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La nonviolenza e' in cammino. 398
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 398
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 Oct 2002 23:16:43 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 398 del 28 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: passare dal pacifismo generico alla nonviolenza 2. Peppe Sini, la nonviolenza e' piu' forte 3. Un appello per un nove novembre senza violenza 4. Arundhati Roy, settembre 5. Luisa Morgantini, per il rispetto dei diritti umani 6. Riletture: Guenther Anders, Essere o non essere 7. Riletture: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo 8. Riletture: Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa 9. Riletture: Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza 10. Riletture: Primo Levi, I sommersi e i salvati 11. Riletture: Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta' 12. Rletture: Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane 13. Riletture: Virginia Woolf, Le tre ghinee 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: OCCORRE PASSARE DAL PACIFISMO GENERICO ALLA NONVIOLENZA [Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta", la rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964, e una delle persone piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; lo ringraziamo per averci messo a disposizione questo suo intervento in questa forma cosi' nitida e ineludibile per promuovere una riflessione necessaria ed una chiarificazione urgente tra quanti sono impegnati contro la guerra, contro il terrorismo, contro le dittature; per contatti: azionenonviolenta at sis.it] Non vorrei che un serio dibattito sul pacifismo venisse trasformato nella solita lite da pollaio. Dinanzi alla posizione che dice che "non ci puo' essere guerra in nome dei diritti umani", e a quella che dice che "l'uso della forza serve ad impedire ulteriori massacri", non mi sento in contraddizione nell'essere d'accordo con l'una e con l'altra. Il centro di questa discussione credo stia proprio nei due termini "guerra" e "forza". Essere contro la guerra non significa escludere la forza. Ma per fare questa distinzione bisogna aver chiara anche la diversita' fra il generico pacifismo e la nonviolenza specifica. Infatti, la nonviolenza gandhiana si basa proprio sull'uso della forza per combattere la violenza. La verita' contro la menzogna; la legge dell'amore contro la legge della giungla. La nonviolenza, diceva Gandhi, e' per i forti, non per i deboli. E nella ricerca esigente di una purezza nonviolenta, si spingeva anche piu' in la': se la nonviolenza assoluta non e' ancora possibile, cerchiamo almeno di raggiungere il minor grado possibile di violenza. Spesso faceva l'esempio (purtroppo attualissimo) di un cecchino che spara sulla folla. Per fermarlo bisogna usare una forza che serve ad evitare una violenza maggiore. Questo, naturalmente, vale anche su scala mondiale. Bisogna fermare i dittatori (o i terroristi) e soccorrere le vittime. Per uscire dall'apparente contraddizione fra chi e' sempre, e comunque, contro la guerra, e chi e' favorevole, a volte, ad azioni di forza, bisogna saper vedere la differenza che c'e' tra la guerra e un intervento armato; tra un esercito e una polizia internazionale. I nonviolenti sono sempre stati favorevoli alla legge e alla polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E' per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander Langer, sia sul fronte del diritto e dei tribunali Internazionali, sia per l'istituzione di Corpi civili di pace. Da sempre i nonviolenti chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a tutela delle parti lese, per disarmare l'aggressore e ristabilire il diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, i nonviolenti sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva), contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i bilanci militari, e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di coscienza. La proposta politica dei nonviolenti non e' l'utopia del disarmo mondiale, bensi' il realismo del disarmo unilaterale. Vogliono uno stato che rinunci al proprio esercito militare, e si impegni a fornire mezzi, soldi e personale per la polizia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite. Insomma, limitarsi a dire no alla guerra quando questa e' scoppiata, non serve a molto; bisogna lavorare prima per prevenire il conflitto armato. Innanzitutto abolendo gli eserciti e dotandosi invece degli strumenti efficaci per fermare chi la guerra la vuole fare comunque. La storia e' piena di esempi. Auspico che nel movimento si sviluppi un'approfondita discussione sul tema "dal pacifismo alla nonviolenza"; ringrazio coloro che l'hanno avviata. A chi voglia affrontarla seriamente consiglio la lettura del testo Sui conflitti e sulle guerre di Simone Weil (disponibile presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, e-mail: azionenonviolenta at sis.it). 2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: LA NONVIOLENZA E' PIU' FORTE Passare dal pacifismo alla nonviolenza e' il salto di qualita' reso necessario dagli eventi cruciali del XX secolo: Auschwitz, Hiroshima, i Gulag, la globalizzazione della fame e del terrore. Un pacifismo generico che lasci indisturbati gli esecutori della Shoah non e' neppure pacifismo, ma solo complicita' con i carnefici. Un pacifismo generico che distingua tra armi buone e guerre giuste da una parte e armi cattive e guerre ingiuste dall'altra, nell'eta' atomica non e' piu' pacifismo, ma irresponsabilita' che coopera alla fine della civilta' umana. Un pacifismo generico che si preoccupi di quello che accade qui e dimentichi quello che accade altrove, dove la fame e la violenza opprimono popoli interi, non e' affatto pacifismo ma un egoismo che coopera a che l'umanita' intera sia travolta. Occorre passare dal pacifismo alla nonviolenza: ovvero opporsi a tutti gli eserciti e a tutte le guerre, a tutte le dittature e a tutti i terrorismi; opporsi lottando con la forza della nonviolenza, con gli strumenti del diritto, con l'affermazione concreta della solidarieta' con le vittime. Disarmando gli oppressori, i devastatori, i criminali; opponendo forza a forza: la nonviolenza e' piu' forte. Cosa e' infatti la nonviolenza? E' la lotta - la lotta - piu' forte, piu' limpida e piu' intransigente contro la violenza; o non e' nulla. 3. APPELLI. UN APPELLO PER UN NOVE NOVEMBRE SENZA VIOLENZA [Riceviamo e volentieri diffondiamo questo appello del Partito Umanista - che riprende, e lo apprezziamo, alcune formule dell'appello diffuso dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo agli inizi di ottobre - affinche' il 9 novembre a Firenze il "movimento dei movimenti" caratterizzi la sua manifestazione contro la guerra con la scelta rigorosa della nonviolenza. Siamo grati ad Anna Polo (anna.polo at tin.it) per avercelo trasmesso. Per adesioni e contatti: tel. 024814092, e-mail: puinfo at lycos.it] Il 9 novembre vogliamo manifestare contro la guerra in modo pacifico e nonviolento, senza finire coinvolti nei gesti provocatori e irresponsabili di una minoranza prepotente. La nonviolenza deve essere la discriminante per chiunque voglia opporsi alla guerra e ad ogni altra forma di violenza. I violenti e i provocatori vanno isolati. Basta con le ipocrisie e le ambiguita': chi copre i violenti e' loro complice. 4. RIFLESSIONE. ARUNDHATI ROY: SETTEMBRE [Riportiamo il testo del discorso tenuto da Arundhati Roy presso il "Lensic Performing Arts Center" di Santa Fe, Nuovo Messico, il 29 settembre 2002. Riprendiamo la traduzione da "Rossonotizienet" numero 21 dell'ottobre 2002, l'utilissimo notiziario telematico diffuso dall'Associazione culturale punto rosso (per contatti: puntorosso at puntorosso.it). Ovviamente non tutte le affermazioni e le ricostruzioni di Arundhati Roy sono attendibili, e non tutte le sue opinioni sono convincenti; ma ci sembra che questo discorso, nell'insieme molto bello e appassionato, meriti comunque di essere conosciuto e discusso. Arundhati Roy e' una grande scrittrice indiana, impegnata contro il riarmo, in difesa dell'ambiente e per i diritti dei popoli. Opere di Arundhati Roy: cfr. almeno il romanzo Il dio delle piccole cose, Guanda, Parma 1997; poi in edizione economica Superpocket, Milano 2000; e i due saggi di testimonianza e denuncia raccolti in La fine delle illusioni, Guanda, Parma 1999, poi in edizione economica Tea, Milano 2001; i saggi editi ne La fine delle illusioni sono stati recuperati poi nella piu' ampia raccolta di saggi di intervento civile, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002] Grazie. Vorrei potervi vedere meglio, ma e' piuttosto buio. Sono felice di essere qui, e sono anche felice che sia Howard Zinn a presentarmi a voi, perche' pur non avendolo mai incontrato prima d'ora, penso che sia un essere umano veramente magico. Grazie, Howard. Proprio in questo momento Howard mi chiede con quale criterio decido se accettare o no di partecipare ad un evento o ad una conferenza. La mia risposta e' che in media accetto di partecipare una volta su cinquanta, e che sono felice e orgogliosa di essere qui perche so che le persone che mi hanno preceduta sono persone che ammiro e rispetto. Ringrazio quindi la Fondazione Lannan per avermi invitata. Ho tante cose da dire e spero di non dilungarmi troppo. Sono una scrittrice, ed ho preferito scrivere le cose che desidero dirvi, per due motivi. Primo, perche' sono certa che siate piu' interessati al mio modo di scrivere che al mio modo di parlare. Secondo, perche' le cose che desidero dire sono complicate, pericolose in questi tempi pericolosi, e credo sia mio dovere essere molto precisa circa quello che dico, su come lo dico e con quale linguaggio. Mi auguro quindi che siate d'accordo se leggero'. Il mio discorso oggi ha per titolo Settembre. Gli scrittori pensano di cogliere le loro storie dal mondo. Sto cominciando a credere che sia la vanita' a farglielo pensare. Perche' e' esattamente il contrario. Sono le storie che scelgono gli scrittori. Le storie si rivelano a noi. La narrativa pubblica, quella privata, ci colonizzano. Ci commissionano. Insistono nel volere essere raccontate. Narrativa e saggistica sono solo tecniche diverse per raccontare una storia. Per ragioni a me non del tutto comprensibili, la narrativa danza fuori da me e la saggistica viene strappata fuori dal mondo dolente e spezzato in cui mi risveglio ogni mattina. Il tema di molto di cio' che scrivo, sia di narrativa che di saggistica, e' la relazione tra potere e assenza di potere e il conflitto eterno e circolare in cui essi sono impegnati. Il bravissimo scrittore John Berger scrisse: "Mai piu' una singola storia sara' raccontata come se fosse l'unica storia". Non ci puo' mai essere una sola storia. Ci sono solo piu' modi di vedere. Cosi', quando racconto una storia, non la racconto come un ideologo che desidera contrapporre una ideologia assolutista ad un'altra, ma come un narratore che vuole condividere il suo modo di vedere. Sebbene possa sembrare il contrario, io non descrivo nazioni e storie, io descrivo il potere. Descrivo la paranoia e l'inesorabilita' del potere. La fisica del potere. Io credo che l'accumularsi di potere vasto e incontrastato da parte di uno stato o di un paese, di una grande impresa o di una istituzione - o perfino di un individuo, un coniuge, un amico, un compagno - non importa di quale ideologia, porta con se' eccessi come quelli che io qui riferisco. * Vivendo come vivo, come milioni di noi, all'ombra dell'olocausto nucleare che i governi di India e Pakistan continuano a promettere alla loro cittadinanza cui e' stato fatto il lavaggio del cervello, e nella vicinanza globale della Guerra Contro il Terrorismo (che il presidente Bush ha denominato abbastanza biblicamente "Missione Senza Fine"), sono costretta a pensare insistentemente al rapporto tra Cittadini e Stato. In India, quelli tra di noi che hanno espresso pareri sugli ordigni nucleari, sulle grandi dighe, sulla globalizzazione delle grandi imprese e sulla minaccia insorgente del fascismo indu' - pareri che sono in disaccordo con quelli del governo indiano - sono tacciati di "antipatriottismo". Questa accusa non mi riempie di indignazione, ma non la considero una valutazione esatta di cio' che faccio o penso. Perche' un "antipatriota" e' una persona che e' contro la propria nazione e, di conseguenza, e' a favore di qualche altra nazione. Ma non si e' necessariamente "antipatriottici" se si diffida profondamente di ogni forma di nazionalismo, se si e' "contro il nazionalismo". Tutte le forme di nazionalismo furono causa del maggior numero dei genocidi del ventesimo secolo. Le bandiere sono pezzi di stoffa colorata che i governi usano dapprima per i fasciare i cervelli della gente atrofizzandoli e poi come sudari per seppellire i morti. Quando la gente che normalmente ragiona in modo indipendente (e non includo qui i mezzi di comunicazione legati alle corporations) inizia a radunarsi sotto bandiere, quando scrittori, pittori, musicisti, registi, mettono da parte le loro opinioni e pongono ciecamente la loro arte al servizio della "Nazione", e' giunto il momento per noi di svegliarci e di preoccuparci. In India l'abbiamo visto accadere subito dopo gli esperimenti nucleari del 1998 e durante la Guerra tra Kargil e Pakistan nel 1999. Negli Stati Uniti l'abbiamo visto durante la guerra del Golfo e lo vediamo ora con la "Guerra contro il Terrorismo". Quel turbinio di bandiere americane "Made in China". * Di recente, chi ha criticato le azioni del governo degli Stati Uniti (me compresa) e' stato definito "antiamericano". Non ci vorra' molto prima che l'"Anti-Americanismo" venga considerato una ideologia. Il termine "antiamericano" viene normalmente usato dalla classe dirigente americana per screditare e definire (non voglio dire in modo falso, ma piuttosto impreciso) chi li critica. Per chi venga marchiato anti-Americano c'e' la possibilita' di venire giudicato prima ancora di essere ascoltato, e la controversia si perdera' nel tumulto dell'orgoglio nazionale ferito. Ma cosa significa il termine anti-americano? Significa che si e' anti-jazz? O che si e' contrari alla liberta' di linguaggio? Che non si prova piacere leggendo Toni Morrison o John Updike? Che si e' contro le sequoie giganti? Significa forse che non si nutre ammirazione per le centinaia di migliaia di cittadini americani che hanno marciato contro le armi nucleari, o le migliaia di oppositori alla guerra che costrinsero il loro governo a ritirarsi dal Vietnam? Significa forse che si odiano tutti gli americani? Questa subdola fusione di cultura americana, musica, letteratura, bellezza mozzafiato del paese, piaceri comuni della gente comune con la critica alla politica estera del governo degli Stati Uniti (di cui, purtroppo, grazie alla "libera stampa" d'America, la maggior parte degli americani e' molto poco informata), e' una strategia deliberata ed estremamente efficace. Un po' come un esercito in ritirata che si nasconde in una citta' densamente popolata, sperando che la prospettiva di colpire obiettivi civili funga da deterrente al fuoco nemico. Ma ci sono molti americani che si sentirebbero umiliati di essere associati alle politiche del governo. Le critiche piu' colte, mordaci, incisive, ironiche, mosse all'ipocrisia ed alle contraddizioni nella politica del governo degli Stati Uniti vengono proprio da cittadini americani. Quando il resto del mondo desidera sapere cosa sta combinando il governo degli Stati Uniti, noi ci rivolgiamo a Noam Chomsky, Edward Said, Howard Zinn, Ed Herman, Amy Goodman, Michael Albert, Chalmers Johnson, William Blum e Anthony Amove, perche' ci raccontino cosa sta realmente accadendo. * Allo stesso modo, in India, non centinaia, ma milioni di noi si vergognerebbero e si sentirebbero offesi se fossero in qualche modo associati alle politiche fasciste dell'attuale governo indiano che, oltre a perpetrare il terrorismo di stato nella valle del Kashmir (in nome della battaglia contro il terrorismo) ha anche ignorato il recente progrom di stato contro i Musulmani del Gujarat. Sarebbe semplicemente assurdo pensare che chi critica il governo indiano sia anti-indiano, sebbene il governo stesso non esiti a pensarla cosi'. E' pericoloso concedere al governo indiano o al governo americano o a chiunque, il diritto di definire cosa "India" o "America" siano o dovrebbero essere. Definire qualcuno anti-americano (o allo stesso modo anti-indiano o anti-timbuctuano) non e' solo razzista, ma e' anche un fallimento dell'immaginazione. Una incapacita' di vedere il mondo in termini diversi da quelli che la classe dirigente ha stabilito per voi. Se non sei un "bushiano" sei un Talebano. Se non ci ami, ci odi. Se non sei Buono, sei il Male. Se non sei con noi, sei con i terroristi. * Lo scorso anno anch'io, come molti altri, ho commesso l'errore di ironizzare su questa retorica del dopo 11 settembre, considerandola pazza e arrogante. Ma mi sono resa conto che non e' per niente pazza. E' in realta' uno scaltro reclutamento per una malconcepita e pericolosa guerra. Ogni giorno scopro con sorpresa quanti credono che opporsi alla guerra in Afghanistan significhi appoggiare il terrorismo, parteggiare per i talebani. Ora che lo scopo principale della guerra - catturare Bin Laden (vivo o morto) - sembra essere incappato nel "cattivo tempo", gli obiettivi prefissi sono stati spostati. Si sta sostenendo che il punto focale della guerra era rovesciare il regime dei talebani e liberare le donne afgane dai loro burka, e a noi si chiede di credere che i marines degli Stati Uniti sono impegnati in una missione femminista (se e' cosi', la loro prossima fermata sara' presso l'alleata militare dell'America, l'Arabia Saudita?). Mettiamola cosi': in India vi sono alcune riprovevoli pratiche sociali contro gli "intoccabili", contro cristiani e musulmani, contro le donne. Pakistan e Bangladesh hanno perfino modi peggiori di trattare le minoranze e le donne. Dovrebbero essere bombardati? Si dovrebbero distruggere Delhi, Islamabad e Dacca? E' possibile estirpare con le bombe il fanatismo dall'India? Possiamo aprirci con le bombe una strada per il paradiso femminista? E' cosi' che le donne hanno conquistato il diritto di voto negli Stati Uniti? O che la schiavitu' e' stata abolita? Si puo' riscattare il genocidio dei milioni di nativi Americani sui cui cadaveri furono fondati gli Stati Uniti bombardando Santa Fe? * Nessuno di noi ha bisogno di anniversari per ricordarci cio' che non possiamo dimenticare. E' solo una coincidenza che io sia qui, sul suolo americano, in settembre - questo mese di tremendi anniversari. Sopra a tutto, nella memoria di tutti, in particolare qui in America, e' l'orrore di cio' che viene conosciuto come "Undici settembre". Quasi tremila civili persero le loro vite in quell'attentato terroristico letale. Il dolore e' ancora profondo. La rabbia ancora acuta. Le lacrime non si sono ancora asciugate. Ed una strana guerra mortale infuria intorno al mondo. Tuttavia, chiunque abbia perso una persona cara sa per certo, in segreto, nel piu' profondo del suo intimo, che nessuna guerra, nessun atto di vendetta, nessuna mina anti-uomo lasciata cadere sulle persone care di qualcun altro o sui figli di qualcun altro, potranno attenuare la sua pena o restituirgli la persona amata. La guerra non puo' vendicare i morti. La guerra e' solo una brutale profanazione della loro memoria. Alimentare ora un'altra guerra - questa volta contro l'Iraq - manipolando con cinismo il dolore della gente, confezionandone le immagini per servizi televisivi sponsorizzati da societa' che producono detersivi o scarpe sportive, significa sminuire e svalutare il dolore, privarlo del suo significato. Quello a cui assistiamo e' una volgare ostentazione del "business" del dolore, del commercio del dolore, il saccheggio perfino dei sentimenti umani piu' intimi, a scopo politico. Che uno stato faccia questo alla sua gente, e' una cosa terribile, violenta. Forse non e' argomento abbastanza intelligente di cui parlare da un pubblico palco, ma cio' di cui mi piacerebbe veramente parlare con voi e' la Perdita. La Perdita ed il Perdere. Dolore, fallimento, disperazione, insensibilita', incertezza, paura, la morte dei sentimenti, la morte dei sogni. L'assolutamente implacabile, infinita, scontata ingiustizia del mondo. Cosa significa per gli individui la perdita? Cosa significa per intere culture, intere popolazioni che hanno imparato a vivere in sua costante compagnia? Dato che stiamo parlando dell'11 settembre, forse e' giusto che ricordiamo cosa significa quella data, non solo per chi ha perso i suoi cari in America lo scorso anno, ma anche per coloro per cui, in altre parti del mondo, quella data ha da lungo tempo un significato. Questo scavare nella storia non vuole essere una accusa o una provocazione. Vuole solo che sia condiviso il dolore della storia. Diradare un poco le nebbie. Dire ai cittadini d'America nel modo piu' gentile ed umano: "benvenuti nel mondo". * Ventinove anni fa, in Cile, l'11 settembre 1973, il generale Pinochet rovescio' il governo eletto democraticamente di Salvador Allende, con un colpo di stato appoggiato dalla CIA. "Al Cile non dovrebbe essere permesso di diventare marxista solo perche' la sua gente e' irresponsabile" disse Henry Kissinger, premio Nobel per la pace e allora segretario di stato degli Stati Uniti. Dopo il colpo di stato il presidente Allende fu trovato morto all'interno del palazzo presidenziale. Se sia stato ucciso o se si sia suicidato non lo sapremo mai. Nel regime di terrore che segui', furono uccise migliaia di persone. Molti, piu' semplicemente, "scomparirono". Squadre armate effettuarono esecuzioni pubbliche. In tutto il paese furono istituiti campi di concentramento e camere di tortura. I morti furono sepolti nei pozzi delle miniere o in tombe anonime. Per diciassette anni la gente del Cile visse nel terrore di udire bussare alla porta in piena notte, nel terrore delle abitudinarie "scomparse", di improvvisi arresti e di torture. I cileni raccontano di come il musicista Victor Jara ebbe ambedue le mani amputate nello stadio affollato di Santiago. Prima di sparargli, i soldati di Pinochet gli buttarono la sua chitarra e gli chiesero sarcasticamente di suonarla. Nel 1999, in seguito all'arresto del generale Pinochet in Inghilterra, migliaia di documenti segreti furono declassificati. Essi contengono la prova inconfutabile del coinvolgimento della CIA nel colpo di stato ed anche che il governo degli Stati Uniti possedeva informazioni dettagliate sulla situazione in Cile durante il regime del generale Pinochet. Tuttavia, Kissinger garanti' il suo appoggio al generale. " Come voi sapete, negli Stati Uniti siamo solidali con quanto voi state tentando di fare", egli disse, "auguriamo bene al vostro governo". Per quelli di noi che hanno vissuto in una democrazia, per quanto imperfetta, sarebbe difficile immaginare cosa significa vivere in una dittatura e soffrire la perdita assoluta di liberta'. Non si deve pensare solo a tutti quelli che Pinochet ha ucciso, ma anche a tutte le vite che ha rubato a chi e' rimasto in vita. Purtroppo il Cile non fu l'unico paese in Sud America a subire le "attenzioni" del governo degli Stati Uniti. Guatemala, Costa Rica, Ecuador, Brasile, Peru', la Repubblica Dominicana, Bolivia, Nicaragua, Honduras, Panama, Salvador, Messico e Colombia, sono stati tutti terreno di operazioni (sotto copertura, e ufficiali) della CIA. Centinaia di migliaia di latinoamericani sono stati uccisi, torturati o sono semplicemente scomparsi sotto i regimi totalitari che furono favoriti nei loro paesi. Se questo non fosse sufficientemente umiliante, le popolazioni del Sud America dovettero subire anche l'umiliazione di essere marchiate come incapaci di democrazia - come se colpi di stato e massacri fossero in qualche modo insiti nei loro geni. Naturalmente la lista non comprende i paesi in Africa o Asia che hanno subito interventi militari statunitensi - Vietnam, Corea, Indonesia, Laos e Cambogia. Per quanti mesi di settembre, per decine di anni, milioni di asiatici sono stati bombardati, bruciati e massacrati? Quanti mesi di settembre sono passati dall'agosto del 1945, quando centinaia di migliaia di civili giapponesi soccombettero nelle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki? Per quanti mesi di settembre quelle migliaia di persone che ebbero la sfortuna di sopravvivere a quelle esplosioni hanno dovuto subire quell'inferno vivente che aveva investito loro, i loro figli non ancora nati, i figli dei loro figli, la terra, il cielo, l'acqua, il vento, e tutte le creature che camminano, che strisciano e che volano? Non lontano da qui, ad Albuquerque, c'e' il Museo Atomico Nazionale, dove "Fat Man" e "Little Boy" ( affettuosi soprannomi dati alle bombe che furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki) si possono acquistare come orecchini ricordo. I giovani alla moda li indossano. Un massacro che pende da ciascun orecchio. Ma sto andando fuori tema. E' di settembre che stiamo parlando, non di agosto. * L'11 settembre ebbe una risonanza tragica anche in Medio Oriente. L'11 settembre 1922, ignorando l'oltraggio fatto agli arabi, il governo britannico proclamo' un ordine in Palestina, conseguente alla Dichiarazione Balfour del 1917 che fu sancita dall'impero britannico, e concentro' il suo esercito fuori dai confini di Gaza. La Dichiarazione Balfour prometteva ai sionisti europei una patria per il popolo ebraico (a quei tempi, l'impero su cui il sole non tramontava mai era libero di togliere e dare patrie cosi' come uno scolaretto arrogante distribuisce palline di vetro). Con quanta incoscienza il potere imperiale ha vivisezionato antiche civilta'. Palestina e Kashmir sono i doni avvelenati e grondanti sangue dell'impero britannico al mondo moderno. Ambedue sono linee difettose nei rabbiosi conflitti internazionali di oggi. Nel 1937 Winston Churchill disse dei palestinesi, "non sono d'accordo che un cane alla mangiatoia abbia alcun diritto sulla mangiatoia anche se vi e' stato per lungo tempo. Non riconosco quel diritto. Non credo, per esempio, che sia stato fatto un grande torto agli indiani d'America o agli aborigeni in Australia. Non reputo che quelle popolazioni abbiano subito un torto con il fatto che una razza piu' forte, una razza superiore, una razza piu' saggia se vogliamo metterla in questo modo, sia arrivata ed abbia preso il loro posto". Cio' influenzo' la tendenza dello Stato di Israele nei confronti dei palestinesi. Nel 1969, il primo ministro israeliano Golda Meir disse: "i palestinesi non esistono". Il suo successore, il primo ministro Levi Eschol disse:" Cosa sono i palestinesi? Quando io sono arrivato qui (in Palestina), c'erano 250.000 non-ebrei, per lo piu' arabi e beduini. Era un deserto, piu' che sottosviluppato. Il nulla". Il primo ministro Menachem Begin denominava i palestinesi "bestie a due gambe". Il primo ministro Yitzhak Shamir li denominava " cavallette" che si possono calpestare. Questo e' il linguaggio dei capi di stato, non sono le parole della gente comune. Nel 1947, le Nazioni Unite ripartirono formalmente la Palestina e assegnarono il 55% del territorio palestinese ai sionisti. Entro un anno gli stessi si erano impossessati del 76%. Il 14 maggio 1948 fu dichiarato lo Stato di Israele. Pochi minuti dopo la dichiarazione, gli Stati Uniti riconobbero Israele. La West Bank fu annessa alla Giordania. La striscia di Gaza fu posta sotto il controllo militare egiziano, e quella che fu la Palestina cesso' di esistere se non nelle menti e nei cuori di centinaia di migliaia di palestinesi che divennero profughi. Nel 1967 Israele occupo' la West Bank e la striscia di Gaza. Negli anni che seguirono vi furono insurrezioni, guerre, intifada. Le vittime sono state decine di migliaia. Sono stati firmati accordi e trattati. Cessazioni del fuoco sono state dichiarate e violate. Ma lo spargimento di sangue non ha fine. La Palestina resta occupata illegalmente. La sua gente vive in condizioni disumane, in un virtuale Bantustan, dove e' soggetta a punizioni collettive, con 24 ore di coprifuoco su 24, umiliata e brutalizzata quotidianamente. Non sa quando verranno demolite le sue case, quando i suoi figli verranno uccisi, quando i suoi preziosi alberi verranno tagliati, quando le sue strade verranno bloccate, quando avra' il permesso di andare al mercato a comperare cibo e farmaci. E quando non lo avra'. Vive senza una parvenza di dignita'. Senza molte speranze. Non ha alcun controllo sulla sua terra, la sua sicurezza, i suoi movimenti, le sue comunicazioni, le sue forniture d'acqua. Cosi', quando vengono firmati gli accordi, e termini come "autonomia" e perfino "stato" vengono sbandierati, vale sempre la pena di domandare. Che genere di autonomia? Che genere di stato? Che tipo di diritti avranno i suoi cittadini? I giovani palestinesi che non riescono a controllare la loro rabbia si trasformano in bombe umane e devastano le strade di Israele e i luoghi pubblici, facendosi saltare in aria, uccidendo gente comune, iniettando terrore nella vita quotidiana, ed infine aumentando il sospetto e l'odio reciproco su ambedue i fronti. Ogni attentato suscita una spietata rappresaglia e maggiori difficolta' per il popolo palestinese. L'attentato suicida e' un'azione di disperazione individuale, non una tattica rivoluzionaria. Se da un lato gli attacchi palestinesi seminano il terrore tra i cittadini israeliani, dall'altro essi offrono la perfetta copertura per le incursioni quotidiane del governo di Israele nel territorio palestinese, il pretesto perfetto per un colonialismo fuori moda datato XIX secolo, mascherato da moderna "guerra" del XXI secolo. Gli Stati Uniti sono e sono sempre stati gli alleati politici e militari piu' fedeli di Israele. Il governo degli Stati Uniti ha bloccato, insieme ad Israele, quasi tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che cercavano una soluzione pacifica ed equa al conflitto. Ha appoggiato quasi ogni guerra che Israele ha combattuto. Quando Israele attacca la Palestina, sono americani i missili che radono al suolo le case palestinesi. Ed ogni anno Israele riceve parecchi miliardi di dollari dagli Stati Uniti - denaro dei cittadini che pagano le tasse. Quale insegnamento dobbiamo trarre da questo tragico conflitto? E' veramente impossibile per il popolo ebraico, che tanto crudelmente ha sofferto - forse piu' crudelmente di qualsiasi altro popolo nella storia - capire la vulnerabilita' e lo struggimento di coloro che ha scacciato? Possibile che l'estrema sofferenza generi sempre crudelta'? Quale speranza lascia tutto questo alla razza umana? Cosa succedera' al popolo palestinese nel caso di una vittoria? Se una nazione senza uno stato proclama uno stato, che razza di stato sara'? Quali orrori si commetteranno sotto la sua bandiera? Dobbiamo batterci per uno stato separato, o piuttosto per il diritto ad una vita di liberta' e dignita' per tutti, al di la' di etnia e religione? La Palestina era un tempo baluardo secolare in Medio Oriente. Ma ora il debole, antidemocratico, a detta di tutti corrotto, ma dichiaratamente non fazioso OLP, sta perdendo terreno nei confronti di Hamas, che adotta una ideologia apertamente faziosa e lotta in nome dell'Islam. Per citare le parole del loro manifesto "noi saremo i suoi soldati e la legna per il suo fuoco, che brucera' i nemici". Al mondo viene chiesto di condannare le bombe umane. Ma si puo' ignorare il lungo cammino che hanno percorso prima di arrivare a questo punto? Dall'11 settembre 1922 all'11 settembre 2002 - ottanta anni e' un periodo ben lungo di guerra. C'e' qualche consiglio che il mondo puo' dare al popolo della Palestina? O devono accettare quello di Golda Meir e fare di tutto per non esistere? * In un'altra parte del Medio Oriente, l'11 settembre tocca una corda piu' recente. L'11 settembre 1990 George W. Bush Sr., allora presidente degli Stati Uniti, tenne un discorso all'assemblea del Congresso, annunciando che il suo governo aveva deciso di fare guerra all'Iraq. Il governo degli Stati Uniti dice che Saddam Hussein e' un criminale di guerra, un crudele despota militare che ha commesso genocidio verso il suo stesso popolo. Descrizione sufficientemente accurata del soggetto. Nel 1988 Saddam Hussein rase al suolo centinaia di villaggi nel nord dell'Iraq, uso' armi chimiche e mitragliatrici per uccidere migliaia di kurdi. Oggi noi sappiamo che quello stesso anno il governo degli Stati Uniti gli dette sussidi per 500 milioni di dollari per acquistare prodotti agricoli americani. L'anno successivo, dopo che egli aveva completato con successo la sua campagna di genocidio, il governo degli Stati Uniti raddoppio' il sussidio a un miliardo. Gli forni' inoltre batteri di antrace di "prima qualita'" ed elicotteri e materiali a doppio uso, che potevano essere usati per fabbricare armi chimiche e biologiche. Si scopre insomma che, mentre Saddam Hussein compiva le sue peggiori atrocita', il governo degli Stati Uniti e quello britannico erano i suoi piu' stretti alleati. Cosa e' cambiato allora? Nel 1990, Saddam Hussein invase il Kuwait. Il suo peccato non fu tanto l'avere compiuto un atto di guerra, quanto l'avere agito in maniera indipendente, senza ordini dal suo padrone. Questa manifestazione di indipendenza fu sufficiente per sovvertire l'equazione del potere nel golfo. E si decise che Saddam Hussein doveva essere eliminato, come un cagnolino che e' sopravvissuto all'affetto del suo padrone. Il primo attacco alleato all'Iraq avvenne nel gennaio del 1991. Il mondo guardo' l'inizio della guerra in prima serata, perche' fu ripresa in televisione. (In quei giorni, in India, bisognava andare nell'atrio di un albergo a 5 stelle, per potere vedere la CNN). In un mese di bombardamenti devastanti furono uccise decine di migliaia di persone. Cio' che molti non sanno e' che da allora la guerra non e' mai finita. La furia iniziale si stempero' nell'attacco aereo piu' lungo che mai sia stato effettuato su un paese dopo la guerra in Vietnam. Negli ultimi dieci anni, le forze armate americane e inglesi hanno lanciato migliaia di missili e bombe sull'Iraq. Nel decennio delle sanzioni economiche che segui' alla guerra, ai civili iracheni sono stati negati cibo, medicine, attrezzature ospedaliere, ambulanze, acqua potabile - tutto l'essenziale. A causa delle sanzioni ha perso la vita circa mezzo milione di bambini. Di loro, Madeleine Albright, allora ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, incredibilmente disse: "e' una scelta molto difficile, ma penso che ne valga la pena". "Equivalenza morale" fu il termine usato per denunciare quelli di noi che criticarono la guerra in Afghanistan. Madeleine Albright non puo' essere accusata di equivalenza morale. Cio' che disse fu direttamente algebra. Un decennio di bombardamenti non e' riuscito a rimuovere Saddam Hussein, "la bestia di Baghdad". Ora, dopo circa 12 anni, il presidente George Bush Jr. cade nell'ingranaggio della retorica ancora una volta. Propone una guerra incondizionata il cui scopo e' niente meno che un cambiamento di regime. Il "New York Times" dice che l'amministrazione Bush sta seguendo "una strategia meticolosamente programmata per convincere il pubblico, il Congresso e gli alleati sulla necessita' di affrontare la minaccia Saddam Hussein". Andrew H. Card Jr, il capo del personale della Casa Bianca, ha descritto come l'amministrazione stava mettendo a punto i suoi piani di guerra per l'autunno e: "dal punto di vista del marketing", ha detto, "non si immettono nuovi prodotti in agosto". Questa volta l'espressione tranello di Washington per "nuovo prodotto" non e' la difficile situazione del popolo kuwaitiano, bensi' la dichiarazione che l'Iraq possiede armi di distruzione di massa. "Dimenticate la moralizzazione inetta delle 'lobbies' pacifiste", ha scritto Richard Perle, ex-consigliere del presidente Bush, "dobbiamo arrivare a lui prima che lui arrivi a noi". Gli ispettori agli armamenti hanno stilato rapporti contrastanti sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, e molti di loro hanno detto chiaramente che gli arsenali sono stati smantellati e che il paese non e' in grado di costruirne di nuovi. Tuttavia, non c'e' alcun dubbio sull'estensione e sulla gamma dell'arsenale americano di armi nucleari e chimiche. Accetterebbe volentieri il governo americano la visita di ispettori agli armamenti? O il governo britannico? O Israele? Se anche l'Iraq avesse armi nucleari, puo' questo giustificare un attacco preventivo da parte degli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possiedono il piu' vasto arsenale di armi nucleari al mondo e sono al momento l'unico paese al mondo che ne abbia fatto uso su popolazioni civili. Se gli Stati Uniti sono giustificati nello sferrare un attacco preventivo sull'Iraq, allora qualsiasi potenza nucleare sarebbe giustificata nel fare altrettanto su qualunque altra potenza nucleare. L'India potrebbe attaccare il Pakistan, o viceversa. E se il governo degli Stati Uniti sviluppa un'avversione per, diciamo, il primo ministro indiano, si puo' "eliminarlo" con un attacco preventivo? Di recente gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante nel convincere India e Pakistan, sull'orlo della guerra, a rinunciarvi. E' cosi' difficile seguire il proprio consiglio? Chi e' colpevole di moralizzazione inetta? O di predicare la pace mentre fa la guerra? Gli Stati Uniti, che George Bush ha definito "la piu' pacifica nazione della terra", sono stati in guerra con un paese o un altro ogni anno negli ultimi cinquant'anni. * Le guerre non sono mai combattute per motivi di altruismo. Generalmente lo sono per egemonia, per ragioni economiche. E poi naturalmente c'e' l'industria della guerra. Proteggere il proprio controllo sul mondo del petrolio e' fondamentale per la politica estera degli Stati Uniti. Il recente intervento militare degli Stati Uniti nei Balcani e in Asia Centrale hanno a che vedere con il petrolio. Hamid Karzai, il presidente fantoccio dell'Afghanistan insediato dagli Stati Uniti, si dice fosse in precedenza impiegato alla Unocal, la locale compagnia petrolifera americana. Il pattugliamento paranoico del Medio Oriente da parte del governo degli Stati Uniti e' dovuto al fatto che esso possiede i due terzi di tutte le riserve petrolifere mondiali. Il petrolio fa ronzare dolcemente i motori d'America. Il petrolio fa girare il libero mercato. Chiunque controlli il mondo del petrolio, controlla il mercato mondiale. E come si controlla il petrolio? Nessuno lo dice in modo piu' elegante del giornalista del "New York Times", Thomas Friedman. In un articolo intitolato "la Follia Paga" dice, "gli Stati Uniti devono mettere bene in chiaro con l'Iraq e con gli alleati che l'America usera' la forza senza negoziazioni, esitazioni o approvazione da parte delle Nazioni Unite". Il suo consiglio e' stato subito messo in pratica. Con le guerre contro Iraq e Afghanistan e con le quasi quotidiane umiliazioni che il governo degli Stati Uniti riversa sulle Nazioni Unite. Nel suo libro sulla globalizzazione, "The Lexus and the Olive Tree", Friedman dice "la mano nascosta del mercato non potra' mai lavorare senza il pugno nascosto. McDonalds non puo' prosperare senza McDonnel Douglas... e il pugno nascosto che conserva il mondo affinche' le tecnologie di Silicon Valley prosperino, e' chiamato esercito degli Stati Uniti, Aeronautica Militare, Marina, e Corpi della Marina". Forse tutto questo e' stato scritto in un momento di debolezza, ma e' certamente la descrizione piu' succinta ed accurata del progetto di globalizzazione corporativa che io abbia mai letto. Dopo l'11 settembre 2001e la Guerra contro il Terrorismo, la mano ed il pugno nascosti si sono scoperti - e noi abbiamo ora una chiara visuale dell'altra arma dell'America - il Libero Mercato - che opprime il mondo in via di sviluppo, con un sorriso contratto e sinistro. La Missione Senza Fine e' la guerra perfetta per l'America, il perfetto veicolo per l'espansione senza fine dell'imperialismo americano. In Urdu, profitto si dice Fayda. Al Qaida significa La Parola, La Parola di Dio, la Legge. Cosi', in India alcuni di noi chiamano la guerra contro il terrorismo, Al Qaida contro Al Fayda - La Parola contro il Profitto. (Nessun intenzionale gioco di parole). * Per il momento sembra che Al Fayda conduca il gioco. Ma non si sa mai. Negli ultimi dieci anni di sfrenata globalizzazione, le entrate totali del mondo sono cresciute in media del 2,5% l'anno. Tuttavia il numero dei poveri del mondo e' cresciuto di 100 milioni. Dei cento massimi poteri economici, 51 sono corporazioni, non paesi. L'1% delle classi dirigenti del mondo totalizza le stesse entrate del 57% delle classi inferiori e questa disparita' sta crescendo. Ed ora, sotto la dilagante copertura della guerra contro il terrorismo, questo processo incalza. I colletti bianchi hanno una fretta inedita. Mentre le bombe piovono sulle nostre teste e i missili Cruise sfrecciano attraverso i cieli, mentre le armi nucleari vengono ammassate per fare del mondo un luogo piu' sicuro, si firmano contratti, si registrano brevetti, si installano oleodotti, si saccheggiano le risorse naturali, si privatizza l'acqua e si minano le democrazie. In un paese come l'India, il fine dell'"adattamento strutturale" della globalizzazione e' di attraversare velocemente la vita della gente. Progetti di "sviluppo", privatizzazioni massicce e "riforme" del lavoro, stanno spingendo la gente fuori dalla sua terra e dal suo lavoro, determinando una specie di barbara espropriazione che ha ben pochi esempi nella storia. A livello mondiale, mentre il libero mercato protegge spudoratamente i mercati occidentali e spinge i paesi in via di sviluppo ad eliminare le loro regole commerciali, i poveri diventano piu' poveri ed i ricchi piu ricchi. Il fermento civile ha cominciato a ribollire nel villaggio globale. In paesi come Argentina, Brasile, Messico, Bolivia e India, i movimenti di resistenza contro la globalizzazione stanno crescendo. Per arginarli, i governi stanno intensificando il loro controllo. Chi protesta e' marchiato come "terrorista" e come tale viene trattato. Ma il fermento civile non significa solo marce e dimostrazioni e proteste contro la globalizzazione. Sfortunatamente significa anche una disperata spirale verso il basso di crimine e caos e di tutti i tipi di disperazione e disillusione che, come la storia ci insegna (e da quello che vediamo svolgersi davanti ai nostri occhi), diventa gradatamente terreno fertile per cose terribili - nazionalismo culturale, bigottismo religioso, fascismo e, naturalmente, terrorismo. Tutto questo marcia sotto braccio alla globalizzazione. Vi e' una opinione che sta guadagnando credibilita' e cioe' che il libero mercato abbatte le barriere nazionali, e che la destinazione finale della globalizzazione e' un paradiso hippy dove il cuore e' l'unico passaporto e tutti noi viviamo felicemente insieme, in una canzone di John Lennon ("Imagine there is no country..."). Ma questa e' una menzogna. Cio' che il libero mercato indebolisce non e' la sovranita' nazionale, bensi' la democrazia. Quando aumenta la disparita' tra ricchi e poveri, ecco dove entra in campo il pugno nascosto. Le corporazioni multinazionali alla ricerca di "affari facili" che fruttano enormi profitti non possono portare a termine quegli affari ed amministrare quei progetti nei paesi in via di sviluppo senza l'attiva connivenza della macchina dello stato - polizia, tribunali, a volte perfino l'esercito. Oggi, nei paesi piu' poveri, la globalizzazione necessita di una confederazione internazionale di governi che siano leali, corrotti, preferibilmente dittatoriali, per introdurre riforme impopolari e reprimere le ribellioni. Serve una stampa che finga di essere libera. Servono tribunali che fingano di dispensare giustizia. Servono ordigni nucleari, eserciti permanenti, leggi piu' severe sull'immigrazione e attenti ricognitori costieri che assicurino che saranno globalizzati solo denaro, beni di consumo, brevetti e servizi - non libero movimento di popoli, non rispetto per i diritti umani, non trattati internazionali sulle discriminazioni razziali o sugli ordigni chimici e nucleari, o sulle emissioni di gas nell'atmosfera, sui cambiamenti di clima, o sulla giustizia. Come se perfino un gesto verso la responsabilita' internazionale potesse far naufragare l'intera impresa. * A quasi un anno di distanza da quando la guerra contro il terrorismo fu ufficialmente sbandierata sulle rovine dell'Afghanistan, in un paese dopo l'altro le liberta' vengono limitate in nome di una liberta' da proteggere, le liberta' civili vengono sospese in nome di una democrazia da salvaguardare. Qualsiasi tipo di dissenso viene definito "terrorismo". Qualsiasi legge viene approvata per occuparsi di questo. Sembra che Osama Bin Laden si sia dissolto nell'aria. Il Mullah Omar pare sia riuscito a fuggire in motocicletta. (avrebbero potuto farlo inseguire da Tin Tin). I Talebani possono essere spariti ma il loro spirito ed il loro sistema di giustizia sommaria sta affiorando nei posti piu' diversi. In India, in Pakistan, in Nigeria, in America, in tutte le repubbliche centro-asiatiche rette da ogni sorta di tiranni, e naturalmente in Afghanistan sotto l'Alleanza del Nord appoggiata dagli Stati Uniti. * Nel frattempo, giu' nel centro commerciale c'e' una svendita di mezza stagione. Tutto e' scontato - oceani, fiumi, petrolio, corredi genetici, calabroni, fiori, infanzie, industrie dell'alluminio, compagnie telefoniche, buonsenso, lande sconfinate, diritti civili, eco-sistemi, aria - tutti i 4,600 milioni di anni di evoluzione. Viene tutto incartato, sigillato, etichettato, prezzato ed e' la', a disposizione sullo scaffale (non si accettano rese). Riguardo alla giustizia - mi dicono che anch'essa e' in offerta. Potete procurarvi la migliore che il denaro possa comprare. Donald Rumsfeld ha detto che il suo incarico nella guerra al terrorismo era di convincere il mondo che gli americani devono potere continuare ad avere il loro stile di vita. Quando il re impazzito pesta i piedi, tremano gli schiavi nei loro alloggiamenti. Cosi', essendo io qui oggi, mi e' difficile dirlo, ma "lo stile di vita americano" e' semplicemente non sostenibile. Perche' non riconosce che c'e' un mondo oltre l'America. * Fortunatamente anche il potere ha una data di scadenza. Quando verra' il momento, e' probabile che questo potente impero, come altri in precedenza, fallira' ed implodera'. Sembra che siano gia' comparse delle crepe strutturali. Mentre la Guerra contro il Terrorismo continua a gettare la sua rete sempre piu' ampia, il cuore corporativo d'America sta dissanguandosi. Con tutte le infinite, vuote chiacchiere sulla democrazia, oggi il mondo e' retto da tre delle istituzioni mondiali piu' reticenti. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, e l'Organizzazione Mondiale del Commercio, e tutte e tre sono, a loro volta, dominate dagli Stati Uniti. Le loro decisioni vengono prese in segreto. Le persone che le dirigono vengono scelte dietro porte chiuse. Non si sa nulla di loro, della loro politica, delle cose in cui credono, delle loro intenzioni. Nessuno li ha eletti. Nessuno li ha autorizzati a prendere decisioni per nostro conto. Un mondo diretto da una manciata di banchieri avidi e amministratori delegati che nessuno ha eletto, non puo' durare. Il comunismo sovietico e' fallito, non perche' fosse intrinsecamente cattivo, ma perche' era difettoso. Permetteva a troppo poca gente di usurpare troppo potere. Il capitalismo di mercato del XXI secolo, lo stile di vita americano falliranno per le stesse ragioni. Sono ambedue costruzioni edificate dall'intelligenza umana, distrutte dalla natura umana. E' giunto il momento, disse il Tricheco di Alice. Forse le cose peggioreranno e poi miglioreranno. Forse c'e' una piccola divinita' in cielo che si sta preparando per noi. Un altro mondo e' non solo possibile, lei sta venendo. Forse molti di noi non saranno qui ad accoglierla, ma in un giorno tranquillo, se ascoltera' con molta attenzione, potra' sentirla respirare. Grazie. Desidero solo dire che ero cosi' spaventata all'idea di venire in America, perche', quando si leggono i giornali e quando si guarda quello che si puo' vedere in televisione, che e' "Fox News", sapete, in India, questi mezzi di comunicazione vi fanno credere che in America tutti sono cloni di George Bush. Sono cosi' contenta di essere venuta, perche' vedere voi qui e non ricevere pomodori in faccia riconferma la mia fede nell'umanita'. 5. APPELLI. LUISA MORGANTINI: PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI [Questo articolo abbiamo tratto dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2002. Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo per i rapporti con il Consiglio Legislativo Palestinese, e' da sempre impegnata per la pace e la nonviolenza] Nella riunione del Consiglio di Associazione Unione Europea-Israele di mercoledi' a Lussemburgo, inutilmente e' continuato il contenzioso sui prodotti marchiati "made in Israel" ma di fatto provenienti dagli insediamenti illegali israeliani della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan. Ancora una volta, la delegazione israeliana, guidata dal ministro degli esteri Shimon Peres, non ha presentato, come ci si aspettava, alcuna proposta per dimostrare la propria volonta' di rispettare gli accordi firmati con l'Ue. Pur ritenendo positivo l'accordo per una riunione tecnica su questo tema da tenersi "immediatamente", come affermato da Gunnard Wiegrand, portavoce del commissario europeo per gli affari esteri Chris Patten, adesso vanno applicati con rigore i principi dell'Accordo di Associazione Ue-Israele e del diritto internazionale. E non solo nel caso delle rules of origin, riguardanti la provenienza dei prodotti esportati da Israele, ma soprattutto dell'articolo 2 dell'Accordo di Associazione, riguardante il rispetto dei diritti umani. Israele dovrebbe astenersi da pratiche non riguardanti in alcun modo la propria sicurezza e porre fine ai coprifuoco imposti alle citta' palestinesi, agli omicidi extragiudiziali, alla deportazione di familiari nonche' alle punizioni collettive quali la demolizione di case e la distruzione di uliveti con in piu' l'impedimento militare in questi giorni della raccolta delle olive. In un contesto in cui non si esige il rispetto delle Risoluzioni dell'Onu, e' importante che l'Ue dia un segnale di credibilita' e legalita' internazionale. Il messaggio politico che deriverebbe dalla non applicazione di agevolazioni doganali ai beni prodotti negli insediamenti - benche' riguardanti solo il 2% del totale annuo delle esportazioni israeliane verso l'Ue - sarebbe notevole. Dopo 35 anni l'occupazione non solo non ha visto termine, ma la proliferazione di insediamenti e' stata inarrestabile, rendendo vano ogni tentativo di segnare confini o creare contiguita' territoriali che potessero aprire la strada ad una soluzione pacifica. Ora l'Unione europea, che si dice "impaziente" per la soluzione del contenzioso sui prodotti degli insediamenti israeliani - bloccato da 7 anni - dovrebbe dare avvio a mezzi di pressione piu' incisivi, arrivando alla sospensione dell'Accordo di Associazione. Una misura necessaria per il rispetto della legalita' nei rapporti tra Ue e Israele. Il Parlamento europeo invece ha chiara finora solo la schizofrenia del ministro Peres che da un lato dice di voler arrivare ai due Stati, palestinese ed israeliano, entro il 2005, e dall'altro avalla la politica del governo israeliano, che continua ad espropriare terre per creare nuovi insediamenti e viola i diritti umani facendo sempre piu' vittime tra i civili. 6. RILETTURE. GUENTHER ANDERS: ESSERE O NON ESSERE Guenther Anders, Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961, pp. XVIII + 210. Una lettura indispensabile. 7. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano 1967, 1996, pp. LIV + 712, lire 36.000. Una lettura indispensabile. 8. RILETTURE. DIETRICH BONHOEFFER: RESISTENZA E RESA Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, pp. 582, lire 28.000. Una lettura indispensabile. 9. RILETTURE. MOHANDAS GANDHI: TEORIA E PRATICA DELLA NONVIOLENZA Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, pp. CLXXVI + 410, lire 22.000. Una lettura indispensabile. 10. RILETTURE. PRIMO LEVI: I SOMMERSI E I SALVATI Primo Levi, I sommersi e i salvati, Enaudi, Torino 1986, 1991, pp. 192, lire 11.000. Una lettura indispensabile. 11. RILETTURE. NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA' Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995, pp. 606, lire 45.000 (ma vi e' una successiva edizione economica). Una lettura indispensabile. 12. RILETTURE. SIMONE WEIL: LA GRECIA E LE INTUIZIONI PRECRISTIANE Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974, pp. 308. Una lettura indispensabile. 13. RILETTURE. VIRGINIA WOOLF: LE TRE GHINEE Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli, Milano 1979, 1987, pp. 256 (ma vi sono anche altre edizioni). Una lettura indispensabile. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 398 del 28 ottobre 2002
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