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LA STORIA DI STEFANO INGALA RACCONTATA DA LUI MEDESIMO
- Subject: LA STORIA DI STEFANO INGALA RACCONTATA DA LUI MEDESIMO
- From: "s.ingala at libero.it" <s.ingala at libero.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sun, 27 Oct 2002 21:18:25 +0100
LA STORIA DI STEFANO INGALA RACCONTATA DA LUI MEDESIMO Stefano Ingala Stefano Ingala è stato avvelenato nella comunità San Domenico quando era studente fuorisede a Bologna. Non è morto, ma ha subito irreversibili lesioni cardiache. Per i frati domenicani si è trattato «solo di una goliardata». Lui, testardo ha continuato ad indagare da solo, arrivando quasi a scoprire la verità Stefano Ingala è un uomo grande e grosso e dal sorriso gentile. Rifondarolo militante e di animo trotzkista, insegna giardinaggio nel carcere di Biella. Da diversi anni è protagonista di un incredibile caso giudiziario e di una causa civile che ha intentato, chiedendo un risarcimento milionario, a una congregazione religiosa. Una di quelle potenti e ammanicate, tanto per intendersi. La sua vicenda, nonostante abbia trovato spazio su la Repubblica e al Costanzo Show, grazie al giornalismo di inchiesta di Gabriele Romagnoli, continua a rimanere estranea all'interesse dell'opinione pubblica. Un vero peccato. Stefano conduce una battaglia per la giustizia e la verità che meriterebbe maggiore attenzione. E appoggio. In fondo la sua è una battaglia politica contro lo strapotere del clero. Ingala è uno abituato a lottare e cerca di far conoscere la sua vicenda con discrezione forse eccessiva, tra l'insegnamento e le iniziative politiche. E le condizioni di salute. E' invalido al 75% e percepisce una pensione di poco più di 200 euro, utile solo ad arrotondare il salario basso e precario del lavoro in carcere. Nel suo petto batte il cuore di un'altra persona. Apparteneva a una donna sarda. Glielo hanno trapiantato il 17 gennaio 1996. La storia ha inizio nel 1988. Stefano ha 19 anni e si trasferisce dalla Sicilia a Bologna per seguire il corso di laurea in scienza della produzione animale della facoltà di Agraria. Ha difficoltà a trovare alloggio. Grazie a una zia Orsolina riesce a entrare nella comunità San Domenico. La retta è cara per un posto letto, in una camera tripla e l'uso della cucina in comune con altri trenta ragazzi, ma Bologna pullula di studenti fuori sede e trovare un buco non è affatto facile. La famiglia con grandi sacrifici riesce a pagare l'intera cifra in anticipo, come preteso dal frate domenicano Ottorino Benetollo, in religione padre Vincenzo. Stefano, figlio di un operaio emigrato in Germania, aveva chiesto inutilmente una dilazione del pagamento. Inizia a frequentare. Quando non è all'università studia nella biblioteca della comunità. La sera cucina quanto ha acquistato al supermercato. Tutta la strumentazione della cucina è in comune e i ragazzi vi trascorrono la serata, chiacchierando e guardando la televisione. Nel mese di dicembre in prossimità delle vacanze di Natale, lo studente statunitense Paul Ludwig inizia ad accusare strani malori: gonfiore ai piedi, dolori muscolari, perdita dei capelli, vomito e nausea. Visitato da diversi medici che non riescono a formulare una diagnosi certa, Ludwig decide di ritornare negli Stati uniti per farsi curare. Al rientro delle feste, altri tre ragazzi, tra cui Stefano Ingala, accusano gli stessi sintomi. Ricoverati in differenti strutture ospedaliere, i giovani continuano a peggiorare fino a quando dall'America arriva un fax urgente che avvisa che allo studente Ludwig era stato diagnosticato un grave stato di intossicazione da veleno, il tallio, ingerito a varie riprese presso la comunità San Domenico. Le analisi sui tre ospiti ricoverati in Italia danno esito positivo e quelle effettuate su altri sei dimostrano che avevano iniziato ad ingerire il veleno. Il pronto intervento del Centro Antiveleni dell'ospedale Niguarda di Milano scongiura ogni possibile evento mortale e, nel giro di due mesi, i pazienti vengono completamente disintossicati. A livello differente però i ragazzi riportano gravi danni alla loro salute. A Stefano Ingala vengono diagnosticate irreparabili lesioni cardiache. Padre Benetollo liquida la vicenda come «una goliardata di pessimo gusto», non informa la polizia e impedisce l'ingresso ai tecnici dell'Usl 27 che si erano recati per accertare le cause dell'avvelenamento. Solo dopo due giorni arrivano i carabinieri del Nas che individuano consistenti tracce di tallio nello yogurt, latte, biscotti, sale, pasta e altri alimenti conservati nella cucina della comunità. Addirittura in una confezione di lecitina di soia conservata nell'armadietto di un ospite. Non vi sono più dubbi. Qualcuno, volontariamente e premeditatamente aveva tentato di assassinare una decina di ospiti della comunità. Un serial killer fallito che per mesi aveva disseminato piccole dosi di veleno nel cibo. Fallito ma organizzato, come dicono i criminologi quando delineano la figura di un omicida seriale che vuole farla franca. Se lo studente americano non fosse stato sottoposto ad analisi specifiche, i ragazzi sarebbero morti nel tempo per «cause naturali». La magistratura indaga. Tentato omicidio plurimo. Il colpevole però non viene scoperto. La comunità viene chiusa e la legge archivia il caso l'anno seguente e ordina la distruzione dei reperti. Nel 1991 le condizioni di Stefano si aggravano. Improvvisi e violenti attacchi di tachicardia ventricolare lo costringono a continui ricoveri in strutture specializzate. Ma ogni volta è più difficile salvarlo. Lui si attacca con i denti alla vita e sostiene tre esami in ospedale. Riuscirà a laurearsi nel `97 dopo l'operazione e anni di sofferenze. La famiglia è dissanguata economicamente e la causa segue l'iter normale e infinito dei tribunali civili. Nel frattempo l'avvocato di Ingala incarica un penalista per chiedere la riapertura dell'inchiesta sul tentato omicidio senza risultati apprezzabili. Stefano tenta di ricostruirsi un'esistenza. E' forte, tenace ma nella battaglia giudiziaria assolutamente solo. Gli altri ragazzi avvelenati dal tallio non ne vogliono più sapere. Un altro mistero di questa intricata vicenda. Lui, invece, decide di uscire allo scoperto, indice conferenze stampa e ottiene l'aiuto di qualche parlamentare. Ma nulla è in grado di scuotere lo stato comatoso del processo. Nel luglio del 2001 il colpo di scena. A Bologna un uomo, con un passato di ricoveri psichiatrici e giudicato socialmente pericoloso, fa saltare in aria col gas l'appartamento della madre. Quel giorno, Stefano si trova in città per i periodici controlli medici. Il nome del tizio non gli è affatto nuovo. Era ospite della comunità San Domenico nel periodo degli avvelenamenti. Si viene a sapere che era stato accettato nonostante non fosse uno studente mentre lo statuto era molto fiscale in questo senso. Le indagini condotte da Ingala e dai suoi avvocati puntano il dito contro questa persona. Sono convinti che sia responsabile della contaminazione di cibi e bevande con il tallio. Il silenzio di padre Benetollo e dei domenicani continua. La vicenda è veramente incredibile eppure fatica a trovare uno sbocco giudiziario. La responsabilità della comunità è evidente e il tempo trascorso per la causa è scandaloso. Stefano Ingala ha diritto a un risarcimento che oltre a riparare il danno subito gli garantisca un futuro dignitoso e tutte le cure mediche di cui ha continuamente bisogno. In questo paese ottenere giustizia in campo civile è già un'impresa epica ma quando si hanno di fronte avversari così potenti tutto diventa più difficile. Quasi impossibile. In questo mese di ottobre si terrà l'ennesima udienza. Stefano l'attende con impazienza anche se è consapevole che si tratterà solo di un round. Uno dei tanti. Ma lui, rifondarolo trotzkista, è tosto. Tra una telefonata all'avvocato e una capatina dal cardiologo prepara un'iniziativa di 4 giorni sull'Argentina. Quella dei desaparecidos e dei piqueteros. Perché la sua incredibile vicenda non gli farà mai dimenticare che un altro mondo è possibile.
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