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La nonviolenza e' in cammino. 688
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 688
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Oct 2002 22:12:28 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 388 del 18 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Un appello di 494 militari di Israele 2. Giancarla Codrignani, obiezione di coscienza 3. Lidia Menapace, sulla pratica della disobbedienza civile 4. Un nuovo sito per dire no alla guerra 5. Gerard Lutte: la strada, sfida continua con la morte 6. Una intervista a Marianella Sclavi sull'arte dell'ascolto 7. Umberto Santino ricorda Giovanni Orcel 8. Riletture: L'autobiografia di Mamma Jones 9. Riletture: Ida Magli, Gesu' di Nazaret 10. Riletture: Graziella Priulla (a cura di), Mafia e informazione 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. OBIEZIONE. UN APPELLO DI 494 MILITARI DI ISRAELE [Questo appello e' stato pubblicato come annuncio a pagamento sui giornali in Israele, con le firme di 494 soldati e ufficiali. Lo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 16 ottobre 2002. "Per sostenere i militari che dicono no a Sharon": conto bancario presso la Banca Popolare Etica, via Rasella 14, Roma, c. c. 111200, intestato a Il Manifesto Coop. Editrice, Abi 05018 Cab 12100, specificando la causale] Lunedi scorso: "Nell'operazione di Tzahal a Khan Yunis sono state uccise 15 persone, tra cui una donna e un bambino". Tre giorni dopo: "Un terrorista suicida esplode all'incrocio Bar Ilan. Uccisa una donna. Decine di feriti". Abbiamo trascorso parecchie settimane senza attentati, e ancora piu' settimane senza attentati dalla striscia di Gaza. Il governo israeliano sta sfruttando i militari israeliani e li sta mettendo a repentaglio allo scopo di alimentare la spirale del terrorismo. Il governo di Israele manda i suoi figli a portare a termine obiettivi politici che nulla hanno a che fare con la sicurezza nazionale di Israele. Noi, circa 500 ufficiali e combattenti del Tzahal dichiariamo di nuovo: Non combatteremo in una guerra politica volta a perpetuare l'occupazione e l'esistenza delle colonie. Non combatteremo contro i valori fondamentali dello Stato di Israele e contro i valori morali dell'ebraismo sui quali si fonda la nostra educazione. Senza morale, senza giustizia, e senza una leadership che ci tiri fuori dal fango dei territori, il nostro stato, lo stato di Israele, non ha speranza. 2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: OBIEZIONE DI COSCIENZA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento. Giancarla Codrignani e' presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarietà e per la pace; e' tra le figure più rappresentative dell’impegno pacifista. Opere di Giancarla Codrignani: Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] E' uscito negli Stati Uniti il settimo remake del film "Le quattro piume" tratto da un vecchio (1902) romanzo patriottico di Woodely Mason. Questa volta sembra che l'aggiornamento sia stato sostanziale e abbia capovolto il senso dei valori presenti nelle precedenti edizioni. La storia e' quella di un ufficiale inglese che riceve da tre ufficiali suoi amici e dalla fidanzata quattro piume, simbolo di codardia, perche' si rifiuta di andare a combattere in Sudan (siamo nel 1875), dove peraltro si rechera',agendo valorosamente nell'interesse della Gran Bretagna e salvando il suo onore. Nella nuova versione il regista, il pakistano Shekhar Kapur, sostiene di aver realizzato un atto d'accusa contro il colonialismo britannico in Sudan, non un film "epico". Vedremo se il film contesta le versioni tradizionali; intanto non sono inutili alcune considerazioni sull'impossibilita' di ripetere l'interpretazione del passato per inaccettabilita' di quella morale. Oggi e' difficile dire a qualcuno:"codardo". L'aggettivo e' quasi obsoleto e ricorre piu' nell'etica del western che degli eserciti. Restano la vilta' e la vigliaccheria, ma anche queste parole sono indicative piu' della violenza di strada che dell'"onore militare". In realta' e' proprio l'"onore"che e' entrato in crisi. Nei film moderni l'uomo dichiarato "d'onore" e' il mafioso, mentre "Sedotta e abbandonata" ha fatto decadere l'onore tragicomico dell'imene. Resta l'onore del soldato o non e' anch'esso preistoria? La guerra ha avuto un onore finche' il potere mascherava di ideologia e rituali le sopraffazioni e le carneficine. Logico che ci fossero le ragioni di chi attacca e chi si difende, esseri umani da entrambe le parti, divisi da interessi che dovevano da sempre essere risolti con la diplomazia. Invece a un certo momento i potenti mandavano degli ambasciatori con salvacondotto a portare la "dichiarazione di guerra", gli eserciti si disponevano nel "campo di battaglia", sotto le rispettive "bandiere" che rappresentavano la patria, le madri e i figli, i soldati indossavano "uniformi" di colori diversi per non darsele addosso da se' e chi picchiava piu' sodo riportava la "vittoria", tra suoni di trombe, medaglie, morti e feriti e monumenti ai caduti. Per i rimandi culturali leggiamo la Lisistrata di Aristofane e consideriamo che sono duemilacinquecento anni che la gente conosce la realta' del gioco piu' scellerato e, per qualcuno, ancora divertente. Eppure lo ripetiamo con i militari di professione, che sono sempre i nostri figli, con l'aggiunta di qualche figlia. Ma la guerra ha perso ogni "onore" ed e' formalmente ricusata dalle costituzioni democratiche. Quando anche gli Stati maggiori e, soprattutto, i capi di stato (i militari cominciano a tacere quando si parla di conflitti) non dicono piu' "guerra", ma aggiungono "umanitaria", "chirurgica", "preventiva", e' perche' la parola non ha piu' accoglimento in se' e va giustificata anche ricorrendo ai controsensi. Perche' la guerra ha perduto ogni "onore". Gli obiettori di coscienza dovrebbero sentirsi orgogliosi: erano stati loro i "codardi" che mostravano la nudita' del re. Oggi si impone un salto di qualita' dell'obiezione. Non puo' piu' essere "al servizio militare" perche' l'esercito e' diventato professionale, non puo' essere "alle armi", perche' anche come nonviolenti riconosciamo l'esistenza di polizie non disarmate. Io credo che l'oggetto dell'obiezione sia sempre stata "la guerra" e che per questo ci siano state donne solidali anche quando non vi era presenza femminile nell'esercito. L'aggressione preventiva "inventata" da Bush indica una strategia innovativa per rilegittimare la guerra quando essa e' improponibile proprio perche' molti paesi e non solo gli Usa (che hanno il privilegio della quantita') sono in possesso di armi devastanti che si chiamano nucleare miniaturizzato, armi chimiche (basta una fabbrica di fertilizzanti a produrne) e biobatteriologiche (per le quali non ci sono metal detector o controlli). Si e' ripetuto infinite volte che l'obiettivo e' ormai quella popolazione civile che i militari un tempo dicevano di difendere. Allora occorre rinnovare la filosofia dell'obiezione. A me pare che sia stata un po' messa da parte perche' schiacciata da quel servizio civile che,in se' lodevole, non esaurisce l'impegno della coscienza contro le guerre. Il servizio civile recepisce il richiamo debole del dare aiuto al bisogno sociale "piuttosto che" all'esercito, mentre chi obietta segue il richiamo forte di una scelta che e' "alternativa" e non sostitutiva. Gli enti del Servizio civile fanno bene a fare emergere le difficolta' di un momento di transizione in cui la leva decade e il servizio civile vero e proprio non e' ancora strutturato con le note conseguenze del calo degli obiettori e della decurtazione dei finanziamenti. Ma chi tiene alla radicalita' del termine obiezione crede che non sia un male se quanti scelgono il volontariato della solidarieta' o che semplicemente non vogliono perdere in modo idiota un anno della loro vita non si definiscono obiettori. E mi piace dire "obiettori" piu' che "disubbidienti". L'ubbidienza (che don Milani riferiva proprio alla chiamata della patria) non e' piu' un valore; ma l'obiezione e' carica di storia e di pensiero e oggi entra direttamente nel cuore della democrazia non come diritto di pochi all'esenzione da norme vincolanti, ma come scelta di civilta' per tutti. 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SULLA PRATICA DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento che interloquisce con la riflessione lillipuziana su cui cfr. l'intervento di Pasquale Pugliese apparso nel notiziario del 16 ottobre. Lidia Menapace e' una delle piu' luminose figure della vita civile italiana, e' impegnata nel movimento delle donne, e la sua riflessione apporta preziosi contributi alla teoria e alla pratica della nonviolenza] Intervengo sulla pratica della disobbedienza civile. Nel movimento delle donne (che non viene considerato mai, a differenza di quanto faceva Gandhi, che da esso molto ha imparato dichiarandolo e citandolo) le forme della disobbedienza civile hanno almeno due famosi precedenti negli USA. Uno durante le lotte contro la schiavitu', quando donne bianche del sud accoglievano nelle loro case schiavi/e in fuga, disobbedendo con rischio notevole a una legge che reputavano ingiusta (dunque non solo per buon cuore, ma con una intenzione politica) e avevano costituito una catena di casa in casa fino a che i fuggiaschi e le fuggiasche potevano arrivare in territori abrogazionisti. L'altro si riferisce al diritto matrimoniale: molte femministe anche di due secoli fa dopo la lettura dei testi giudirici o religiosi sui quali poggiava la legittimita' del matrimonio appena contratto dichiaravano pubblicamente davanti all'ufficiale di stato civile o al prete o al pastore che, d'accordo con i loro mariti o compagni non avrebbero obbedito ne' rispettato gli articoli del codice o i comandi dei sacri testi che - ad esempio - non rispettavano la liberta' o la parita' tra i contraenti. Nel nostro paese dal 1943 al 1945 una pratica pericolosissima di disobbedienza fu di ospitare e accompagnare al sicuro soldati renitenti o disertori, prigionieri di guerra fuggiti, perseguitati politici o razziali. Una ordinanza di Kesselring su tutti i muri di tutti i paesi prometteva cinque chili di sale a chi avesse denunciato questi reati, o la fucilazione a chi li commetteva o li copriva: non ci fu nessuna denuncia e l'ospitalita' continuo'. Siccome gli storici hanno in testa solo lo scontro armato, questa parte della Resistenza senza armi viene assai impropriamente detta "zona grigia". Ma certo la lotta di disobbedienza civile piu' grande e diffusa e partecipata fu quella che - nell'Italia democratica - le donne facemmo contro l'aborto clandestino e per poter avere una legge civile, organizzando viaggi all'estero, autodenunciandoci, presidiando le cliniche. Una azione simile fu fatta anche nei confronti di alcuni ospedali romani che praticavano la infibulazione a donne mussulmane ricucendole dopo il parto. E' molto probabile (e' gia' stato annunciato da me nel corso di una manifestazione fatta a Roma nell'estate) che se dovesse essere approvata la legge sulle tecniche di riproduzione assistita che contiene clamorose ingiustizie e disparita' tra donne, si organizzera' una campagna di disobbedienza "civile" (vuol dire dei e delle cittadine, pubblica, politica, non nel chiuso della clandestinita') nei suoi confronti. Spero di aver dato qualche sostegno al dibattito. Vi prego si usare sempre un linguaggio inclusivo (maschile e femminile):non farlo e' considerato da noi femministe una azione violenta, un vero e proprio "genocidio simbolico". 4. RIFERIMENTI. UN NUOVO SITO PER DIRE NO ALLA GUERRA E' stato attivato da vari movimenti pacifisti, nonviolenti e di solidarieta' il sito www.bandieredipace.org, per sostenere e diffondere l'iniziativa delle "bandiere di pace" e degli "stracci di pace" con cui rendere visibile la corale e intransigente opposizione alla guerra dei cittadini italiani (e della Costituzione della Repubblica Italiana, e della Carta delle Nazioni Unite, e di ogni istituzione non assassina, e di ogni persona di volonta' buona). Invitiamo tutti i nostri interlocutori a visitarlo. 5. ESPERIENZE. GERARD LUTTE: LA STRADA, SFIDA CONTINUA CON LA MORTE [Riceviamo e diffondiamo questa lettera di Gerardo (per contatti: quetzalitas at tin.it). Gerard Lutte, di origine belga, da molti anni in Italia, docente universitario di psicologia dell’età evolutiva, ha partecipato a Roma alla vita e alle lotte degli abitanti di una borgata di baraccati e di un quartiere popolare e ad un lavoro sociale con i giovani più emarginati; collabora con movimenti di solidarietà ed esperienze di accoglienza; ha promosso iniziative mirate e concrete di solidarietà internazionale dal basso e di auto-aiuto, con particolar riferimento alla situazione centroamericana, di impegno di liberazione con i giovani e soprattutto le bambine e i bambini di strada; e' animatore infaticabile dell'esperienza del movimento delle ragazze e ragazzi di strada in Guatemala. Tra le sue opere: Quando gli adolescenti sono adulti… I giovani in Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Sopprimere l’adolescenza?, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna 1987; Dalla religione al vangelo, Kappa, Roma 1989; Cinquantanove ragazze e ragazzi di strada con G. L., Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala, Kappa, Roma 1994 (e' stata recentemente pubblicata una seconda edizione aggiornata). Per prendere contatto con la Rete di amicizia con le ragazze e ragazzi di strada: Comitato di gestione, piazza Certaldo 3, 00146 Roma, tel. e fax 0655285543, e-mail: quetzalitas at tin.it, e anche: Manila, 0633624953, Chiara 068607210. Altri contatti: Formia: Italo, 0771736852; Genova: Eva, 01046911325; Gorizia: Alberto, 048122012; Mazara del Vallo: Piero, 0923931714; Milano: Tina Portelli, 03333256255; Pinerolo: Angelina, 012502051; Potenza: Anna Lisa, 097121517; Roma: Vanessa, 0687149513; Treviso: Giovanni, 3898004425; Varese: Cecilia 3479079810; Viterbo: Maurizio 3393066758] Care amiche e cari amici delle ragazze e ragazzi di strada, di ritorno dal Guatemala avevo tante buone notizie da comunicarvi, ma non avevo ancora iniziato a scrivervi quando mi sono giunte due lettere piene di orrori. Domenica scorsa, verso le ore cinque del mattino, ora locale, un gruppo di giovani, armati di sbarre di ferro e comandati da una narcotrafficante di solvente e di crack, hanno fatto irruzione in una casa abbandonata dove trova riapro un gruppo di strada, casa vicina a quella del nostro movimento. Hanno messo fuori combattimento, ferendoli gravemente, due giovani, Juanjose' e Hugo, che tentavano di opporsi a questa aggressione. Poi selvaggiamente, colpendole con le sbarre di ferro, hanno violentato due ragazze minorenni, Jennifer e Josefa. Lesbia, la narcotrafficante, si era fatta accompagnare dalla figlia tredicenne per completare la sua educazione. Le ragazze e i ragazzi hanno avvertito il movimento tramite Mayra e i soccorsi si sono rapidamente organizzati: trasporto all'ospedale, denuncia dell'accaduto alla polizia e alle autorita' giudziarie, Mayra ha accolto nella sua piccola casa le due ragazze, Lorena e Cesar hanno messo a disposizione dei ragazzi la capanna che hanno in una baraccopoli. Un gruppo di ragazze e ragazzi che doveva partecipare a un convegno nazionale di giovani e' rimasto per aiutare le loro compagne e compagni feriti. Un episodio simile era gia' avvenuto nel '98 con il gruppo della "novena": una narcotrafficante, dopo aver drogato un gruppo di ragazze e ragazzi, li aveva aizzati per uccidere con innumerevoli colpi di machete due dei loro compagni. Nella notte tra lunedi' e martedi' scorso, verso le due del mattino, un gruppo armato ha fatto irruzione nella casa vecchia della Terminal (cosi' chiamano un vecchio garage Mercedes il cui tetto e' cascato; e' rimasto un terreno dove si sono costruiti precarie capanne. I delinquenti hanno aperto il fuoco ferendo cinque giovani: Henry, Manitas, Nery, Manuel e Sandrita. I due ultimi sono stati gravemente feriti - Sandra ha ricevuto una pallottola nella testa - e stanno all'ospedale. Chi sono gli autori di queste aggressioni? Nel primo caso si tratta di ragazzi di strada agli ordini di una narcotrafficante, gia' denunciata per l'assassinio di un ragazzo di strada. E' difesa da ottimi avvocati. In Guatemala, il narcotraffico e' diretto da generali e alti ufficiali e, come afferma Otto Reich, sottosegretario agli Affari Esteri del governo degli Stati Uniti, sono legati allo stesso governo. Gli autori della sparatoria sono finora sconosciuti. Potrebbero appartenere a una delle gang che si fanno una guerra spietata per il controllo del territorio. Ma queste gang, implicate spesso nel traffico di droghe, sono manipolate dalla polizia e dall'esercito. Dall'inizio del governo dell'attuale presidente, dominato dal FRG, partito del genocida ex-dittatore Rios Montt, la polizia, pur continuando con arresti arbitrari e violenze, ha ceduto buona parte della repressione delle ragazze e ragazzi di strada a sette religiose che li rinchiudono con violenza in lager, e alla delinquenza comune, dietro alla quale si nascondono facilmente gli squadroni della morte ed i servizi di sicurezza. Cosi' il governo non e' piu' incolpato di violazione dei diritti umani. Altra forma meno appariscente di sterminio silenzioso delle ragazze e ragazzi di strada e' l'Aids. I poveri non si possono pagare la salute e muoiono abbandonati. Durante il mio ultimo soggiorno, due ragazze sono morte. Non mi dimentichero' mai di A., che si lasciava morire e mi stringeva con disperazione le mani per sentire il calore dell'amicizia. Di lei, morta a diciannove anni, non rimanevano che gli occhi, immensi, neri, che a volte ti fissavano intensamente, a volte guardavano spettacoli per noi invisibili. Troppo volte la morte e' piu' rapida di noi... Morte e vita, vita che e' sfida continua con la morte: la strada ci confronta con l'essenziale della nostra esistenza. * Ma ci sono anche ottime notizie dalla strada. Finalmente, dopo anni difficile, dopo necessari cambiamenti nel gruppo degli adulti che lavoravano con noi, il movimento e' diventato un'organizzazione non piu' solo "per" le ragazze e ragazzi di strada, ma "delle" ragazze e "dei" ragazzi di strada. Ora tutto viene deciso in assemblee di settori o generali e il movimento e' guidato da un coordinamento di sette giovani eletti dalle loro compagne e compagni. Tutto viene deciso da tutti: la programmazione, l'uso dei soldi, la valutazione delle attivita'. Gli adulti assumono finalmente il ruolo che era previsto nel nostro progetto: accompagnatori e non dirigenti. E si nota la differenza. Ragazze e ragazzi vengono piu' numerosi, partecipano con maggiore entusiasma, prendono iniziative, lavorano anche loro in strada. Altro progresso significativo: l'importanza data allo studio. Per il prossimo anno scolastico, che inizia a gennaio in Guatemala, prevediamo che una quarantina di figli e figlie delle ragazze di strada o che furono della strada saranno nella scuola materna ed elementare, una quarantina di giovani nella scuola primaria, una decina nella scuola media, tre nella scuola superiore ed una nell'universita'. Inoltre le e gli adulti, le ed i giovani del coordinamento e altre loro compagne e compagni, venti in totale, frequenteranno un corso parauniversitario che da' dopo un anno il diploma di educatore popolare. Pensiamo che una trentina seguiranno corsi di formazione professionale. Molto e' stato fatto anche per migliorare i reinserimento sociale, cercando le camere per le ragazze e ragazzi che vogliono uscire dalla strada laddove potranno contare sull'appoggio di una comunita'. Pensiamo anche di organizzare un albergo di transizione per facilitare il processo di uscita dalla strada. * Un momento privilegiato di questi ultimi mesi e' stato il seminario con Giulio Girardi sul tema dell'amicizia liberatrice. Giulio e' venuto al momento opportuno, dopo l'elezione del coordinamento, e il suo insegnamento socratico ha dato un contributo essenziale alla formazione del movimento e al suo inserimento consapevole nel movimento che cerca un'alternativa al progetto di morte delle globalizzazione neoliberale. Ora dodici ragazze e ragazzi, del coordinamento e delle quetzalitas, stanno in Nicaragua, sotto la guida di Emanuele Tacchia, per conoscere e fare amicizia con altre associazioni di giovani. I nostri progetti e sogni per il prossimo anno sono tanti. Ve ne parleremo in seguito, quando il programma sara' stato elaborato dalle ragazze e ragazzi. La sovvenzione della Unione Europea, ottenuta grazie a Terra Nuova, ci ha permesso di sviluppare finora il nostro progetto. Finisce nel marzo del 2004, fra un anno e mezzo. Abbiamo diciotto mesi a disposizione per triplicare la nostra solidarieta'. Ora che abbiamo molti studenti sarebbe possibile venire incontro alle richieste di molti tra voi che ci chiedono di finanziare borse di studio o adozioni a distanza. Proporrei 60 euro per una borsa completa o 30 per mezza borsa. Un affettuoso saluto, anche da parte delle ragazze e ragazzi del movimento, Gerardo Lutte 6. RIFLESSIONE. UNA INTERVISTA A MARIANELLA SCLAVI SULL'ARTE DELL'ASCOLTO [Questa intervista a Marianella Sclavi (per contatti: msclavi at libero.it) abbiamo estratto dal sito (www.unacitta.it) del bel mensile "Una citta'", sul cui n. 80 dell'ottobre 1999 l'intervista e' stata pubblicata. Marianella Sclavi insegna antropologia presso il Politecnico di Milano. Ha pubblicato La signora va nel Bronx, Anabasi, Milano, e A una spanna da terra, Feltrinelli, Milano] - "Una citta'": In un'intervista di alcuni numeri fa Guido Armellini, in polemica con la pedagogia corrente, invitava a rimettere al centro dell'insegnamento la relazione professore-studente. Qual e' il problema principale del rapporto tra insegnanti e studenti? - Marianella Sclavi: Questo e' un problema anche teorico ed epistemologico: qual e' l'elemento piu' importante per far funzionare un rapporto umano? A mio avviso e' la capacita' di gestire i conflitti in modo creativo, di valorizzare il conflitto come un modo per riaffermare il riconoscimento e il rispetto reciproco. Questo non significa applicare una certa metodologia didattica, pedagogica o un'altra, ma proprio andare al cuore della dinamica del rapporto. Partire dal conflitto significa necessariamente distinguere il livello relazionale da quello dei comportamenti. Nel libro Buone notizie dalla scuola, nell'intervento sulle emozioni, faccio l'esempio standard del conflitto: se una persona mi da' un pugno e io rispondo dando a mia volta un pugno, a livello del comportamento mi oppongo, a livello della relazione collaboro, perche' dandomi il pugno mi invita alla lotta e io collaboro alla lotta. Quindi il conflitto e' il momento della verita' del modo in cui le persone costruiscono le cornici del senso reciproco. Diciamo allora che la dote dei bravi insegnanti che operano in condizioni difficili, in quartieri a rischio, non e' ascrivibile a una competenza professionale di tipo specifico, ma e' da ricondurre a una competenza di comunicativa generale, a quella, cioe', che e' una competenza di base di ogni essere umano: sapersi relazionare all'altro attraverso la strada del riconoscimento e rispetto nonostante il dissenso. Il che vuol dire, nel campo delle scienze sociali, essere allenati ad una ermeneutica pratica dell'osservare, dell'ascoltare, della comunicazione a partire dalla conflittualita'. Ecco, un allenamento all'ascolto attivo: saper accogliere il punto di vista dell'altro anche se e' opposto al nostro, senza rinunciare al nostro. Significa passare da un'abitudine a un pensiero del tipo: "Io ho ragione, tu hai torto", o viceversa, a un pensiero in cui tutti hanno ragione e nello stesso tempo non possono averla tutti. E' la situazione del giudice saggio che ascolta il primo litigante e gli dice: "Hai ragione", ascolta il secondo litigante e gli dice: "Hai ragione", e a una terza persona che si e' alzata e ha detto: "Ma non possono aver ragione tutti e due", risponde: "Hai ragione anche tu". E' esattamente questo a cui bisogna allenarsi, perche' questa e' la magia che consente questa dinamica: io devo riconoscere che quello la' ha ragione, nello stesso tempo ho ragione io che la penso e continuo a pensarla in modo opposto, e pero' non possiamo aver ragione entrambi, quindi dobbiamo metacomunicare su come vediamo il mondo e non solo nel merito. Tutte queste situazioni richiedono una messa in discussione della relazione, non tanto dei comportamenti, perche' attraverso la relazione poi anche i comportamenti cambiano. - "Una citta'": Tu nel tuo libro fai riferimento a questa scuola di Harlem... - Marianella Sclavi: L'esperienza di questa scuola di Harlem e' raccontata in un libro intitolato Miracolo ad Harlem. Tutto inizia dal fatto che a una signora che io ho conosciuto, Debora Mayer, che aveva insegnato in varie scuole, e' stato proposto dal provveditore agli studi di New York di fare una sperimentazione molto libera. Quindi una scuola pubblica pero' in totale autonomia. Ora, la' tutte le scuole erano dei veri manicomi, con gli insegnanti costretti a far le ronde, a fare i poliziotti, in un clima di sfiducia radicale e di comunicazione offensivo-difensiva reciproca che si riproduceva in continuazione. Allora, come fare a bucare questa bolla di sospetto e innestare un rapporto umano di tipo diverso? La Mayer, per accettare, ha posto le sue condizioni. Una e' stata che le ispezioni, almeno quelle ufficiali, per veder come stava funzionando l'esperienza, fossero posticipate di due anni. Potevano andar la' in ogni momento a vedere, pero' per una valutazione ufficiale e organica doveva passare un po' di tempo, quello necessario perche' l'esperienza potesse crescere. L'altra condizione e' stata quella di poter scegliere quali insegnanti andavano bene, e questo e' stato certamente fondamentale. Ma attenzione, di solito si pensa che per certe esperienze ci vogliono delle persone superdotate, con le spalle quadrate, mentre proprio l'esperienza di Harlem dimostra che le persone devono certamente avere entusiasmo, ma per imparare. Quindi c'e' una preselezione, con degli insegnanti che decidono: "Io voglio fare per alcuni anni questo tipo di esperienza", poi, pero', data la disponibilita' a misurarsi con queste difficolta', l'allenamento alle dinamiche dell'osservazione e dell'ascolto e alla gestione creativa dei conflitti, cioe' alla fenomenologia intesa proprio come riflessivita', si impara, si acquisisce. Chiarire questo mi sembra molto importante. La Mayer aveva saputo che un'insegnante che abitava nel Vermont, uno stato a nord, insegnava fenomenologia alle insegnanti. Cosi' hanno preso tutte quante e sono andate la' a fare un corso di fenomenologia, che poi consisteva nel portare la' i compiti e le cose che facevano i bambini e vedere come fare la valutazione. Si trattava di bambini piccoli, della scuola materna e elementare, perche' erano partiti dai primi livelli. L'assunto di base e' stato che qualsiasi cosa un bambino fa, fa del suo meglio. L'esempio che faccio io di solito e': se il bambino scrive "bello", con una elle sola, invece che correggerlo e dire: "Due elle", prima bisogna cercare di capire cosa ha fatto: probabilmente lui aveva interesse a tenere la riga, o a fare bene il giro della elle, percepiva questo compito secondo una certa prospettiva e allora prima diamogli atto che da quel punto di vista lui ha fatto meglio di prima, dopodiche' gli posso benissimo anche dire, o dargli l'occasione di accorgersi da solo, che se mette due elle funziona meglio, oppure possiamo anche scherzare insieme per esempio sul fatto che cosi' ha imparato due parole: "bello" e "belo" nel senso della pecora. E' un esempio di ascolto attivo, che nasce proprio dalle riflessioni di Winnicot, il famoso psicanalista che si e' occupato di bambini. Lui metteva sempre in evidenza che una madre, quando il bambino indica un paio d'occhiali e dice "mela", non gli dice: "Sei uno stupido", ma: "Guarda, come sei bravo, hai associato la forma rotonda della mela con la forma rotonda degli occhiali!" ed e' tutta contenta. Poi il bambino imparera' anche a dire "occhiali" agli occhiali, pero' la prima cosa che gli trasmette e' il riconoscimento dell'intelligenza di un atto di comprensione del mondo. Allora, il problema e': questo tipo di atteggiamento e' possibile portarlo avanti negli anni, invece che solo quando uno sta imparando a parlare? E anche farlo valere nei rapporti tra insegnanti, oltre che nei rapporti con gli studenti? Cioe' cosa diventa una cosa del genere quando si fanno i conti con una realta' molto piu' complessa e con delle responsabilita'? Ecco, questo e' quello che hanno affrontato gli insegnanti della scuola di Harlem. Loro poi, man mano che la scuola e' diventata piu' grande, a livello della High school, hanno diviso la scuola in tante scuole piu' piccole, in modo che gli studenti fossero divisi in gruppi. Pur contando la scuola 400 studenti, erano divisi in "scuolette" di 80 studenti; poi c'erano anche insegnanti che seguivano per certe ore gruppi di 12. Diciamo che c'era una grandissima enfasi a valorizzare gli studenti come persone e non come studenti, accogliendo la storia personale di ognuno e premiando il rapporto personale. E' un capovolgimento. Pensiamo che quando e' nata la scuola di massa il fatto di considerare le persone come "studenti" era un fatto di promozione e di uguaglianza, perche' era l'affermazione che tutti di fronte alla scuola pubblica sono uguali, indipendentemente dalla professione dei genitori. Oggi per portare avanti l'uguaglianza devi accogliere la persona, devi fare un lavoro di conferma di identita' sociale che la societa' civile non fa piu'. Quando e' nata la scuola di massa uno socialmente era il figlio del mugnaio, del dottore, del professionista, ed eri indicato a vista come quella persona li'; e quindi il fatto di dimenticare questo era un fatto di uguaglianza. Oggi non conta piu' niente, non sei piu' indicato a vista, al limite sei indicato come quello che abita in periferia, nel Bronx, oppure al centro, e il problema, non solo dei giovani, e' diventato quello di affermare il proprio protagonismo. E a questo la scuola deve assolutamente collaborare. Oggi non si puo' piu' imparare la grammatica o la matematica senza contemporaneamente affrontare anche il problema del riconoscimento e del rispetto, che non e' affatto un problema solo nei rapporti interetnici. L'interculturalita' caratterizza in modo radicale tutta la nostra societa'. Viviamo in una societa' in cui i rapporti tra genitori e figli, tra insegnanti e studenti, fra uomo e donna e tra professionista e cliente richiedono di accogliere punti di vista diversi dai nostri e quindi con difficolta' di comprensione di tipo interculturale. L'incomprensione che sorge non e' risolvibile solo con un aumento delle informazioni: devi farti carico delle cornici, cioe' del modo in cui l'altro vede il mondo. Quindi l'ascolto passivo, l'ascolto che prescinde dalle cornici, non e' piu' sufficiente in molti casi. Devi passare all'ascolto attivo che e' l'ascoltare le cornici, cioe' modificare il modo di inquadrare le cose. Questo vuol dire che se io devo raccontare cosa succede nelle scuole non basta che racconti cosa succede normalmente, ma devo raccogliere una casistica di incidenti, situazioni di conflittualita', sia nella quotidianita' della classe sia all'interno della scuola. E poi devo raccogliere una casistica delle modalita' con cui quella conflittualita' e' stata affrontata. Il bisogno piu' sentito tra insegnanti e studenti e' proprio quello di ampliare significativamente il ventaglio di soluzioni per gestire l'incomprensione, il malinteso, il conflitto. E questa e' una cosa nuova. Io mi occupo di questo da venti anni e posso dire con tutta tranquillita' che solo da 5-6 anni a questa parte trovo fra gli studenti, ma anche fra gli interlocutori adulti, un immediato interesse per queste cose, nel senso che capiscono che servono per la loro vita quotidiana. Mentre in precedenza venivano viste come cose utili solo in casi eccezionali, rari. L'ascolto attivo era visto come qualche cosa che serviva allo psicoterapeuta, all'antropologo, mentre oggi tutti capiscono che serve a tutti, continuamente, a cominciare dalla litigata col figlio. Questo e' anche il motivo per cui siamo in crisi tutti quanti. E' cambiata la societa', tutti i rapporti sono diventati piu' complessi e noi non abbiamo gli strumenti per descrivere cosa sta succedendo e per raccontare questo tipo di problemi. Pero' gia' dichiararlo, il motivo per cui siamo infelici, in difficolta' e a disagio, e' un passo in avanti. - "Una citta'": Nell'intervento incluso in "Buone notizie dalla scuola", lei introduce il tema dell'umorismo legato alla capacita' di saper ascoltare. Ci puo' spiegare? L'aspetto dell'umorismo e' legato al parallelismo tra il narrare una situazione di tipo interculturale e il narrare una barzelletta. Ci sono tantissimi esempi. Edward Hall, che e' l'inventore della prosemica ne racconta uno. I primi tempi che stava in Giappone, dato che voleva studiare i giapponesi, aveva preso alloggio in un albergo frequentato dai giapponesi. Doveva rimanere per un paio di mesi. Mentre era li' hanno cominciato a cambiargli camera senza dirgli niente: lui tornava in albergo, andava nella sua camera, ma in un certo senso non era piu' la sua, perche' non c'era piu' la sua roba dentro, c'era quella di qualcun altro, doveva andare a chiedere: "Scusate, ma dove sono?", "Adesso e' in quest'altra camera". Andava nell'altra camera e tutta la sua roba, anche la biancheria intima, era gia' a posto nei cassetti della nuova camera. Non riusciva a capire che senso avesse una cosa del genere. Essendo americano tendeva a vederla come una mancanza di riguardo elementare: "Almeno avvisami". Allora, come funziona la descrizione antropologica in questo caso? Primo, descrizione dell'ambiente e dei comportamenti; secondo, descrizione dei suoi sentimenti rispetto a queste cose, e interpretazione di questi sentimenti come informazioni su come vedresti quelle stesse contingenze nella tua cultura. Le emozioni sono indicazioni che non posso interpretare come informazioni sul fatto che quelli la' effettivamente mi stanno offendendo, perche' distorcerei la conoscenza: non e' assolutamente detto. Sono informazioni di cornice e nella condizione dell'osservazione di un'altra cultura questo e' particolarmente chiaro, perche' che la stessa cosa sia interpretabile in modo opposto e' dimostrato dal fatto che tutti loro lo interpretano in modo diverso. Se io ho la sicurezza della mia esperienza e della mia cultura, che e' un'esperienza collettiva, sociale, anche loro ce l'hanno. E' il caso specifico di Hall. Poi capita di tutto, addirittura lo mandano in un altro albergo, a quel punto lui era diventato davvero paranoico, immaginava una discriminazione contro gli stranieri. Comunque lui resiste in atteggiamento di attesa-intesa, quindi di distacco e coinvolgimento, e alla fine arriva a capire cosa succede. Racconta il fatto a degli amici giapponesi, i quali si meravigliano che l'abbiano trattato cosi', perche' gli hanno fatto un grande onore. I giapponesi attribuiscono enorme importanza al senso di appartenenza collettiva, senza la quale non c'e' nemmeno identita' personale. E questo vale anche quando si fa un "check in" in un albergo: ti registri e diventi parte di un'ampia famiglia mobile, che ruota attorno a quell'hotel, il che comporta tutta una serie di doveri ma anche di privilegi: ogni volta che tu torni in quell'albergo, siccome sei membro della famiglia, hai un'anzianita' che ti permette, se vuoi, di prenotare la stessa camera che avevi in precedenza, anche con mesi di anticipo. Cosi' succede che questi alberghi hanno tutte le camere prenotate e la gente nuova che arriva sa gia' che dovra' riempire i buchi. Quindi era del tutto vero che stavano trattando Hall come un tappabuchi, ma in nome del fatto che anche lui era un membro giovane della famiglia e questo e' un onore che gli veniva reso. Gli amici giapponesi gli hanno detto: vedi, loro hanno capito che tu desideravi essere membro della famiglia, perche' senno' verso gli stranieri non si adotta un atteggiamento del genere. Allora, il raccontare questa storia vuol dire partire da una situazione contingente nella quale io ho un certo tipo di interpretazione, che e' quella della mia cultura d'origine, e riuscire a seguire il processo attraverso il quale da questa interpretazione, che rimane tale (perche' nel mio paese se mi cambiano stanza senza dirmelo, mi arrabbio e ho ragione), si arriva a cogliere anche l'altra. Insomma, un atteggiamento che interpreta la stessa cosa in modo opposto e che quindi vede il ridicolo nel mio comportamento. Ora, la dinamica di osservazione e di narrazione che mi permette di fare questa dissociazione e' assolutamente identica alla dinamica di una barzelletta. E' la disponibilita' allo spiazzamento... Uno ha certe emozioni e immediatamente dice: queste sono un modo possibile di vedere la cosa, adesso vediamo se ne trovo degli altri, che non so minimamente quali siano, pero' verranno fuori, se ho una mente predisposta ad accogliere altre interpretazioni. Questo tipo di atteggiamento non puo' non essere una competenza di base dell'uomo della societa' complessa, quindi dell'attuale societa', una societa' differenziata e interdipendente: associare a situazioni di imbarazzo, di spiazzamento, di senso del ridicolo, invece che un atteggiamento unicamente difensivo-offensivo, normale per una societa' chiusa, un atteggiamento esplorativo. - "Una citta'": Questo e' normale per il lavoro di antropologa? - Marianella Sclavi: Se io faccio l'antropologa e vado a fare una ricerca sul campo, un atteggiamento simile devo adottarlo sistematicamente. Io sono felice ogni volta che mi succede un incidente. Anche quando faccio brutte figure, ossia che vengo smentita nelle mie aspettative, tendo a dire: "Ah, che bello, cosi' capisco qualcosa". Quindi nel taccuino dell'antropologa c'e': descrizione accurata degli ambienti, dei comportamenti, delle contingenze; descrizione accurata dei propri sentimenti e delle proprie emozioni (Hall parlava negli anni Settanta de "la mia mente culturale"); terzo, descrizione delle dissonanze di matrice. Tornando all'esempio dell'albergo giapponese, dentro le descrizioni che Hall fa della situazione ci sono dei piccoli particolari dissonanti con l'interpretazione che lui tenderebbe a dare nella propria cultura. Per esempio, se gli hanno fatto uno sgarbo, dovrebbe esserci nel comportamento delle persone che gliel'hanno fatto qualche cosa che irride. Invece, nel caso del Giappone erano tutti deferenti. Oppure: se mi hanno fatto uno sgarbo, perche' si sono presi la cura di rimettere tutta la biancheria a posto? Sgarbo per sgarbo, l'avrebbero potuta buttare la' alla rinfusa. Quindi bisogna avere la capacita' di cogliere tutte le dissonanze. Infatti, anche se al momento non se ne coglie il significato, sono comunque preziose perche' prima o poi questo verra' fuori e allora quelle dissonanze diventeranno proprio i nodi attorno a cui si riorganizza l'interpretazione. E' come per la battuta: nella barzelletta a un certo punto c'e' qualcosa che ti rivela che tu avevi interpretato tutte le cose in un modo e quell'altro le aveva interpretate in un modo completamente diverso. Quindi in realta' sei impegnato in un'opera ermeneutica, di interpretazione di significati oscuri, difficili da cogliere. - "Una citta'": Nella scuola questa cosa come si gioca? - Marianella Sclavi: Intanto, si gioca attraverso una formazione sistematica degli insegnanti e degli studenti all'accoglimento di altre matrici percettive e valutative, a imparare l'ascolto attivo e la gestione creativa dei conflitti. Io ho delle studentesse che hanno fatto una tesi rimanendo per tre mesi in una classe di una scuola media di Quarto Oggiaro, quindi nella periferia milanese, e hanno fatto una narrazione etnografica di questa classe, rimanendovi per tutte le ore di lezione. La cosa che loro hanno notato e' che la classe con certi professori era molto piu' civile che con altri e che gli insegnanti piu' bravi a gestirsi quegli scalmanati erano appunto insegnanti che dimostravano una capacita' di gestione del conflitto, nel senso dell'accoglimento dell'altro. L'insegnante che rimaneva offeso se gli facevano lo sberleffo non riusciva proprio a insegnare, perche' non sapeva come prenderli. Ecco, quell'insegnante avrebbe un estremo bisogno di imparare da insegnanti capaci di gestire cose del genere. Purtroppo la pedagogia corrente nelle nostre scuole dice che quegli insegnanti sono bravi perche' hanno una cosa che non si impara. Invece si impara. Di fronte a una situazione di conflittualita' devo essere consapevole che posso reagire in modo simmetrico o complementare, e queste sono reazioni che vengono in modo piu' automatico, ma che poi ce n'e' un'altra che e' quella di spiazzarlo. L'allenamento a spiazzare, cioe' a scegliere la terza possibilita', e' l'allenamento fondamentale oggi, perche' lo spiazzamento avviene mettendosi dall'altra parte, quindi e' uno spiazzamento anche di noi e questo apre un colloquio. - "Una citta'": Lei parla infatti di saggezza, che non e' la razionalita'... - Marianella Sclavi: Si', e' cosi': per comportarsi in un modo comprensibile nel mondo attuale devi essere saggio. E smettiamola di dire che la saggezza e' una cosa di alcuni vecchi centenari, perche' invece e' una parte del patrimonio di base degli essere umani. Saggezza non vuol dire non educare piu' alla razionalita', la razionalita' e' fondamentale in tutti i casi in cui va bene e non e' che va insegnata di meno, va insegnata di piu', ma solo a patto che sia inserita in un quadro di saggezza, che e' un quadro piu' complesso in cui hai i paradossi pragmatici e la comunicazione e' del tipo di accoglimento dell'identita'. Questo vuol dire diventare esploratori di mondi possibili, ridare posto alla curiosita', coltivare la capacita' di osservazione e di ascolto che sono tutte doti creative, piacevoli. Tra parentesi, la capacita' di ascoltare e di osservare e' un'arte gentile, estremamente piacevole, che non costa praticamente niente: uno si mette li' e con gli strumenti di cui e' dotato in natura, avendo fatto un po' di allenamento, e' in grado di divertirsi piu' che andare al cinema. Ecco, diciamo che mentre questo tipo di privilegio, cinquanta anni fa era a disposizione di poche persone che avevano la fortuna di avere delle famiglie di viaggiatori, dove i bambini crescevano con questo gusto per l'osservazione e per l'imparare, oggi questo e' a disposizione praticamente di tutti. Cosi' anche a scuola imparare e divertirsi sono due cose che possono andare di pari passo. 7. MEMORIA. UMBERTO SANTINO RICORDA GIOVANNI ORCEL [Ringraziamo Umberto Santino (per contatti: csdgi at tin.it) per averci inviato questo profilo biografico di Giovanni Orcel, sindacalista assassinato dalla mafia il 14 ottobre del 1920. Umberto Santino, principale studioso e una delle figure piu' autorevoli del movimento antimafia, e' l'infaticabile animatore del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo (sito: www.centroimpastato.it)] Giovanni Orcel nacque a Palermo il 25 dicembre 1887 da Luigi, impiegato, e da Concetta Marsicano, casalinga. Il cognome Orcel avrebbe origine francese o catalana. Dai registri anagrafici risultano altri cinque fratelli, nati dopo Giovanni, ma forse il maggiore dei fratelli era Ernesto, che fonti di polizia indicano come promotore del Fascio dei lavoratori di Cefalu'. Giovanni, date le modeste condizioni della famiglia, dopo la licenza elementare non pote' frequentare le scuole superiori e imparo' il mestiere di tipografo compositore. Giovanissimo comincia a frequentare la Camera del lavoro di via Montevergini, inaugurata il primo settembre 1901, dove la linea dominante era quella riformistica e moderata, e ben presto si dedica all'attivita' sindacale e politica. A Palermo dal 1896 c'era un circolo del Partito socialista, d'ispirazione riformista, guidato da Alessandro Tasca e Aurelio Drago. Successivamente si era costituita la Federazione socialista palermitana guidata dal dirigente dei Fasci Rosario Garibaldi Bosco, che dapprima si riconosceva nella corrente rivoluzionaria ma poi passera' su posizioni moderate. Orcel organizza la Lega dei Lavoratori del libro e aderisce al gruppo formatosi attorno ai giornali "La Fiaccola" e "Il germe", di ispirazione rivoluzionaria e antimilitarista. I socialisti che si opponevano al riformismo erano denominati "intransigenti", e tra essi c'erano Nicola Barbato e Nicolo' Alongi. Nel settembre 1910 sposa civilmente Rosaria Accomando, che dopo l'assassinio del marito indichera' i probabili responsabili del delitto. Lo scontro tra i socialisti riformisti e rivoluzionari era destinato ad aggravarsi e Orcel e' uno dei protagonisti delle polemiche che in occasione delle elezioni contrappongono i candidati del "socialismo ufficiale" a quelli dei seguaci di Tasca. Prima della guerra dirige il settimanale "La riscossa socialista", su posizioni pacifiste, e' impegnato nel tentativo di affermare una linea classista nella Camera del lavoro, di cui faceva parte la Lega dei tipografi, nonostante le posizioni moderate della CGdL (Confederazione generale del lavoro), a cui la Cdl palermitana aderiva. Nel 1914 parte per partecipare come rappresentante dei tipografi a un convegno socialista che si svolge a Lipsia, ma non riesce ad arrivarvi a causa dello scoppio della guerra e si ferma a Torino, dove prende contatti con esponenti sindacali e politici. Nel 1917 viene chiamato alle armi e inviato prima a Taranto e poi a Roma. Nel marzo del 1919 viene eletto all'unanimita' nella segreteria della Fiom, il sindacato che raccoglieva gli operai metallurgici e affini, prima come vicesegretario e poi come segretario generale. La Fiom durante la guerra era diventata l'avanguardia del movimento sindacale palermitano, per la resistenza contro il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, e contava 2.000 iscritti, una cifra altissima se si tiene conto dei livelli di sindacalizzazione di allora. Nel dopoguerra la Fiom, con la guida di Orcel, e' impegnata nella lotta contro il carovita, per gli aumenti salariali, agganciati al costo della vita, per le otto ore, per il riconoscimento del ruolo del sindacato in fabbrica con la costituzione delle commissioni interne. Nel 1919, con la nuova legge elettorale, proporzionale con collegio provinciale, Orcel, che ha sempre coniugato attivita' sindacale e impegno politico, e' particolarmente attivo nella battaglia interna al mondo socialista, che, sull'onda della rivoluzione russa, si sposta in gran parte su posizioni massimaliste, anche se a Palermo l'influenza di Tasca e Drago e' sempre fortissima. Nelle liste elettorali dei "socialisti ufficiali" c'era una massiccia presenza di operai e contadini, accanto a Nicola Barbato. I risultati elettorali furono deludenti (nessuno dei candidati fu eletto) e la controffensiva degli agrari e dei mafiosi fece ricorso alla violenza. Nel 1919 furono uccisi Giovanni Zangara, dirigente contadino e assessore della giunta socialista a Corleone (31 gennaio), Giuseppe Rumore, segretario della Lega contadina di Prizzi (22 settembre), mentre a Riesi l'8 ottobre le forze dell'ordine, per ordine del commissario Messana, spararono sui contadini in lotta per la riforma agraria, uccidendone 11. Il primo marzo 1920 viene ucciso a Prizzi Nicolo' Alongi, dirigente del movimento contadino. Il 7 luglio a Randazzo le forze dell'ordine sparano ancora sui contadini: 9 morti e vari feriti. Accanto alle forze dell'ordine operano gruppi nazionalfascisti e l'8 luglio a Catania ci sono 6 morti tra i partecipanti a un comizio dei dirigenti socialisti Maria Giudice e Giuseppe Sapienza. A settembre nella frazione Raffo di Petralia Soprana sono uccisi i contadini Paolo Li Puma e Croce Di Gangi, consiglieri comunali socialisti. Il 3 ottobre a Noto e' ucciso il sindacalista socialista Paolo Mirmina. Nel 1919 esce un foglio della Fiom, diretto da Orcel, intitolato prima "La dittatura operaia", poi "La dittatura del proletariato" e infine "Dittatura proletaria". Le posizioni sono nettamente protocomuniste, facendo esplicito riferimento all'esperienza sovietica. Nel 1920 il conflitto tra operai e industriali si acuisce. A maggio nel congresso nazionale di Genova la Fiom definisce la sua piattaforma ma ci sono diversita' di vedute con gli altri sindacati anche se nel confronto con il padronato c'e' una certa unita' sui punti di fondo: miglioramenti salariali, collegamento del salario reale con il carovita, periodo di ferie retribuito, sistema di retribuzione unico per tutto il paese (in Sicilia i salari erano molto piu' bassi che nel Nord), messa in discussione del cottimo, abolizione del lavoro straordinario. I sindacati ricorsero all'ostruzionismo, cioe' al rallentamento delle attivita' produttive. In Sicilia si sperimentano, grazie alla collaborazione tra Alongi e Orcel, le prime forme di unita' tra lotte contadine e lotte operaie. Nel febbraio del '19 al Congresso regionale dei contadini si erano gettate le basi per un'azione comune e nei congressi regionali socialisti Orcel ribadi' la necessita' di un fronte comune. Nell'estate del 1920 una raffica di licenziamenti e sospensioni (300 "ribaditori" al Cantiere navale, 200 operai della ferriera Ercta), in particolare degli aderenti alla Fiom, rende ancora piu' duro lo scontro tra padronato e lavoratori. Nei primi giorni di settembre gli operai occupano il Cantiere navale, presidiato dalle forze dell'ordine, e avviano l'autogestione. Gli operai continuano la produzione per fare fronte alle commesse e a una delle navi in allestimento si da' il nome di Nicolo' Alongi. Si costituisce la Commissione interna e si organizza un servizio d'ordine ("le guardie rosse"). La prospettiva rivoluzionaria si coniuga con la concretezza dell'azione e questa e' stata per tutto il corso della sua attivita' una costante dell'operato di Orcel. All'occupazione del Cantiere segue quella della ferriera Ercta, dove si replica l'esperienza di autogestione operaia. In fabbrica entrano i familiari degli operai per portare gli alimenti e ci sono anche momenti di relax al suono di strumenti musicali. Si organizza una cooperativa di consumo per le famiglie degli operai. L'impegno di Orcel e' eccezionale, cerca di opporsi all'accordo nazionale della Fiom con cui si mette fine alle occupazioni, ma il 29 settembre anche gli operai palermitani lasciano il Cantiere. Come Orcel aveva previsto, i padroni non rispettano gli accordi e si batte per la loro applicazione ma viene isolato all'interno del sindacato: i riformisti lo accusano di avere portato gli operai allo sbaraglio, mentre sono stati proprio loro ad avere tentato con tutti i mezzi di fiaccarne la resistenza. Orcel comunque non demorde e propone la sua candidatura alle prossime elezioni provinciali. Ma il 14 ottobre lo attendeva il pugnale del sicario. Muore nella notte tra il 14 e il 15, anche per la mancata assistenza all'Ospedale San Saverio dove viene ricoverato: i primari non si trovano e l'infermiere che era andato a cercare uno di essi sostiene di essere stato aggredito. Dopo la sua morte si proclamo' uno sciopero generale e i funerali videro una grande partecipazione popolare. Gli assassini di Orcel sono rimasti ignoti. L'inchiesta calca varie piste, compresa quella interna e quella passionale, e nonostante le denunce della moglie e dei compagni di militanza che indicano come responsabili dell'assassinio di Orcel gli stessi che hanno ucciso Alongi, non percorre adeguatamente la pista politico-mafiosa. Il mandante del delitto sarebbe stato Sisi' Gristina, capomafia di Prizzi, che verra' ucciso successivamente. L'esecutore, a quanto pare ignaro della personalita' della vittima, avrebbe rivelato il nome del mandante a un fratello militante comunista e sarebbe stato eliminato dalla mafia. Che la linea Alongi-Orcel dell'unita' contadini-operai preoccupasse la mafia risulta da una lettera anonima indirizzata nel novembre del 1920 a un sindacalista trapanese, Pietro Grammatico, in cui si dice: "farete la fine di Orcel". Su Orcel successivamente, a parte qualche articolo e qualche sporadica commemorazione, cadra' l'oblio. Il suo nome non figura nei testi piu' diffusi di storia della Sicilia contemporanea. A Orcel e' stata intitolata una storica sezione del Partito comunista che ha aderito a Rifondazione comunista. 8. RILETTURE. L'AUTOBIOGRAFIA DI MAMMA JONES L'autobiografia di Mamma Jones, Einaudi, Torino 1977, pp. XLVIII + 186. L'autobiografia della grande attivista sindacale americana, presentata da Peppino Ortoleva. 9. RILETTURE. IDA MAGLI: GESU' DI NAZARET Ida Magli, Gesu' di Nazaret, Rizzoli, Milano 1987, 1996, pp. 206, lire 13.000. Una fine riflessione dell'illustre antropologa. 10. RILETTURE. GRAZIELLA PRIULLA (A CURA DI): MAFIA E INFORMAZIONE Graziella Priulla (a cura di), Mafia e informazione, Liviana, Padova 1987, pp. X + 182. Una ricerca sociologica di grande interesse. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 388 del 18 ottobre 2002
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