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Newsletter n.8 - Edizione straordinaria
- Subject: Newsletter n.8 - Edizione straordinaria
- From: Il Movimento di Cunegonda <movimento_cunegonda at hotmail.com>
- Date: Thu, 10 Oct 2002 22:23:27 +0200
Critica del consumo per la democrazia Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva <http://www.cunegonda.info>http://www.cunegonda.info Newsletter n.8, 10 ottobre 2002 EDIZIONE STRAORDINARIA "La gente ha cominciato a manifestare sensibilità in proposito e le aziende produttrici si sono adeguate. Tutti continueremmo a essere ottimi consumatori, tranne che saremmo consumatori selettivi; il che è indice di maturità e motore di sviluppo economico. A nuove forme di governo, nuove forme di risposta politica. Questa sì che sarebbe opposizione. Vediamo quanti italiani si sentono di farla. Altrimenti la smettano di lamentarsi, e si tengano il monopolio dell'informazione." Umbero Eco, Lo sciopero dei consumatori della pasta Cunegonda, La repubblica, 20 aprile 2002. (http://www.repubblica.it/online/politica/econsumo/econsumo/econsumo.html) Newsletter straordinaria. Guerra e informazione Semmai questa sarà la prossima guerra, sarà una guerra costruita e legittimata dalla disinformazione, dall'assenza sistematica di una informazione, soprattutto televisiva, che non sembra essere interessata a evidenziare le contraddizioni e i reali obiettivi del piano accusatorio di Bush nei confronti del regime iracheno di Hussein. Il nostro modesto impegno vorrebbe essere proprio quello di mettere in evidenza alcune notizie che la televisione, nella migliore delle ipotesi, ha trattato con malcelato disinteresse Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra? Molte delle informazioni che seguono non sono state rese note al grande pubblico della televisione, come era facile prevedere dal momento che chi attualmente detiene l'effettivo controllo di tutto il sistema televisivo è anche uno dei pochi premier europei ad essersi dichiarato apertamente favorevole all'ennesima iniziativa militare a stelle e strisce, traducendo questo entusiasmo - che storicamente può ricordare un certa euforia ceca da tempo delle crociate - non solo in un coinvolgimento delle nostre istituzioni, del nostro esercito, ma anche in un sostanziale stravolgimento del nostro dettato costituzionale. Il Presidente del Consiglio, novello Goffredo di Buglione, usa al meglio il mezzo mediatico che a lui è più familiare allo scopo di imporre all'opinione pubblica una singolare trasformazione semantica, cioè quella che dovrebbe rendere sinonimi termini come guerra e pace, aggressione e difesa, prin! cipi morali e interessi economici. L'undici settembre ha reso possibile una svolta nella politica estera degli U.S.A e ci ha abituato all'idea di una sorta di concatenazione di guerre più o meno preventive alle quali tutto il mondo cosiddetto civile dovrebbe aderire. Ma la storia è maestra, e ancora molti e significativi possono essere i parallelismi con le crociate millenaristiche di Urbano II. A quel tempo il vero obiettivo era l'espansione della cattolicità che coincideva con gli interessi materiali di un ceto egemonico allora in formazione: la nobiltà e la cavalleria. Oggi la cattolicità come disegno mondiale è tramontata, sostituita dalla cosiddetta globalizzazione economica che rischia di tradursi in una monocultura planetaria al cui centro l'idea di un Dio è stata sostituita dai concetti di profitto, organizzazione, mercificazione. Le crociate ebbero come risultato la formazione del concetto di nobiltà come &eacu! te;lite dominante ereditaria che fu alla base di tutto l'Ancien régime, e, come allora, il rischio attuale è che si stia preparando un "nouveau régime" per i prossimi secoli fatto di potentati transnazionali che, attraverso l'ideale di una "guerra giusta", decretino la legittimità del loro status di difensori e rappresentanti dell'umanità. Ma quanto in realtà la gente è concorde sulla necessità e sul concetto stesso di una guerra preventiva? È questo dato che non emerge dai telegiornali, dai sondaggi - tanto di moda quando il loro esito può essere convenientemente utilizzato a fini politici -, da gran parte dell'informazione catodica che sembra non accorgersi del distacco netto tra le posizioni del nostro capo del Governo e quelle dell'opinione pubblica, addirittura tra Bush e ampi strati della società americana. E alle soglie di una guerra, Bruno Vespa continua a ospitare miss I! talia, modelle, stilisti e dosi massicce di cronaca nera, riempiendo le nostre case di noiose vacuità di pessimo gusto.. Attentato alla Costituzione. Berlusconi denunciato Riportiamo i passi più salienti dell'esposto del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, presentato il 28 settembre in riferimento alle dichiarazioni sulla guerra del presidente del Consiglio dei Ministri nel discorso al Parlamento del 25 settembre. Alla Procura Generale della Repubblica, Roma E per opportuna conoscenza: al Presidente della Repubblica Italiana, Roma ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, Roma Esposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per le dichiarazioni rese in Parlamento il 25 settembre 2002 * 1. In data 25 settembre 2002 il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Silvio Berlusconi, ha reso in Parlamento dichiarazioni di eccezionale gravità. Dal testo ufficiale (disponibile sul sito del governo - www.governo.it - e dal quale citiamo) risulta chiaramente che in riferimento alla minaccia di una guerra degli Stati Uniti d'America contro l'Iraq il capo dell'esecutivo: a) non solo non ha inteso esprimere una netta opposizione all'intenzione della Casa Bianca di scatenare una guerra di aggressione palesemente illegale e criminale sia secondo il diritto internazionale, sia secondo il comune sentire delle genti; b) non solo non si è dichiarato vincolato al rispetto intransigente di quanto previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce in modo assoluto che l'Italia appoggi una simile guerra o peggio ad essa prenda parte; c) non solo, ma addirittura ha espresso un evidente appoggio alle sciagurate e capziose argomentazioni del governo statunitense finalizzate allo scatenamento della guerra; d) non solo, ma addirittura ha sferrato un duro obliquo attacco alla Costituzione italiana in uno dei suoi principi fondamentali (l'art. 11); e) non solo, ma addirittura ha esposto un punto di vista palesemente irresponsabile e agghiacciante (sebbene espresso nella forma sfumata della citazione) che lascia dedurre una effettiva disponibilità a sostenere ed a prendere parte alla guerra che si va preparando. * 2. Vediamo alcuni punti cruciali del discorso svolto alla Camera dei Deputati. I. Il Presidente del Consiglio ricorda en passant quanto stabilito dall'articolo 11 della Costituzione, ma per revocarne implicitamente in dubbio l'adeguatezza a fronte della situazione presente [Š] II. Afferma il Presidente del Consiglio che "L'Italia ha un preciso interesse nazionale nel seguire, in questa nuova crisi, linee d'intervento responsabili e indipendenti, ma lealmente collocate nel quadro della storica alleanza con gli Stati Uniti" [Š] III. Infine il Presidente del Consiglio conclude citando una massima secondo cui "l'unica cosa di cui avere paura è la stessa paura" [Š] * 4. Le tesi sostenute dal Presidente del Consiglio dei Ministri in Parlamento confliggono flagrantemente con il giuramento di fedeltà alla Costituzione. Poiché la fedeltà alla Costituzione avrebbe voluto che il capo dell'esecutivo esponesse l'unica posizione legittima per lo stato italiano: l'opposizione assoluta alla guerra che si va preparando. [Š] È quindi impossibile non prendere atto della assoluta gravità delle dichiarazioni rese dal capo del governo, e prima che lo stesso abbia la possibilità di porre in atto le intenzioni manifestate (di avallare la guerra, di violare trattati internazionali e legalità costituzionale, di rendere il nostro paese corresponsabile di nuove stragi) occorre impedire che possa commettere un atto incostituzionale e trascinare l'Italia in una nuova guerra di aggressione illegale e criminale. * 5. Siamo pertanto a chiedere con il presente esposto: - che la competente magistratura accerti se nel discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri vi siano elementi passibili di procedimento giudiziario; e qualora ve ne ravvisi proceda agli atti conseguenti; - che il Presidente della Repubblica Italiana e i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati prendano pubblicamente posizione in difesa della Costituzione e contro l'appoggio e la partecipazione italiana alla guerra; - che il governo esprima una posizione ufficiale che si dissoci dagli orientamenti espressi dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riaffermi la fedeltà dell'esecutivo alla Costituzione della Repubblica Italiana; - che il Parlamento approvi un ordine del giorno di biasimo per le esternazioni dell'on. Berlusconi e riaffermi la fedeltà dell'organo legislativo alla Costituzione della Repubblica Italiana. Londra contro Blair. In 400.000 per la pace Riportiamo una testimonianza diretta della manifestazione di Londra del 28 settembre 2002 che ha registrato una partecipazione mai vista prima nel Regno Unito. Ci sembra un chiaro segno delle posizioni di gran parte dell'opinione pubblica europea che tuttavia non ha ricevuto il giusto risalto nel panorama della nostra informazione televisiva. Si è svolta oggi pomeriggio a Londra la manifestazione nazionale contro la guerra all'Iraq e in solidarietà con il popolo palestinese. Organizzata da Stop the War Coalition e dalla Muslim Association of Britain, ha raccolto l'adesione di partiti, associazioni pacifiste ed ecologiste, comunità di immigrati, sindacati e decine di parlamentari. Secondo gli organizzatori più di 400.000 persone hanno partecipato a quella che rappresenta, con questi numeri, la più grande manifestazione nella storia del Regno Unito. Un fiume di gente si è riversato per le strade del centro di Londra, passando davanti al Parlamento e a Downing Street fino a raccogliersi a Hyde Park, e ha praticamente bloccato il centro della capitale per un pomeriggio intero; quando la testa del corteo stava prendendo posto a Hyde Park e gli oratori cominciavano a parlare, la coda del corteo doveva ancora partire da Embankment, punto iniziale di ritrovo. L! a marcia era stata indetta da parecchio tempo per manifestare, in concomitanza con l'anniversario della seconda intifada, solidarietà al popolo palestinese. Visti i recenti eventi e le intenzioni bellicose di Bush e Blair, la giornata ha assunto poi un particolare significato per esprimere la contrarietà del popolo britannico a un'ennesima guerra sanguinaria nel nome degli interessi militari/economici/energetici statunitensi e britannici. D'altronde i due temi (la guerra in Iraq e il conflitto arabo/israeliano) sono intimamente legati nel complesso scenario medio-orientale e storicamente la Gran Bretagna ha parecchie responsabilità nell'area: la colonizzazione, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la dichiarazione di Balfour, l'appoggio militare ed economico al regime iniziale di Saddam, la vendita di armi ad Israele, la partecipazione alle guerre nel golfo, gli attuali quotidiani bombardamenti in Iraq. Inoltre, proprio pochi giorni fa, Blair ha pr! esentato in parlamento il dossier sull'Iraq, atteso come prova determinante e dimostratosi in realtà ben poco consistente; in quell'occasione 56 membri del partito laburista hanno espresso la loro contrarietà alla guerra. Oggi era attesa la risposta della gente, ed è stata ben chiara negli slogan e nei cartelli dei 400.000 manifestanti, accompagnati anche da una sorprendente giornata di sole (per Londra in questo periodo dell'anno è abbastanza raro). Straordinaria anche la composizione multietnica dei partecipanti: oltre a tutte le principali comunità di immigrati (iracheni, palestinesi, libanesi, iraniani, algerini, arabi, afgani, pakistani, indiani, ecc.) è stata particolarmente significativa la presenza dei cittadini britannici, che evidentemente non si sentono rappresentati dal governo attuale e sentono il dovere di prendere posizione contro la guerra. Altrettanto importante la caratteristica pacifica e non violenta della manifes! tazione (non è stato segnalato alcun incidente) e la varietà generazionale: famiglie intere, anziani e bambini (anche se ciò ha creato qualche imprevisto problema per gli organizzatori e per la polizia, che hanno avuto parecchio da fare per rimettere insieme i bambini e i genitori che si erano persi a vicenda). Gli oratori hanno parlato per più di due ore sul palco in Hyde Park; molto attesi (ed applauditi) gli interventi del sindaco di Londra Ken Linvingstone, dell'ex-parlamentare Tony Benn, dell'ex-ispettore dell'ONU Scott Ritter e dei rappresentanti della comunità palestinese. I prossimi appuntamenti sono le manifestazioni di fronte alle basi militari statunitensi coinvolte nell'eventuale guerra, Lakenheath (6 ottobre) e Menwith Hill (12 ottobre), e un'altra manifestazione nazionale il 31 ottobre. [Francesco, PeaceLink]. Tiziano Terzani. Leggere per la pace "Eppure, dinanzi alla complessità di meccanismi disumani - gestiti chi sa dove, chi sa da chi - l'individuo è sempre più disorientato, si sente al perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo isolamento, il suo senso di inutilità." Lettere scritte da chi conosce davvero la realtà di cui parla, che ha vissuto e vive all'interno di quel mondo contro cui il mondo occidentale si è armato, contro cui si è aperta una campagna troppo spesso ideologica a partire da quel tragico 11 settembre in cui un terrorismo brutale ha segnato la storia del mondo. "Il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate", scrive l'autore da Orsigna il 14 settembre 2001. Questa constatazione porta però ad una riflessione diversa da quella che la politica internazionale ha imposto: quanto è accaduto può essere anche l'occasione "per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all'oggi e potrebbe domani portarci al nulla". Lettere da Kabul, da Peshawar, ma anche da Firenze e dal "rifugio" sull'Himalaya in cui Terzani ha deciso di vivere gran parte dell'anno, lettere contro corrente (particolarmente intensa quella rivolta alla Fallaci) in cui vengono fatte affermazioni apparentemente ovvie ("per proteggersi non c'è bisogno d'ammazzare", "per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole"), oggi taciute. Il lettore a cui il libro è rivolto è quello che cerca, sentendosi troppo spesso disorientato e solo, di capire non solo il mondo in cui gli è capitato di vivere, ma anche quello popolato da milioni di persone che per cultura, per storia e soprattutto per condizioni economiche rappresenta la diversità, "l'altro", ma che non deve e non può essere identificato con "il nemico". Tiziano Terzani, fiorentino, è stato per trent'anni il corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e collaboratore della Repubblica prima e del Corriere della Sera poi. Ora vive in India, per lo più nell'Himalaya. Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Milano, Longanesi Editore, 2002. [Di Grazia Casagrande e Giulia Mozzato] Scott Ritter: "Questa guerra è un errore" "Per fare un albero ci vuole il seme", recitava il testo di una celebre canzone. E per fare una guerra? Ci vuole una ragione. E visto che la guerra che Bush vuole ad ogni costo contro l'Iraq non può avere le motivazioni di una guerra "umanitaria", allora il governo statunitense sta lavorando alla costruzione di una legittimazione, e i suoi contorni si sono ormai delineati. Bush e Blair hanno presentato una serie di dossier che inchioderebbero Hussein alle sue responsabilità. Il dittatore iracheno possederebbe armi chimiche e batteriologiche, armi di distruzione di massa, e si appresterebbe a entrare in possesso dell'atomica entro pochi mesi. Come se non bastasse lo si accusa di aver venduto armi chimiche ad Al-Qaeda. E a nulla sembra valere la disponibilità del regime ad accogliere gli ispettori delle nazioni Unite su tutto il territorio dell'Iraq, senza riserve. Stati Uniti e Inghilterra stanno infatti premendo affinché la risoluzione Onu contenga condizioni e clausole inaccettabili per il regime, inaccettabili forse per qualsiasi Stato di diritto. E Kofi Annan vede così svanire nel nulla i suoi sforzi di mediazione. E dove i dossier non convincono, ci pensa il sistema televisivo a riempire le lacune, con documentari su Hussein, speciali sull'Iraq, che da settimane si accavallano nelle programmazioni televisive, in! Italia in particolar modo sulle reti Mediaset. Una voce autorevole che afferma con decisione l'inesistenza di una minaccia "Hussein" proviene invece da dove meno te lo aspetti. Dagli Stati Uniti. Guerra all'Iraq è un libro-intervista a Scott Ritter, ufficiale statunitense eroe dei marines, che ha partecipato per sette anni alla missione di disarmo in qualità di ispettore Onu e per di più è un fervente repubblicano. Il libro è edito in Italia da Fazi Editore. Scott Ritter dimostra chiaramente che se proprio si vuole quantificare la minaccia rappresentata dall'Iraq in termini di armi di distruzione di massa, essa equivale a zero. E Ritter ne è talmente convinto da aver invitato e accompagnato i giornalisti della stampa estera proprio a Baghdad nelle ultime settimane, per visitare i tanto famigerati "siti di armi di distruzione di massa". Questa guerra, in definitiva, sembra nascere da una serie di falsità, di accuse ingiustificate, di ribaltamenti della realtà. Si vuole dimenticare e far dimenticare che fu il governo Reagan ad armare il dittatore in funzione antisovietica e antiiraniana, fornendogli quelle armi chimiche e batteriologiche che ora Bush rivuole indietro. Armi che hanno provocato milioni di morti durante la guerra contro l'Iran. Dov'erano allora gli appelli degli Stati Uniti alla sicurezza mondiale? Ma oggi l'Iraq, dopo le azioni ispettive degli anni precedenti, è inoffensivo. "Ritengo a questo punto fondamentale un problema di cifre - risponde Scott Ritter nel libro -. L'Iraq ha distrutto il 90-95% delle sue armi di distruzione di massa. Dobbiamo ricordare che il restante 5-10% non costituisce necessariamente una minaccia né un programma di armamento, se non siamo in grado di dire quella percentuale minima che fine ha fatto, non significa che l'Iraq ne sia ancora in possesso", dopo il massiccio embargo e il passaggio degli ispettori. E i legami con Al Qaeda? Scott Ritter non ha dubbi e definisce la "connessione" con Al Qaeda "una faccenda palesemente assurda". "Saddam Hussein - ricorda - è un dittatore laico, ha passato gli ultimi trenta anni a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi. A parte la guerra all'Iran degli ayatollah, in Iraq sono in vigore leggi che sentenziano la pena di morte per il proselitismo in nome del wahabismo, la religione di Osama bin Laden. Resta un solo interrogativo: "Lei è un veterano dei marine, un ufficiale e un funzionario di intelligence. Eppure alcuni suoi concittadini la chiamano traditore perché parla così apertamente di tali argomenti. Come risponde?". "La gente può dire quello che vuole - risponde secco ma sereno Scott Ritter - ma chi parla in questo modo non fa che dimostrare la propria ignoranza. Esiste una cosuccia che si chiama Costituzione degli Stati Uniti d'America. Quando ho indossato l'uniforme dei marines e mi fu affidato l'incarico di ufficiale ho giurato di essere fedele e di difendere la Costituzione contro tutti i nemici, esterni e interni. Questo significa che sono disposto a morire per quel pezzo di carta e per quello che rappresenta. Quel documento parla di noi come popolo, e di un governo del popolo, fatto dal popolo, per il popolo, Parla di libertà di parola e di libertà civili individuali... Il massimo servizio che posso rendere al mio pa! ese - conclude Scott Ritter - è di facilitare la discussione e il dialogo sul comportamento da tenere verso l'Iraq... Se quelli che esercitano pressioni a favore della guerra non sono in grado di provare le proprie ragioni, l'opinione pubblica americana dovrà esserne consapevole". "Voglio che l'America non commetta l'errore di questa guerra", ha ripetuto sui giornali americani in questi giorni. Forse, alla maniera di Scott Ritter, vale la pena sentirsi un pò "tutti americani". Gianni Minà: Le guerre nascoste dall'informazione L'esercizio della verità, nel momento che stiamo vivendo, è certamente il più disagevole per molti giornalisti, intellettuali, politici, carenti di memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso, di Cesare Previti al tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex avvocato delle cause scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente il suo diritto a commettere reati trattandosi di "fatti suoi") ha costretto, in questi giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi alla tesi della persecuzione dei giudici di Milano verso Berlusconi e i suoi fidi, a prendere le distanze e a chiedere addirittura, come Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera", che Forza Italia dimetta Previti dal mandato di senatore. Una richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita da un contesto inquietante, nel quale proprio Previti, qualche settimana fa, aveva mandato un avvertimento esplicito al presidente del Consiglio: "Berlusconi sa come sono andati i fatti". Costa sempre più fatica, evidentemente, raccontare o analizzare con onestà una realtà che ormai smentisce ogni sicurezza sulla bontà del sistema che prevale nel mondo. E questa fatica è ancora più palese nelle risicate due paginette che i grandi quotidiani in Italia riservano agli accadimenti del resto del mondo. La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna ed estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione seria ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul "Manifesto". Un fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire "antiamericano" se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33 inquietanti pagine del "National security strategy of the United States", cioè la insensata logica della guerra preventiva. La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili, è che bisogna essere "politicamente corretti". Come se mentire sulla realtà, o eludere, ignorare, nascondere accadimenti fosse un esercizio morale, giusto e accettabile. E la guerra preventiva, decisa senza l'autorizzazione di nessuno, oltre "a stabilire un precedente imbarazzante", come ha segnalato l'ex presidente degli Stati uniti Bill Clinton, è una realtà che può essere spiegata con le sordide esigenze della grande industria delle armi, dell'energia e del petrolio, non con motivazioni strategiche come, con poca dignità, sostengono opinionisti provenienti perfino dall'intellighenzia di sinistra. Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso molto cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi sarebbero responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti. Corrotti da chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perchè Galli della Loggia, nella sua requisitoria, si è dimenticato di chiarirci perchè, ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in mano dei cittadini, ma proprietà della Compagnia generale delle miniere belga che, per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto dalle nazioni coloniali), ha imposto a Kinshasa, un dittatore come Mobutu Sese Seku. E il professore si è dimenticato di spiegarci anche perchè in Sierra Leone è in corso da tempo una guerra dimenticata per il possesso dei diamanti. Un conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano anche i ba! mbini come soldati, al soldo di alcune delle democratiche nazioni d'Europa. Questi stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi la guerra in prima persona perchè "sarebbe sconveniente". E allora in vece loro combattono adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente, le armi più moderne in circolazione. La fazione che vincerà questo conflitto porterà in dote alla nazione "democratica" che l'ha sovvenzionata i diamanti della Sierra Leone. Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri, comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando la ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza però l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli la vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei gas e del greggio, proprio gli Stati Uniti (Bush senior era il capo della Cia) che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee. Fra cui l'Italia che costruì per il rais, alla Oto Melara di La Spezia, il super cannone e per oliare l'affare utilizzò la sede di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro. Qual è l'idea di verità che hanno questi intellettuali? In questi giorni i maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato il tiro a segno contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto, presidentessa delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro, con pallottole dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni fa, la figlia Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo anni di "desaparecion". La colpa di Estella Carlotto? Aver denunciato, proprio alla vigilia dell'attentato, la violenza della polizia argentina che il fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato nel n. 78 della rivista "Latinoamerica". Il messaggio, specie in questo momento di disgregazione dell'Argentina è chiaro, mafioso e rivelatore, come ha spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunità e di incubo già vissuto nella recente storia argentina sta per tornare, favorito proprio dalle presunte misur! e "antiterrorismo" volute dagli Stati Uniti in America Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione come l'Argentina, che era l'allieva più ubbidiente delle ricette neoliberali del Fondo monetario e della Banca mondiale, è sfuggita all'attenzione dei più importanti mezzi d'informazione italiani. Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del "Corriere della Sera", rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei gulag dei paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione, ha dimenticato questa realtà consueta anche nella "macelleria" Colombia del presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei narcotrafficanti e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico del presidente Fox, dove più di 200 persone sono scomparse negli ultimi anni nei commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno alla Birmania o all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo di Washington, che, in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila "comunisti", e messa a ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato il Vietnam e perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale di Amnesty International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione a Cuba è infatti quello creato a Guanta! namo dal governo degli Stati Uniti per rinchiudere, in condizioni penose, i prigionieri talebani. Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani, ma colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione dei diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'è nessun rispetto per la dignità dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti per i nostri commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina dell'epoca dei desaparecidos. Ed è triste notare come anche questi famosi riformisti, siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che vincoli la possibilità di stabilire rapporti economici con questi governanti all'impegno di instaurare nei loro paesi una credibile realtà sociale, civile e democratica. Il problema di fondo è che tutte le efferatezze commesse nel nome del capitalismo sono considerate deprecabili "effetti collaterali", come le bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti, e comunque accadimenti ineluttabili. Così il fatto che l'amministrazione di George W. Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire in quel paese una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente delle masse povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai militari latinoamericani formati a Fort Benning o nella "Escuela de las americas", non interessa più nè all'informazione di quella che fu la borghesia illuminata, nè alla politica rinunciataria di parte di quella che fu la sinistra italiana. Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una poliziotto di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perchè l'opinione pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano Battle a impegnarsi a ritrovare i resti della nuora in una delle tante fosse comuni sorte in America latina negli anni '70. Le fosse comuni come gli squadroni della morte o il terrorismo di stato, erano gli "effetti collaterali" dell'Operazione Condor, una delle più spietate campagne di repressione contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni '70, dal presidente nordamericano Richard Nixon. All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio negli anni '80 delle popolazione maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo quello nazista. I dati che il rapporto Onu "Memoria del silenzio" ha documentato, solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti, trentamila desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento villaggi scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni. Il rapporto documentò anche la complicità del governo di Washington nel genocidio tanto che Bill Clinton volò a Città del Guatemala per chiedere scusa agli eredi dei maya. È per storie indecenti come questa che Bush junior osteggia e rifiuta il Tribunale penale internazionale. Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera a Mieli che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di questo terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella società che viviamo, quella della "guerra continua", pochi si vogliono ricordare forse perchè più inquietanti di molte efferatezze del comunismo. L'esercizio della verità, il rispetto della memoria, la forza inconfutabile di certe realtà non sono convenienti e quindi vanno elusi. Con buona pace dell'etica dell'informazione. [L'articolo è apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002] Appello di Amnesty International all'Unione Europea Amnesty International ha consegnato ai governi europei, in coincidenza con il Consiglio dell'Unione del 30 settembre 2002, un appello corredato dalle prime 40 mila adesioni per salvaguardare la neonata Corte Penale Internazionale dagli attacchi illegali messi in atto dal governo degli Stati Uniti che, in opposizione ai principi difesi da tale corte, stanno cercando di garantire che i propri cittadini non siano sottoposti alla giurisdizione della Corte per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. La Corte penale internazionale avrà il compito di indagare e di promuovere azioni giudiziarie su persone accusate di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, ma gli Stati Uniti stanno attaccando questo nuovo sistema di giustizia internazionale facendo pressioni sui paesi di tutto il mondo perché sottoscrivano accordi tali da garantire l'impunità dei cittadini statunitensi davanti a! lla Corte penale internazionale. In molti casi il governo di Washington, minacciando il ritiro dell'assistenza economica e militare agli Stati che rifiuteranno di aderire, ha già ottenuto i suoi frutti con ben 13 Paesi (Afghanistan, Honduras, Israele, Isole Marshall, Mauritania, Micronesia, Palau, Repubblica Dominicana, Romania, Tagikistan, Timor Est e Uzbekistan) mentre con altri, tra cui Colombia e Argentina, le cose sarebbero già a buon punto. L'appello con le firme (oltre 3.200 raccolte nel nostro paese) è stato recapitato anche al nostro presidente del Consiglio dal quale ci si aspetta una formale dichiarazione relativa all'illegalità di questi accordi rispetto al diritto internazionale dal momento che potrebbero minare gli sforzi internazionali per impedire ai criminali di continuare ad agire e a commettere i più gravi reati che l'umanità abbia conosciuto. Difendere la Corte internazionale, proprio quando si prospetta all'orizz! onte una nuova offensiva militare americana, significa ribadire la necessità e la legittimità di un sistema di diritto internazionale di fronte al quale nessuno sia privilegiato. Chi volesse firmare l'appello lo può fare visitando il seguente url: http://web.amnesty.org/web/icc_petition.nsf/act_ita Sostengono il monopolio televisivo Valida fino al 31 dicembre 2002 Reparto acque Uliveto Rocchetta San Pellegrino Vera Ferrarelle Levissima Panna Acqua Parmalat Reparto formaggi Vitasnella Yogurt Joy Parmalat Reparto sottozero Gelati Motta Gelati Algida Reparto dolciumi Besquik Nestea Mulino Bianco Oro Saiwa Succhi Santal Succhi "I Briosi" Reparto Paste Pasta Barilla Sughi Barilla Sughi Star Reparto oli - alimentari Tonno e patè Riomare Maionese Calvè Latte FrescoBlu Altro Sgrassatore Smac Omino Bianco Depilatori Veet Detersivi Sole/Ava Mondadori Napisan Borotalco Roberts Fiat Prodotti L'Oreal Sulla base del monitoraggio volontario Core Ringraziamo Umberto Eco, tutti coloro che ci sostengono e incoraggiano, e tutti quelli che ci aiuteranno a rendere la nostra cara Italia un po' più democratica e libera. Un saluto cordiale Movimento di Cunegonda Critica del consumo per la democrazia Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva http://www.cunegonda.info
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