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La nonviolenza e' in cammino. 394
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 394
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 23 Oct 2002 21:22:43 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 394 del 24 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Un appello contro gli assassinii di ragazze e ragazzi di strada in Guatemala 2. L'attrito del generale 3. Guido Viale, l'auto che tramonta 4. Mao Valpiana, una provocazione e un paradosso 5. Peppe Sini, chiamare golpe un golpe 6. Giuliana Sgrena: Uruzgan, una strage americana 7. Settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace 8. Un seminario contro la tortura 9. Resoconto dell'incontro di educazione alla pace svoltosi aTuscania 10. Riletture: Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni 11. Riletture: Elena Lamberti, Marshall McLuhan 12. Riletture: Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. APPELLI. UN APPELLO CONTRO GLI ASSASSINII DI RAGAZZE E RAGAZZI DI STRADA IN GUATEMALA [Dall'Associazione internazionale in difesa dei diritti delle ragazze e dei ragazzi di strada (per contatti: dirragazze at tin.it) riceviamo e pubblichiamo; il Centro di ricerca per la pace di Viterbo e la redazione de "La nonviolenza e' in cammino" aderiscono a questo appello e invitano tutti i lettori ad aderire ed a farlo circolare ulteriormente] Associazione internazionale in difesa dei diritti delle ragazze e dei ragazzi di strada, c/o Terra Nuova, via Urbana 156, 00184 ROMA, tel. 06485534, fax 064747599, e-mail: dirragazze at tin.it. Comitato dell'Associazione: Gerard Lutte, Bruno Bellerate, Françoise Boucau, Paolo Cento, Marlon Brenes, Nydia De Franco, Carles Feixa Pampols, Salvatore Gentile, Giulio Girardi, Nora Habed, François Houtart, Jacques Liesenborghs, Paul Lottefier, Remo Marcone, Vidaluz Meneses, Iole Miele, Michele Najlis, Jorge Navas, Ezio Ponzo, Domenico Sarra, Luis Sepulveda, Andre Stuer, Andre' Wenkin. Segretaria: Lucia Bruscuglia. * Care amiche e amici, vi chiediamo di mandare agli indirizzi elettronici che seguono una protesta contro le gravi violazioni dei diritti umani delle ragazze e ragazzi di strada del Guatemala. Negli anni passati, la nostra Associazione e' gia' intervenuta varie volte contro le gravi violazioni dei diritti delle ragazze e ragazzi di strada in Guatemala, perpetrate da agenti della polizia nazionale, da universitari incappucciati o da sette religiose come "Sendas Nuevas". Purtroppo questa situazione non e' migliorata quest'anno. Non solo il governo non ha preso misure per proteggere i diritti delle ragazze e ragazzi di strada, dei quali si occupano solo associazioni private, spesso con sovvenzioni dell'Unione Europea, ma non sono cessate le aggressioni, gli assassinii di cui rimangono vittime i giovani della strada. Ora, nella maggiore parte dei casi, gli autori di questi delitti sono sconosciuti e sono presentati come "delinquenti comuni", come si era tentato di fare credere quando Mirna Mack e il vescovo Gerardi furono assassinati. - Il 14 febbraio 2002, alle 15,05, nella tredicesima calle della zona 1 della capitale, tre ragazze della strada erano sedute e a parlare quando si avvicino' una macchina. Loro pensavano che era per chiedere loro un'informazione, ma gli occupanti della macchina cominciarono a sparare contro di loro con delle pistole. Amalia Alejandra Ipala di 19 anni fece da scudo alle sue compagne e fu ferita da due perforazioni agli intestini. - Il 5 luglio, Rudi Leonel Villanueva di 25 anni fu ucciso da arma da fuoco. - Il 22 luglio, sconosciuti spararono contro un gruppo di giovani della strada nelle vicinanze della linea ferroviaria della Zona 8, uccidendo Roberto Francisco Lopez Gomez e Luis Armando Linares Salas, tutti e due di 16 anni. Altri due giovani furono feriti. _ I1 30 luglio, nello stesso luogo, i soliti ignoti massacrarono, spaccandole la testa a colpi di pietra, Alejandra Paola Palma di 16 anni, mentre dormiva; mori' lo stesso giorno nell'ospedale generale. - Il 13 ottobre alle cinque del mattino, un gruppo di giovani, armati di spranghe di ferro e comandati da una trafficante di droghe, fece irruzione in una casa abbandonata della tredicesima strada della zona 1 dove dormivano alcuni giovani di strada. Fredy Antonio Collan Aros di 16 anni, Juan Pablo Yupe di19 anni e Juan Jose' Ramirez Mazariegos di 21 anni, che cercavano di difendere le ragazze della casa furono gravemente feriti. Non riuscirono a impedire che due ragazze, J. B. T. di 17 anni e J. J. F. di 16 anni, fossero selvaggiamente stuprate da quattro aggressori di fronte alla figlia tredicenne che la madre aveva invitata come spettatrice di questo atto. - Il 14 ottobre, tra l'una e le due della notte, in una casa abbandonata della zona 4, sconosciuti spararono contro due ragazze e quattro ragazzi di strada: Sandra Veronica Guamuch Torres, di 17 anni, incinta di quattro mesi; Nery Rolando Recinos, 16 anni; Manuel Isaias Aj Naj, 15 anni, e Jackelyn Yhajaira Franco Barrera, 15 anni, Emilio Sanay, di 26 anni, e Henry Geovany Alvarez Jimenez, 19 anni, rimasero feriti. Furono attaccati, mentre dormivano, da uomini in macchina ed in motocicletta. Questi atti di barbarie, sempre piu' frequenti, potrebbero iscriversi in una strategia di "pulizia sociale", che abbiamo gia' denunciato in passato. Chiediamo quindi al Parlamento Europeo di condizionare gli aiuti al Guatemala al rispetto dei diritti delle ragazze e ragazzi di strada. Chiediamo inoltre al Presidente del Guatemala, Alfonso Portillo, al Procuratore della Nazione, alla Commissione Presidenziale dei Diritti Umani, di esigere dal Governo del Guatemala, dal capo della polizia nazionale, dai Ministri degli Interni e della Giustizia, dai giudici competenti, la punizione degli autori di questi delitti ed una maggiore attenzione alla vita, alla dignita' e a tutti gli altri diritti delle ragazze e ragazzi di strada. * Vi chiediamo di aiutarci a diffondere questo comunicato e di mandare agli indirizzi sotto indicati il seguente messaggio: Al Presidente de Guatemala, al Procurador General de la Nacion, a la Comision Presidencial de los Derechos Humanos. En los años pasados, fueron denunciadas varias veces violaciones graves de los derechos de las muchachas y muchachos de la calle por parte de la policia nacional, de estudiantes universtarios encapuchados o de sectas religiosas como "Sendas Nuevas". Lamentablemente la situacion no ha mejorado: en este año: siguen las agresiones y asesinos de jovenes de la calle por parte de "desconocidos" presentados como "delincuentes comunes". Por eso, a traves de nuestros parlamentarios europeos, pedimos a la Comision Europea, de condicionar la ayuda a Guatemala en el respeto de los derechos humanos de las muchachas y muchachos de la calle. Pedimos al Presidente de Guatemala, al Procurador General de la Nacion y a la Comision Presidencial de Derechos Humanos de exigir al Gobierno de Guatemala, al jefe de la policia nacional, a los ministros de Gobernacion y de Justicia, a los jueces responsables, que sean castigados los autores de esos graves delitos y que se preste mayor atencion a la vida, a la dignidad y a todos los derechos humanos de las muchachas y muchachos de la calle, la parte mas desprotegida y humillada del pueblo guatemalteco. Firmare ed inviare ai seguenti indirizzi di posta elettronica: Procuradura General de la Nacion, pgndespacho at guate.net, Comision Presidencial Derechos Humanos, sonia_alvarez at copredeh.gob.gt, Presidente de Guatemala, presidenteportillo at gob.gt, e per opportuno riscontro a: dirragazze at tin.it e a quetzalitas at tin.it 2. FRASI COLTE AL VOLO. L'ATTRITO DEL GENERALE Il generale presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati nel chiedere piu' quattrini per gli aspiranti uccisori in divisa e stellette, e nel definire en passant il punto di vista di chi difende la legalita' costituzionale (quella Costituzione alla quale il generale dovrebbe pur aver giurato fedelta') come "mentalita' stupidamente pacifista", ha dichiarato, riferisce l'agenzia di stampa Asca in una nota del 22 ottobre che ''se domani dovessimo partecipare ad un'azione con un piu' alto attrito noi non saremmo onestamente in condizione''. Con l'algido eufemismo "attrito" intende forse quelle azioni chiamate di guerra in cui esseri umani innocenti vengono assassinati a mucchi? Interessante eufemismo. Da fare il paio con altri non meno eleganti: "effetti collaterali" o "soluzione finale", per esempio. 3. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: L'AUTO CHE TRAMONTA [Questo articolo e' apparso in due puntate sul quotidiano "Il manifesto" del 16 e del 17 ottobre 2002. Guido Viale e' nato nel 1943, e' stato uno dei leader della protesta studentesca nel '68, lavora a Milano. E' membro del Comitato tecnico-scientifico dell'Agenzia Nazionale per la Protezione dell' Ambiente (ANPA). Opere di Guido Viale: segnaliamo particolarmente Un mondo usa e getta, Tutti in taxi, entrambi presso Feltrinelli; e Governare i rifiuti, presso Bollati Boringhieri] Quello che manca nell'attuale dibattito sulla crisi della Fiat e' un approccio storico al fenomeno auto, che non e' una realta' eterna, ma ha avuto un inizio e puo' avere - o sta avendo - una fine. Cento anni fa l'invenzione del motore a combustione interna (propulsore e combustibile di peso e dimensioni ridotte, tali da poter essere montati sullo chassis di una carrozza, cosa impossibile con la macchina a vapore) ha dato l'avvio alla progressiva sostituzione dei cavalli, dei carri e delle carrozze con i veicoli motorizzati nei percorsi urbani e in quelli extraurbani secondari (cioe' non serviti dalla ferrovia). Questo processo si e' sviluppato nel corso di trenta anni negli Stati Uniti, di cinquanta in Europa, e di cento nel resto del mondo (tanto che in alcuni di questi paesi e' ancora in corso). I vantaggi erano indubbi: le automobili non sporcano la strada e richiedono meno manutenzione e sono piu' veloci di un essere vivente. Prima dell'auto c'erano gia' tecnologia, mestiere - cioe' professionalita' - e una quota non irrilevante di business e di occupazione anche nella costruzione di carri e carrozze, tanto che la nascente industria automobilistica era partita appropriandosi di alcune innovazioni sviluppate in quel campo: telai, balestre, soffietti, ecc. Ma nessuno, mano a mano che l'automobile si faceva strada, innanzitutto nel trasporto urbano di lusso e di merci e nella mobilita' rurale, ha mai pensato di sostenere il traino animale con incentivi e politiche ad hoc. La conquista del settore della mobilita' urbana di massa, e non solo piu' di elite, da parte dell'auto negli Stati Uniti - anni '20 e '30 - e' invece un'altra storia. A quell'epoca il trasporto pubblico di massa si era gia' diffuso grazie a tram e metropolitane che viaggiavano su rotaie e sfruttavano la propulsione elettrica, due soluzioni che hanno entrambe bisogno di un tracciato fisso. Per scalzarle a favore delle motorizzazione privata, la grande industria statunitense dell'automobile aveva comprato a una a una le societa' private - o, piu' spesso, municipali - che gestivano il trasporto pubblico locale e poi le aveva chiuse. Chi voleva muoversi doveva comprarsi un'auto. In Italia lo smantellamento dei binari dei tram e' continuato fino alla fine degli anni '70. Poi ci si e' accorti che era un errore. L'auto come veicolo pressoche' esclusivo della mobilita' interurbana e' stata invece imposta negli anni '50 con un la costruzione di una rete nazionale di autostrade, ricalcata su quella costruita in Germania negli anni '30, che sono rimaste i modelli insuperati di tutti i successivi programmi di lavori pubblici (governo Berlusconi e legge-obiettivo compresi) a livello mondiale. Con l'imposizione dell'auto come soluzione privilegiata di mobilita', si sono andate affermando anche le principali caratteristiche dell'epoca in cui viviamo: individualismo (e solitudine): l'importante e' potersi spostare quando, dove e con chi si vuole e per il resto si sta chiusi in casa, in ufficio o in fabbrica, dato che strade, piazze, giardini, marciapiedi e cortili sono stati sottratti agli umani per consegnarli alle auto; consumismo: nonostante tutte le innovazioni, l'auto resta l'archetipo incontrastato dei consumi nelle societa' "opulente" (a cui si sacrifica spesso la parte piu' rilevante del proprio reddito), e la principale aspirazione in tutte quelle che non lo sono; sprawl urbano, cioe' "citta' diffusa": le citta' hanno cessato di addensarsi intorno agli edifici che ne esprimevano le funzioni fondamentali, o di allinearsi lungo gli assi radiali definiti dai tracciati del trasporto pubblico (tram e metropolitane) per sparpagliarsi - insieme al sistema industriale (i famosi distretti) su tutto il territorio, azzerando la storica differenza tra campagna e citta'. Tra i lasciti dell'auto alla nostra epoca ci sono anche i cambiamenti climatici (i trasporti - in gran parte su gomma - sono responsabili del 40 per cento circa dell'effetto serra) e, da ultimo, le guerre: quella del Golfo, quella in Afghanistan (pianificata ben prima dell'11 settembre), quella in Cecenia e la prossima ventura in Iraq - ma anche gran parte del conflitto arabo israeliano, per lo meno dal 1973 - non hanno altra ragione che la sete di petrolio del parco-macchine dell'Occidente. L'auto ha stravinto, ma e' da tempo soffocata dal suo stesso successo: continua a invadere tutto il territorio disponibile, ma ogni auto in piu' non fa che sottrarre "spazio vitale" a tutte le altre; scarica impunemente i propri miasmi in atmosfera, ma il cielo, che per gli antichi era una sfera di cristallo e da Copernico in poi uno spazio infinito, si e' dimostrato incapace di contenerli tutti. Inoltre l'auto non offre piu' niente di quello che aveva promesso: la liberta' di andare dove si vuole si e' trasformata nella clausura dell'imbottigliamento; la liberta' di partire quando si vuole nella rigida programmazione degli spostamenti per evitare le ore di punta; l'indipendenza dai tracciati rigidi del trasporto pubblico nella costrizione dei sensi unici, delle zone vietate o a traffico limitato, nei percorsi che si avvitano su se stessi per scoraggiare l'afflusso; la produttivita' garantita dalla velocita', nella lentezza della regolamentazione semaforica, delle code, della quotidiana ricerca di varchi e di parcheggi. Il fatto e' che la modalita' di trasporto fondata sull'automobile richiede che ciascuno abbia sempre e ovunque un'auto a propria disposizione e la soluzione adottata per raggiungere questo obiettivo e' consistita nell'obbligare ciascuno di noi - di quelli di noi che possono permetterselo - a comprarne una. Con la conseguenza che tutte quelle auto non stanno piu' negli spazi a loro disposizione; e non ci staranno piu' per quanti sforzi facciamo per accrescerli, anche a spese del paesaggio, del retaggio monumentale, degli equilibri ambientali, della socialita', della salute. E ci staranno ancora meno se il modello di mobilita' occidentale (un'auto ogni due persone) si diffondesse in tutto il resto del mondo, che e' la strategia oggi perseguita da tutte le case automobilistiche, Fiat compresa. Questa strategia, in cui tutti noi siamo coinvolti dai nostri comportamenti quotidiani, ha le caratteristiche di una corsa di lemmings verso il suicidio collettivo. C'e' un parallelismo stretto tra l'ostinazione con cui tutte le mattine ci "mettiamo in macchina" per andare incontro a un sicuro ingorgo, da cui non sappiamo neanche se usciremo in tempo - perchz" questo e' l'unico modo che conosciamo o abbiamo a disposizione per spostarci - e l'ostinazione con cui le case automobilistiche continuano a riproporre tutti gli anni lo stesso prodotto (con varianti sempre piu' insignificanti) perche' e' diventato una droga per l'economia e nessuno sa proporre un'altra strada per sostenere occupazione e sviluppo. Queste due pazzie sono accomunate da una terza: l'ostinazione con cui continuiamo ad accrescere con i nostri comportamenti l'effetto serra, nonostante che sia ormai chiaro a tutti che cio' si sta trasformando sotto i nostri occhi in una catastrofe. E' difficile pensare che tutto cio' dipenda solo dalla mancanza di una politica industriale - o da una errata politica industriale - del governo, dopo che per decenni nell'industria automobilistica e in quelle connesse del petrolio, dei pneumatici e dell'asfalto e' stato pompato il meglio delle risorse del paese: non solo dalla parte dell'offerta, con regalie di ogni genere ai produttori, ma sempre piu', mano a mano che queste non bastavano piu', anche dalla parte della domanda, incentivando il consumatore a cambiare auto o a comprarne una in piu'. La crisi attuale dipende proprio dalle politiche industriali che sono state messe in atto in passato, con un crescendo continuo mano a mano che ci avviciniamo ai giorni nostri: e non solo in Italia, ma in tutto il mondo, come ci fa notare anche Marcello De Cecco su "la Repubblica" di domenica 13 ottobre, puntando il dito sugli incentivi "privati" (finanziamento delle vendite a rate a tassi irrisori) con cui l'industria auto di tutto il mondo e' stata sostenuta nel corso degli ultimi anni. Se in Italia i nodi sono arrivati al pettine prima che in altri paesi industriali, e' stupido attribuirne la causa alla stupidita' della dirigenza Fiat, che non avrebbe investito abbastanza in "nuovi modelli". Viene da dire: meno male che non lo ha fatto, gettando nel pozzo senza fondo di una causa persa una quantita' doppia di risorse, che in una maniera o nell'altra avrebbero dovuto essere fornite dallo stato, o che sarebbero comunque state sottratte ad altre destinazioni. C'e' qualcuno che pensa davvero che la Fiat avrebbe potuto evitare di incappare nelle maglie della crisi che l'industria automobilistica attraversa a livello mondiale con modelli piu' "seducenti", un po' piu' di elettronica costipata sotto il cruscotto, un motore un po' piu' pulito - in attesa dell'idrogeno: cioe' Aspettando Godot - o magari un'alleanza piu' stretta con un colosso multinazionale? D'altronde quella c'e' gia'; ma c'e' da piangere a pensare che qualcuno aspetta di li' una soluzione alla crisi. La crisi e' arrivata in Italia prima che altrove perche' in Italia sono arrivati prima al pettine i nodi della saturazione del mercato: innanzitutto il backlash, cioe' il contraccolpo, degli incentivi espliciti o nascosti forniti alla Fiat dalle politiche economiche (protezionismo, autostrade, contributi a fondo perduto, incentivi alla rottamazione, credito a go-go); tanto che i padroni della Fiat hanno potuto costruirsi un impero finanziario in altri settori, anche se l'automobile e' l'unico settore industriale rimasto al paese. Ma era l'unico anche in passato, perche' siderurgia, costruzioni, macchine utensili, gomma, e persino l'informatica, finche' avevano un peso, non ne erano che appendici e avevano nell'industria automobilistica il loro home bread market. Poi i problemi connessi alla densita' automobilistica d'Italia, la piu' alta del mondo sulla base sia dei veicoli per abitante, che dei veicoli per chilometro di strada - e le strade non sono certo poche. Infine, i problemi connessi all'incidenza dell'automobile sui consumi privati e sulla spesa pubblica, se ci fossero statistiche affidabili. Ma, soprattutto, in Italia e' arrivata al suo culmine la schizofrenia delle politiche pubbliche sull'auto: da una lato una promozione senza ritegno delle vendite - con tutte le salmerie al loro servizio: pubblicita' e spettacolo, ma anche urbanistica, analisi sociale, educazione, critica del costume, ecc. - accompagnate, per non "irritare" l'automobilista-elettore, dal lassismo piu' bieco nell'osservanza delle regole: sicurezza, sosta e parcheggio, rumore, velocita', standard di produzione, gestione della rottamazione e del recupero, tutela dei centri storici e del paesaggio, ecc. Dall'altro una politica sempre piu' improvvisata, raccogliticcia, priva di respiro, per far fronte alle emergenze che l'invadenza dell'auto sta accumulando a ritmi sempre piu' rapidi: targhe alterne, Ztl (Zone a Traffico Limitato) improvvisate e prive di controlli, blocchi del traffico e della distribuzione delle merci, regolamentazione del parcheggio senza programmazione, miliardi spesi per far posto, sottoterra, a poche centinaia di auto, quando quelle che bisognerebbe togliere dalla strada sono centinaia di migliaia. Non parliamo dei sottopassi e cavalcavia urbani che devastano interi quartieri nella speranza di sciogliere ingorghi che improvvisamente - se e quando l'opera viene conclusa - si riformano uguali a poche centinaia di metri di distanza. Qualcuno si e' mai chiesto quanto possono essere affidabili amministrazioni che si imbarcano in politiche del genere? E quanto ha pesato l'impasse generata da questa crisi epocale dell'auto - l'incapacita' di trovare una qualunque soluzione praticabile ai problemi del traffico - sulla credibilita' di politici ridotti al ruolo del grande vigile urbano. Questa "strategia" - una vera e propria non-scelta - ha impedito finora alla maggior parte di noi di vedere (come ne La lettera rubata di Poe) cio' che invece e' macroscopicamente davanti ai nostri occhi: e cioe' che da almeno dieci anni ha fatto il suo ingresso nel mondo una nuova tecnologia che rende il possesso dell'auto individuale obsoleto e superfluo, com'erano diventati obsoleti e superflui carri e carrozze mano a mano che progrediva la tecnologia del motore a scoppio e tutti gli sforzi per tenere in vita un sistema cosi' antiquato sono condannati alla sconfitta, come lo era il sistema del traino animale. Questa tecnologia, inutile dirlo, perche' in realta' lo sappiamo tutti, e l'interconnessione in rete wireless, senza fili. L'elettronica e' una risorsa di governo dei sistemi, e il sistema da governare non e' il singolo veicolo, che l'industria automobilistica sta imbottendo sempre piu' di gadget per cercare di renderlo piu' sicuro, piu' attraente, piu' comodo; bensi' l'insieme della mobilita'. Ci troviamo ormai di fronte a fenomeni grotteschi, come gli studi - in cui vengono dilapidati miliardi di dollari - per introdurre nelle auto - e nelle autostrade - sistemi elettronici di guida automatica dei veicoli: per metterli tutti in fila, a velocita' costante, lungo un tracciato predefinito, ciascuno con il suo bel motore che consuma energia e scarica inquinanti, esautorando completamente il ruolo dell'autista. Ma allora, non era meglio il treno? E' forse con ricerche di questo tipo che si vorrebbe salvare la Fiat? Ed e' per fare questo tipo di ricerca che a Torino e' stato aperto - il momento non poteva essere peggiore - un corso di laurea in ingegneria dell'automobile? Lo sviluppo della rete apre le porte, nel settore della mobilita' di passeggeri e merci, come in molti altri campi, al trapasso dall'economia del possesso all'economia dell'accesso. La rete rende superfluo disporre di un'auto personale per andare dove si vuole, quando si vuole e con chi si vuole; e permette di disporre di un'auto - di qualsiasi tipo di auto: con o senza autista, da soli o in forma condivisa, e di qualsiasi tipo e modello, a seconda dell'uso che se ne vuol fare - o di un equivalente mezzo di trasporto, in qualsiasi momento e in qualsiasi punto di qualsiasi citta' occidentale, per tutto il tempo in cui la si usa, permettendo ad altri di fare altrettanto. Ma senza abbandonare un veicolo inutilizzato per una media di 22 ore al giorno a ingombrare la strada - rallentando gli spostamenti di chi effettivamente si muove - e a incidere pesantemente sui nostri bilanci personali, su quelli delle amministrazioni cittadine e dello stato, e sullo stato dell'ambiente. Questi sistemi si chiamano - in gergo - Drts (Demand Responsive Transport System, cioe' trasporto a domanda), ovvero trasporto pubblico flessibile, taxibus, taxi collettivo, car sharing, car pooling (oltreche', beninteso, trasporto pubblico di massa su linee urbane di forza e sulle tratte interurbane, bicicletta e un piu' intenso uso dei piedi) e possono costare meno sia a noi che all'erario, sia a chi gestisce i sistemi di mobilita' o le infrastrutture di trasporto che a chi ne subisce impatti e conseguenze non sempre piacevoli. Qualsiasi risorsa destinata a potenziare questi sistemi e' un investimento sul futuro. Qualsiasi risorsa gettata nel miglioramento qualitativo dei veicoli attuali o nella cosiddetta "fluidificazione del traffico" a parita' di veicoli in circolazione e' una dilapidazione irresponsabile di ricchezza. Ma per imboccare una strada del genere bisogna crederci: cioe' investire risorse e individuare i soggetti giusti. Questi ultimi non sono e non credo che possano essere rappresentati dall'industria automobilistica. Sostenere che la riconversione della Fiat passi attraverso il suo impegno nella promozione del trasporto urbano flessibile e' un non-senso. Certamente il trasporto urbano ed extraurbano continuera' ad avere bisogno di veicoli - e quindi anche di automobili - adatti alle nuove funzioni. E questo richiede non solo officine meccaniche e catene di montaggio, ma anche laboratori di ricerca, uffici di progettazione, reparti di sperimentazione: cioe' una parte di quel patrimonio di risorse umane di cui si paventa giustamente la dispersione. Ma il compito di riorganizzare la mobilita' urbana e' di chi ha la responsabilita' della gestione del territorio; e non puo' essere delegato. Un secolo fa, in presenza di sviluppi tecnologici che rendevano possibile raggiungere la totalita' dei cittadini - e soprattutto le classi piu' povere - con servizi fino ad allora appannaggio dei ricchi, alcune municipalita' si assunsero la responsabilita' di produrre e fornire gas, luce, acqua, trasporti, rifiuti, comunicazioni, ecc. Ne nacquero diverse societa' municipalizzate che per quasi un secolo hanno caratterizzato il panorama industriale dell'Italia e che oggi vengono dimesse. Ma non dovrebbe venir dimesso il governo di queste funzioni, anche perche', dove i privati sono subentrati alle societa' pubbliche, non sempre i risultati sono stati brillanti. Oggi, di fronte a sviluppi tecnologici che rendono possibile rivoluzionare i sistemi della mobilita' urbana, azzerando la causa principale dell'impasse in cui e' incappata la nostra vita quotidiana, occorre uno sforzo analogo per restituirne il governo ai rappresentanti della cittadinanza; ed anche per riassorbire, nella nuova filiera del trasporto pubblico al servizio di tutti, una parte almeno di quella manodopera che l'industria automobilistica sta liquidando. E' sbagliato spingere i lavoratori ad aggrapparsi ad un relitto che affonda: la salvezza sta in un sistema di garanzie e nei progetti che guardano al futuro. Non e' detto che lo sforzo delle amministrazioni locali debba assumere nuovamente la forma di una societa' municipalizzata: puo' essere un consorzio di soggetti pubblici e privati, in modo da realizzare al meglio quella sacrosanta distribuzione delle responsabilita' che e' il volto positivo del principio di sussidiarieta'. Certamente non e' facile per un'amministrazione locale cambiare il segno di un modo di agire che si radica nell'ostinazione senza sbocchi dei nostri comportamenti. Ma e' importante trovare un accordo sulla direzione da imboccare. Un sistema di mobilita' flessibile impone soglie di ingresso al di sotto delle quali le funzionalita' della rete sono precluse. Per questo vanno studiate attentamente ex-ante. Il car sharing non puo' essere organizzato, come ora, con 10 vetture: ce ne vogliono, solo per partire, 10.000 per ogni grande citta', con la certezza, per di piu', di un rientro degli investimenti solo a lungo termine. Per fare il taxi collettivo non si puo' partire con meno di 1000-2000 vetture - e occorre fare i conti, senza demonizzarli ma senza nascondere i problemi - con la forza contrattuale e soprattutto elettorale del mondo dei taxisti. Per fare il taxibus, o altre forme di Drts, con cui sostituire il trasporto di massa nelle ore e sui tracciati in cui e' maggiormente sottoutilizzato, occorre investire in mezzi adatti e soprattutto in campagne serie di comunicazione (da questo punto di vista Milano rappresenta forse l'esempio peggiore che si possa immaginare). Per ottimizzare la distribuzione delle merci - ai negozi e a domicilio - occorre mettere a disposizione dei piccoli trasportatori le risorse necessarie per "fare sistema" associandosi. E soprattutto, per fare tutto cio', bisogna avere la forza politica di imporre e di far rispettare i divieti: ma solo una volta che si siano garantite alternative praticabili e convenienti. Non e' vero che oggi non ci sono risorse per intraprendere uno sforzo del genere. Se il denaro che oggi viene gettato nel pozzo senza fondo delle metropolitane - che non sono altro che un gigantesco pedaggio che la citta' paga per far si' che alcune linee di forza del trasporto urbano di massa non interferiscano con il traffico di superficie (cioe' per permettere alle auto private di occupare gratis tutto il suolo pubblico) - o in quello dei sottopassi, dei sovrappassi, dei sistemi di semafori "intelligenti" e quant'altro la moderna ingegneria civile mette a disposizione della perpetuazione dello stato di cose presente, se quel denaro venisse utilizzato per finanziare in misura adeguata progetti di car pooling, car sharing, taxi collettivo, taxibus e linee tranviarie di superficie comode e veloci, in cinque anni il volto di una citta' italiana cambierebbe radicalmente. E ai turisti convocati da tutto il mondo, per esempio per assistere a una manifestazione sportiva su cui si sono investiti miliardi destinati a lasciare le cose come prima, non si farebbe trovare una citta' intasata dal traffico e magari sconvolta da cantieri che non si e' riusciti a chiudere in tempo, ma un sistema di mobilita' veramente innovativo, in grado di promuovere in tutto il mondo i risultati raggiunti a livello locale dall'industria del trasporto urbano; e, al suo seguito, anche quel che resta dell'industria automobilistica locale. 4. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: UNA PROVOCAZIONE E UN PARADOSSO [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per questo suo pungente intervento provocatorio e paradossale. Mao Valpiana e' il direttore di "Azione Nonviolenta", il mensile del Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini] Il Presidente del Consiglio in carica Berlusconi e l'ex Presidente del Consiglio D'Alema (l'uno espressione del centro-destra e l'altro espressione del centro-sinistra), hanno espresso, quasi in simultanea sintonia, la necessita' secondo loro di rivedere l'articolo 11 della Costituzione (quello che "ripudia" la guerra), perche' di ostacolo al ruolo che l'Italia, fedele alleata degli Stati Uniti e della Nato, deve svolgere nello scacchiere internazionale. Insomma le varie guerre "umanitarie", "preventive" e la "lotta senza quartiere al terrorismo internazionale", vanno fatte con le mani libere, senza lacci e lacciuoli di una Costituzione che e' figlia del suo tempo. Ora siamo in piena attuazione del Nuovo Modello di Difesa che ha come caposaldo la "difesa" degli interessi nazionali ovunque siano minacciati, in ogni parte del mondo; quindi il concetto di confini della patria non sta piu' in piedi. Molti autorevoli esponenti del movimento pacifista sono insorti. Hanno visto in tale richiesta di revisione costituzionale una minaccia di golpe, alla quale si puo' rispondere solo chiamando il 113 e facendo arrestare i golpisti. E se guardassimo la cosa da un altro punto di vista? Mi spiego. L'articolo 11 della Costituzione e' stato palesemente violato dal giorno stesso in cui venne approvato. Lo Stato ha dichiarato sulla Carta di voler rifiutare la guerra, ma non ha mai smesso di prepararla. Anno dopo anno si sono votati bilanci militari sempre piu' pesanti, si sono costruite armi sempre piu' micidiali, ci si e' dotati di un'industria bellica persino da esportazione, e si sono ospitate basi militari americane dotate addirittura di armi nucleari. L'esercito italiano e' stato organizzato ed addestrato non solo per la difesa, ma anche per l'attacco, con l'attiva partecipazione all'alleanza atlantica. Insomma, l'articolo 11 (uno dei piu' belli di tutte le Costituzioni del mondo, con l'uso di quel verbo assoluto "ripudiare") e' sempre stato inattuato. Una menzogna. L'Italia non ha mai ripudiato la guerra. E negli ultimi dieci anni, caduti tutti i tabu', la guerra e' stata esplicitata e attuata anche con voto formale del Parlamento. Dunque, abolire quell'articolo non sarebbe poi cosi' scandaloso. Potrebbe essere un modo per non lasciarlo abbandonato alla pura retorica, per non farlo cadere nel ridicolo, per non proseguire nella mistificazione. Non credo che nelle intenzioni di Berlusconi e D'Alema ci fosse un'esigenza di questo tipo, ma noi possiamo invece richiamarci al principio capitiniano della nonmenzogna. Abolire l'articolo 11 potrebbe essere un modo per avvicinare la parola alla realta'. Un tentativo di tutelare almeno la coerenza. Un piccolo passo verso una verita' spiacevole, una verita' che non avremmo mai voluto sentire, ma che ci si mostra in tutta la sua crudezza: "l'Italia prepara la guerra come risoluzione delle controversie internazionali". Se non siamo capaci, noi popolo italiano, di attuare l'articolo 11, davvero "meritiamo" che esso venga abolito. 5. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CHIAMARE GOLPE UN GOLPE La paradossale provocazione di Mao Valpiana, uno dei piu' rigorosi e costanti animatori della nonviolenza nel nostro paese, oltre che un amico carissimo tra i piu' cari, coglie nel segno. E' vero: l'articolo 11 della Costituzione e' stato calpestato infinite volte. Come infinite volte e' stato calpestato quell'antico principio che recita "Tu non uccidere". Non per questo quell'antico principio cessa di valere; non per questo quell'articolo 11 della Costituzione perde di valore; non per questo dobbiamo cessare di difenderlo, in nome della legge, della democrazia, dell'umanita'. Si tratta, dice bene Mao, di attuarlo. Ed e' compito nostro: nostro diritto e nostro dovere. E poiche' i nostri antichi studi giuridici ci hanno reso edotti che i primi dodici articoli della Costituzione in quanto "principi fondamentali" del nostro ordinamento giuridico sono immodificabili, a meno di un colpo di stato; allora coloro che nella cosiddetta costituzione materiale (cioe' nel concreto agire dei decisori politici) li hanno reiteratamente violati deliberando e avallando la partecipazione italiana a stragi mostruose, sono dei golpisti, colpevoli del reato di alto tradimento e di crimini di guerra e contro l'umanita', per chiamare le cose col loro nome, avendo essi giurato fedelta' alla Costituzione - che quei crimini ed orrori proibisce - nel momento in cui hanno assunto le rilevantissime e ben foraggiate cariche pubbliche che hanno occupato e occupano; e vanno pertanto perseguiti ai sensi di legge. Non vedo proprio perche' dobbiamo stare a discutere con dei criminali. Sarebbe come voler fare una tavola rotonda sull'omicidio considerato come una delle belle arti con la partecipazione straordinaria di Toto' Riina o Bin Laden. No, grazie. L'omicidio e' un crimine e gli assassini sono dei criminali. Se non si difende la Costituzione, se non ci si oppone ai golpisti, le tante belle parole sul "resistere" di cui tutti ci riempiamo la bocca restano appunto parole, e neppure piu' tanto belle perche' metamorfosate ipso facto in vacua retorica. E dunque: chiamiamo il 113 e facciamoli arrestare i messeri golpisti (se poi qualcuno di noi non vuole chiamare il 113, sia pure: ci sono anche i carabinieri). 6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: URUZGAN, UNA STRAGE AMERICANA [Giuliana Sgrena e' inviata a Kandahar del quotidiano "Il manifesto". Queso articolo e' apparso su quel quotidiano il 19 ottobre 2002. Giuliana Sgrena e' una prestigiosa giornalista e saggista, esperta di decisive questioni internazionali; tra le sue opere: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999] La provincia di Uruzgan e' una delle piu' impervie dell'Afghanistan, le sue montagne inaccessibili e l'inesistenza di strade degne di questo nome, che rendono avventurosi i viaggi anche in pieno deserto, qui costringono la popolazione a vivere pressoche' isolata dal resto del paese e dal mondo. Un luogo ideale per i militanti di al Qaeda e taleban che, numerosi, proprio tra queste montagne - che hanno visto i natali di diversi comandanti taleban e persino del mullah Omar - avrebbero trovato rifugio. Molti considerano la zona off limits e comunque noi non abbiamo trovato nessuno disposto ad accompagnarci. Ed e' proprio in uno di questi villaggi incastonati tra le montagne - a meno di 200 chilometri a nord di Kandahar - che si e' consumato uno dei massacri piu' raccappriccianti compiuti dagli americani durante la campagna antiterrorismo in Afghanistan. Un episodio inquietante su cui gli Stati Uniti sono riusciti a far calare il silenzio insabbiando anche le prove raccolte da una missione delle Nazioni Unite e imponendo la propria versione dei fatti con l'imbarazzata complicita' del governo Karzai. I fatti: nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio del 2002, durante un raid americano nella provincia di Uruzgan vennero colpiti con missili quattro villaggi, in uno, Kakarak, era in corso un banchetto di matrimonio, le vittime tra i commensali furono almeno 54, la maggior parte donne e bambini, compresi 25 membri della stessa famiglia. Oltre 120 i feriti. L'episodio aveva provocato la rabbia della popolazione che aveva sollecitato anche un intervento del governo, essendo le tribu' di questa provincia spesso in contrasto tra di loro ma tutte sostenitrici del presidente Karzai. Gli americani fin da subito avevano sostenuto di aver risposto ad un attacco da terra. In realta' si trattava di colpi di arma da fuoco con i quali i pashtun usano festeggiare i matrimoni e ricorrenze simili. Una missione delle Nazioni Unite, che si era recata sul posto tre giorni dopo, attraverso le testimonianze raccolte nel villaggio aveva potuto accertare che subito dopo il raid gli agenti americani erano arrivati sul luogo della strage e avevano "ripulito la zona", portando via "brandelli, proiettili e tracce di sangue". Le donne presenti erano state immobilizzate con le mani legate dietro la schiena mentre le prove del massacro venivano cancellate. Gli investigatori del Palazzo di vetro - gente "esperta e con buona reputazione" secondo le stesse fonti Onu - non avevano trovato armi e nemmeno prove a sostegno della tesi americana di spari diretti contro i loro velivoli. Questo rapporto, anticipato dal quotidiano britannico "The Times" il 29 agosto 2002, tuttavia non e' mai stato pubblicato. Allora, rappresentanti delle Nazioni Unite dissero che la relazione doveva essere completata perche' conteneva giudizi non ancora sufficientemente sostanziati e che si stava lavorando alla compilazione di un rapporto esaustivo per fornire ulteriori dettagli e un quadro accurato della situazione. Il documento, secondo le anticipazioni del quotidiano britannico, precisava che gli "accertamenti sul terreno avevano confermato l'estrema necessita' che simili incidenti non si ripetano, sia per una prospettiva umanitaria che politica". Inoltre chiedeva una "approfondita inchiesta per assicurare che queste tragedie non si debbano ripetere; e che la protezione della vita dei civili debba essere la prima preoccupazione nella lotta contro il terrorismo in Afghanistan". Ma "questa e' la guerra", sostiene Talatbeck Masadykov, consigliere politico dell'Unama (missione della Nazioni Unite in Afghanistan) a Kandahar, che ha partecipato alla missione Onu in Uruzgan - composta, precisa, di un convoglio di sedici macchine - dove gli americani stavano dando la caccia ad alcuni militanti di al Qaeda che, secondo alcuni loro informatori, si sarebbero trovati sul posto. "L'errore e' stato quello di non verificare le informazioni, in un luogo dove anche queste vengono usate nello scontro tra le varie tribu'". Il Pentagono ha sostenuto che le telecamere fissate sulle torrette dei cannoncini degli A 130 avevano registrato gli spari provenienti da terra, ma il filmato non e' mai stato mostrato. "Io penso che dagli aerei possano veramente essere stati tratti in inganno dagli spari tradizionali dei pashtun, ma altri componenti della missione erano di parere contrario, riferisce Tatalbek Masadykov. Io non appoggio l'attacco, ma questo fa parte della guerra ai taleban e sono solo gli americani a farla". E il rapporto definitivo della missione Onu? "Chiedetelo a Kabul", risponde. Sono passati oltre due mesi ma il rapporto non ha mai visto la luce. Perche'? "Per non interferire nell'inchiesta avviata dagli americani e dal governo afghano. La missione dell'Onu non era diretta a stabilire le responsabilita', ma semplicemente ad accertare cosa era accaduto per verificare le necessita' della popolazione colpita", ci risponde Goran Fejic, primo consigliere per i diritti umani dell'Unama a Kabul. Una risposta diplomatica, ma vista la conclusione raggiunta dall'inchiesta degli americani - e' stata la risposta ad un attacco da terra, mentre e' stata scartata persino la possibilita' di un errore - e' chiaro che quella delle Nazioni Unite doveva essere insabbiata. Il presidente Karzai - imbarazzato visto che ad essere colpiti sono suoi sostenitori - subito dopo la pubblicazione delle indiscrezioni sul rapporto dell'Onu aveva sposato una delle tesi avanzate dagli americani in un primo tempo, quella di "uno sfortunato incidente causato da errori e disinformazione". La stessa usata in molti altri casi in cui si sono registrate numerose vittime civili. I cosiddetti "danni collaterali" che stanno provocando tra gli afghani una forte e crescente ostilita' nei confronti degli americani. Migliaia di vittime civili: circa 6.000 secondo la Bbc, mentre il giornale afghano "Kabul times", nell'edizione pubblicata nell'anniversario dell'inizio della guerra, il 7 ottobre, parlava di 1.200. Comunque troppi. "Un prezzo alto", anche secondo l'editorialista del giornale afghano, comunque favorevole all'intervento. Intanto la guerra di Enduring Freedom continua e fra qualche mese vi parteciperanno anche gli alpini italiani; finora l'Italia ha partecipato alle operazioni antiterrorismo dal cielo, con l'aeronautica. Bombe, missili e soprusi. Per dare la caccia ai terroristi, nel sud dell'Afghanistan, gli agenti delle forze speciali Usa entrano nelle case alla ricerca di armi e per scovarle rompono suppellettili e maltrattano gli abitanti, li insultano, li picchiano. Se non trovano armi scatenano la loro rabbia rompendo tutto quello che capita loro sotto le mani, o meglio sotto il calcio del fucile. Non risparmiano nemmeno le donne. La foto di un militare americano che perquisisce una donna afghana, pubblicata su un giornale pakistano, ha fatto scalpore. Anche se le donne sotto il burqa possono nascondere delle armi - e non sarebbe la prima volta che il velo serve anche a coprire fucili e bombe - gli americani non tenendo in nessun conto le tradizioni locali rischiano di trovarsi tutta la popolazione contro. E in buona parte lo e' gia'. 7. INCONTRI. SETTIMA ASSEMBLEA NAZIONALE DEGLI ENTI LOCALI E DELLE REGIONI PER LA PACE [Riceviamo e diffondiamo] Settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace a Napoli, 24-25 ottobre 2002. Si apre a Napoli giovedi' 24 ottobre, giornata mondiale delle Nazioni Unite, la settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace intitolata "Citta': strumenti di pace. L'impegno dei Comuni, delle Province e delle Regioni per un mondo migliore". Mentre soffiano i venti di guerra e vengono evocati scenari inquietanti destinati ad accrescere la violenza e il disordine internazionale, centinaia di sindaci, presidenti e consiglieri - eredi del grande sindaco di Firenze Giorgio La Pira - si riuniranno a Napoli per riflettere sulle proprie responsabilita'. Cosa possono fare le citta' per la pace? Chiacchiere o fatti concreti? In che modo i Comuni, le Province e le Regioni possono diventare "strumenti di pace"? Con quali politiche? Con quali programmi? Con quali "azioni positive"? L'Assemblea, che si svolge presso Castel dell'Ovo, avra' inizio alle ore 9.30 di giovedi' 24 ottobre. Tra gli interventi previsti quelli di: Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli, Amato Lamberti, presidente della Provincia di Napoli, Antonio Bassolino, presidente della Regione Campania, Giulio Cozzari, presidente del Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace, prof. Antonio Papisca, direttore del Master Europeo in Diritti Umani e Democratizzazione, dott. Jean Fabre, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, Nemer Hammad, ambasciatore palestinese in Italia. L'Assemblea e' promossa dal Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace, dalla Regione Campania, dalla Provincia e dal Comune di Napoli. Il Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace, con i suoi attuali 337 enti aderenti, la sua storia e il suo bagaglio di competenze, rappresenta una esperienza unica in Europa: la piu' vasta rete tematica nazionale di amministrazioni locali e regionali impegnate nella promozione della pace e dei diritti umani. Per informazioni: tel. 3479117177 - 3288347853. 8. INCONTRI. UN SEMINARIO CONTRO LA TORTURA [Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dell'ICS (Consorzio Italiano di Solidarieta'); per ulteriori informazioni contattare la segreteria organizzativa del seminario indicata al termine del testo] I giorni 25, 26 e 27 ottobre si terra' a Parma un seminario di formazione per operatori sanitari e sociali impegnati nella riabilitazione delle vittime di tortura. Il seminario si inserisce nelle attivita' realizzate dal progetto nazionale "Rete italiana per il supporto e la riabilitazione delle vittime di tortura". Il seminario ha l'obiettivo di creare una rete di competenze (su diversi piani: clinico, sociale e legale) diffuse in tutto il territorio italiano, che permetta di favorire l'inserimento sociale delle persone che abbiano subito tortura, garantendo una riabilitazione basata sull'acquisizione dei diritti di cittadinanza e autonomia sociale. E' ben noto che una parte considerevole dei richiedenti asilo e dei rifugiati accolti nelle diverse comunita' di accoglienza sono stati vittime di tortura o di trattamenti disumani e degradanti. Tali esperienze incidono profondamente sul vissuto delle persone che le hanno subite e sui loro rapporti con il nuovo contesto di accoglienza. Evidenti sono anche le dirette implicazioni di carattere giuridico, legate all'importanza della "elaborazione" delle drammatiche esperienze subite in sede di esame di merito dell'istanza di asilo. Il rapporto con le vittime di tortura pone ai programmi di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati la necessita' di sviluppare delle competenze specifiche per affrontare temi delicatissimi. In questa prospettiva si inserisce questo progetto di formazione. Il seminario di formazione di Parma e' aperto e gratuito. In primo luogo esso, per i suoi contenuti specialistici, si rivolge agli operatori sanitari (medici, psicologici etc.) e sociali con esperienza o che intendano impegnarsi in questo ambito. La partecipazione al Seminario di operatori provenienti dall'intera rete dei progetti territoriali di accoglienza e tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati costituirebbe un elemento di grande rilevanza al fine di realizzare quella diffusione di competenze (e anche di confronto delle esperienze) che e' l'obiettivo specifico del progetto. Si fa presente fin d'ora che e' intenzione dell'ICS organizzare un seminario di formazione dai contenuti e obiettivi affini a quello di Parma, a Bari (localita' da confermare) all'inizio del 2003 al fine di favorire la partecipazione dei dei progetti operanti nel Sud Italia. Segreteria organizzativa presso il CIAC (Centro Immigrazione-Asilo-Cooperazione) di Parma tel. 0521201914 - 503440, fax: 0521507529, e-mail: eafrossi at yahoo.it 9. MATERIALI. RESOCONTO DELL'INCONTRO DI EDUCAZIONE ALLA PACE SVOLTOSI A TUSCANIA Si e' svolto ieri, 23 ottobre 2002, il primo incontro del corso di educazione alla pace per l'anno scolastico 2002-2003 presso il liceo scientifico di Tuscania (in provincia di Viterbo). L'incontro aveva per tema: "La dignita' umana, la comunicazione, il conflitto". Esso si e' articolato nei seguenti punti. 1. Riflessione collegiale sulla dignita' umana. Sono emerse alcune definizioni che sono state oggetto di approfondita meditazione: cosa sia il rispetto (e come il rispetto di se' e degli altri si implichino reciprocamente); il ruolo dell'amore nelle relazioni umane - e si sono esaminati i concetti espressi dai termini greci di philia, eros e agape -; la capacita' di ogni essere umano di comprendere; il ripudio della lesione fisica e psicologica. 2. Analisi sistemica della comunicazione. In particolare si sono evidenziati: a) gli elementi fondamentali dell'interazione comunicativa: messaggio, emittente, ricevente, canale, codice; b) l'interazione; c) la compresenza nel messaggio di contenuto e relazione; d) la comunicazione non verbale (posture, gesti, espressioni del volto) e verbale; e) la comunicazione verbale orale e scritta (e le differenze tra le due). 3. Analisi dei concetti di potere e di conflitto. In particolare si e' approfondita l'analisi che la riflessione nonviolenta fa del potere oppressivo come caratterizzato dalla compresenza di forza e consenso, cosicche' per opporsi anche al potere piu' oppressivo fondamentale e' la negazione del consenso. 4. Studio di casi. Primo: la scena II dell'atto III del Don Giovanni di Moliere. Dopo una breve ricostruzione della figura di Don Giovanni nelle sue molte versioni, da Tirso de Molina a Da Ponte-Mozart (fino al film di Losey), ed aver presentato alcuni cenni su Moliere e la sua opera, si e' letta e commentata la terribile e profondissima scena II dell'atto III in cui vi e' il dialogo tra don Giovanni, il suo servitore (che nella versione di Moliere si chiama Sganarello) e un povero affamato; la scena culmina nella proposta di don Giovanni di dare al povero una moneta d'oro se costui accettera' di bestemmiare; la lapidaria risposta conclusiva del povero ("No, signore. Preferisco morire di fame") perfora persino il cinismo di don Giovanni che accetta di donargli la moneta senza condizioni "per l'amore dell'umanita'". Il coordinatore dell'incontro ha guidato il commento battuta per battuta dell'intera scena, di una ricchezza concettuale straordinaria. 5. Studio di casi. Secondo: il colloquio tra Iago e Otello al centro della scena III dell'atto III dell'Otello di Shakespeare. Anche in questo caso e' stata dapprima narrata la trama dell'immortale tragedia, si sono date alcune informazioni essenziali sul teatro shakespeareano, e si e' fatto cenno tra l'altro alla straordinaria opera cinematografica di Orson Welles (di cui alcune sequenze sono state girate proprio a Tuscania). Si e' poi proceduto alla lettura del lungo dialogo, commentandolo e discutendolo battuta per battuta. Anche qui si e' evidenziata la straordinaria ricchezza e densita' dei contenuti e delle dinamiche del testo. 6. Si e' poi svolta una conversazione libera su temi relazionali ed esperienze esistenziali con particolar riferimento alla riflessione di Gregory Bateson e della scuola di Palo Alto: al termine della conversazione che ha toccato temi relativi ai conflitti nella famiglia, all'oppressione della donna e al disagio giovanile, si e' convenuto sulla necessita' di un impegno di tutti affinche' nessuna persona in difficolta' venga lasciata sola. Concluse le tre ore dell'incontro, ci si e' aggiornati all'incontro di mercoledi prossimo. Il tema del secondo incontro sara': "La violenza contro l'umanita'". 10. RILETTURE. ROBERT JUNGK. GLI APPRENDISTI STREGONI Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982, pp. 382. Il grande, indimenticabile studioso ecopacifista ricostruisce la "storia degli scienziati atomici" e i radicali, inquietanti, drammatici problemi aperti dall'eta' atomica. 11. RILETTURE. ELENA LAMBERTI. MARSHALL McLUHAN Elena Lamberti, Marshall McLuhan, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 208, euro 11,36. Una preziosa monografia sul grande intellettuale. 12. RILETTURE. RANIERO LA VALLE, LINDA BIMBI: MARIANELLA E I SUOI FRATELLI Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 224. La storia di Marianella Garcia, martire nonviolenta salvadoregna. Un libro che sarebbe assai utile ristampare. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 394 del 24 ottobre 2002
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