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La nonviolenza e' in cammino. 397
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 397
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 Oct 2002 00:27:07 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 397 del 27 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: a Erasmo da Rotterdam, nell'anniversario della nascita 2. Enrico Peyretti, una sintesi schematica del Dulce bellum inexpertis (1515) di Erasmo da Rotterdam 3. Peppe Sini, una postilla biobibliografica su Erasmo da Rotterdam 4. Luisa Morgantini, una lettera al Ministro degli Esteri 5. Patricia Lombroso intervista Carmen Trotta 6. Giovanna Providenti, l'America di oggi nelle parole di Jane Addams, Nobel per la Pace 1931 7. Riccardo Orioles ricorda Giuseppe Gnasso 8. Riletture: Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia 9. Riletture: Oscar Cullmann, Vero e falso ecumenismo 10. Riletture: Ezio Marcolungo, Mirella Karpati, Chi sono gli zingari? 11. Riletture: Teresa Noce, Vivere in piedi 12. Riletture: Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio, Discutendo si impara 13. Riletture: Jon Sobrino e i compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti salvadoregni 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: A ERASMO DA ROTTERDAM, NELL'ANNIVERSARIO DELLA NASCITA [Questa mattina presso il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo si terra' una commemorazione di Erasmo da Rotterdam nell'anniversario della nascita (nacque nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1466 o 1469). Nel corso dell'iniziativa verranno letti alcuni passi dalle opere del grande umanista e pacifista. Per l'occasione uno dei collaboratori del Centro, Benito D'Ippolito, ha composto il sonetto che di seguito si riporta, nel suo solito stile e lessico trecentista che capisce solo lui] Nel secolo che uccidere era il primo mestiere, un uomo sorse, fiero e fermo a dire no alla guerra, e in tanto limo di concave retoriche, il suo sermo fu chiaro e saldo: no alla guerra, fimo dei vizi tutti e divorator vermo, fomento a tutti i vizi e manto opimo sol di carnefici e ai malvagi schermo. Ah, Desiderio Erasmo, la parola che fu piu' tua, il motto no alla guerra ancora e' nostra, ancora in alto vola chiama a raccolta ovunque sulla terra chi no alla guerra dice, e fa che fola la pace non sia piu', ma man che afferra. 2. TESTI. ENRICO PEYRETTI: UNA SINTESI SCHEMATICA DEL DULCE BELLUM INEXPERTIS (1515) DI ERASMO DA ROTTERDAM [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questo schema ad uso didattico - da lui steso per i suoi allievi - dell'Adagio 3001 di Erasmo, Dolce e' la guerra a chi non l'ha provata, seguendo come testo di riferimento la traduzione italiana nel volume curato da Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988, alle pp. 57-97] 1. L'inganno dell'inesperienza. 2. Cio' e' specialmente vero per la guerra, oggi trionfante al punto di capovolgere il giudizio su di essa, che e' cattiva e dannosa. Problema: da dove viene la guerra? Necessaria indagine filosofica. 3. L'immagine dell'uomo e quella della guerra: a) l'immagine dell'uomo: il corpo; linguaggio e ragione; immagine di Dio; b) l'immagine della guerra: aspetto orribile; effetti piu' gravi; guai minori, ma sempre terribili; conseguenze consuete; rovina morale; la guerra genera guerra. 4. Natura della guerra: opera della peggiore Furia; origine della parola; peggio che bestiale (confronto uomo-animali); la Natura stupita. 5. Problema dell'origine della guerra: uccidere le fiere per difesa; idem senza necessita'; mangiare le belve (esempi di assurdita' consuete); mangiare animali innocui e sevizie sugli animali; uccidere le bestie insegna ad uccidere l'uomo: a) duello; b) tirannicidio da' gloria; c) guerra (cresce la furia; sviluppo delle armi; guerra=gloria; limitazioni alla guerra; guerra senza limiti, a scopo di lucro, peggio della gloria). Sommario: dalla caccia alla guerra; i potenti ottusi e disumani non vogliono capire. 6. Critica del bellicismo cristiano. Punto presente della storia della guerra: uomo contro uomo, cristiano contro cristiano. Nessuno condanna. C'e' chi applaude e santifica, chi benedice e fa della guerra un sacramento. Falsificazione dei profeti, della preghiera, della croce. Antitesi fra guerra e regno di Dio. Giulio II istigatore. Obiezione dei mercenari. Rinvio della risposta al paragrafo 12. 7. Confronto morale guerra-pace (dopo il confronto uomo-guerra, paragrafi 3-6). Due argomenti (morale e utilitario) indipendenti e convergenti: a) la guerra e' colpa, e' male morale (qui, par. 7); b) la guerra e' danno per tutti, e' male fisico (par. 8, e gia' alla fine del 7; par.14). Confronto tra gli effetti della pace e quelli della guerra; il danno morale della guerra e' piu' grave di quello fisico (cfr. Primo Mazzolari, Tu non uccidere, ed. 1965, p. 19); elenco dei mali naturali, confronto col male voluto; la pace e' benefica per tutti, la guerra per pochi, a danno di altri; inutilita' della vittoria. 8. La guerra e' un danno per chi la fa, senza vantaggio certo; affliggere se stessi per poter affliggere gli altri; non convenienza economica, irreparabilita' del danno. 9. Incompatibilita' fra l'essere cristiano e far guerra: peggio che fratricidio; niente e' piu' lontano dall'amore; Salomone e Cristo (motivo ripetuto in Erasmo); beatitudini; insegnamento degli apostoli; armonia nel corpo e nell'universo; l'uomo (e il cristiano) che fa guerra e' al di sotto degli animali. 10. Storia e analisi della corruzione del cristianesimo fino a renderlo guerriero: a) cultura: dialettica; retorica; disputa; Aristotele sopra Cristo; il diritto romano sopra il vangelo; la cultura pagana sopra le Sacre Scritture. Tensione tra Cristo e filosofia (ragione); b) onori e ricchezze: per i poveri; per noi; onore al ricco; c) potere: titolo; potere temporale; tirannide. 11. Guerre dei cristiani peggiori di quelle dei pagani antichi: nuove armi; noi pseudocristiani; Romani ponevano limiti alla guerra: uccidere solo per necessita'; oggi onorato l'uccidere con inganno e ferocia per lucro; contro i mercenari; monarchi cristiani peggiori dei monarchi gentili. 12. Contro le giustificazioni religiose della guerra. Il vangelo proibisce la guerra. Prima obiezione: argomento biblico per la guerra. Risposta: a) guerra dei cristiani meno giustificabili di quelle degli ebrei; b) perche' non imitiamo altre usanze degli ebrei? c)l'unica guerra lecita ai cristiani e' la guerra morale ai vizi. Solo questa guerra genera la vera pace. Cristo, vietando la spada a Pietro, proibisce quella guerra che prima sembrava lecita. Seconda obiezione: eppure Pietro uso' la spada. Risposta: a) non era ancora cristiano; b) non per se' ma per la vita del Maestro; c) imitarlo anche nel rinnegare? d) Cristo non approva la difesa armata. Altre obiezioni: a) guerra come mestiere; b) ogni guerra e' giusta se dichiarata dal principe; c) sacerdoti e monaci non possono combattere ma possono dirigere una guerra; d) la propria causa appare a tutti giusta, dunque e' lecito combattere; e) Cristo vieto' la difesa finche' c'era lui, dopo la sua dipartita e' lecita la difesa armata; f) cosi' le sue esortazioni all'amore dei nemici; g) insegnamenti simili degli apostoli sono consigli e non precetti. Risposta: con questi argomenti speciosi si capovolge Cristo in "banditore di guerre" e "consigliere dell'accumulo dei beni" e si da' avallo religioso alla cupidigia dei principi. Cristo indica il fine dello sforzo morale, non da' le misure del permesso e del vietato (cfr. i lavori di teologia morale di Bernhard Haering). Oggi capovolgimento: sospetto di eresia chi esorta a fuggire la guerra, campione di ortodossia chi snerva il vangelo e offre ai cupidi principi argomenti concessivi. "Un dottore davvero cristiano non approva mai la guerra; e se, forse, in qualche momento la ammette, lo fa suo malgrado e con dolore". 13. Obiezioni a favore del diritto di guerra, e repliche. a) e' diritto di natura. Risposta: ma il vangelo va oltre. b) il vangelo e' per alcuni. Risposta: no, e' per tutti quelli che sperano in Cristo. Chi si ride di lui combatte per il denaro e il potere, ma questa e' morte piu' che vita. c) casi di papi e padri della chiesa a favore della guerra. Risposta: e' tradizione non univoca; e comunque, perche' seguire esempi equivoci, divergenti dalla parola chiara di Cristo? d) guerra come procedura giudiziaria. Risposta: in giudizio c'e' il primato della legge; la guerra e' giudizio in causa propria; in guerra la pena va sugli innocenti; i vantaggi della guerra sono per i briganti; in tribunale si punisce uno per il bene di tutti, in guerra sono puniti tutti, benche' innocenti. Conclusione: meglio pochi colpevoli impuniti che condannare, con loro, tutti gli innocenti. e) e' diritto dei principi. Risposta: tutti avrebbero qualche diritto; il governo e' amministrazione, non possesso; il diritto dei principi viene dal popolo, che puo' toglierlo; e' diritto che i principi rivendicano per se', non per la giustizia. 14. In ogni caso, la guerra non conviene. Meglio una pace ingiusta che una guerra giusta (questo paragrafo prosegue il n. 13, discutendo ancora l'argomento del diritto dei principi, sotto l'aspetto della saggezza pratica. Alla fine si aggiunge un sesto preteso fondamento del diritto di guerra, quello religioso, cui sara' dedicata la prima parte del par. 15). Anche ammesso il diritto di guerra, esaminarne la convenienza (argomento utilitario, vedi par. 7). Esempio tratto dagli interessi privati: vittoria inutile. Affermazione di principio di morale utilitaria: "Meglio una pace ingiusta di una guerra giusta" (cfr. Querela pacis, p.122 nel medesimo volume sopra citato). Spesa superiore al guadagno. Il possesso attuale di un principe e' migliore di una rivendicazione cruenta, sempre precaria. Alternativa alla guerra: l'arbitrato (vedi Lettera ad Antonio di Bergen alla p. 35 dell'introduzione di Garin; vedi Mesnard, ivi alle pp. 47-48). f) diritto di guerra in difesa della chiesa: prima risposta sintetica (antitesi tra chiesa e guerra); sviluppo della risposta nel paragrafo seguente. 15. Contro la crociata e contro le guerre in genere: a) contro la crociata: contraddizione tra crociata e cristianesimo (tra crociata e croce). Obiezione: occhio per occhio. Risposta evangelica: il cristiano violento e' eretico, peggiore dei turchi; oggi monaci, papi, vescovi confidano nel potere umano, regnano a danno del popolo cristiano; turchi "quasi cristiani". Noi tutti cristiani rendiamo non credibile il vangelo, distruggiamo Asia e Africa mentre Cristo rispetta tutto, facciamo uso imperialista del vangelo. Cosi' siamo anche politicamente imprudenti (mondo cristiano assediato dai barbari). Dio non aiuta i violenti, anzi "vinceremo veramente allorquando saremo vinti". Una guerra vinta non evangelizza: meglio turchi o ebrei sinceri che cristiani ipocriti. Obiezione ripetuta: vim vi repellere licet, e' necessario. Risposta: perche' scateniamo violenza con le nostre discordie? La crociata peggiora i cristiani; sospetto fondato che la crociata serva ai tiranni civili ed ecclesiastici per spogliare i popoli cristiani. Ammette il problema di difenderci dai turchi, se sono loro ad assalirci, a condizione: che questa guerra sia fatta con animo e mezzi cristiani; non inimicizia (turchi "braccati come prede"), ma testimonianza di costumi cristiani; chiediamo loro consenso a un cristianesimo essenziale (tema dell'umanesimo cristiano e del pacifismo-ecumenismo rinascimentale. Erasmo qui rinvia al suo prossimo Antipolemos, perduto, vedi p. 27 dell'introduzione di Garin e p. 162). b) contro le guerre in genere (dei cristiani), che sono stolte o malvage; stupida educazione dei principi (vedi Panegyricus, citato alle pp. 24- 25 dell'introduzione di Garin); guerre fatte per tiranneggiare e depredare il popolo; coperture ideologiche; "Non ottengono mai proprio quello che vogliono": - gloria: falsa gloria; - orgoglio: "ti costringi a umiliarti all'ultima feccia dell'umanita'", "perche' e' con costoro che soprattutto si combattono le guerre"; - guadagno: calcolo errato, maggior danno per tutti. Ipotesi di guerra inevitabile: se si verifica: lasciarla fare ai violenti ("L'infame impresa sia fatta da infami"); limitare quanto piu' possibile lo spargimento di sangue. Per scongiurarla: se... (indica 9 condizioni di vita spirituale cristiana, che infine sintetizza in: innocenza, amore, pazienza)... allora la guerra sparirebbe. Altrimenti, eliminare Cristo come favola. Se invece e' verita', mostriamolo con azioni di pace, specialmente i pontefici, i principi, le citta'. Se si agita il popolo, i principi lo riconducano all'ordine; se sono i principi a turbare la pace, i pontefici ricompongano i disordini. Elogio di Leone X e confronto con Giulio II. Speranze. Conclusione brevissima in tono dimesso: "Ma questa digressione e' durata troppo, almeno per chi preferisce sentir parlare di proverbi [gli Adagia, di cui il Dulce bellum inexpertis fa parte, sono una raccolta di massime commentate] piuttosto che di pace e di guerra". 3. MEMORIA. PEPPE SINI: UNA POSTILLA BIOBIBLIOGRAFICA SU ERASMO DA ROTTERDAM [Riportiamo una notizia biobibliografica su Erasmo stesa dal responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo come postilla alla sua introduzione a una nuova edizione italiana della Querela Pacis, uno dei capolavori dell'umanista] * Una cronologia essenziale Nacque Erasmo tra il 1466 e il 1469 da genitori non uniti in matrimonio, fanciullo frequenta a Deventer una scuola dei Fratelli della Vita Comune; nel 1479 la peste uccide la madre, poi il padre; spinto dai tutori Erasmo entra nel convento di Steyn, presso Gouda, e abbraccia la vita religiosa. Negli anni di Steyn studia alacremente e si segnala come latinista. Nel 1492 e' ordinato prete. Nel 1492 lascia Steyn per entrare al servizio di Enrico di Berghes, vescovo di Cambrai. Nel 1495 ottiene di andare a studiar teologia a Parigi, l'anno dopo lascia il collegio Montaigu e si guadagna da vivere facendo il precettore. La sua sara' una vita di andirivieni per l'Europa, con prevalente residenza nell'area tra Lovanio, Basilea e Friburgo, ma con fondamentali protratti soggiorni in Inghilterra, ed un operoso viaggio in Italia. Nel 1499 compie il suo primo soggiorno in Inghilterra, e vi conosce Thomas More e John Colet. Nel 1500 a Parigi pubblica la prima edizione degli Adagia; nel 1501 pubblica il De Officiis di Cicerone ed inizia cosi' la sua fondamentale attivita' di editore di classici; nello stesso anno studia il greco. Nel 1502 muore Enrico di Berghes, Erasmo va a Lovanio. Nel 1503 pubblica l'Enchiridion militis christiani, nel 1504 il Panegyricus ad Philippum Austriae ducem (uno dei primi importanti testi pacifisti di Erasmo); nel 1505 edita le Annotazioni sul Nuovo Testamento di Lorenzo Valla, compie il suo secondo soggiorno in Inghilterra. Dal 1505 al 1509 e' in Italia: a Venezia presso Aldo Manuzio svolge un'attivita' editoriale cospicua. Lasciando l'Italia medita l'Elogio della follia, che pubblichera' nel 1511 dedicandola a Thomas More. Dal 1509 al 1514 e' perlopiu' in Inghiltera. Nel 1513 muore Giulio II, e viene pubblicato il libello Julius exclusus e coelis, violento attacco alla figura del papa-guerriero: un testo attribuito ad Erasmo, sebbene egli sempre abbia negato di esserne autore. Nel 1514 e' a Basilea ed inizia il sodalizio editoriale con lo stampatore ed amico Johann Froben. E presso Froben nel 1515 pubblica tra l'altro un'edizione di Seneca. Nel 1516 pubblica la prima edizione critica del Nuovo Testamento. Inizia anche a pubblicare raccolte del suo epistolario. Nel 1516 gli viene attribuita la carica onoraria di consigliere di Carlo d'Asburgo (il futuro imperatore Carlo V, che gia' nel corso dell'anno diverra' re di Spagna), e pubblica l'Institutio principis christiani. Sempre quest'anno pubblica la sua edizione dell'Opera omnia di Girolamo, e un'edizione della Grammatica institutio di Teodoro di Gaza. Pubblicazione dell'Utopia di Thomas More. Nel 1517 (che e' anche l'anno delle novantacinque Tesi di Lutero) pubblica la Querela Pacis, Carlo si trasferisce in Spagna ma Erasmo non lo segue. Dal 1517 al 1522 sara' prevalentemente a Lovanio. Nel 1518 pubblica tra l'altro l'Encomium matrimonii. Nel 1519 pubblica la seconda edizione del Nuovo Testamento, un'edizione di Cipriano, ed esce un'edizione delle Familiarum colloquiorum formules, che diverranno i Colloquia; Carlo viene eletto imperatore. Muore John Colet. Nel 1520 pubblica gli Antibarbari. E' l'anno della bolla papale Exurge Domine, che Lutero da' pubblicamente alle fiamme. Nel 1521 pubblica il De contemptu mundi. Nel 1522 si trasferisce da Lovanio a Basilea; viene pubblicata da Froben la prima edizione autorizzata dei Colloquia, la terza edizione del Nuovo Testamento, vari altri lavori (tra cui l'edizione di Arnobio). Nel 1523 alle edizioni e commenti di testi neotestamentari e patristici (Ilario) aggiunge anche le Tuscolane di Cicerone (e nel 1525 l'Historia Naturalis di Plinio il Vecchio). Declina l'invito di Francesco I a trasferirsi in Francia. Nel 1524 esce il Libero arbitrio cui Lutero replichera' col Servo arbitrio, al quale Erasmo rispondera' con l'Hyperaspistes nel '26. Sempre nel '26 pubblica l'Institutio matrimonii christiani e l'edizione di Ireneo. Nel 1527 la quarta edizione del Nuovo Testamento e l'edizione delle opere di Ambrogio. E' l'anno del sacco di Roma. Nel 1528 pubblica il Ciceronianus. Nel 1529 pubblica il De pueris statim ac liberaliter instituendis, e l'Opera omnia di Agostino. Dal 1529 al 1533 e' prevalentemente a Friburgo. Nel '30 cura l'edizione di Giovanni Crisostomo e pubblica la sua Consultatio de bello turcis inferendo. Nel '31 edizione di Aristotele, Livio, Gregorio Nazianzeno, e Paraphrasis in Elegantias L. Vallae. Nel '32 edizioni di Demostene e Terenzio. Nel '33 pubblica la De sarcienda Ecclesiae concordia. Nel 1534 la Preparazione alla morte. Nel 1535 a Basilea, quinta edizione del Nuovo Testamento. Decapitazione di Thomas More, imprigionato l'anno prima. Erasmo rifiuta l'offerta del cappello cardinalizio. Nel 1536 cura l'edizione di Origene. Muore a Basilea tra l'11 e il 12 luglio. * Una bibliografia orientativa I. Le opere di Erasmo L'opera omnia di Erasmo si legge ancora nell'edizione di Leida (Lugduni Batavorum) del 1703-1706 a cura di Jean Leclerc (Joannes Clericus), ristampata nel 1961 a Hildsheim. Dal 1969 e' in corso ad Amsterdam l'edizione critica, di cui sono gia' usciti vari volumi. Il monumentale e fondamentale epistolario di Erasmo e' stato edito da P. S. Allen e collaboratori e prosecutori ad Oxford tra il 1906 e il 1958. II. Alcune opere di Erasmo disponibili in italiano Per la Querela Pacis segnaliamo le edizioni curate da Luigi Firpo (Erasmo, Il lamento della pace, Utet, Torino 1967; poi Tea, Milano); da Franco Gaeta (Erasmo, Contro la guerra, Japadre, L'Aquila 1968, che reca anche il Dulce bellum inexpertis); da Eugenio Garin (nella sezione di testi erasmiani inclusa nella sua monografia Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1988, di cui diremo piu' avanti). Ovviamente quasi non c'e' casa editrice, grande o piccola, che non abbia pubblicato l'Elogio della follia, sovente arricchito da perspicue introduzioni e prefazioni di preclari studiosi. Dall'edizione a cura di Benedetto Croce per Laterza (Elogio della pazzia e Dialoghi, Laterza, Bari 1914), a quella a cura di Tommaso Fiore per Einaudi (Elogio della pazzia, Einaudi, Torino 1943), a quella a cura di Eugenio Garin (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Serra e Riva, Milano 1984, poi Mondadori, Milano 1992) ad innumerevoli altre: tra le recenti segnaliamo quella di Luca D'Ascia con un saggio di Bainton, per Rizzoli. Dei Colloquia dopo la traduzione parziale di Gian Piero Brega (Erasmo, I colloqui, Feltrinelli, Milano 1959, poi in edizione rivista 1967; e adesso Garzanti, Milano 2000) finalmente e' stata pubblicata una traduzione integrale con testo a fronte: Erasmo da Rotterdam, Colloquia, Einaudi, Torino 2002 (progetto editoriale e introduzione di Adriano Prosperi, traduzione, cura e apparati di Cecilia Asso). Degli Adagia segnaliamo la pregevole edizione di un piccolo ma prezioso saggio di essi a cura di Silvana Seidel Menchi: Erasmo, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, Einaudi, Torino 1980. Una segnalazione particolare vogliamo fare anche per L'Institutio principis christiani, nella traduzione italiana a cura di Margherita Isnardi Parente: Erasmo da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, Morano, Napoli 1977. Va letto anche almeno il Libero arbitrio nell'utile edizione a cura di Roberto Jouvenal: Erasmo, Il libero arbitrio (testo integrale); Lutero, Il servo arbitrio (passi scelti), Claudiana, Torino 1969, seconda edizione del 1973. Una nuova edizione del solo testo erasmiano (ma con una prefazione di Sergio Quinzio) e' nella traduzione di Italo Pin: Erasmo da Rotterdam, Sul libero arbitrio, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1989. Ovviamente vari altri testi di Erasmo sono disponibili in traduzione italiana. E' opportuno avvertire che sovente gli apparati critici e informativi che accompagnano le traduzioni italiane dei testi erasmiani sono assai approssimativi. III. Alcune opere su Erasmo Chiunque si accosti alla letteratura critica novecentesca su Erasmo non puo' non notare la presenza tra i suoi studiosi di un elevato numero di persone che hanno dato buona prova di se' nell'opporsi al fascismo: scorrendo i nomi dei traduttori, dei curatori, degli autori di studi e ricerche erasmiane trovi alcune delle figure piu' nitide ed alte dell'antifascismo e della Resistenza. Pensiamo che non avvenga per caso. Ed anche se in questa nota non citiamo che pochi autori di contributi maggiori, vorremmo qui idealmente ricordarli tutti, con ammirazione ed affetto. Tra le principali monografie disponibili in italiano che ricostruiscono vita, personalita', riflessione ed opera di Erasmo segnaliamo particolarmente le seguenti: Johan Huizinga, Erasmo, Einaudi, Torino 1941 (piu' volte ristampata); Roland H. Bainton, Erasmo della Cristianita', Sansoni, Firenze 1970; Pierre Mesnard, Erasmo, Accademia Sansoni, Milano 1971; Cornelis Augustijn, Erasmo da Rotterdam. La vita e l'opera, Morcelliana, Brescia 1989; Leon E. Halkin, Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989. Fondamentale e' anche Hugh R. Trevor-Roper, Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza, Bari 1969 e piu' volte ristampato; il primo saggio del volume è specifico su Erasmo, ma - scrive l'autore nella prefazione all'edizione italiana, e dice bene - "la figura e le idee di Erasmo dominano il libro. Se questi saggi, come spero, hanno una loro unita', mi sembra che il filo conduttore sia appunto la sconfitta delle prospettive aperte da Erasmo". Su Erasmo e la pace cfr. Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988 (che reca anche i seguenti testi erasmiani: il Dulce bellum inexpertis, dagli Adagia; la Querela Pacis; e tre testi dai Colloquia: la Confessio militis, Militis et Cartusiani, il Charon). Per una puntuale collocazione di Erasmo nella tradizione (ed alle radici) del pensiero pacifista moderno si veda anche l'eccellente antologia a cura di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983. Per la bibliografia cfr. (in francese) gli ottimi lavori specifici di Jean-Claude Margolin. Su Erasmo e l'erasmismo fondamentali sono gli studi di Augustin Renaudet, Marcel Bataillon, e per l'Italia Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia. 1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987. Su Erasmo e l'Italia cfr. anche i classici studi (che non ci risulta siano stati tradotti in italiano) di P. De Nolhac, Erasme en Italie. Etude sur un episode de la Renaissance, Paris 1888; ed Augustin Renaudet, Erasme et l'Italie, Geneve 1954, nuova ed. 1998. Vari studiosi italiani nel corso degli ultimi decenni hanno dedicato ad Erasmo studi talvolta perspicui, rinunciamo a darne qui un elenco rinviando alle bibliografie contenute nei volumi sopra segnalati. Degli autori gia' citati vorremmo ricordare altri libri a nostro parere utili a lumeggiare le premesse, il contesto o l'eredita' erasmiana: di Johan Huzinga cfr. anche L'autunno del Medioevo (Sansoni) e La civiltà olandese del Seicento (Einaudi); di Pierre Mesnard si veda anche almeno l'eccellente Il pensiero politico rinascimentale, 2 voll., Laterza, Bari 1963-1964; di Eugenio Garin e di Ernesto Balducci si dovrebbero ricordare qui innumerevoli opere, basti aver reso omaggio ai loro nomi di maestri. IV. Su Thomas More Ovviamente non si puo' parlare di Erasmo e tacere di Thomas More, l'amico fraterno, l'autore dell'Utopia, il testimone del primato della coscienza e della dignita' umana; su More si legga almeno introduttivamente il volume di Cosimo Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1993. V. Et coetera Sul XVI secolo un utile testo introduttivo e' quello di H. G. Koenigsberger e G. L. Mosse, L'Europa del Cinquecento, Laterza, Bari 1969 (ma noi abbiamo sotto gli occhi l'edizione del 1974); cfr. anche almeno Gerhard Ritter, La formazione dell'Europa moderna, 2 voll., Laterza, Bari 1964, 1968 (ma noi abbiamo letto l'edizione del 1976). Sulla figura di Carlo V resta ancora insostituibile come compendio biografico Karl Brandi, Carlo V, Einaudi, Torino, 1961, in nuova edizione del 2001. Sulla cultura del Rinascimento bastera' il rinvio alle molte eccellenti opere di Eugenio Garin; come e' noto hanno sviluppato negli ultimi decenni nuove prospettive, ed hanno lumeggiato aspetti prima sottovalutati, i lavori di Frances Amelia Yates. Sulle vicende della Riforma e della Controriforma (o della Riforma protestante e di quella cattolica, se si preferisce) per un avvio cfr. almeno J. Lortz ed E. Iserloh, Storia della Riforma, Il Mulino, Bologna 1974; Roland H. Bainton, La Riforma protestante, Einaudi 1958, 1974; Hubert Jedin, Riforma cattolica o Controriforma?, Morcelliana, Brescia, 1957, 1987. 4. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UNA LETTERA AL MINISTRO DEGLI ESTERI [Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea, e' fortemente impegnata nella solidarieta' con il popolo palestinese. Per aderire a questo appello, l'indirizzo di posta elettronica cui inviare il testo dopo averlo sottoscritto e': relazioni.pubblico at esteri.it (e' opportuno inviare copia per riscontro anche a Luisa)] Egregio Ministro, l'ulivo e' per i Palestinesi quello che e' il riso per i Vietnamiti. Anzi di piu', l'ulivo e' il simbolo di vita ed incarna l'attaccamento viscerale dei Palestinesi al suolo ancestrale. Le centinaia di migliaia di oliveti distrutti, le terre confiscate dall'esercito e dai coloni israeliani, l'estensione degli insediamenti delle nuove colonie, costituiscono, per i contadini palestinesi, una perdita di 10 milioni di dollari, a decorrere da settembre 2002. Lunedi', 21 ottobre, l'esercito israeliano ha lanciato un nuovo ordine militare che proibisce ai Palestinesi, in tutta la Cisgiordania, di raccogliere le loro olive, ed annuncia che l'esercito rinforzera' le truppe e gli interventi al fine di rafforzare lo spiegamento militare nelle citta' e nei villaggi palestinesi. E' chiaro che cio' significa che l'esercito israeliano da' licenza di uccidere le famiglie e i contadini palestinesi che raccoglieranno le loro olive, in un momento vitale, atteso tutto l'anno. Quest'ordine e' in manifesta contraddizione con la Quarta Convenzione di Ginevra, che obbliga la potenza occupante a proteggere le popolazioni civili dei territori sotto controllo. La minaccia e' concreta e non mette solo in pericolo le vite delle famiglie e dei contadini palestinesi, lasciandoli in balia dei coloni - che hanno moltiplicato nelle ultime settimane le aggressioni, gli incendi delle terre agricole, arrivando persino al furto dei raccolti - ma contribuisce ad aggravare la situazione gia' disastrosa dell'economia palestinese. Martedi' 22 ottobre, il ministero israeliano delle infrastrutture ha ordinato la proibizione della perforazione dei pozzi in Cisgiordania e il congelamento delle concessioni, ai contadini palestinesi, dei permessi alla perforazione. Questa situazione produce effetti disastrosi per l'agricoltura palestinese. Queste nuove violazioni del diritto e delle convenzioni internazionali sono contrarie alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1435, adottata il 24 settembre 2002, e avvengono proprio nel momento in cui gli Stati Uniti fanno pressione su Israele per l'alleggerimento delle sofferenze del popolo palestinese. Signor Ministro, nel corso di questi ultimi dodici mesi, oltre settecento cittadini italiani (tra cui parlamentari, consiglieri, registi, sindacalisti, rappresentanti delle ong e di associazioni) si sono recati in Palestina come osservatori civili. Molti sono stati arbitrariamente respinti dall'autorita' israeliana; quelli che sono potuti entrare hanno constatato e riferito le gravi e costanti violazioni dei diritti umani, gli arresti arbitrari, gli assassinii dei civili palestinesi, in particolare di donne e bambini, e le distruzioni sistematiche dei beni. Il governo di Sharon, l'esercito israeliano e la milizia dei coloni israeliani, nei territori palestinesi riconosciuti, agiscono in tutta impunita' poiche' beneficiano di una mancanza totale di sanzioni da parte degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza. Israele che ha firmato l'accordo d'associazione con l'Unione Europea, Stato aderente alle convenzioni di Ginevra, e' tenuto a rispettare i diritti umani ed anche a proteggere le popolazioni civili dei territori palestinesi occupati. Le rivolgiamo un urgente appello affinche' Lei prenda ufficialmente posizione, chiedendo, in nome dell'Italia, la sospensione dell'accordo d'associazione UE-Israele fintanto che questo Stato non mettera' fine all'occupazione del territorio palestinese riconosciuto. La sollecitiamo a prendere contatto, con l'urgenza richiesta dalla situazione, con il Governo svizzero, guardiano delle convenzioni di Ginevra, affinche' si riuniscano, a breve termine, le altre parti contraenti firmatarie delle convenzioni di Ginevra. Le chiediamo, inoltre, che l'Italia si faccia promotrice, il piu' presto possibile, di un'iniziativa congiunta con altri paesi europei per l'invio di una forza d'interposizione che assicuri la protezione delle popolazioni civili. Certi di una Sua risposta, Le porgiamo distinti saluti. 5. DOCUMENTAZIONE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA CARMEN TROTTA [Questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2002. Patricia Lombroso e' corrispondente del giornale da New York] "Nelle prossime settimane sono previste, in 28 citta' americane, da Los Angeles a Washington, da Chicago a Kansas city ad Anchorage, in Alaska, oltre 450 manifestazioni contro la guerra in Iraq. Se il 6 ottobre scorso a New York sono scese in piazza 40 mila persone, la marcia di oggi a Washington, promossa dalla coalizione pacifista Answer (Act now to stop the war and racism) sara' imponente come ai tempi del Vietnam". Carmen Trotta dirige l'organizzazione pacifista War resisters league (attiva fin dal 1929), ed e' una dei 14 pacifisti arrestati dalla polizia, e trattenuti in carcere per oltre sei ore, durante le manifestazioni del 7 ottobre (anniversario della guerra in Afghanistan) a Central Park, New York. - P. L.: Un'opposizione cosi' massiccia alla guerra non si era vista nei precedenti conflitti, da quello nel Golfo al Kosovo, all'Afghanistan. - C. T.: Nessuno oggi in America, tra la popolazione civile, vuole una nuova guerra. Esiste un movimento contrario alla guerra all'Iraq che sta crescendo, ma che ha cominciato a muovere i primi passi a partire dalla guerra contro l'Afghanistan. - P. L.: Quali sono le diversita' di atteggiamento, nella popolazione, rispetto al precedente conflitto? - C. T.: Molti, dopo l'11 settembre, pensavano che l'attacco in Afghanistan fosse giustificato. Questa volta e' diverso: Bush non riesce ad ottenere il consenso neppure della maggioranza della popolazione. Quella minoranza che ancora aderisce all'idea della guerra e' motivata dal fatto che sono pochissimi i soldati americani morti durante la prima guerra del Golfo. Ciononostante, una gran fetta di popolazione, anche se ancora limitata, e' stata spinta a esprimersi apertamente nelle strade dalle argomentazioni di Bush. Anche molte persone totalmente apolitiche sono scese in piazza, solo perche' contrarie alle giustificazioni addotte dall'amministrazione Bush. L'opinione pubblica ritiene che l'Iraq di Saddam Hussein non abbia nessun collegamento con gli eventi dell'11 settembre ed e' convinta che molti innocenti soffriranno per i bombardamenti. L'arruolamento e' ancora volontario in America. Molti riservisti inviano e-mail esprimendo la loro opposizione alla guerra, indicandola come "una follia assurda e controproducente". Le prove del collegamento di Saddam con i terroristi di Al Qaeda non sono convincenti. Tenga presente che un anno fa lo stesso sistema era stato adottato da Bush per ottenere il consenso della popolazione alla guerra in Afghanistan. - P. L.: C'e' stata dunque una presa di coscienza delle menzogne del governo Bush? - C. T.: Non esiste un consenso da parte della popolazione americana alla guerra contro l'Iraq, ma questo non vuol dire dissenso reale nei confronti del governo repubblicano. - P. L.: Cosa vuol dire? - C. T.: Esiste un movimento di protesta contro la guerra in Iraq, ma cio' non va interpretato come una opposizione attiva all'amministrazione Bush. Larghi segmenti della popolazione sono stati spinti a esprimersi politicamente dalla contrarieta' alla guerra contro l'Iraq, ma il dissenso e' tutt'altro. La maggioranza dei manifestanti sono ancora politicamente disimpegnati. - P. L.: Quanto puo' avere inciso su questo movimento d'opinione anti-Bush il dilagare degli scandali finanziari? - C. T.: Questo fenomeno non ha precedenti, per trovarne uno analogo bisogna risalire ai tempi del Vietnam. Ma cio' ancora non significa una piena presa di coscienza politica da parte dell'elettorato americano. La popolazione americana non crede che i disastri dell'economia siano legati all'amministrazione Bush. D'altronde, anche durante la guerra del Vietnam all'inizio gran parte della popolazione rimase apatica e silente, senza riuscire a esprimere un'alternativa alla presidenza Nixon. Soltanto durante gli ultimi anni la protesta divenne visibile e influente politicamente. Ritengo che quando cominceranno i bombardamenti contro l'Iraq il dissenso crescera' e i media saranno costretti a non occultare le notizie come avviene oggi. - P. L.: Lei ritiene quindi che le manifestazioni pacifiste non riusciranno a bloccare la guerra contro l'Iraq? - C. T.: Questo movimento di opinione non vede ancora la piena partecipazione di tutte le forze sociali. Il mondo dei sindacati e' allineato alle posizioni del partito democratico, favorevole alla guerra contro l'Iraq a prescindere dal risultato delle elezioni al Congresso del 5 novembre. Non e' questo movimento di pacifisti che riuscira' a fermare Bush. 6. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: L'AMERICA DI OGGI NELLE PAROLE DI JANE ADDAMS, NOBEL PER LA PACE 1931 [Questo articolo - assai sollecitante e discutibile a un tempo - abbiamo ripreso da "Azione nonviolenta" n. 3 del marzo 2002. Per contatti: azionenonviolenta at sis.it] "Per pace non si intende semplicemente assenza di guerra, ma il dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune. La pace non e' semplicemente qualcosa su cui tenere congressi e su cui discutere come se fosse un dogma astratto. Essa assomiglia piuttosto ad una marea portatrice di sentimenti morali che sta emergendo sempre di piu' e che piano piano inghiottira' tutta la superbia della conquista e rendera' la guerra impossibile" Jane Addams, 1860-1935 (1). Tra tutte le varie cose ascoltate e viste in tv nei giorni subito successivi al crollo dell'ennesima torre di Babele, denominata proprio twin towers, quasi a richiamo di una Babele biblica non risolta, di un conflitto immanente dell'uomo contro dio, degli uomini tutti tra loro a causa di una incomunicabilita' tra diversi modi di parlare con dio e di dio, mi ha colpito piu' di tutti una ragazza intervistata per strada che ha detto, quasi ingenuamente: "ho visto cosa e' successo, ma non riesco a capire perche'". Jane Addams, pensatrice politica di Chicago, premio Nobel per la pace nel 1931, potrebbe aiutarla. Una autrice fiduciosa come lei nel valore prioritario dell'etica democratica, che ella contrappone alla retorica obsoleta e gerarchica della guerra, le avrebbe potuto spiegare perche', ancora una volta, varrebbe la pena volgere lo sguardo verso i piu' poveri. Un'autrice impegnata come lei, che propende per un ordine sociale in grado di permettere una piena liberta' di azione individuale, che pero' si svolga accanto allo sviluppo di una comunita' in continuo facimento e cambiamento che accolga potenzialita' umane da tutte le parti del mondo, arricchendosi delle diversita' culturali di cui esse siano portatrici, potrebbe aiutarci a capire perche' Babele e' caduta ancora ed ancora cadra' se ci si ostina a volere sfidare dio senza avere prima provato a fraternizzare, a instaurare rapporti veramente solidali, con l'essere umano che ci sta accanto, che e' diverso da noi come noi siamo diversi da lui. Addams ha dedicato moltissimo del suo impegno politico e teorico a cercare di fare capire quanto sia importante la creazione di un'America democratica di tutti e per tutti. Ed in questi tutti ci sono anche le categorie storicamente escluse: le donne e gli stranieri. Gli immigrati, diversi per cultura e religione, non vanno semplicemente "assimilati, come se l'America fosse un grande apparato digestivo" (2). Come bene sa chi vi lavora fianco a fianco, sperimentando attraverso l'impegno lavorativo quotidiano una relazione interpersonale equa, semplicemente si tratta di "camminare insieme lungo le strade prodigiose della cittadinanza umana, senza che abbia piu' importanza essere nativi o stranieri, perche' ci unisce una relazione fraterna scaturita dalla nostra stessa esperienza comune" (3). La proposta politica di Jane Addams e' tutta rivolta alle condizioni sociali dei cittadini, alla loro liberta' di azione e a una vita di comunita' impostata sull'incontro (favorito dalla valorizzazione delle differenze) piu' che sullo scontro (favorito dalla meritocrazia, dall'omologazione, dalla competizione, dal consumismo, dalle diseguaglianze). E questi argomenti ella considera - e propone oggi a noi di considerare - strettamente interconnessi alla grande fondamentale tematica della pace. Gli Stati Uniti d'America, a parere della Addams, sono innanzitutto una grande democrazia che sempre di piu' dovra' definire se stessa sostituendo alla mentalita' e alla retorica militarista, una societa' etica fondata, idealmente e concretamente, sul valore del lavoro. Questo significa che dovra' sostituire a un pensiero dogmatico e una politica impostata sulla punizione e sulla difesa, un pensiero articolato e una politica in grado di "garantire ad ogni cittadino un'esistenza dignitosa". Perche' questo sia possibile e' assolutamente necessario (e Addams lo riteneva anche possibile) che i politici, superando una concezione obsoleta che vede nell'uomo unicamente "l'uomo economico come una sorta di lupo solitario spinto dall'unica motivazione della brama di cibo" imparino piuttosto ad "applicare la psicologia sociale all'azione politica, guardando gli uomini per quello che realmente sono: ognuno un viluppo di motivazioni complesse e sovrapposte. I politici continuano a commettere errori grossolani perche' la loro azione non si fonda sulla autentica realta' della esistenza umana" (4). Oggi, a un secolo di distanza da queste parole di Jane Addams, gli errori dei politici e degli economisti americani (e del mondo economicamente avanzato) hanno influenza su tutta la popolazione mondiale, che in gran parte (piu' dell'80%) sopravvive in condizioni di poverta', assenza di cibo, condizioni sanitarie minime, mancanza di istruzione e di opportunita' culturali. Ma non per questo sono meno di altri "un viluppo di motivazioni complesse e sovrapposte"; non per questo non sono anch'essi "autentica realta' umana". La condizione, ad esempio, della tanto tirata in ballo nazione afgana, superba e disperata, non e' semplice da comprendere, ma sappiamo da molte testimonianze di donne - costrette da una dittatura maschilista a sofferenze fisiche e morali indicibili - che molte preferirebbero morire piuttosto che continuare a vivere cosi'. Si profila dunque in parte una risposta da dare a quella ragazza. Gli atti terroristici, di cui ognuno di noi abitante nel mondo occidentale puo' essere vittima, sono strettamente correlati con delle precise scelte politiche che - soprattutto a livello internazionale - non sono attente all'essere umano quale realmente e', sfruttando, a favore di un benessere economico di pochi, risorse naturali e umane preziose e trasformandole in situazioni umane di altissima disperazione, in cui la vita stessa perde valore, in cui dio - o chi per lui - e' una speranza molto piu' concreta di ogni prospettiva realistica. In questo tipo di disperazione - anche se non necessariamente da essa - trova terreno e milizia chi sta a capo di una volonta' di guerra finalizzata alla distruzione di un impero economico - non di una democrazia, perche' non questo interessa - allo scopo di prevaricare, di diventare impero economico all'altezza di quelli precedenti. La guerra - e questa guerra piu' di ogni altra - e' il fallimento di un processo di sviluppo che abbia come soggetto la persona. Quello "sviluppo come processo integrato di espansione di liberta' sostanziali interconnesse l'una con l'altra" (5), di cui parla Amartya Sen, che renda possibile accanto alla liberta' di azione la costruzione di una comunita' umana partecipe e protagonista della vita propria e di tutta la comunita'. Una umanita' democratica, direbbe Addams, che rifonda se stessa su un'etica socialmente condivisa da ogni individuo (6), anche l'emarginato/a. Come e' possibile questo? Intanto, almeno provandoci a trovare alcuni minimi comuni denominatori dell'essere umano. Le organizzazioni umanitarie internazionali possono avere questa funzione, se rappresentano veramente gli interessi di tutti. L'impegno politico deve comunque andare nella direzione proposta da Sen: "Esiste una profonda complementarieta' fra l'azione dell'individuo e gli assetti della societa', ed e' importante riconoscere contemporaneamente sia la centralita' della liberta' individuale, sia la forza delle influenze sociali sull'entita' e la portata di tale liberta'". E ancora: "l'eliminazione delle illiberta' di cui possiamo soffrire in quanto membri della societa' deve diventare il requisito fondamentale dello sviluppo" (7). L'unico modo di agire, se Babele e' simbolo di una citta' costruita da uomini e donne senza bisogno dell'aiuto di dio, e' dispiegare processi costruttivi a vantaggio di tutti, anche dei piu' poveri del mondo, e' eliminare tutte le illiberta' di cui parla Amartya Sen. E questo non e' stato fatto abbastanza. Per difendere Babele e' necessario costruire, prima della maledizione divina, un linguaggio comune. Ma non affidandosi a tecnologia sempre piu' sofisticata, bellica o civile che sia, bensi' recuperando e valorizzando tutto cio' che di comune esiste nella carne e nella mente di tutti noi uomini e donne in lotta per la sopravvivenza della nostra vita, per dare un senso alla durata della nostra vita, prima che essa sia semplicemente finita. * Note 1. Jane Addams, Democrazia e militarismo, Chicago Liberty Meeting, 30 aprile 1899. 2. Da Newer ideals of Peace, New York 1907, p. 94. 3. Ivi, p. 202. 4. Da The larger aspects of the Women's Movement, "Annals of the American Academy of Political and Social Science", novembre 1914; vedi anche A. Rossi Doria, La liberta' delle donne, Torino 1990. 5. Amartya Sen, Lo sviluppo e' liberta', Milano 1999, p. 14. 6. Jane Addams, Democracy and Social Ethics, Chicago 1902. 7. Ivi, p. 6, e poi p. 38. 7. MEMORIA. RICCARDO ORIOLES RICORDA GIUSEPPE GNASSO [Dal n. 149 del 21 ottobre 2002 della rivista elettronica "Tanto per abbaiare" curata da Riccardo Orioles (per contatti: ricc at libero.it) riprendiamo questo ricordo. Riccardo e' la lotta di Pippo Fava che continua, ed e' stato l'anima di "Avvenimenti" negli anni in cui "Avvenimenti" fu insieme la piazza di Atene e la barricata di Gavroche] Persone. "Qua finisce che c'imbavagliano tutti". "Questo Craxi e questo Andreotti...". "Eppure, le cose che stanno succedendo nel mondo...". "Gorbaciov...". "L'antimafia..". "Gli studenti...". "Dovremmo fare un giornale". "Si', ma con quali soldi?". "Li chiederemo ai lettori". "Sei matto!". "Vedrai, funziona". E funziono'. La prima riunione di "Avvenimenti", il giornale felice dei primi anni Novanta, si tenne a casa di Beppe Gnasso. Ora, tu puoi benissimo non sapere chi era (oggi che la memoria ricorda solo i sottomessi), ma Beppe Gnasso era un giornalista. E un gran giornalista, anche. Era uno dei tre - gli altri erano Piero Pratesi e Sergio Turone - che, dall'alto di un'esperienza inossidabile e di una liberta' pasoliniana, ci fecero da maestri allora. Maestri nel senso letterale della parola, perche' "Avvenimenti" nacque proprio da un corso di giornalismo, non una di quelle scuole fighette e costosissime di oggigiorno ma una scuola vera: il mestiere di giornalista. Piero e' quello con la cravatta e il vestito all'inglese, che mai alza la voce e ti spiega - ci ha dedicato una vita - come funzionano i meccanismi del potere. Quello che sta sogghignando, con un sorriso beffardo, e' Sergio: guai a Craxi o Andreotti, quando gli capita di capitare in un corsivo suo. E Beppe? Eccolo la', il romanaccio. Lui e' quello che per esempio, quando faceva il caporedattore al "Messaggero", scatenava la campagna per il divorzio, contro i preti e i fascisti che ci vogliono baciapile come loro (dopo la vittoria la folla dei manifestanti si fermo' sotto le finestre del "Messaggero" al grido di "Viva il libero pensiero!"). Aveva fatto in tempo, da pischello, a vedere i tedeschi a Roma, e a fare la parte sua. Communista di quelli tosti, Beppe, non iscritto al partito ma piu' compagno di un oste di San Lorenzo. Sergio no, lui era radicale di quelli antichi, "capitale corrotta citta' infetta", di loro portava in dote l'ironia, l'eleganza e la stupefazione schifata di fronte alle ladrerie del potere: ogni potere. Tanto mangiapreti era Beppe, tanto anticlericale Sergio, quanto cattolico - profondamente - Piero: lui veniva da Maritain e da Mounier, la sinistra cristiana anni Cinquanta, e il communismo suo era qualcosa che aveva gia' bell'e pronto nel vangelo. Ed eccoli tutti insieme la', negli anni in cui la vecchia Italia si sfaceva e un'Italia piu' giovane si agitava nelle citta', fuori dai palazzi. Adesso che se n'e' andato anche Beppe (dove vanno i communisti romani? Non nel paradiso dei preti, ci mancherebbe: ma forse c'e' un'osteria dall'altra parte) e' davvero finita una generazione. Una bella generazione, forte, gentile, in tante cose forse ingenua ma civile, profondamente devota al popolo, libera come l'aria e piena di una sua scorbutica poesia. A' Beppe, che pretendi ora, che mi metta a piangere per te? A farti il coccodrillo come a un coglionazzo perbene? No: adesso me ne vado a San Lorenzo e mi faccio un bicchiere di rosso alla salute tua. E poi mi rimetto a lavorare. 8. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': LE MANI DELLA MAFIA Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia, Edizioni Associate, Roma 1991, pp. VI + 274, lire 24.000. Un ancor oggi utile libro su "vent'anni di finanza e politica attraverso la storia del Banco Ambrosiano". 9. RILETTURE. OSCAR CULLMANN: VERO E FALSO ECUMENISMO Oscar Cullmann, Vero e falso ecumenismo, Morcelliana, Brescia 1972, pp. 110. Una raccolta di saggi sull'ecumenismo dopo il concilio Vaticano II del grande, indimenticabile teologo. 10. RILETTURE. EZIO MARCOLUNGO, MIRELLA KARPATI: CHI SONO GLI ZINGARI? Ezio Marcolungo, Mirella Karpati, Chi sono gli zingari?, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, pp. 144. Una utile introduzione. 11. RILETTURE. TERESA NOCE: VIVERE IN PIEDI Teresa Noce, Vivere in piedi, Mazzotta, Milano 1978, pp. 204. Le appassionate memorie di una strenua militante politica. 12. RILETTURE. CLOTILDE PONTECORVO, ANNA MARIA AJELLO, CRISTINA ZUCCHERMAGLIO: DISCUTENDO SI IMPARA Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio, Discutendo si impara, Carocci, Roma 1991, 1999, pp. 266, euro 26,34. Saggi su interazione sociale e conoscenza a scuola. 13. RILETTURE. JON SOBRINO E I COMPAGNI DELL'UCA: IL MARTIRIO DEI GESUITI SALVADOREGNI Jon Sobrino e i compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti salvadoregni, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1990, pp. 104, lire 10.000. Nelle parole dei sopravvissuti la vicenda dell'efferato massacro perpetrato da uno squadrone della morte salvadoregno, di cui furono vittime Ignacio Ellacuria, altri cinque padri gesuiti e due collaboratrici dell'Universita' del Centro America (Uca); ed un ricordo nitido e commosso delle vitime e della loro azione per la pace e la giustizia. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 397 del 27 ottobre 2002
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