempio il governo dell'Iraq abbia sostenuto i terroristi autori delle stragi dell'11 settembre 2001, e' invece dimostrato che ad esempio il governo degli Usa abbia sostenuto i terroristi autori del golpe cileno dell'11 settembre 1973. Come si vede le pretese ragioni in pro della guerra si rovesciano contro chi le propone. Una guerra nell'epoca aperta dall'orrore di Hiroshima e' una guerra che mette in pericolo la sopravvivenza stessa della specie umana: e - per dirlo con le parole di don Lorenzo Milani - noi dovremmo star qui a discutere se sia lecito distruggere l'umanita' intera? 13. Siamo quindi solidali con il popolo palestinese, e siamo altresi' solidali con il popolo israeliano; siamo solidali con il popolo iracheno, e siamo altresi' solidali con il popolo statunitense. Siamo contrari al governo dello stato di Israele come a quello dell'Iraq come a quello degli Usa, come a quei decisori in sede Onu che da dieci anni portano la responsabilita' della catastrofe umanitaria in corso in Iraq, l'immane strage determinata dell'embargo. Siamo contro il terrorismo di stato come contro il terrorismo dei gruppi e dei singoli. Siamo contro la guerra sempre. Siamo donne e uomini di pace: ma perche' questa nostra posizione sia credibile dobbiamo fare la scelta della nonviolenza, dobbiamo praticare la solidarieta' concreta, dobbiamo prendere sul serio la nostra comune umanita'. In questo incontro di oggi qui a Terni di solidarieta' con il popolo palestinese abbiamo sentito le luminose parole del nostro fratello rappresentante palestinese: parole di calda umanita', di eroica dignita', di rivendicazione del proprio diritto ad esistere come essere umano e come popolo, e ad avere un proprio stato; ed insieme parole di sincera fraternita' con il popolo israeliano, di riconoscimento dello stato di Israele, di condanna incondizionata di ogni terrorismo e di ogni forma di razzismo e di antisemitismo. Ebbene, che anche questo incontro odierno possa essere un piccolo contributo all'affermazione di un'umanita' di liberi ed eguali: si', la Palestina vivra', e vivra' Israele. Che cessi l'occupazione, che cessino tutte le stragi, e che sia impedita la guerra. 3. RIFLESSIONE. SALVATORE SCAGLIONE: PREMESSA ALL'ANNUARIO DELLA PACE 2002 [Ringraziamo Salvatore Scaglione (per contatti: sascagl at infinito.it) per averci messo a disposizione la sua premessa all'Annuario della pace 2002 di cui e' il curatore, in uscita in novembre per l'editore Asterios come gia' lo scorso anno. L'annuario della pace e' uno strumento di lavoro utilissimo per chiunque sia impegnato per la pace, i diritti umani, la nonviolenza] E' probabile che la notizia piu' importante dell'anno sia quella relativa all'aumento del bilancio Usa per le spese militari che raggiungera' percentuali toccate solo nei momenti piu' impegnativi della guerra fredda, la previsione di spesa per il 2003 e' di trecentonovanta miliardi di dollari, con un incremento del 13% rispetto all'anno in corso. Una guerra all'anno o anche piu', dunque, sembra dovere entrare nella prassi del nuovo millennio. Ora e' diventata "preventiva" ma, negli ultimi anni, l'Europa ha sostenuto o direttamente partecipato a guerre "in difesa della legalita' internazionale" (Golfo 1991), "di ingerenza umanitaria" (Somalia 1992; Bosnia 1994 e Kosovo 1999), "di difesa dal terrorismo" (Afghanistan 2001), atto primo, questo, di quella guerra "globale e infinita" dentro cui ci troviamo tuttora. Le mosse iniziali per la "difesa dall'attacco nucleare", che preparerebbe l'Iraq di Saddam Hussein, si inscrivono nella stessa logica, dalla quale l'Europa non riesce manifestamente a sottrarsi con scelte autonome. I rapporti con l'alleato americano nascondono l'impotenza ad esercitare la sovranita', che dovrebbe essere carattere distintivo di ogni Stato e che dovrebbe diventarlo dell'Unione Europea. Di conseguenza - o anche separatamente da cio' - la predisposizione dell'opinione pubblica, tramite massicci interventi sui media, e' robusta: non e' forse l'informazione parte integrante della guerra contemporanea? Lo scorso anno, prima dei bombardamenti in Afghanistan, non si poteva lasciare in circolazione due stragisti come bin Laden e il mullah Omar. Quest'anno non si puo' lasciare in circolazione un despota (con la passione per la chimica) come Saddam Hussein. Nel caso del dittatore di Baghdad, in verita', non si poteva nemmeno undici anni fa, quando gli usa fecero una guerra "che non poteva non essere appoggiata dai Paesi democratici". Che, infatti, l'appoggiarono. Sta di fatto che tutti e tre, Saddam Hussein, bin Laden, il mullah Omar, sembrano, mentre scriviamo, godere di buona salute, spesso ai rispettivi posti di comando, e qualcuno di loro e' prevedibilmente fornito di irritanti salvacondotti. Resta certo il "dettaglio" degli iracheni morti (ma la guerra non era contro l'Iraq), degli afghani morti (ma la guerra non era contro l'Afghanistan), dei serbi morti (ma la guerra non era contro la Serbia). E questo "dettaglio" indifferente dei morti, programmati e duraturi, inserito in un destino annunciato e' quanto di piu' cinico la guerra "intelligente" abbia inventato. Se ai piani alti della maggior parte dei mezzi di informazione, dove transita copioso il materiale informativo di sospetta origine che, specie alla vigilia delle guerre, li riempie, ci fosse ancora il vago sospetto di esercitare una funzione culturale, l'analisi delle fonti sarebbe meno superficiale, il senso della professione meno negligente e molti opinionisti meno avventati. Ma questo "sospetto" e' pochissimo presente e il rapporto con la verita' - gia' cosi' difficile in tempi normali - viene sepolto senza troppi rimpianti. D'altra parte, mentre fioccano le "prove" sulla pericolosita' di Saddam Hussein, ricordiamo bene che, gia' nel 1991, prima che i suoi soldati si liquefacessero in poche ore, ci assicuravano che il suo esercito era "uno dei tre meglio armati del mondo". * Benche' la divisione semplificata del mondo fra "buoni" e "cattivi" sia fuorviante oltre che banale, e' questa una pratica che trova molti sostenitori. Proponendo il secondo Annuario della pace, vorremmo sfuggire a questo schema pur dando voce a chi si occupa di pace, in un contesto in cui si pensa che solo la guerra sia in grado di assolvere alle istanze della realpolitik. Oltre alla rassegna delle attivita' del mondo pacifista in Italia, alla cronologia degli eventi che hanno coperto dodici mesi e all'analisi geopolitica di alcuni nodi critici, dedichiamo spazio ai problemi del commercio d'armi e dei trattati nucleari, ma anche a quelli del potenziale petrolifero del mar Caspio. Crediamo pero' che sia anche indispensabile un approfondimento problematico dei temi della guerra e dei diritti, delle loro radici, delle motivazioni profonde, che non si limiti a verificare le condizioni dell'esistente. Il "dialogo" fra Massimo Cacciari e Pier Cesare Bori, l'intervento di Raniero La Valle e Giulietto Chiesa e le interviste ad Antonio Gambino e Antonio Cassese si iscrivono in questo intento. Com'e' ormai costume di questo Annuario, consideriamo la pluralita' dell'approccio ai singoli temi come una sua ricchezza. 4. GUERRE DIMENTICATE. GIULIANA SGRENA: INCHIESTA SUI CRIMINI DI GUERRA IN AFGHANISTAN [Questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 24 ottobre 2002. Giuliana Sgrena, inviata a Kabul, e' autorevole saggista ed esperta conoscitrice dei problemi internazionali] Non c'e' pace senza giustizia. E se la pace non e' ancora tornata in Afghanistan, tanto meno la giustizia. Finche' regna l'impunita' non potra' essere interrotto il ciclo della violenza. Per questo, Asma Jahangir, nota avvocata pakistana rapporteur delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, arbitrarie ed extragiudiziali, al termine di una missione di dieci giorni in Afghanistan ha detto che dovrebbe essere istituita una commissione internazionale d'inchiesta per raccogliere le prove dei crimini commessi durante 23 anni di guerra - prima contro l'invasione sovietica, poi tra le varie fazioni dei mujahidin e infine tra i mujahidin e i taleban - in Afghanistan. Il numero delle persone giustiziate e' "sconcertante", ha affermato Asma Jahangir, e "il processo di ricognizione deve essere avviato immediatamente". Occorre portare i responsabili dei crimini contro l'umanita' davanti alla giustizia, "non e' un dovere solo del popolo e del governo afghano, ma di tutta la comunita' internazionale, assicurare giustizia dove si sono commesse cosi' grave violazioni dei diritti umani". Il problema e' come, in un paese dove i vari "signori della guerra", principali responsabili di massacri, sono ancora al potere. Un tribunale dentro o fuori l'Afghanistan? E' troppo presto per indicare il meccanismo da adottare, ha detto Asma Jahangir. Ma la questione, definita "transitional justice", e' anche uno dei compiti piu' scottanti che si trova ad affrontare la sezione dei diritti umani dell'Unama (la missione Onu in Afghanistan) e la Commissione indipendente per i diritti umani presieduta da Sima Samar. La strada che si sta delineando, secondo Goran Fejic, responsabile dei diritti umani per l'Unama, che abbiamo incontrato a Kabul, e' quella di una Commissione della verita' sul modello sudafricano. Massacri vecchi e nuovi. Tra i piu' recenti quelli dei taleban seppelliti nelle fosse comuni a Mazar-i-Sharif, che chiamano in causa uno dei piu' feroci signori della guerra, il generale uzbeko Rashid Dostum, ma anche gli americani che lo spalleggiavano. Su questi fatti per ora una commissione di inchiesta sembra improponibile perche' ad andarci di mezzo sarebbero i testimoni. E come proteggere i siti in modo che non vengano distrutte le prove? "Come si puo' chiedere a Dostum di proteggere le prove contro di lui?", ci aveva obiettato Sima Samar. Non solo, ora "c'e' chi vuole usare questi massacri contro Dostum ma non c'era solo lui, c'erano anche le forze speciali americane a Mazar". "Penso che giustizia debba essere fatta senza tener conto delle posizioni occupate nel mondo" dagli interessati, ha sottolineato Asma Jahangir che ha ricordato anche il massacro compiuto dagli americani a Uruzgan (almeno 48 morti tra i partecipanti ad un banchetto nuziale). Jahangir, che ha apprezzato l'intenzione di Karzai di sottoscrivere lo statuto della Corte penale internazionale, presentera' le sue raccomandazioni alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite che si riunira' in marzo. Intanto chiede il blocco della pena di morte. 5. UMANITA'. CINZIA GUBBINI: PRESENTATO IL DOSSIER ANNUALE DELLA CARITAS SULL'IMMIGRAZIONE [Anche questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 24 ottobre 2002] Polemica franca, ma con i dati in mano. E' stato un confronto senza mezzi termini tra chiesa e governo, quello che ha accompagnato ieri a Roma la presentazione del Dossier sull'immigrazione prodotto dalla Caritas e dalla Fondazione della Cei Migrantes. Diventato negli anni un attesissimo appuntamento per poter regalare osservazioni costruttive sulla vita degli immigrati in Italia, senza dover cadere nel gioco al massacro delle parti, il Dossier e' quel librone - quest'anno arrivato a quota 480 pagine e 226 tabelle, per un investimento di 500 mila euro - immancabile nelle librerie di chi si occupa di immigrazione, dove e' quasi sempre possibile trovare quel numero che ti permette di fotografare la situazione degli stranieri in Italia, al di fuori di qualsiasi pregiudizio. Esercizio difficilissimo. Ma il Dossier - un'idea del compianto monsignor Luigi di Liegro, arrivata al suo dodicesimo anno di vita - e' anche una memoria che cresce, e che oltre ad arricchirsi di dati si arricchisce di coscienza e conoscenza del fenomeno immigrazione. E per questo ha l'autorevolezza giusta per avanzare suggerimenti, ma anche per non risparmiare critiche. Cosi' ieri, nella cornice del teatro Orione, dove e' stato presentato il Dossier alla presenza dei piu' alti rappresentanti della Caritas e di Migrantes, nonche' del sottosegretario agli Interni con delega all'immigrazione, Alfredo Mantovano, si e' svolto un serrato faccia a faccia tra due filosofie diverse e forse inconciliabili di concepire l'immigrazione e l'approccio allo straniero. Con monsignor Cocchi, presidente della Caritas, che ricorda la figura del Samaritano - l'eretico che sulla via di Gerico aiuto' lo straniero malmenato dai ladroni "senza chiedergli le impronte digitali", diventando cosi' nella storia cristiana l'emblema della solidarieta' verso il prossimo. E con il sottosegretario Mantovano che invece sceglie la "parabola" dell'assedio di Gaeta da parte dei piemontesi quando, finite le munizioni, Francesco II incito' i suoi: "Facite `a faccia feroce". L'invito che emerge dal Dossier e' proprio quello di evitare inutili facce feroci, e di ancorarsi ai dati statistici per comprendere il fenomeno dell'immigrazione nella sua realta'. Per scoprire, ad esempio, che non e' in corso alcun assedio, e che anzi, l'immigrazione in Italia e' sempre piu' stabile nonostante "persista la difficolta' di inquadrare l'immigrazione come un fenomeno strutturale", ha sottolineato uno dei coordinatori della ricerca, Franco Pittau. Certo, non si tratta di una novita', da anni si parla della necessita' di non trattare il fenomeno in un'ottica emergenziale. I numeri parlano chiaro: sono 1.600.000 gli immigrati regolari presenti in Italia - solo il 2,8% della popolazione - presenti per il 59% per motivi di lavoro, per il 29% per motivi familiari, per il 7% per motivi anch'essi stabili (residenza elettiva, o motivi religiosi). Insomma, il 95% del totale degli immigrati presenti nel nostro paese e' a tutti gli effetti un cittadino, nonostante non abbia formalmente la cittadinanza (non a caso l'incontro di ieri era intitolato: "Cittadini e lavoratori"). Ma da un po' di tempo a questa parte il problema di fondo e' proprio questo: l'immigrato va accolto come un cittadino, con i suoi diritti e i suoi doveri, oppure come un ospite "usa e getta", conforme alle esigenze immediate del paese di accoglienza? E' un "problema di clima, piu' che cambiare singoli commi delle leggi, i politici hanno il compito di creare un clima di serenita'. Solo allora una legge viene applicata in modo umano", osserva monsignor Petris della Fondazione Migrantes. Riflessione sacrosanta, e che non investe solo la legge Bossi-Fini (a cui era chiaramente rivolta) , se e' vero che nel 2000 gli immigrati erano 1.388.153 e nel 2001 sono scesi a 1.362.630. Il motivo? E' dovuto principalmente all'impossibilita' di rinnovare un certo numero di permessi di soggiorno, in mancanza delle previste condizioni di reddito e di lavoro dettate dalla Turco-Napolitano. Condizioni che la Bossi-Fini rende ancora peggiori, legando piu' strettamente il lavoro al soggiorno, procedendo all'eliminazione dell'ingresso con la sponsorizzazione, concedendo solo 6 mesi di tempo per trovare un lavoro in caso di licenziamento "e parliamo di lavoro dichiarato, e' poco tempo, troppo poco tempo", osserva Pittau. "L'impressione e' che verra' chi potra' e restera' chi potra' sopravvivere", rincara monsignor Cocchi, indirizzando un messaggio molto chiaro a Mantovano e al suo governo: "Confidiamo nei regolamenti di attuazione e nella revisione delle leggi regionali". E', insomma, scontro aperto tra i "vescovoni", come ha apostrofato Bossi qualche tempo fa i sacerdoti della Caritas perche' aiutano gli immigrati, e la compagine governativa. E' compito arduo per Mantovano difendere la sua legge "un tassello di una strategia piu' ampia" e che "non e' certo la pietra filosofale". Anzi "dopo una sperimentazione della sua applicazione, si potranno anche fare modifiche". Quando? "Fra qualche anno". Desolazione in sala. Le risposte di Mantovano all'attacco sobrio e inesorabile della Caritas e di Migrantes, sono oggettivamente deboli. Le impronte? Il sottosegretario ritira fuori la storia dell'immigrato fermato e condannato sei volte con sei identita' diverse. Il contratto di soggiorno? Lo vuole l'Europa. La regolarizzazione? Sta andando benissimo, sono costretti a pagarsi i contributi "devono denunciare tutto alla polizia". Il pubblico insorge: "E chi li protegge?". Mantovano non raccoglie, e esorta piuttosto a "confrontare il testo originario con quello definitivo", il che equivale a rivendicare i (pochi) cambiamenti introdotti nella Bossi-Fini grazie all'intermediazione da cardiopalma delle associazioni, principalmente cattoliche, o degli organismi internazionali, come nel caso dei rifugiati e del diritto d'asilo. "Abbiamo introdotto norme di tutela per i minori non accompagnati, abbiamo introdotto la possibilita' di ricorso per i richiedenti asilo", ricorda il sottosegretario. Ed e' vero che lui e' sempre stato uno degli uomini di governo piu' aperti alla mediazione, ma i sacerdoti fanno capire che "non basta". Si lasciano cordialmente, promettendo di collaborare ancora. Come il diavolo e l'acqua santa. 6. DIRITTO. GIOBBE SANTABARBARA: UNA LEGGE RAZZISTA ED INCOSTITUZIONALE La magistratura viterbese pochi giorni fa ha rimesso la legge Bossi-Fini sull'immigrazione nelle mani della Corte Costituzionale, individuando palesi profili di incostituzionalita' in un atto legislativo che viola tra l'altro un diritto inalienabile: quello a potersi difendere in un'aula di giustizia di cio' di cui si viene accusati. E' da sperare che la Corte Costituzionale si pronunci al piu' presto e faccia cessare d'autorita' la vigenza di una legge crudele e scellerata, criminale e criminogena. La legge Bossi-Fini e' infatti una legge razzista. E bene sarebbe che senza attendere l'ovvio pronunciamento della suprema istanza adita, vi fosse una resipiscenza in Parlamento, una riconquista di senso della dignita' e del diritto, e l'organo legislativo procedesse motu proprio a cancellare una legge che disonora esso Parlamento, il governo che l'ha proposta, il capo dello Stato che l'ha avallata. Ma sarebbe bene che anche la societa' civile, le forze democratiche, le persone di volonta' buona, senza attendere Corte Costituzionale e Parlamento, attuassero un'azione, anzi una serie di azioni collegate in una vera e propria campagna per la Costituzione e i diritti umani, di difesa della democrazia e della dignita' umana con la richiesta semplice ed inequivocabile: abolire la legge razzista. E questo e' il compito nostro. Poi, certo, sappiamo bene che questa legge non e' scaturita dal nulla ma e' il frutto di progressivi e sempre piu' abissali cedimenti al razzismo da parte dei precedenti governi; che gia' la legge Turco-Napolitano aveva follemente ferocemente mostruosamente reintrodotto in Italia i campi di concentramento di fascista memoria. Ma proprio perche' tanto a lungo e tanto a fondo e da tante parti in passato si e' ceduto su cio' su cui non si puo' cedere: il diritto alla vita e alla dignita' di ogni essere umano, scocca infine l'ora in cui resistere bisogna, per riconquistare democrazia e umanita', giustizia e liberta'. Per noi e per tutti. La legge razzista deve essere abolita. 7. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: UN RITRATTO DI GIUSEPPE MAZZINI [Questa definizione gandhiana di Mazzini abbiamo estratto da un articolo di Gandhi sul patriota italiano (1805-1872) apparso in "Indian Opinion" del 22 luglio 1905, ora in Mohandas K. Gandhi, La forza della verita', volume I, Sonda, Torino-Milano 1991, p. 117. Mohandas Gandhi e' il fondatore della nonviolenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, LEF; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, LEF. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero; e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e su di essi cfr. il testo di Giuliano Pontara in Idem, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] Era un uomo devoto e religioso, ne' egoista ne' orgoglioso. La poverta' era per lui un ornamento. Considerava le sofferenze altrui come le sue. 8. LA POESIA CHE NON TI ASPETTI. ADA NEGRI: FINE [Da Ada Negri, Mia giovinezza. Poesie, Fabbri, Milano 1997, p. 61 (e' una poesia della raccolta Il dono, del 1936). La tanto snobbata e fin vituperata Ada Negri (1870-1945), se si provasse a rileggerne qualcosa...] La rosa bianca, sola in una coppa di vetro, nel silenzio si disfoglia e non sa di morire e ch'io la guardo morire. Un dopo l'altro si distaccano i petali; ma intatti: immacolati: un presso l'altro con un tocco lieve posano, e stanno: attenti se un prodigio li risollevi e li ridoni, ancora vivi, candidi ancora, al gambo spoglio. Tal mi sento cader sul cuore i giorni del mio tempo fugace: intatti; e il cuore vorrebbe, ma non puo', comporli in una rosa novella, su piu' alto stelo. 9. MEMORIA. PRESENTATO ALLA STAMPA ESTERA IL LIBRO DI FABIO GALLUCCIO, I LAGER IN ITALIA [Da Nonluoghi Libere Edizioni (per contatti: info at nonluoghi.org) riceviamo e pubblichiamo] "La perdita della memoria storica e' uno dei pericoli gravi dell'Italia di oggi. Si sentono anche uomini politici di sinistra parlare con toni fin troppo comprensivi di chi sessant'anni fa scelse di stare dalla parte sbagliata, dalla parte del fascismo". Parole del professor Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni, che ha sottolineato l'importanza, in questo quadro, del libro di Fabio Galluccio, I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti, Nonluoghi Libere Edizioni, Civezzano (TN) 2002, p. 226, 13 euro, ill.), che apre una pagina nascosta della storia italiana e degli orrori fascisti. Tamburrano e' intervenuto alla presentazione ufficiale del volume, a Roma, alla sala della stampa estera, di fronte a una nutrita rappresentanza di corrispondenti stranieri (non altrettanto sensibili i mass media italiani). "Con il passare del tempo - ha aggiunto - si rischia che tutto si mescoli, che si diluiscano le responsabilita', che non ci sia piu' una parte giusta - quella di chi ha lottato contro il fascismo e per la democrazia - e una sbagliata - quella di chi ha servito quel regime liberticida. E invece questa distinzione di valori vale oggi come allora. La nostra Repubblica e' fondata sull'antifascismo; ma oggi abbiamo qualche ministro che si offende se un suo collega sottolinea che chi stava con Mussolini, sessant'anni fa, era dalla parte sbagliata". Il corrispondente dall'Italia di "Liberation", Eric Jozsef, presidente della stampa estera, ha manifestato lo stupore provato durante la lettura del libro di Galluccio, che snocciola via via, in un viaggio nell'orrore, i luoghi della vergogna dimenticata. "Galluccio - ha detto Jozsef - ci accompagna in un viaggio doloroso; ci racconta le sue partenze in macchina e le faticose ricerche delle tracce di cio' che resta oggi dei campi fascisti, nei posti piu' belli e piu' sperduti d'Italia, ma anche nelle citta' o a due passi da Roma, ad Alatri, dove sono ancora in piedi e ben visibili le baracche del lager, senza che nulla lo indichi. Una memoria negata che questo libro riapre con un grido affinche' la rimozione italiana, finalmente, lasci spazio all'elaborazione della colpa come e' accaduto in altri Paesi". Al giornalista francese ha fatto eco l'autore, contrappuntato dalla lettura di qualche brano del libro affidata all'attore-regista Francesco Apolloni. "Intanto - ha detto Galluccio - si potrebbe cominciare con una lapida in ognuno di questi luoghi terribili, che oggi sono tragici monumenti al nulla: solo in rari casi c'e' una targa che ricorda la destinazione di quei luoghi: caserme, ex conventi, ville fatiscenti, sedi di vari istituti trasformati in lager; oppure campi costruiti ad hoc. Ho girato l'Italia alla ricerca di questi luoghi che oggi sono quasi sempre difficili da individuare. Ho parlato con la gente, ho cercato di ricostruire la storia e la vita di questi lager; ma e' una memoria in buona parte rimossa. Ho cercato i sindaci, i parroci, ho chiesto che almeno si pensasse di mettere un cartello per ricordare quei fatti orribili di sessant'anni fa. Per ricordare che in quei luoghi furono rinchiuse migliaia di persone. Ebrei, dissidenti politici, zingari, stranieri, omosessuali. Molti da quei luoghi furono trasferiti ai lager e ai campi di sterminio nazisti e non tornarono mai a casa". Galluccio riapre una pagina inquietante della storia italiana, una pagina vergognosamente coperta dall'omerta' storiografica e politica nel dopoguerra, quando l'Italia doveva rifarsi una verginita', alimentare la leggenda degli "italiani brava gente" ed evitare i tribunali internazionali (come ricordato anche in sala, la Jugoslavia, che ha avuto diverse migliaia di vittime nei lager italiani, voleva trascinare a Norimberga i criminali fascisti). Il libro di Galluccio racconta il crescendo propagandistico razzista, le leggi del '38 e la loro applicazione dalle prime discriminazioni alle deportazioni verso i campi che ogni prefetto aveva ordine di istituire e l'autore cerca di indagare e ricostruire, e le condizioni di vita in una parte di queste prigioni per innocenti. Dopo la guerra, fu minimizzata la responsabilita' del popolo italiano e persino quella del regime fascista: si tento' di accollare ai nazisti anche la responsabilita' dei lager in Italia. Eppure, come confermo' lo stesso De Felice, erano centinaia (per il noto storico del fascismo 400, comprendendo pero' anche i luoghi di confino) i campi di concentramento voluti da Mussolini. Galluccio, nel suo libro, ricostruisce il percorso che condusse all'orrore: mette a nudo non solo la cinica crudelta' degli uomini del regime (ministri, sottosegretari, prefetti...) ciecamente asserviti alla ragion di Stato, ma anche l'ambiguita' della Chiesa cattolica e piu' in generale la connivenza di una societa' che assistette senza reagire all'apoteosi razzista, celebrata per anni sulle prime pagine dei giornali "ariani" che avevano costruito ad arte l'idea collettiva del "pericolo del diverso" del quale si reclamava la deportazione civile. A quest'ultimo aspetto si e' collegato l'editore, Zenone Sovilla, che ha posto l'accento, tra l'altro, sul rischio che oggi nuove, striscianti e inafferrabili negazioni della dignita' umana si verifichino ai danni di altri gruppi deboli. Gruppi "diversi" che diventano "mostri sociali" - dai nomadi nei campi ai "clandestini" nei centri di detenzione temporanea - senza che la coscienza collettiva avverta la enorme gravita' di queste aberrazioni autorizzate, complici le semplificazioni e le mistificazioni spesso allarmistiche della stampa e della politica. Per richiedere il volume: Nonluoghi Libere Edizioni, fraz. Seregnano 50-c, 38045 Civezzano (Tn), e-mail: info at nonluoghi.org; sito: www.nonluoghi.org; tel. 0461858452; cell. 3479305530. 10. RILETTURE. EILEEN BARKER: I NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI Eileen Barker, I nuovi movimenti religiosi, Mondadori, Milano 1992, pp. 370, lire 18.000. Uno studio rigoroso della nota docente di sociologia delle religioni, edito in Inghilterra dal Ministero dell'Interno come guida pratica ad uso delle istituzioni e dei cittadini. 11. RILETTURE. MARCELLA DELLE DONNE: CONVIVENZA CIVILE E XENOFOBIA Marcella Delle Donne, Convivenza civile e xenofobia, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 156, euro 16,53. Un saggio introduttivo di notevole utilita'. 12. RILETTURE. MARGHERITA ISNARDI PARENTE: CITTA' E REGIMI POLITICI NEL PENSIERO GRECO Margherita Isnardi Parente, Citta' e regimi politici nel pensiero greco, Loescher, Torino 1979, pp. 266. Un'antologia del pensiero politico greco a cura di una delle piu' illustri studiose. 13. RILETTURE. ILEANA MONTINI: PARLARE CON DACIA MARAINI Ileana Montini, Parlare con Dacia Maraini, Bertani, Verona 1977, pp. 192. Riaprendolo oggi, e' ancora un libro di straordinario interesse e valore, appassionante e commovente. 14. RILETTURE. GABRIELE RAETHER: ALEKSANDRA KOLLONTAJ Gabriele Raether, Aleksandra Kollontaj, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Massari Editore, Bolsena - Vt), pp. 192, lire 16.000. Un bel saggio sulla militante rivoluzionaria, pacifista e femminista; apparso nella pregevole collana "Il pensiero forte". 15. RILETTURE. ADRIANA ZARRI: ERBA DELLA MIA ERBA Adriana Zarri, Erba della mia erba, Cittadella, Assisi 1981, 1984, pp. 252. Forse il libro piu' intenso della prestigiosa teologa. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 399 del 29 ottobre 2002
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