La nonviolenza e' in cammino. 394



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 394 del 24 ottobre 2002

Sommario di questo numero:
1. Un appello contro gli assassinii di ragazze e ragazzi di strada in
Guatemala
2. L'attrito del generale
3. Guido Viale, l'auto che tramonta
4. Mao Valpiana, una provocazione e un paradosso
5. Peppe Sini, chiamare golpe un golpe
6. Giuliana Sgrena: Uruzgan, una strage americana
7. Settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace
8. Un seminario contro la tortura
9. Resoconto dell'incontro di educazione alla pace svoltosi aTuscania
10. Riletture: Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni
11. Riletture: Elena Lamberti, Marshall McLuhan
12. Riletture: Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. APPELLI. UN APPELLO CONTRO GLI ASSASSINII DI RAGAZZE E RAGAZZI DI STRADA
IN GUATEMALA
[Dall'Associazione internazionale in difesa dei diritti delle ragazze e dei
ragazzi di strada (per contatti: dirragazze at tin.it) riceviamo e
pubblichiamo; il Centro di ricerca per la pace di Viterbo e la redazione de
"La nonviolenza e' in cammino" aderiscono a questo appello e invitano tutti
i lettori ad aderire ed a farlo circolare ulteriormente]
Associazione internazionale in difesa dei diritti delle ragazze e dei
ragazzi di strada, c/o Terra Nuova, via Urbana 156, 00184 ROMA, tel.
06485534, fax 064747599, e-mail: dirragazze at tin.it. Comitato
dell'Associazione: Gerard Lutte, Bruno Bellerate, Françoise Boucau, Paolo
Cento, Marlon Brenes, Nydia De Franco, Carles Feixa Pampols, Salvatore
Gentile, Giulio Girardi, Nora Habed, François Houtart, Jacques Liesenborghs,
Paul Lottefier, Remo Marcone, Vidaluz Meneses, Iole Miele, Michele Najlis,
Jorge Navas, Ezio Ponzo, Domenico Sarra, Luis Sepulveda, Andre Stuer, Andre'
Wenkin. Segretaria: Lucia Bruscuglia.
*
Care  amiche e amici,
vi chiediamo di mandare agli indirizzi elettronici che seguono una protesta
contro le gravi violazioni dei diritti umani delle ragazze e ragazzi di
strada del Guatemala.
Negli anni passati, la nostra Associazione e' gia' intervenuta varie volte
contro le gravi violazioni dei diritti delle ragazze e ragazzi di strada in
Guatemala, perpetrate da agenti della polizia nazionale, da universitari
incappucciati o da sette religiose come "Sendas Nuevas".
Purtroppo questa situazione non e' migliorata quest'anno. Non solo il
governo non ha preso misure per proteggere i diritti delle ragazze e ragazzi
di strada, dei quali si occupano solo associazioni private, spesso con
sovvenzioni dell'Unione Europea, ma non sono cessate le aggressioni, gli
assassinii di cui rimangono vittime i giovani della strada.
Ora, nella maggiore parte dei casi, gli autori di questi delitti sono
sconosciuti e sono presentati come "delinquenti comuni", come si era tentato
di fare credere quando Mirna Mack e il vescovo Gerardi furono assassinati.
- Il 14 febbraio 2002, alle 15,05, nella tredicesima calle della zona 1
della capitale, tre ragazze della strada erano sedute e a parlare quando si
avvicino' una macchina. Loro pensavano che era per chiedere loro
un'informazione, ma gli occupanti della macchina cominciarono a sparare
contro di loro con delle pistole. Amalia Alejandra Ipala di 19 anni fece da
scudo  alle sue compagne e fu ferita da due perforazioni agli intestini.
- Il 5 luglio, Rudi Leonel Villanueva di 25 anni fu ucciso da arma da fuoco.
- Il 22 luglio, sconosciuti spararono contro un gruppo di giovani della
strada nelle vicinanze della linea ferroviaria della Zona 8, uccidendo
Roberto Francisco Lopez Gomez e Luis Armando Linares Salas, tutti e due di
16 anni. Altri due giovani furono feriti.
_ I1 30 luglio, nello stesso luogo, i soliti ignoti massacrarono,
spaccandole la testa a colpi di pietra, Alejandra Paola Palma di 16 anni,
mentre dormiva; mori' lo stesso giorno nell'ospedale generale.
- Il 13 ottobre alle cinque del mattino, un gruppo di giovani, armati di
spranghe di ferro e comandati da una trafficante di droghe, fece irruzione
in una casa abbandonata della tredicesima strada della zona 1 dove dormivano
alcuni giovani di strada. Fredy Antonio Collan Aros di 16 anni, Juan Pablo
Yupe di19 anni e Juan Jose' Ramirez Mazariegos di 21 anni, che cercavano di
difendere le ragazze della casa furono gravemente feriti. Non riuscirono a
impedire  che due ragazze, J. B. T. di 17 anni e J. J. F. di 16 anni,
fossero selvaggiamente stuprate da quattro aggressori di fronte alla figlia
tredicenne che la madre aveva invitata come spettatrice di questo atto.
- Il 14 ottobre, tra l'una e le due della notte, in una casa abbandonata
della zona 4, sconosciuti spararono contro due ragazze e quattro ragazzi di
strada: Sandra Veronica Guamuch Torres, di 17 anni, incinta di quattro mesi;
Nery Rolando Recinos, 16 anni; Manuel Isaias Aj Naj, 15 anni, e Jackelyn
Yhajaira Franco Barrera, 15 anni, Emilio Sanay, di 26 anni, e Henry Geovany
Alvarez Jimenez, 19 anni, rimasero feriti. Furono attaccati, mentre
dormivano, da uomini in macchina ed in motocicletta.
Questi atti di barbarie, sempre piu' frequenti, potrebbero iscriversi in una
strategia di "pulizia sociale", che abbiamo gia' denunciato in passato.
Chiediamo quindi al Parlamento Europeo di condizionare gli aiuti al
Guatemala al rispetto dei diritti delle ragazze e ragazzi di strada.
Chiediamo inoltre al Presidente del Guatemala, Alfonso Portillo, al
Procuratore della Nazione, alla Commissione Presidenziale dei Diritti Umani,
di esigere dal Governo del Guatemala, dal capo della polizia nazionale, dai
Ministri degli Interni e della Giustizia, dai giudici competenti, la
punizione degli autori di questi delitti ed una maggiore attenzione alla
vita, alla dignita' e a tutti gli altri diritti delle ragazze e ragazzi di
strada.
*
Vi chiediamo di aiutarci a diffondere questo comunicato e di mandare agli
indirizzi sotto indicati il seguente messaggio:
Al Presidente de Guatemala, al Procurador General de la Nacion, a la
Comision Presidencial de los Derechos Humanos.
En los años pasados, fueron denunciadas varias veces violaciones graves de
los derechos de las muchachas y muchachos de la calle por parte de la
policia nacional, de estudiantes universtarios encapuchados o de sectas
religiosas como "Sendas Nuevas".
Lamentablemente la situacion no ha mejorado: en este año: siguen las
agresiones y asesinos de jovenes de la calle por parte de "desconocidos"
presentados como "delincuentes comunes".
Por eso, a traves de nuestros parlamentarios europeos, pedimos a la Comision
Europea, de condicionar la ayuda a Guatemala en el respeto de los derechos
humanos de las muchachas y muchachos de la calle.
Pedimos al Presidente de Guatemala, al Procurador General de la Nacion y a
la Comision Presidencial de Derechos Humanos de exigir al Gobierno de
Guatemala, al jefe de la policia nacional, a los ministros de Gobernacion y
de Justicia, a los jueces responsables, que sean castigados los autores de
esos graves delitos y que se preste mayor atencion a la vida, a la dignidad
y a todos los derechos humanos de las muchachas y muchachos de la calle, la
parte mas desprotegida y humillada del pueblo guatemalteco.
Firmare ed inviare ai seguenti indirizzi di posta elettronica: Procuradura
General de la Nacion, pgndespacho at guate.net, Comision Presidencial Derechos
Humanos, sonia_alvarez at copredeh.gob.gt, Presidente de Guatemala,
presidenteportillo at gob.gt, e per opportuno riscontro a: dirragazze at tin.it e
a quetzalitas at tin.it

2. FRASI COLTE AL VOLO. L'ATTRITO DEL GENERALE
Il generale presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati
nel chiedere piu' quattrini per gli aspiranti uccisori in divisa e
stellette, e nel definire en passant il punto di vista di chi difende la
legalita' costituzionale (quella Costituzione alla quale il generale
dovrebbe pur aver giurato fedelta') come "mentalita' stupidamente
pacifista", ha dichiarato, riferisce l'agenzia di stampa Asca in una nota
del 22 ottobre che ''se domani dovessimo partecipare ad un'azione con un
piu' alto attrito noi non saremmo onestamente in condizione''.
Con l'algido eufemismo "attrito" intende forse quelle azioni chiamate di
guerra in cui esseri umani innocenti vengono assassinati a mucchi?
Interessante eufemismo. Da fare il paio con altri non meno eleganti:
"effetti collaterali" o "soluzione finale", per esempio.

3. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: L'AUTO CHE TRAMONTA
[Questo articolo e' apparso in due puntate sul quotidiano "Il manifesto" del
16 e del 17 ottobre 2002. Guido Viale e' nato nel 1943, e' stato uno dei
leader della protesta studentesca nel '68, lavora a Milano. E' membro del
Comitato tecnico-scientifico dell'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'
Ambiente (ANPA). Opere di Guido Viale: segnaliamo particolarmente Un mondo
usa e getta, Tutti in taxi, entrambi presso Feltrinelli; e Governare i
rifiuti, presso Bollati Boringhieri]
Quello che manca nell'attuale dibattito sulla crisi della Fiat e' un
approccio storico al fenomeno auto, che non e' una realta' eterna, ma ha
avuto un inizio e puo' avere - o sta avendo - una fine. Cento anni fa
l'invenzione del motore a combustione interna (propulsore e combustibile di
peso e dimensioni ridotte, tali da poter essere montati sullo chassis di una
carrozza, cosa impossibile con la macchina a vapore) ha dato l'avvio alla
progressiva sostituzione dei cavalli, dei carri e delle carrozze con i
veicoli motorizzati nei percorsi urbani e in quelli extraurbani secondari
(cioe' non serviti dalla ferrovia). Questo processo si e' sviluppato nel
corso di trenta anni negli Stati Uniti, di cinquanta in Europa, e di cento
nel resto del mondo (tanto che in alcuni di questi paesi e' ancora in
corso). I vantaggi erano indubbi: le automobili non sporcano la strada e
richiedono meno manutenzione e sono piu' veloci di un essere vivente. Prima
dell'auto c'erano gia' tecnologia, mestiere - cioe' professionalita' - e una
quota non irrilevante di business e di occupazione anche nella costruzione
di carri e carrozze, tanto che la nascente industria automobilistica era
partita appropriandosi di alcune innovazioni sviluppate in quel campo:
telai, balestre, soffietti, ecc. Ma nessuno, mano a mano che l'automobile si
faceva strada, innanzitutto nel trasporto urbano di lusso e di merci e nella
mobilita' rurale, ha mai pensato di sostenere il traino animale con
incentivi e politiche ad hoc.
La conquista del settore della mobilita' urbana di massa, e non solo piu' di
elite, da parte dell'auto negli Stati Uniti - anni '20 e '30 - e' invece
un'altra storia. A quell'epoca il trasporto pubblico di massa si era gia'
diffuso grazie a tram e metropolitane che viaggiavano su rotaie e
sfruttavano la propulsione elettrica, due soluzioni che hanno entrambe
bisogno di un tracciato fisso. Per scalzarle a favore delle motorizzazione
privata, la grande industria statunitense dell'automobile aveva comprato a
una a una le societa' private - o, piu' spesso, municipali - che gestivano
il trasporto pubblico locale e poi le aveva chiuse. Chi voleva muoversi
doveva comprarsi un'auto. In Italia lo smantellamento dei binari dei tram e'
continuato fino alla fine degli anni '70. Poi ci si e' accorti che era un
errore.
L'auto come veicolo pressoche' esclusivo della mobilita' interurbana e'
stata invece imposta negli anni '50 con un la costruzione di una rete
nazionale di autostrade, ricalcata su quella costruita in Germania negli
anni '30, che sono rimaste i modelli insuperati di tutti i successivi
programmi di lavori pubblici (governo Berlusconi e legge-obiettivo compresi)
a livello mondiale.
Con l'imposizione dell'auto come soluzione privilegiata di mobilita', si
sono andate affermando anche le principali caratteristiche dell'epoca in cui
viviamo: individualismo (e solitudine): l'importante e' potersi spostare
quando, dove e con chi si vuole e per il resto si sta chiusi in casa, in
ufficio o in fabbrica, dato che strade, piazze, giardini, marciapiedi e
cortili sono stati sottratti agli umani per consegnarli alle auto;
consumismo: nonostante tutte le innovazioni, l'auto resta l'archetipo
incontrastato dei consumi nelle societa' "opulente" (a cui si sacrifica
spesso la parte piu' rilevante del proprio reddito), e la principale
aspirazione in tutte quelle che non lo sono; sprawl urbano, cioe' "citta'
diffusa": le citta' hanno cessato di addensarsi intorno agli edifici che ne
esprimevano le funzioni fondamentali, o di allinearsi lungo gli assi radiali
definiti dai tracciati del trasporto pubblico (tram e metropolitane) per
sparpagliarsi - insieme al sistema industriale (i famosi distretti) su tutto
il territorio, azzerando la storica differenza tra campagna e citta'.
Tra i lasciti dell'auto alla nostra epoca ci sono anche i cambiamenti
climatici (i trasporti - in gran parte su gomma - sono responsabili del 40
per cento circa dell'effetto serra) e, da ultimo, le guerre: quella del
Golfo, quella in Afghanistan (pianificata ben prima dell'11 settembre),
quella in Cecenia e la prossima ventura in Iraq - ma anche gran parte del
conflitto arabo israeliano, per lo meno dal 1973 - non hanno altra ragione
che la sete di petrolio del parco-macchine dell'Occidente.
L'auto ha stravinto, ma e' da tempo soffocata dal suo stesso successo:
continua a invadere tutto il territorio disponibile, ma ogni auto in piu'
non fa che sottrarre "spazio vitale" a tutte le altre; scarica impunemente i
propri miasmi in atmosfera, ma il cielo, che per gli antichi era una sfera
di cristallo e da Copernico in poi uno spazio infinito, si e' dimostrato
incapace di contenerli tutti. Inoltre l'auto non offre piu' niente di quello
che aveva promesso: la liberta' di andare dove si vuole si e' trasformata
nella clausura dell'imbottigliamento; la liberta' di partire quando si vuole
nella rigida programmazione degli spostamenti per evitare le ore di punta;
l'indipendenza dai tracciati rigidi del trasporto pubblico nella costrizione
dei sensi unici, delle zone vietate o a traffico limitato, nei percorsi che
si avvitano su se stessi per scoraggiare l'afflusso; la produttivita'
garantita dalla velocita', nella lentezza della regolamentazione semaforica,
delle code, della quotidiana ricerca di varchi e di parcheggi.
Il fatto e' che la modalita' di trasporto fondata sull'automobile richiede
che ciascuno abbia sempre e ovunque un'auto a propria disposizione e la
soluzione adottata per raggiungere questo obiettivo e' consistita
nell'obbligare ciascuno di noi - di quelli di noi che possono
permetterselo - a comprarne una. Con la conseguenza che tutte quelle auto
non stanno piu' negli spazi a loro disposizione; e non ci staranno piu' per
quanti sforzi facciamo per accrescerli, anche a spese del paesaggio, del
retaggio monumentale, degli equilibri ambientali, della socialita', della
salute. E ci staranno ancora meno se il modello di mobilita' occidentale
(un'auto ogni due persone) si diffondesse in tutto il resto del mondo, che
e' la strategia oggi perseguita da tutte le case automobilistiche, Fiat
compresa.
Questa strategia, in cui tutti noi siamo coinvolti dai nostri comportamenti
quotidiani, ha le caratteristiche di una corsa di lemmings verso il suicidio
collettivo. C'e' un parallelismo stretto tra l'ostinazione con cui tutte le
mattine ci "mettiamo in macchina" per andare incontro a un sicuro ingorgo,
da cui non sappiamo neanche se usciremo in tempo - perchz" questo e' l'unico
modo che conosciamo o abbiamo a disposizione per spostarci - e l'ostinazione
con cui le case automobilistiche continuano a riproporre tutti gli anni lo
stesso prodotto (con varianti sempre piu' insignificanti) perche' e'
diventato una droga per l'economia e nessuno sa proporre un'altra strada per
sostenere occupazione e sviluppo. Queste due pazzie sono accomunate da una
terza: l'ostinazione con cui continuiamo ad accrescere con i nostri
comportamenti l'effetto serra, nonostante che sia ormai chiaro a tutti che
cio' si sta trasformando sotto i nostri occhi in una catastrofe.
E' difficile pensare che tutto cio' dipenda solo dalla mancanza di una
politica industriale - o da una errata politica industriale - del governo,
dopo che per decenni nell'industria automobilistica e in quelle connesse del
petrolio, dei pneumatici e dell'asfalto e' stato pompato il meglio delle
risorse del paese: non solo dalla parte dell'offerta, con regalie di ogni
genere ai produttori, ma sempre piu', mano a mano che queste non bastavano
piu', anche dalla parte della domanda, incentivando il consumatore a
cambiare auto o a comprarne una in piu'.
La crisi attuale dipende proprio dalle politiche industriali che sono state
messe in atto in passato, con un crescendo continuo mano a mano che ci
avviciniamo ai giorni nostri: e non solo in Italia, ma in tutto il mondo,
come ci fa notare anche Marcello De Cecco su "la Repubblica" di domenica 13
ottobre, puntando il dito sugli incentivi "privati" (finanziamento delle
vendite a rate a tassi irrisori) con cui l'industria auto di tutto il mondo
e' stata sostenuta nel corso degli ultimi anni. Se in Italia i nodi sono
arrivati al pettine prima che in altri paesi industriali, e' stupido
attribuirne la causa alla stupidita' della dirigenza Fiat, che non avrebbe
investito abbastanza in "nuovi modelli".
Viene da dire: meno male che non lo ha fatto, gettando nel pozzo senza fondo
di una causa persa una quantita' doppia di risorse, che in una maniera o
nell'altra avrebbero dovuto essere fornite dallo stato, o che sarebbero
comunque state sottratte ad altre destinazioni. C'e' qualcuno che pensa
davvero che la Fiat avrebbe potuto evitare di incappare nelle maglie della
crisi che l'industria automobilistica attraversa a livello mondiale con
modelli piu' "seducenti", un po' piu' di elettronica costipata sotto il
cruscotto, un motore un po' piu' pulito - in attesa dell'idrogeno: cioe'
Aspettando Godot - o magari un'alleanza piu' stretta con un colosso
multinazionale? D'altronde quella c'e' gia'; ma c'e' da piangere a pensare
che qualcuno aspetta di li' una soluzione alla crisi.
La crisi e' arrivata in Italia prima che altrove perche' in Italia sono
arrivati prima al pettine i nodi della saturazione del mercato: innanzitutto
il backlash, cioe' il contraccolpo, degli incentivi espliciti o nascosti
forniti alla Fiat dalle politiche economiche (protezionismo, autostrade,
contributi a fondo perduto, incentivi alla rottamazione, credito a go-go);
tanto che i padroni della Fiat hanno potuto costruirsi un impero finanziario
in altri settori, anche se l'automobile e' l'unico settore industriale
rimasto al paese. Ma era l'unico anche in passato, perche' siderurgia,
costruzioni, macchine utensili, gomma, e persino l'informatica, finche'
avevano un peso, non ne erano che appendici e avevano nell'industria
automobilistica il loro home bread market. Poi i problemi connessi alla
densita' automobilistica d'Italia, la piu' alta del mondo sulla base sia dei
veicoli per abitante, che dei veicoli per chilometro di strada - e le strade
non sono certo poche. Infine, i problemi connessi all'incidenza
dell'automobile sui consumi privati e sulla spesa pubblica, se ci fossero
statistiche affidabili.
Ma, soprattutto, in Italia e' arrivata al suo culmine la schizofrenia delle
politiche pubbliche sull'auto: da una lato una promozione senza ritegno
delle vendite - con tutte le salmerie al loro servizio: pubblicita' e
spettacolo, ma anche urbanistica, analisi sociale, educazione, critica del
costume, ecc. - accompagnate, per non "irritare" l'automobilista-elettore,
dal lassismo piu' bieco nell'osservanza delle regole: sicurezza, sosta e
parcheggio, rumore, velocita', standard di produzione, gestione della
rottamazione e del recupero, tutela dei centri storici e del paesaggio, ecc.
Dall'altro una politica sempre piu' improvvisata, raccogliticcia, priva di
respiro, per far fronte alle emergenze che l'invadenza dell'auto sta
accumulando a ritmi sempre piu' rapidi: targhe alterne, Ztl (Zone a Traffico
Limitato) improvvisate e prive di controlli, blocchi del traffico e della
distribuzione delle merci, regolamentazione del parcheggio senza
programmazione, miliardi spesi per far posto, sottoterra, a poche centinaia
di auto, quando quelle che bisognerebbe togliere dalla strada sono centinaia
di migliaia. Non parliamo dei sottopassi e cavalcavia urbani che devastano
interi quartieri nella speranza di sciogliere ingorghi che improvvisamente -
se e quando l'opera viene conclusa - si riformano uguali a poche centinaia
di metri di distanza. Qualcuno si e' mai chiesto quanto possono essere
affidabili amministrazioni che si imbarcano in politiche del genere? E
quanto ha pesato l'impasse generata da questa crisi epocale dell'auto -
l'incapacita' di trovare una qualunque soluzione praticabile ai problemi del
traffico - sulla credibilita' di politici ridotti al ruolo del grande vigile
urbano.
Questa "strategia" - una vera e propria non-scelta - ha impedito finora alla
maggior parte di noi di vedere (come ne La lettera rubata di Poe) cio' che
invece e' macroscopicamente davanti ai nostri occhi: e cioe' che da almeno
dieci anni ha fatto il suo ingresso nel mondo una nuova tecnologia che rende
il possesso dell'auto individuale obsoleto e superfluo, com'erano diventati
obsoleti e superflui carri e carrozze mano a mano che progrediva la
tecnologia del motore a scoppio e tutti gli sforzi per tenere in vita un
sistema cosi' antiquato sono condannati alla sconfitta, come lo era il
sistema del traino animale. Questa tecnologia, inutile dirlo, perche' in
realta' lo sappiamo tutti, e l'interconnessione in rete wireless, senza
fili.
L'elettronica e' una risorsa di governo dei sistemi, e il sistema da
governare non e' il singolo veicolo, che l'industria automobilistica sta
imbottendo sempre piu' di gadget per cercare di renderlo piu' sicuro, piu'
attraente, piu' comodo; bensi' l'insieme della mobilita'. Ci troviamo ormai
di fronte a fenomeni grotteschi, come gli studi - in cui vengono dilapidati
miliardi di dollari - per introdurre nelle auto - e nelle autostrade -
sistemi elettronici di guida automatica dei veicoli: per metterli tutti in
fila, a velocita' costante, lungo un tracciato predefinito, ciascuno con il
suo bel motore che consuma energia e scarica inquinanti, esautorando
completamente il ruolo dell'autista. Ma allora, non era meglio il treno? E'
forse con ricerche di questo tipo che si vorrebbe salvare la Fiat? Ed e' per
fare questo tipo di ricerca che a Torino e' stato aperto - il momento non
poteva essere peggiore - un corso di laurea in ingegneria dell'automobile?
Lo sviluppo della rete apre le porte, nel settore della mobilita' di
passeggeri e merci, come in molti altri campi, al trapasso dall'economia del
possesso all'economia dell'accesso. La rete rende superfluo disporre di
un'auto personale per andare dove si vuole, quando si vuole e con chi si
vuole; e permette di disporre di un'auto - di qualsiasi tipo di auto: con o
senza autista, da soli o in forma condivisa, e di qualsiasi tipo e modello,
a seconda dell'uso che se ne vuol fare - o di un equivalente mezzo di
trasporto, in qualsiasi momento e in qualsiasi punto di qualsiasi citta'
occidentale, per tutto il tempo in cui la si usa, permettendo ad altri di
fare altrettanto. Ma senza abbandonare un veicolo inutilizzato per una media
di 22 ore al giorno a ingombrare la strada - rallentando gli spostamenti di
chi effettivamente si muove - e a incidere pesantemente sui nostri bilanci
personali, su quelli delle amministrazioni cittadine e dello stato, e sullo
stato dell'ambiente.
Questi sistemi si chiamano - in gergo - Drts (Demand Responsive Transport
System, cioe' trasporto a domanda), ovvero trasporto pubblico flessibile,
taxibus, taxi collettivo, car sharing, car pooling (oltreche', beninteso,
trasporto pubblico di massa su linee urbane di forza e sulle tratte
interurbane, bicicletta e un piu' intenso uso dei piedi) e possono costare
meno sia a noi che all'erario, sia a chi gestisce i sistemi di mobilita' o
le infrastrutture di trasporto che a chi ne subisce impatti e conseguenze
non sempre piacevoli. Qualsiasi risorsa destinata a potenziare questi
sistemi e' un investimento sul futuro. Qualsiasi risorsa gettata nel
miglioramento qualitativo dei veicoli attuali o nella cosiddetta
"fluidificazione del traffico" a parita' di veicoli in circolazione e' una
dilapidazione irresponsabile di ricchezza.
Ma per imboccare una strada del genere bisogna crederci: cioe' investire
risorse e individuare i soggetti giusti. Questi ultimi non sono e non credo
che possano essere rappresentati dall'industria automobilistica. Sostenere
che la riconversione della Fiat passi attraverso il suo impegno nella
promozione del trasporto urbano flessibile e' un non-senso. Certamente il
trasporto urbano ed extraurbano continuera' ad avere bisogno di veicoli - e
quindi anche di automobili - adatti alle nuove funzioni. E questo richiede
non solo officine meccaniche e catene di montaggio, ma anche laboratori di
ricerca, uffici di progettazione, reparti di sperimentazione: cioe' una
parte di quel patrimonio di risorse umane di cui si paventa giustamente la
dispersione.
Ma il compito di riorganizzare la mobilita' urbana e' di chi ha la
responsabilita' della gestione del territorio; e non puo' essere delegato.
Un secolo fa, in presenza di sviluppi tecnologici che rendevano possibile
raggiungere la totalita' dei cittadini - e soprattutto le classi piu'
povere - con servizi fino ad allora appannaggio dei ricchi, alcune
municipalita' si assunsero la responsabilita' di produrre e fornire gas,
luce, acqua, trasporti, rifiuti, comunicazioni, ecc. Ne nacquero diverse
societa' municipalizzate che per quasi un secolo hanno caratterizzato il
panorama industriale dell'Italia e che oggi vengono dimesse. Ma non dovrebbe
venir dimesso il governo di queste funzioni, anche perche', dove i privati
sono subentrati alle societa' pubbliche, non sempre i risultati sono stati
brillanti.
Oggi, di fronte a sviluppi tecnologici che rendono possibile rivoluzionare i
sistemi della mobilita' urbana, azzerando la causa principale dell'impasse
in cui e' incappata la nostra vita quotidiana, occorre uno sforzo analogo
per restituirne il governo ai rappresentanti della cittadinanza; ed anche
per riassorbire, nella nuova filiera del trasporto pubblico al servizio di
tutti, una parte almeno di quella manodopera che l'industria automobilistica
sta liquidando.
E' sbagliato spingere i lavoratori ad aggrapparsi ad un relitto che affonda:
la salvezza sta in un sistema di garanzie e nei progetti che guardano al
futuro. Non e' detto che lo sforzo delle amministrazioni locali debba
assumere nuovamente la forma di una societa' municipalizzata: puo' essere un
consorzio di soggetti pubblici e privati, in modo da realizzare al meglio
quella sacrosanta distribuzione delle responsabilita' che e' il volto
positivo del principio di sussidiarieta'. Certamente non e' facile per
un'amministrazione locale cambiare il segno di un modo di agire che si
radica nell'ostinazione senza sbocchi dei nostri comportamenti. Ma e'
importante trovare un accordo sulla direzione da imboccare.
Un sistema di mobilita' flessibile impone soglie di ingresso al di sotto
delle quali le funzionalita' della rete sono precluse.
Per questo vanno studiate attentamente ex-ante. Il car sharing non puo'
essere organizzato, come ora, con 10 vetture: ce ne vogliono, solo per
partire, 10.000 per ogni grande citta', con la certezza, per di piu', di un
rientro degli investimenti solo a lungo termine. Per fare il taxi collettivo
non si puo' partire con meno di 1000-2000 vetture - e occorre fare i conti,
senza demonizzarli ma senza nascondere i problemi - con la forza
contrattuale e soprattutto elettorale del mondo dei taxisti.
Per fare il taxibus, o altre forme di Drts, con cui sostituire il trasporto
di massa nelle ore e sui tracciati in cui e' maggiormente sottoutilizzato,
occorre investire in mezzi adatti e soprattutto in campagne serie di
comunicazione (da questo punto di vista Milano rappresenta forse l'esempio
peggiore che si possa immaginare). Per ottimizzare la distribuzione delle
merci - ai negozi e a domicilio - occorre mettere a disposizione dei piccoli
trasportatori le risorse necessarie per "fare sistema" associandosi. E
soprattutto, per fare tutto cio', bisogna avere la forza politica di imporre
e di far rispettare i divieti: ma solo una volta che si siano garantite
alternative praticabili e convenienti.
Non e' vero che oggi non ci sono risorse per intraprendere uno sforzo del
genere. Se il denaro che oggi viene gettato nel pozzo senza fondo delle
metropolitane - che non sono altro che un gigantesco pedaggio che la citta'
paga per far si' che alcune linee di forza del trasporto urbano di massa non
interferiscano con il traffico di superficie (cioe' per permettere alle auto
private di occupare gratis tutto il suolo pubblico) - o in quello dei
sottopassi, dei sovrappassi, dei sistemi di semafori "intelligenti" e
quant'altro la moderna ingegneria civile mette a disposizione della
perpetuazione dello stato di cose presente, se quel denaro venisse
utilizzato per finanziare in misura adeguata progetti di car pooling, car
sharing, taxi collettivo, taxibus e linee tranviarie di superficie comode e
veloci, in cinque anni il volto di una citta' italiana cambierebbe
radicalmente.
E ai turisti convocati da tutto il mondo, per esempio per assistere a una
manifestazione sportiva su cui si sono investiti miliardi destinati a
lasciare le cose come prima, non si farebbe trovare una citta' intasata dal
traffico e magari sconvolta da cantieri che non si e' riusciti a chiudere in
tempo, ma un sistema di mobilita' veramente innovativo, in grado di
promuovere in tutto il mondo i risultati raggiunti a livello locale
dall'industria del trasporto urbano; e, al suo seguito, anche quel che resta
dell'industria automobilistica locale.

4. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: UNA PROVOCAZIONE E UN PARADOSSO
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per
questo suo pungente intervento provocatorio e paradossale. Mao Valpiana e'
il direttore di "Azione Nonviolenta", il mensile del Movimento Nonviolento
fondato da Aldo Capitini]
Il Presidente del Consiglio in carica Berlusconi e l'ex Presidente del
Consiglio D'Alema (l'uno espressione del centro-destra e l'altro espressione
del centro-sinistra), hanno espresso, quasi in simultanea sintonia, la
necessita' secondo loro di rivedere l'articolo 11 della Costituzione (quello
che "ripudia" la guerra), perche' di ostacolo al ruolo che l'Italia, fedele
alleata degli Stati Uniti e della Nato, deve svolgere nello scacchiere
internazionale. Insomma le varie guerre "umanitarie", "preventive" e la
"lotta senza quartiere al terrorismo internazionale", vanno fatte con le
mani libere, senza lacci e lacciuoli di una Costituzione che e' figlia del
suo tempo.
Ora siamo in piena attuazione del Nuovo Modello di Difesa che ha come
caposaldo la "difesa" degli  interessi nazionali ovunque siano minacciati,
in ogni parte del mondo; quindi il concetto di confini della patria non sta
piu' in piedi.
Molti autorevoli esponenti del movimento pacifista sono insorti. Hanno visto
in tale richiesta di revisione costituzionale una minaccia di golpe, alla
quale si puo' rispondere solo chiamando il 113 e facendo arrestare i
golpisti.
E se guardassimo la cosa da un altro punto di vista?
Mi spiego. L'articolo 11 della Costituzione e' stato palesemente violato dal
giorno stesso in cui venne approvato. Lo Stato ha dichiarato sulla Carta di
voler rifiutare la guerra, ma non ha mai smesso di prepararla. Anno dopo
anno si sono votati bilanci militari sempre piu' pesanti, si sono costruite
armi sempre piu' micidiali, ci si e' dotati di un'industria bellica persino
da esportazione, e si sono ospitate basi militari americane dotate
addirittura di armi nucleari. L'esercito italiano e' stato organizzato ed
addestrato non solo per la difesa, ma anche per l'attacco, con l'attiva
partecipazione all'alleanza atlantica. Insomma, l'articolo 11 (uno dei piu'
belli di tutte le Costituzioni del mondo, con l'uso di quel verbo assoluto
"ripudiare") e' sempre stato inattuato. Una menzogna. L'Italia non ha mai
ripudiato la guerra. E negli ultimi dieci anni, caduti tutti i tabu', la
guerra e' stata esplicitata e attuata anche con voto formale del Parlamento.
Dunque, abolire quell'articolo non sarebbe poi cosi' scandaloso. Potrebbe
essere un modo per non lasciarlo abbandonato alla pura retorica, per non
farlo cadere nel ridicolo, per non proseguire nella mistificazione.
Non credo che nelle intenzioni di Berlusconi e D'Alema ci fosse un'esigenza
di questo tipo, ma noi possiamo invece richiamarci al principio capitiniano
della nonmenzogna. Abolire l'articolo 11 potrebbe essere un modo per
avvicinare la parola alla realta'. Un tentativo di tutelare almeno la
coerenza. Un piccolo passo verso una verita' spiacevole, una verita' che non
avremmo mai voluto sentire, ma che ci si mostra in tutta la sua crudezza:
"l'Italia prepara la guerra come risoluzione delle controversie
internazionali".
Se non siamo capaci, noi popolo italiano, di attuare l'articolo 11, davvero
"meritiamo" che esso venga abolito.

5. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CHIAMARE GOLPE UN GOLPE
La paradossale provocazione di Mao Valpiana, uno dei piu' rigorosi e
costanti animatori della nonviolenza nel nostro paese, oltre che un amico
carissimo tra i piu' cari, coglie nel segno.
E' vero: l'articolo 11 della Costituzione e' stato calpestato infinite
volte. Come infinite volte e' stato calpestato quell'antico principio che
recita "Tu non uccidere". Non per questo quell'antico principio cessa di
valere; non per questo quell'articolo 11 della Costituzione perde di valore;
non per questo dobbiamo cessare di difenderlo, in nome della legge, della
democrazia, dell'umanita'.
Si tratta, dice bene Mao, di attuarlo.
Ed e' compito nostro: nostro diritto e nostro dovere.
E poiche' i nostri antichi studi giuridici ci hanno reso edotti che i primi
dodici articoli della Costituzione in quanto "principi fondamentali" del
nostro ordinamento giuridico sono immodificabili, a meno di un colpo di
stato; allora coloro che nella cosiddetta costituzione materiale (cioe' nel
concreto agire dei decisori politici) li hanno reiteratamente violati
deliberando e avallando la partecipazione italiana a stragi mostruose, sono
dei golpisti, colpevoli del reato di alto tradimento e di crimini di guerra
e contro l'umanita', per chiamare le cose col loro nome, avendo essi giurato
fedelta' alla Costituzione - che quei crimini ed orrori proibisce - nel
momento in cui hanno assunto le rilevantissime e ben foraggiate cariche
pubbliche che hanno occupato e occupano; e vanno pertanto perseguiti ai
sensi di legge.
Non vedo proprio perche' dobbiamo stare a discutere con dei criminali.
Sarebbe come voler fare una tavola rotonda sull'omicidio considerato come
una delle belle arti con la partecipazione straordinaria di Toto' Riina o
Bin Laden. No, grazie. L'omicidio e' un crimine e gli assassini sono dei
criminali.
Se non si difende la Costituzione, se non ci si oppone ai golpisti, le tante
belle parole sul "resistere" di cui tutti ci riempiamo la bocca restano
appunto parole, e neppure piu' tanto belle perche' metamorfosate ipso facto
in vacua retorica.
E dunque: chiamiamo il 113 e facciamoli arrestare i messeri golpisti (se poi
qualcuno di noi non vuole chiamare il 113, sia pure: ci sono anche i
carabinieri).

6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: URUZGAN, UNA STRAGE AMERICANA
[Giuliana Sgrena e' inviata a Kandahar del quotidiano "Il manifesto". Queso
articolo e' apparso su quel quotidiano il 19 ottobre 2002. Giuliana Sgrena
e' una prestigiosa giornalista e saggista, esperta di decisive questioni
internazionali; tra le sue opere: (a cura di), La schiavitu' del velo,
Manifestolibri, Roma 1995, 1999]
La provincia di Uruzgan e' una delle piu' impervie dell'Afghanistan, le sue
montagne inaccessibili e l'inesistenza di strade degne di questo nome, che
rendono avventurosi i viaggi anche in pieno deserto, qui costringono la
popolazione a vivere pressoche' isolata dal resto del paese e dal mondo.
Un luogo ideale per i militanti di al Qaeda e taleban che, numerosi, proprio
tra queste montagne - che hanno visto i natali di diversi comandanti taleban
e persino del mullah Omar - avrebbero trovato rifugio. Molti considerano la
zona off limits e comunque noi non abbiamo trovato nessuno disposto ad
accompagnarci.
Ed e' proprio in uno di questi villaggi incastonati tra le montagne - a meno
di 200 chilometri a nord di Kandahar - che si e' consumato uno dei massacri
piu' raccappriccianti compiuti dagli americani durante la campagna
antiterrorismo in Afghanistan. Un episodio inquietante su cui gli Stati
Uniti sono riusciti a far calare il silenzio insabbiando anche le prove
raccolte da una missione delle Nazioni Unite e imponendo la propria versione
dei fatti con l'imbarazzata complicita' del governo Karzai.
I fatti: nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio del 2002, durante un
raid americano nella provincia di Uruzgan vennero colpiti con missili
quattro villaggi, in uno, Kakarak, era in corso un banchetto di matrimonio,
le vittime tra i commensali furono almeno 54, la maggior parte donne e
bambini, compresi 25 membri della stessa famiglia. Oltre 120 i feriti.
L'episodio aveva provocato la rabbia della popolazione che aveva sollecitato
anche un intervento del governo, essendo le tribu' di questa provincia
spesso in contrasto tra di loro ma tutte sostenitrici del presidente Karzai.
Gli americani fin da subito avevano sostenuto di aver risposto ad un attacco
da terra. In realta' si trattava di colpi di arma da fuoco con i quali i
pashtun usano festeggiare i matrimoni e ricorrenze simili.
Una missione delle Nazioni Unite, che si era recata sul posto tre giorni
dopo, attraverso le testimonianze raccolte nel villaggio aveva potuto
accertare che subito dopo il raid gli agenti americani erano arrivati sul
luogo della strage e avevano "ripulito la zona", portando via "brandelli,
proiettili e tracce di sangue". Le donne presenti erano state immobilizzate
con le mani legate dietro la schiena mentre le prove del massacro venivano
cancellate. Gli investigatori del Palazzo di vetro - gente "esperta e con
buona reputazione" secondo le stesse fonti Onu - non avevano trovato armi e
nemmeno prove a sostegno della tesi americana di spari diretti contro i loro
velivoli.
Questo rapporto, anticipato dal quotidiano britannico "The Times" il 29
agosto 2002, tuttavia non e' mai stato pubblicato. Allora, rappresentanti
delle Nazioni Unite dissero che la relazione doveva essere completata
perche' conteneva giudizi non ancora sufficientemente sostanziati e che si
stava lavorando alla compilazione di un rapporto esaustivo per fornire
ulteriori dettagli e un quadro accurato della situazione. Il documento,
secondo le anticipazioni del quotidiano britannico, precisava che gli
"accertamenti sul terreno avevano confermato l'estrema necessita' che simili
incidenti non si ripetano, sia per una prospettiva umanitaria che politica".
Inoltre chiedeva una "approfondita inchiesta per assicurare che queste
tragedie non si debbano ripetere; e che la protezione della vita dei civili
debba essere la prima preoccupazione nella lotta contro il terrorismo in
Afghanistan".
Ma "questa e' la guerra", sostiene Talatbeck Masadykov, consigliere politico
dell'Unama (missione della Nazioni Unite in Afghanistan) a Kandahar, che ha
partecipato alla missione Onu in Uruzgan - composta, precisa, di un
convoglio di sedici macchine - dove gli americani stavano dando la caccia ad
alcuni militanti di al Qaeda che, secondo alcuni loro informatori, si
sarebbero trovati sul posto. "L'errore e' stato quello di non verificare le
informazioni, in un luogo dove anche queste vengono usate nello scontro tra
le varie tribu'".
Il Pentagono ha sostenuto che le telecamere fissate sulle torrette dei
cannoncini degli A 130 avevano registrato gli spari provenienti da terra, ma
il filmato non e' mai stato mostrato. "Io penso che dagli aerei possano
veramente essere stati tratti in inganno dagli spari tradizionali dei
pashtun, ma altri componenti della missione erano di parere contrario,
riferisce Tatalbek Masadykov. Io non appoggio l'attacco, ma questo fa parte
della guerra ai taleban e sono solo gli americani a farla". E il rapporto
definitivo della missione Onu? "Chiedetelo a Kabul", risponde.
Sono passati oltre due mesi ma il rapporto non ha mai visto la luce.
Perche'?
"Per non interferire nell'inchiesta avviata dagli americani e dal governo
afghano. La missione dell'Onu non era diretta a stabilire le
responsabilita', ma semplicemente ad accertare cosa era accaduto per
verificare le necessita' della popolazione colpita", ci risponde Goran
Fejic, primo consigliere per i diritti umani dell'Unama a Kabul. Una
risposta diplomatica, ma vista la conclusione raggiunta dall'inchiesta degli
americani - e' stata la risposta ad un attacco da terra, mentre e' stata
scartata persino la possibilita' di un errore - e' chiaro che quella delle
Nazioni Unite doveva essere insabbiata.
Il presidente Karzai - imbarazzato visto che ad essere colpiti sono suoi
sostenitori - subito dopo la pubblicazione delle indiscrezioni sul rapporto
dell'Onu aveva sposato una delle tesi avanzate dagli americani in un primo
tempo, quella di "uno sfortunato incidente causato da errori e
disinformazione". La stessa usata in molti altri casi in cui si sono
registrate numerose vittime civili. I cosiddetti "danni collaterali" che
stanno provocando tra gli afghani una forte e crescente ostilita' nei
confronti degli americani.
Migliaia di vittime civili: circa 6.000 secondo la Bbc, mentre il giornale
afghano "Kabul times", nell'edizione pubblicata nell'anniversario
dell'inizio della guerra, il 7 ottobre, parlava di 1.200. Comunque troppi.
"Un prezzo alto", anche secondo l'editorialista del giornale afghano,
comunque favorevole all'intervento.
Intanto la guerra di Enduring Freedom continua e fra qualche mese vi
parteciperanno anche gli alpini italiani; finora l'Italia ha partecipato
alle operazioni antiterrorismo dal cielo, con l'aeronautica.
Bombe, missili e soprusi. Per dare la caccia ai terroristi, nel sud
dell'Afghanistan, gli agenti delle forze speciali Usa entrano nelle case
alla ricerca di armi e per scovarle rompono suppellettili e maltrattano gli
abitanti, li insultano, li picchiano. Se non trovano armi scatenano la loro
rabbia rompendo tutto quello che capita loro sotto le mani, o meglio sotto
il calcio del fucile. Non risparmiano nemmeno le donne.
La foto di un militare americano che perquisisce una donna afghana,
pubblicata su un giornale pakistano, ha fatto scalpore. Anche se le donne
sotto il burqa possono nascondere delle armi - e non sarebbe la prima volta
che il velo serve anche a coprire fucili e bombe - gli americani non tenendo
in nessun conto le tradizioni locali rischiano di trovarsi tutta la
popolazione contro. E in buona parte lo e' gia'.

7. INCONTRI. SETTIMA ASSEMBLEA NAZIONALE DEGLI ENTI LOCALI E DELLE REGIONI
PER LA PACE
[Riceviamo e diffondiamo]
Settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace a
Napoli, 24-25 ottobre 2002.
Si apre a Napoli giovedi' 24 ottobre, giornata mondiale delle Nazioni Unite,
la settima assemblea nazionale degli Enti locali e delle Regioni per la pace
intitolata "Citta': strumenti di pace. L'impegno dei Comuni, delle Province
e delle Regioni per un mondo migliore".
Mentre soffiano i venti di guerra e vengono evocati scenari inquietanti
destinati ad accrescere la violenza e il disordine internazionale, centinaia
di sindaci, presidenti e consiglieri - eredi del grande sindaco di Firenze
Giorgio La Pira - si riuniranno a Napoli per riflettere sulle proprie
responsabilita'. Cosa possono fare le citta' per la pace? Chiacchiere o
fatti concreti? In che modo i Comuni, le Province e le Regioni possono
diventare "strumenti di pace"? Con quali politiche? Con quali programmi? Con
quali "azioni positive"?
L'Assemblea, che si svolge presso Castel dell'Ovo, avra' inizio alle ore
9.30 di giovedi' 24 ottobre. Tra gli interventi previsti quelli di: Rosa
Russo Iervolino, sindaco di Napoli, Amato Lamberti, presidente della
Provincia di Napoli, Antonio Bassolino, presidente della Regione Campania,
Giulio Cozzari, presidente del Coordinamento nazionale degli Enti locali per
la pace, prof. Antonio Papisca, direttore del Master Europeo in Diritti
Umani e Democratizzazione, dott. Jean Fabre, Programma delle Nazioni Unite
per lo sviluppo, Nemer Hammad, ambasciatore palestinese in Italia.
L'Assemblea e' promossa dal Coordinamento nazionale degli Enti locali per la
pace, dalla Regione Campania, dalla Provincia e dal Comune di Napoli. Il
Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace, con i suoi attuali
337 enti aderenti, la sua storia e il suo bagaglio di competenze,
rappresenta una esperienza unica in Europa: la piu' vasta rete tematica
nazionale di amministrazioni locali e regionali impegnate nella promozione
della pace e dei diritti umani.
Per informazioni: tel. 3479117177 - 3288347853.

8. INCONTRI. UN SEMINARIO CONTRO LA TORTURA
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dell'ICS (Consorzio Italiano di
Solidarieta'); per ulteriori informazioni contattare la segreteria
organizzativa del seminario indicata al termine del testo]
I giorni 25, 26 e 27 ottobre si terra' a Parma un seminario di formazione
per operatori sanitari e sociali impegnati nella riabilitazione delle
vittime di tortura. Il seminario si inserisce nelle attivita' realizzate dal
progetto nazionale "Rete italiana per il supporto e la riabilitazione delle
vittime di tortura".
Il seminario ha l'obiettivo di creare una rete di competenze (su diversi
piani: clinico, sociale e legale) diffuse in tutto il territorio italiano,
che permetta di favorire l'inserimento sociale delle persone che abbiano
subito tortura, garantendo una riabilitazione basata sull'acquisizione dei
diritti di cittadinanza e autonomia sociale.
E' ben noto che una parte considerevole dei richiedenti asilo e dei
rifugiati accolti nelle diverse comunita' di accoglienza sono stati vittime
di tortura o di trattamenti disumani e degradanti. Tali esperienze incidono
profondamente sul vissuto delle persone che le hanno subite e sui loro
rapporti con il nuovo contesto di accoglienza. Evidenti sono anche le
dirette implicazioni di carattere giuridico, legate all'importanza della
"elaborazione" delle drammatiche esperienze subite in sede di esame di
merito dell'istanza di asilo.
Il rapporto con le vittime di tortura pone ai programmi di accoglienza dei
richiedenti asilo e dei rifugiati la necessita' di sviluppare delle
competenze specifiche per affrontare temi delicatissimi. In questa
prospettiva si inserisce questo progetto di formazione.
Il seminario di formazione di Parma e' aperto e gratuito. In primo luogo
esso, per i suoi contenuti specialistici, si rivolge agli operatori sanitari
(medici, psicologici etc.) e sociali con esperienza o che intendano
impegnarsi in questo ambito.
La partecipazione al Seminario di operatori provenienti dall'intera rete dei
progetti territoriali di accoglienza e tutela dei richiedenti asilo e dei
rifugiati costituirebbe un elemento di grande rilevanza al fine di
realizzare quella diffusione di competenze (e anche di confronto delle
esperienze) che e' l'obiettivo specifico del progetto. Si fa presente fin
d'ora che e' intenzione dell'ICS organizzare un seminario di formazione dai
contenuti e obiettivi affini a quello di Parma, a Bari (localita' da
confermare) all'inizio del 2003 al fine di favorire la partecipazione dei
dei progetti operanti nel Sud Italia.
Segreteria organizzativa presso il CIAC (Centro
Immigrazione-Asilo-Cooperazione) di Parma tel. 0521201914 - 503440, fax:
0521507529, e-mail: eafrossi at yahoo.it

9. MATERIALI. RESOCONTO DELL'INCONTRO DI EDUCAZIONE ALLA PACE SVOLTOSI A
TUSCANIA
Si e' svolto ieri, 23 ottobre 2002, il primo incontro del corso di
educazione alla pace per l'anno scolastico 2002-2003 presso il liceo
scientifico di Tuscania (in provincia di Viterbo).
L'incontro aveva per tema: "La dignita' umana, la comunicazione, il
conflitto". Esso si e' articolato nei seguenti punti.
1. Riflessione collegiale sulla dignita' umana. Sono emerse alcune
definizioni che sono state oggetto di approfondita meditazione: cosa sia il
rispetto (e come il rispetto di se' e degli altri si implichino
reciprocamente); il ruolo dell'amore nelle relazioni umane - e si sono
esaminati i concetti espressi dai termini greci di philia, eros e agape -;
la capacita' di ogni essere umano di comprendere; il ripudio della lesione
fisica e psicologica.
2. Analisi sistemica della comunicazione. In particolare si sono
evidenziati:
a) gli elementi fondamentali dell'interazione comunicativa: messaggio,
emittente, ricevente, canale, codice;
b) l'interazione;
c) la compresenza nel messaggio di contenuto e relazione;
d) la comunicazione non verbale (posture, gesti, espressioni del volto) e
verbale;
e) la comunicazione verbale orale e scritta (e le differenze tra le due).
3. Analisi dei concetti di potere e di conflitto. In particolare si e'
approfondita l'analisi che la riflessione nonviolenta fa del potere
oppressivo come caratterizzato dalla compresenza di forza e consenso,
cosicche' per opporsi anche al potere piu' oppressivo fondamentale e' la
negazione del consenso.
4. Studio di casi. Primo: la scena II dell'atto III del Don Giovanni di
Moliere. Dopo una breve ricostruzione della figura di Don Giovanni nelle sue
molte versioni, da Tirso de Molina a Da Ponte-Mozart (fino al film di
Losey), ed aver presentato alcuni cenni su Moliere e la sua opera, si e'
letta e commentata la terribile e profondissima scena II dell'atto III in
cui vi e' il dialogo tra don Giovanni, il suo servitore (che nella versione
di Moliere si chiama Sganarello) e un povero affamato; la scena culmina
nella proposta di don Giovanni di dare al povero una moneta d'oro se costui
accettera' di bestemmiare; la lapidaria risposta conclusiva del povero ("No,
signore. Preferisco morire di fame") perfora persino il cinismo di don
Giovanni che accetta di donargli la moneta senza condizioni "per l'amore
dell'umanita'". Il coordinatore dell'incontro ha guidato il commento battuta
per battuta dell'intera scena, di una ricchezza concettuale straordinaria.
5. Studio di casi. Secondo: il colloquio tra Iago e Otello al centro della
scena III dell'atto III dell'Otello di Shakespeare. Anche in questo caso e'
stata dapprima narrata la trama dell'immortale tragedia, si sono date alcune
informazioni essenziali sul teatro shakespeareano, e si e' fatto cenno tra
l'altro alla straordinaria opera cinematografica di Orson Welles (di cui
alcune sequenze sono state girate proprio a Tuscania). Si e' poi proceduto
alla lettura del lungo dialogo, commentandolo e discutendolo battuta per
battuta. Anche qui si e' evidenziata la straordinaria ricchezza e densita'
dei contenuti e delle dinamiche del testo.
6. Si e' poi svolta una conversazione libera su temi relazionali ed
esperienze esistenziali con particolar riferimento alla riflessione di
Gregory Bateson e della scuola di Palo Alto: al termine della conversazione
che ha toccato temi relativi ai conflitti nella famiglia, all'oppressione
della donna e al disagio giovanile, si e' convenuto sulla necessita' di un
impegno di tutti affinche' nessuna persona in difficolta' venga lasciata
sola.
Concluse le tre ore dell'incontro, ci si e' aggiornati all'incontro di
mercoledi prossimo. Il tema del secondo incontro sara': "La violenza contro
l'umanita'".

10. RILETTURE. ROBERT JUNGK. GLI APPRENDISTI STREGONI
Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982, pp. 382.
Il grande, indimenticabile studioso ecopacifista ricostruisce la "storia
degli scienziati atomici" e i radicali, inquietanti, drammatici problemi
aperti dall'eta' atomica.

11. RILETTURE. ELENA LAMBERTI. MARSHALL McLUHAN
Elena Lamberti, Marshall McLuhan, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 208,
euro 11,36. Una preziosa monografia sul grande intellettuale.

12. RILETTURE. RANIERO LA VALLE, LINDA BIMBI: MARIANELLA E I SUOI FRATELLI
Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli,
Milano 1983, pp. 224. La storia di Marianella Garcia, martire nonviolenta
salvadoregna. Un libro che sarebbe assai utile ristampare.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 394 del 24 ottobre 2002