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La nonviolenza e' in cammino. 379
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 379
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 10 Oct 2002 16:10:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 379 del 9 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Alex Zanotelli, noi possiamo la pace 2. Operazione Colomba, testimonianza da Khan Younis 3. In linea il nuovo portale del risparmio solidale 4. Per un 29 novembre di pace e dialogo 5. Giuliana Sgrena: Kabul, una citta' di sfollati 6. Giulio Vittorangeli, c'era una volta 7. Norma Bertullacelli, la nonviolenza esige il massimo di coerenza tra mezzi e fini 8. Gianni Mina', le guerre nascoste dall'informazione 9. Maria Teresa Gavazza, memorie con-divise. Dalle storie alla storia 10. Tiziana Valpiana, una interrogazione al ministro della Difesa 11. Il premio "Alexander Langer" a Esperanza Martinez 12. Riletture: Emilio Butturini, La pace giusta 13. Riletture: Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar 14. Riletture: Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza 15. Riletture: Lori Wallach, Michelle Sforza, WTO 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. APPELLI. ALEX ZANOTELLI: NOI POSSIAMO LA PACE [Dall'ottimo sito di "Namaste" (per contatti: ass.namaste at katamail.com) Riprendiamo questo appello di padre Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, una delle voci piu' nitide nel nostro paese dell'impegno nonviolento per la pace e i diritti umani] I tamburi di guerra all'Iraq diventano sempre piu' incalzanti. Se non e' oggi, sara' a gennaio, ma gli Usa quella guerra la vogliono. E' possibile che il governo Berlusconi voglia trascinare il nostro Paese in questa avventura. Dobbiamo dire no a una guerra all'Iraq e bollarla come "illegale e immorale". Ma dobbiamo dirlo in tanti, in tutte le citta' di questo Paese. Per questo proponiamo a tutti i cittadini (l'idea e' nata dentro la Rete di Lilliput) di esporre al davanzale della propria casa (l'importante e' che sia visibile) la bandiera della pace o un pezzo di stoffa bianco con scritto "No alla guerra". Sara' un vero ed effettivo processo di crescita democratica del popolo italiano. Piu' tardi verra' lanciata una giornata in cui, in tutte le citta' italiane, la gente dira' il suo no alla guerra portando in piazza le bandiere o i pezzi di stoffa bianchi. (Si pensa al 10 dicembre, Giorno dei diritti umani). Se l'attacco avverra' prima, quella giornata verra' anticipata. Tutto questo e' stato lanciato a Roma venerdi' 27 settembre 2002, in Campidoglio. E' l'ora di rimetterci in piedi. 2. TESTIMONIANZE. OPERAZIONE COLOMBA: TESTIMONIANZA DA KHAN YOUNIS [Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dei volontari dell'Operazione Colomba, presenti nei territori occupati palestinesi con la loro testimonianza e azione nonviolenta di pace. Per contatti: operazione.colomba at libero.it] Ancora una volta dal nostro arrivo in Medio Oriente ci siamo trovati difronte ad un crimine. Il crimine della violenza indiscriminata che si traduce in attacchi suicidi ad opera di gruppi armati palestinesi in Israele o come in questo caso ad azioni criminali compiute sempre piu' frequentemente dall'esercito israeliano nei Territori Palestinesi. La scorsa notte infatti 15 palestinesi, per la maggioranza civili, sono rimasti uccisi in seguito ad un attacco compiuto dalle forze di sicurezza israeliane nella municipalita' di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza. Siamo stati testimoni dell'attacco e nella giornata di oggi ci e' stato possibile visitare i posti colpiti nella notte. L'incursione ha avuto inizio poco dopo la mezzanotte quando dall'insediamento di Gani Tal si sono mossi diversi mezzi corazzati, con l'obiettivo di penetrare nella citta' di Khan Younis da tre diverse direzioni, supportati dal cielo da elicotteri da combattimento Apaches uno dei quali, intorno alle ore 1,20, ha lanciato un razzo contro un'abitazione, ferendo gravemente tre civili palestinesi. Circa mezz'ora piu' tardi gli abitanti della zona si sono riversati per strada, dopo un ripiegamento delle forze israeliane. A questo punto un secondo razzo e' stato lanciato da un elicottero sulla folla scesa in strada, provocando otto morti e piu' di settanta feriti. Intanto, nell'area di al-Amal le forze israeliane hanno circondato l'abitazione della famiglia di un attivista di un gruppo armato palestinese e nel tentativo di penetrare nella casa hanno ferito la madre ed un fratello di questi. Nelle due ore di perquisizione tutta la famiglia e' stata rinchiusa in una stanza della casa e non e' stato permesso ne' ai familiari ne' alle ambulanze di soccorrere la donna ferita, deceduta piu' tardi per dissanguamento. Gli scontri tra forze israeliane e miliziani palestinesi sono proseguiti nell'area di Mnamsawi fino al mattino quando in seguito a colpi di mortaio sparati contro l'insediamento, le forze israeliane hanno risposto tirando con armi automatiche di grosso calibro sull'ospedale di Nasser, provocando la morte di una persona e il ferimento di altri otto palestinesi all'interno della struttura. Dopo un'intera notte di scontri il bilancio e' di 15 palestinesi uccisi, in maggioranza civili, e 115 feriti, alcuni dei quali versano in condizioni gravissime. Condanniamo questo atto che non puo' essere definito un'azione di difesa per la sicurezza dello stato di Israele ma che e' un'operazione volta ad alimentare la tensione e a radicalizzare le posizioni delle due parti. 3. STRUMENTI. IN LINEA IL NUOVO PORTALE DEL RISPARMIO SOLIDALE [Dall'Associazione Finanza Etica (per contatti: info at finanza-etica.org) riceviamo e diffondiamo] www.finanza-etica.org e' il nuovo portale del risparmio solidale. E' finalmente in linea il nuovo sito dell'Associazione Finanza Etica, un vero e proprio portale d'ingresso nell'ormai complesso e variegato mondo del risparmio solidale. Un sito leggero, ricco di documenti e ricerche, con tutte le informazioni necessarie per mettersi in contatto con l'associazione che rappresenta e coordina le sempre piu' numerose organizzazioni che operano nella finanza etica italiana. Uno strumento di comunicazione trasparente, espressione di una volonta' di relazione precisa e determinata. Una struttura grafica gradevole, allo stesso tempo elegante ed innovativa; un utilizzo della tecnologia sobrio e pulito, la predilezione per l'accessibilita' assoluta per tutti gli utilizzatori, siano essi studenti o professori, responsabili e attivisti del mondo del non profit, persuasi di tutte le estrazioni che un utilizzo alternativo del denaro possa significare ricercare la pace nei gesti di tutti i giorni. Naturalmente il portale ha un'ampia sezione dedicata alla scoperta di tutti i soci dell'Associazione Finanza Etica e di tutti coloro che pur non essendo soci indirizzano le sue attivita' attraverso la rielaborazione di contenuti e significati. Non vi resta che darci un occhiata, magari approfittando dell'imminente "Seconda giornata nazionale della finanza etica e solidale" che si terra' il 23 novembre 2002. 4. APPELLI: PER UN 29 NOVEMBRE DI PACE E DIALOGO [Da Giovanni Sarubbi (per contatti: redazione at ildialogo.org) riceviamo e diffondiamo il seguente appello] Vogliono fare del 29 novembre prossimo, una giornata di lutto e distruzione. Sarebbe quello, secondo notizie della stampa internazionale, il giorno dell'attacco all'Irak. La data non e' casuale: quel giorno e' l'ultimo venerdi' del Ramadan di questo 2002. Il Ramadan e' il mese sacro per i musulmani, il mese che essi dedicano al digiuno e alla preghiera. Si vuole colpire un popolo ma anche un simbolo religioso, aizzando l'odio contro una specifica religione, l'Islam, e promuovendo l'idea folle dello "scontro di civilta'". I promotori dell'appello ecumenico per la realizzazione in Italia della "giornata del dialogo cristiano-islamico", ti chiedono invece di fare del 29 novembre prossimo, un giorno di preghiera, di condivisione, di festa comune ma anche di scambio di esperienze al fine di rafforzare la pace e la conoscenza reciproca, fra cristiani e musulmani. E' un modo per togliere alla guerra in corso qualsiasi alibi ideologico o religioso: cristiani e musulmani possono convivere arricchendosi reciprocamente. Lo dicono, fra l'altro, due importanti documenti delle chiese cristiane, che sono la dichiarazione Nostra Aetate, del Concilio Vaticano II, e la Charta Oecumenica europea approvata nel 2001. Se sei contro la guerra, se sei a favore del dialogo ecumenico e interreligioso, diffondi questo appello ai tuoi amici. Organizza insieme ad essi e dovunque sia possibile per il 29 novembre prossimo iniziative comuni fra cristiani e musulmani. Spetta a tutti fare qualcosa contro la guerra anche a te. Per firmare l'appello ecumenico, per adesioni o segnalazione di iniziative, ci si puo' rivolgere a: - redazione at ildialogo.org, tel. 3337043384 - b.salvarani at carpi.nettuno.it, tel. 3291213885 Per l'elenco completo dei firmatari dell'appello ecumenico, per tutti i materiali ad esso relativi e per le iniziative in corso si puo' visitare il sito: www.ildialogo.org 5. REPORTAGE. GIULIANA SGRENA: KABUL, UNA CITTA' DI SFOLLATI [Questo articolo della prestigiosa giornalista e saggista, inviata a Kabul, e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 6 ottobre 2002] La prima notizia della Bbc, ancora molto ascoltata qui a Kabul dopo che durante l'oscuro periodo dei taleban era stata l'unica porta aperta - clandestinamente - sul mondo, riguarda l'Iraq. Le reazioni sono diverse: c'e' chi rimane indifferente, l'Iraq e' lontano, e poi qui gli arabi non sono ben visti, erano chiamati "arabi" tutti i militanti di al Qaeda e lo stesso Osama bin Laden lo e'. E da allora "arabo" suona quasi come un insulto. Non a caso, a parte l'Arabia Saudita presente con un residuo dei tempi taleban, nessuna ambasciata araba e' stata riaperta. Un timore e' tuttavia alimentato da un probabile attacco all'Iraq: l'Afghanistan sara' di nuovo abbandonato a se stesso come dopo il ritiro dell'Unione Sovietica. L'attacco non e' cosi' scontato, dice un giovane ingegnere che ha studiato prima in Iran e poi in Turchia, "gli Stati Uniti dovranno pur tener conto delle opposizioni a questa guerra". In molti altri, pessimisti anche sul futuro dell'Afghanistan, prevale il catastrofismo: potrebbe essere l'inizio della terza guerra mondiale. Per tutti comunque l'Iraq e' lontano, anche per i governanti che quasi non ne fanno menzione mentre il presidente Karzai, uomo degli Stati Uniti, non puo' che appoggiare la linea bellicista di Bush. Qui, anche la continuazione della guerra antiterrorista in Afghanistan viene ormai spacciata come guerra "preventiva" rispetto a una riesplosione del terrorismo. E ad approfittare dell'attacco all'Iraq potrebbero essere proprio al Qaeda, c'e' infatti chi teme una riesplosione di atti terroristici come dimostrazione di forza ad un anno dall'inizio dei bombardamenti, il 7 ottobre 2001. Un anno dopo, siamo tornati a Kart-i-Parwan, nel centro di Kabul, dove una bomba aveva distrutto l'ala di una casa uccidendo Said Iqbal e Zarlasht, appena sposati. Gli altri familiari si erano salvati per miracolo. Allora, nel giardino, avevamo trovato ancora i resti della bomba - che avrebbe dovuto colpire una presunta sede di al Qaeda, poco lontano - e nella casa le macerie. Un anno dopo l'abitazione e' tutta ricostruita, appena imbiancata. Sembra di buon auspicio, ma quando entriamo non ci sono piu' i vecchi inquilini, le vittime del bombardamento, se ne sono andati alla ricerca di un tetto da rimettere in piedi in periferia. Troviamo invece una giovane coppia: Ismail e Huria, con un bambino piccolo. E' stato il proprietario, padre di Huria, a sistemare la casa per la coppia tornata sei mesi fa da Peshawar, in Pakistan. Erano fuggiti dieci anni prima durante gli scontri tra i mujahidin. Ismail in Pakistan vendeva pezzi di ricambio e ora ha messo su' un negozio al bazar. Guadagna quanto gli basta per mantenere la famiglia, ma non per costruirsi una nuova casa. E gli inquilini che c'erano prima? Non sanno dove sono finiti, erano parenti lontani dicono. Proviamo allora a cercare a Macrorian, il quartiere costruito dai sovietici, la famiglia rimasta traumatizzata dopo aver perso una bambina di tre anni sotto una bomba. Avevano problemi di soldi, non riuscivano nemmeno a pagare l'affitto, 30 dollari al mese. Nel frattempo sono stati sfrattati, nessuno sa dove sono finiti. Storie di ordinaria miseria qui a Kabul. Purtroppo. La ricostruzione, un po' caotica e affidata quasi esclusivamente all'iniziativa privata, e' comunque in corso. I lavori fervono ovunque, per ospitare tutti gli stranieri (Onu, ong, imprenditori) piombati sulla capitale afghana e anche per sistemare una parte dei profughi rientrati negli ultimi mesi, circa 500.000 persone, anche se non tutti resteranno. Si parla gia' di un nuovo esodo: circa 400.000 su 2 milioni di rientri. Chi nell'esilio ha avuto un lavoro e ha potuto racimolare qualche soldo ora ripara la vecchia casa o mette in piedi un negozio. Anche il bazar si e' ulteriormente ampliato. Ma non tutti possono approfittare della nuova situazione. A nord della citta', nel quartiere Chaman-i-Babrak, un enorme spiazzo polveroso ospita decine di tende, alcune sono state fornite dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), altre sono solo un insieme di teli. Qui vivono circa cinquanta famiglie rientrate a ondate successive negli ultimi mesi dai campi profughi del Pakistan, dove erano fuggite dopo che le loro case nella valle di Shomali, a una cinquantina di chilometri da qui, erano state distrutte dai combattimenti - si trovavano proprio sulla linea del fronte dove a lungo si sono combattuti taleban e Alleanza del nord - o per ritorsione dai taleban. Distrutte anche le loro piantagioni, soprattutto la vite, tutta la loro ricchezza. Ora sono tornati, "dopo che Karzai ha detto che il paese era in pace, il governo pakistano ha fatto di tutto per farci partire", racconta Shajan, che ha in braccio il figlio piu' piccolo con la pelle raggrinzita dal vento e dal sole che picchia forte. Non hanno nessun sostentamento, per il rientro hanno ottenuto un po' di viveri e 20 dollari ciascuno dall'Unhcr, ma sono bastati solo per il trasporto, dicono. E raccontano che tre mesi fa, in una di queste tende un bambino e' morto perche' la madre non aveva piu' latte per nutrirlo. Un'ondata di vento alza una nuvola di polvere che avvolge tutte le tende, Ghamai, sugli ottant'anni - qui nessuno sa con esattezza la propria eta' -, seduto per terra, viene sopraffatto. Polvere, puzza, immondizia, bambini nudi che fanno i loro bisogni sul greto di una sorta di canale, asciutto. Non c'e' nemmeno l'acqua, bisogna andarla a prendere negli edifici che costeggiano la strada. L'hotel Intercontinental, che non ha nulla a che vedere con lo standard della prestigiosa catena internazionale, appare sullo sfondo, in cima alla collina, come un miraggio. Ora il problema e' il caldo, anche se di notte la temperatura si abbassa notevolmente, ma fra poco sara' il freddo. Che fare? Tornare in Pakistan, nei campi di Peshawar? L'idea sconvolge tutti, ma molti ammettono che alla fine non avranno altra scelta. Tentare l'avvenutura di tornare nel Shomali? Senza mezzi non c'e' futuro: "non abbiamo piu' una casa, un lavoro". E allora hanno costituito un comitato per fare pressioni su ministeri, governo e ong affinche' li aiutino. Ma finora nessuna risposta, riferisce Raz Mohammed, 26 anni, che guida il comitato. Non e' ancora sposato perche' ha una famiglia di nove persone da mantenere, in Pakistan faceva il muratore ma qui non c'e' lavoro. "Gli unici aiuti che abbiamo avuto in tutti questi mesi sono un sacco di farina dall'Unhcr e alcune coperte e una tanica per prendere l'acqua da una ong giapponese o cinese", dice Raz Mohammed. Si avvicina anche un poliziotto, e' incaricato della sicurezza nel quartiere, temiamo ci voglia allontanare perche' intorno a noi si e' formato un enorme capannello. Invece vuol dire la sua: si impegna a cercare di ottenere dal ministero degli interni questo terreno per gli sfollati affinche' possano costruire delle capanne di fango per difendersi almeno dal freddo, il pericolo maggiore con l'avvicinarsi dell'inverno. Allontanandoci dal campo degli sfollati, attraversiamo Taimani, il quartiere dove pochi giorni fa una donna e' stata rapita, stuprata, uccisa a coltellate e poi avvolta in una coperta e buttata per strada. Insicurezza, violenza, sopraffazione, traffici, miseria sono ancora all'ordine del giorno a Kabul. 6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: C'ERA UNA VOLTA [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e una delle figure piu' generose della solidarieta' internazionale] Come tanti, il tempo di leggere lo rubo alla TV e al sonno. Del resto lo stato della televisione italiana e' pietoso. Non mi riferisco solo alle TV commerciali, ma anche alla Rai che dovrebbe garantire il servizio pubblico. Penso, per esempio, ai notiziari depurati, morti, velinari. In questo triste scenario ci sono delle rarissime eccezioni, come il programma di Silvestro Montanaro "C'era una volta" (mira a raccontare con l'intonazione di una fiaba, ma e' tagliente come una lama affilata), alla sua terza edizione, su Rai Tre ogni giovedi' alle 23,30. Una serie in dieci puntate su varie realta' urbane dal titolo "Le citta' di frontiera" a partire da "Luanda - Chi aiuta chi" sul dopoguerra angolano. L'Angola e' stata martoriata da trent'anni di guerre civili, prima per l'indipendenza poi contro i ribelli armati dalle potenze dell'apartheid e fino a pochi mesi fa i signori della guerra, incontrastati, hanno portato allo stremo il paese sotto il silenzio - e la complicita' colpevole - dell'occidente allettato dalle ricchezze enormi di petrolio (e' uno dei maggiori fornitori degli Usa), uranio e diamanti. "Ora che e' finita la guerra tra ribelli e governativi e' cambiato qualcosa? La telecamera (spesso respinta quando va a ficcare il naso dove non deve) risponde mostrando il benessere dei pochi ed e' il vero pugno allo stomaco" (Norma Rangeri, "Il manifesto", 5 ottobre 2002). Anche l'Angola conferma la drammatica condizione dei bambini nel mondo, i corpi deformati dalla fame e le madri disperate. Dall'Africa all'America Latina squarci terrificanti sulle atrocita' di cui sono protagonisti (a volte come vittime, a volte come carnefici) i ragazzini, dai primi anni di vita fino all'adolescenza. Carne fresca per il mercato della guerra o della prostituzione. Certo, non c'e' nulla di nuovo; i rapporti dell'Unicef ci dicono che ogni anno circa dodici milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono senza ragione, soprattutto a causa di malattie infantili facilmente prevedibili. Sappiamo che questa situazione e' determinata dallo squilibrio Nord/Sud del mondo: i paesi ricchi con il 15% della popolazione mondiale, controllano l'80% delle risorse di tutto il pianeta. Per cui un neonato comincia la sua vita con debito di 1.213 dollari se vede la luce in Nicaragua e di 1.872 nel Congo. Inevitabilmente, in questo contesto di poverta' diffusa e disperata, i bambini diventano un problema, un pericolo. Come i meninos de rua in Brasile, o i ragazzi/ragazze di strada in Guatemala, las quetzalitas. Per non parlare dell'arruolamento di minori nelle forze armate o nei gruppi paramilitari, addestrarti a sgozzare e tagliare mani e piedi. Spesso non sanno per cosa combattono, non raramente vengono drogati a forza per diventare piu' combattivi e violenti. Spesso sono ridotti a schiavi dei loro capi. Non esistono dati ufficiali, ma si stima che in almeno 62 paesi le forze armate utilizzano ragazzi al di sotto dei 18 anni. Al primo posto, in questa terribile classifica, c'e' la Sierra Leone, con i bambini di otto anni arruolati in organizzazioni paramilitari. In questo paese, forse il piu' povero del mondo, la situazione rimarra' esplosiva finche' i paesi vicini continueranno a puntare alle sue ricche risorse diamantifere. Cosi' la gente della Sierra Leone sembra fatta di tanti mendicanti seduti su un mucchio di diamanti e di ricchezze. Scriveva, oltre 20 anni fa, Primo Levi (nella prefazione al libro di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida, Il futuro spezzato, Giuntina, Firenze 1997): "Il 1979, anno internazionale del bambino, si e' concluso con molte parole ed intenzioni e con scarsi risultati. Era gia' stato un sintomo malinconico il fatto che la coscienza collettiva, in tutti i Paesi, avesse avvertito il bisogno di questa sorta di celebrazione: essa e' nata, con tutta evidenza, da un diffuso senso di colpa, dalla consapevolezza che ancora oggi, ed anche nelle nazioni piu' civili, non esiste verso i bambini la reverenza prescritta dal Vangelo, e che ai bambini del nostro tempo gli adulti stanno preparando un avvenire pieno di ombre. Eppure l'amore per i bambini e' scritto in noi: la vicinanza di un bambino, anche sconosciuto, ci rende responsabili, ci rallegra, rafforza e rasserena. E' un amore postulato, indiscutibile, frutto delle nostre lontane radici evolutive di nutritori dei propri nati: ma nella specie umana esso e' arricchito di significati e di simboli. Per noi il bambino e' (o dovrebbe essere) la personificazione dell'innocenza, della illimitata potenzialita' che tutto puo' divenire, della tavola rasa su cui tutto puo' essere scritto. Non c'e' e non c'e' stata civilta' che non abbia riconosciuto ed esaltato questo amore, ad eccezione della "civilta'" instaurata dal nazionalsocialismo nel cuore dell'Europa (...) Non credo che esistano oggi, in nessun luogo del mondo, impianti per la strage di massa come quelli nazisti, ne' lucidi piani di genocidio immediato e differito quali sono descritti in questo terribile libro: ma i bambini continuano a soffrire ed a morire a milioni, di fame, di malattia, o intrappolati nelle maglie di guerre incomprensibili e feroci. Finche' questo avviene, tali pagine dovranno essere lette, anche se la loro lettura non puo' avvenire senza angoscia: esse sono nutrimento vitale per chi si proponga di vegliare sulla coscienza e sull'avvenire del mondo". 7. DIBATTITO. NORMA BERTULLACELLI: LA NONVIOLENZA ESIGE IL MASSIMO DI COERENZA TRA MEZZI E FINI [Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento diffuso nella rete telematica qualche mese fa, ed evidentemente rivolto (circostanza che motiva alcune specifiche scelte lessicali, esemplificative ed argomentative su cui si potrebbe discutere) a interlocutori con le idee assai poco chiare su cosa sia la nonviolenza e su come ci si impegna per l'affermazione di tutti i diritti umani per tutti. Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza, e' impegnata nella Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti] Durante l'assemblea del movimento che si e' tenuta a Genova qualcuno ha liquidato velocemente la questione della nonviolenza definendola "non all'ordine del giorno". Dissento fortemente da questa posizione e credo invece che il problema dei metodi di lotta da adottare per sovvertire un ingiusto ed inaccettabile "ordine" internazionale sia di importanza vitale; anche se non tutti diamo al nome "nonviolenza" lo stesso significato. Sgomberato doverosamente il campo dall'equivoco di chi ritiene che nonviolenza significhi accettazione dell'esistente o rinuncia alla lotta (basti citare ancora una volta la frase di Gandhi che dichiarava di preferire la lotta violenta alla passivita'), e consapevole di dire cose arcinote alla maggior parte di quanti sono attivi nel movimento o frequentano le sue liste, desidero sottolineare due questioni. Non credo quindi che possa essere definito un atto violento occupare una casa sfitta, distruggere una piantagione di mais transgentico o bloccare una strada: e' indubbiamente illegale, e chi lo fa deve essere informatissimo su cio' che sta facendo e su cio' che sta rischiando, sotto ogni possibile punto di vista; puo' alzare il livello dello scontro, e anche questo aspetto deve essere accuratamente valutato; puo' avere conseguenze negative per persone terze, e anche questo deve essere assolutamente evitato; ma non e' "violento" di per se'. La lotta nonviolenta esige il massimo di coerenza tra mezzi e fini. In altre parole, ritiene impossibile costruire un mondo piu' giusto senza esercitare da subito il massimo rispetto per qualsiasi persona. Il nostro movimento sara' davvero rivoluzionario quando, cercando di sovvertire le regole del commercio internazionale, praticando l'obiezione di coscienza alla guerra ed alle leggi antimmigranti, sovvertira' anche continuamente ruoli e strutture di vecchio tipo al proprio interno, e si dara' la necessaria organizzazione tenendo presente questo aspetto cruciale. Perche' tutti e tutte dovremo sapere e potere prendere la parola ed il potere. 8. RIFLESSIONE. GIANNI MINA': LE GUERRE NASCOSTE DALL'INFORMAZIONE [Il seguente articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002. Gianni Mina' (per contatti: g.mina at giannimina.it) e' un giornalista e saggista molto noto e fortemente impegnato nella solidarieta' con i popoli dell'America Latina e del sud del mondo] L'esercizio della verita', nel momento che stiamo vivendo, e' certamente il piu' disagevole per molti giornalisti, intellettuali, politici, carenti di memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso, di Cesare Previti al tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex avvocato delle cause scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente il suo diritto a commettere reati trattandosi di "fatti suoi") ha costretto, in questi giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi alla tesi della persecuzione dei giudici di Milano verso Berlusconi e i suoi fidi, a prendere le distanze e a chiedere addirittura, come Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera", che Forza Italia dimetta Previti dal mandato di senatore. Una richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita da un contesto inquietante, nel quale proprio Previti, qualche settimana fa, aveva mandato un avvertimento esplicito al presidente del Consiglio: "Berlusconi sa come sono andati i fatti". Costa sempre piu' fatica, evidentemente, raccontare o analizzare con onesta' una realta' che ormai smentisce ogni sicurezza sulla bonta' del sistema che prevale nel mondo. E questa fatica e' ancora piu' palese nelle risicate due paginette che i grandi quotidiani in Italia riservano agli accadimenti del resto del mondo. La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna ed estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione seria ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul "Manifesto". Un fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire "antiamericano" se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33 inquietanti pagine del "National security strategy of the United States", cioe' la insensata logica della guerra preventiva. La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili, e' che bisogna essere "politicamente corretti". Come se mentire sulla realta', o eludere, ignorare, nascondere accadimenti fosse un esercizio morale, giusto e accettabile. E la guerra preventiva, decisa senza l'autorizzazione di nessuno, oltre "a stabilire un precedente imbarazzante", come ha segnalato l'ex presidente degli Stati uniti Bill Clinton, e' una realta' che puo' essere spiegata con le sordide esigenze della grande industria delle armi, dell'energia e del petrolio, non con motivazioni strategiche come, con poca dignita', sostengono opinionisti provenienti perfino dall'intellighenzia di sinistra. Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso molto cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi sarebbero responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti. Corrotti da chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perche' Galli della Loggia, nella sua requisitoria, si e' dimenticato di chiarirci perche', ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in mano dei cittadini, ma proprieta' della Compagnia generale delle miniere belga che, per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto dalle nazioni coloniali), ha imposto a Kinshasa, un dittatore come Mobutu Sese Seku. E il professore si e' dimenticato di spiegarci anche perche' in Sierra Leone e' in corso da tempo una guerra dimenticata per il possesso dei diamanti. Un conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano anche i bambini come soldati, al soldo di alcune delle democratiche nazioni d'Europa. Questi stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi la guerra in prima persona perche' "sarebbe sconveniente". E allora in vece loro combattono adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente, le armi piu' moderne in circolazione. La fazione che vincera' questo conflitto portera' in dote alla nazione "democratica" che l'ha sovvenzionata i diamanti della Sierra Leone. Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri, comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando la ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza pero' l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli la vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei gas e del greggio, proprio gli Stati Uniti (Bush senior era il capo della Cia) che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee. Fra cui l'Italia che costrui' per il rais, alla Oto Melara di La Spezia, il super cannone e per oliare l'affare utilizzo' la sede di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro. Qual e' l'idea di verita' che hanno questi intellettuali? In questi giorni i maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato il tiro a segno contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto, presidentessa delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro, con pallottole dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni fa, la figlia Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo anni di "desaparecion". La colpa di Estella Carlotto? Aver denunciato, proprio alla vigilia dell'attentato, la violenza della polizia argentina che il fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato nel n. 78 della rivista "Latinoamerica". Il messaggio, specie in questo momento di disgregazione dell'Argentina e' chiaro, mafioso e rivelatore, come ha spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunita' e di incubo gia' vissuto nella recente storia argentina sta per tornare, favorito proprio dalle presunte misure "antiterrorismo" volute dagli Stati Uniti in America Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione come l'Argentina, che era l'allieva piu' ubbidiente delle ricette neoliberali del Fondo monetario e della Banca mondiale, e' sfuggita all'attenzione dei piu' importanti mezzi d'informazione italiani. Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del "Corriere della Sera", rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei gulag dei paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione, ha dimenticato questa realta' consueta anche nella "macelleria" Colombia del presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei narcotrafficanti e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico del presidente Fox, dove piu' di 200 persone sono scomparse negli ultimi anni nei commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno alla Birmania o all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo di Washington, che, in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila "comunisti", e messa a ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato il Vietnam e perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale di Amnesty International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione a Cuba e' infatti quello creato a Guantanamo dal governo degli Stati Uniti per rinchiudere, in condizioni penose, i prigionieri talebani. Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani, ma colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione dei diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'e' nessun rispetto per la dignita' dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti per i nostri commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina dell'epoca dei desaparecidos. Ed e' triste notare come anche questi famosi riformisti, siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che vincoli la possibilita' di stabilire rapporti economici con questi governanti all'impegno di instaurare nei loro paesi una credibile realta' sociale, civile e democratica. Il problema di fondo e' che tutte le efferatezze commesse nel nome del capitalismo sono considerate deprecabili "effetti collaterali", come le bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti, e comunque accadimenti ineluttabili. Cosi' il fatto che l'amministrazione di George W. Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire in quel paese una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente delle masse povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai militari latinoamericani formati a Fort Benning o nella "Escuela de las americas", non interessa piu' ne' all'informazione di quella che fu la borghesia illuminata, ne' alla politica rinunciataria di parte di quella che fu la sinistra italiana. Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una poliziotto di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perche' l'opinione pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano Battle a impegnarsi a ritrovare i resti della nuora in una delle tante fosse comuni sorte in America latina negli anni '70. Le fosse comuni come gli squadroni della morte o il terrorismo di stato, erano gli "effetti collaterali" dell'Operazione Condor, una delle piu' spietate campagne di repressione contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni '70, dal presidente nordamericano Richard Nixon. All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio negli anni '80 delle popolazione maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo quello nazista. I dati che il rapporto Onu "Memoria del silenzio" ha documentato, solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti, trentamila desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento villaggi scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni. Il rapporto documento' anche la complicita' del governo di Washington nel genocidio tanto che Bill Clinton volo' a Citta' del Guatemala per chiedere scusa agli eredi dei maya. E' per storie indecenti come questa che Bush junior osteggia e rifiuta il Tribunale penale internazionale. Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera a Mieli che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di questo terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella societa' che viviamo, quella della "guerra continua", pochi si vogliono ricordare forse perche' piu' inquietanti di molte efferatezze del comunismo. L'esercizio della verita', il rispetto della memoria, la forza inconfutabile di certe realta' non sono convenienti e quindi vanno elusi. Con buona pace dell'etica dell'informazione. 9. RIFLESSIONE. MARIA TERESA GAVAZZA: MEMORIE CON-DIVISE. DALLE STORIE ALLA STORIA [Ringraziamo Maria Teresa Gavazza per averci messo a disposizione questo intervento. Maria Teresa Gavazza e' impegnata nell'associazione "Comunicando", per contatti: teregav at tin.it] E' solo ritrovando la nostra identita', le nostre radici (il locale) che potremo confrontarci con la nuova era (il globale). Attraverso la ricostruzione della memoria e' possibile capire il cambiamento ed essere soggetti attivi, in grado di partecipare in modo critico e consapevole. La presenza del male nel divenire storico non deve indurre allo sconforto, ma spingere ad affermare la missione dell'uomo, di ogni uomo (o donna) ad operare dentro il mistero della storia. Inoltre solo coloro che hanno avuto il coraggio di sognare sono riusciti a coltivare una profonda aspirazione, un ideale, una tensione e perche' no, un'utopia. Oggi l'insegnamento storico declina a poco a poco e prevale il disorientamento delle nuove generazioni insieme alla mancanza di consapevolezza sulle comuni radici soggettive e collettive. A questo si accompagna, tra le numerose riflessioni che affollano il secolo breve, una pericolosa confusione tra vittime e carnefici (spesso risolta nelle aule dei tribunali), certamente decisiva nel dare il colpo di grazia ad una Clio ormai inerme. Il coraggio deve animarci in una visione quasi profetica. Chi vuole salvare lo spirito profondo dell'insegnamento della storia e della trasmissione del sapere dovrebbe negare la conoscenza oggettiva paragonandola alla conoscenza di un'altra persona, la quale non sara' mai pienamente esaustiva e soddisfacente. Non esiste alcuna conoscenza storica realmente oggettiva, universalmente valida, cogente. L'io storico inoltre si incontra con l'Altro e queste diverse soggettivita' entrano in relazione per cercare di comprendere la realta': come non ricordare il concetto di storico militante, l'uso delle fonti orali, la critica femminista? Entra in gioco una nuova visione del mondo, non e' solamente questione di metodologie. Lo storico e' la' ben presente, uomo tra gli uomini, animato da passioni, costretto a fare una scelta necessariamente arbitraria, poiche' dipende da una "teoria" la cui verita' non sara' mai d'ordine scientifico, ma soltanto filosofico. Chi fa ricerca storica si sceglie il suo passato perche' si gioca il suo presente. Non accettare il fatto compiuto, non ripetere il giudizio dei primi venuti, ma svelare cause sotterranee che nessuno aveva potuto scorgere, appare una sfida per tutti i volgarizzatori, gli imbonitori, quei maestri saccenti che tendono a dare una visione manichea dei fatti storici. Scrivere, raccontare, conoscere, salvare la memoria storica diventa un monito per le giovani generazioni; sperimentare le fonti, tutte le fonti, per rendersi contemporanei degli avvenimenti che si narrano, assume un alto valore pedagogico ed etico, e' un'educazione della volonta' e del coraggio, che restituisce all'uomo il senso della responsabilita' per poter combattere il fatalismo. Alla fine, in un mondo globalizzato, dove qualche volta la paura del diverso proietta lugubramente il passato sul presente, dichiarare che il recupero della memoria rinnova ed arricchisce, connota la storia come amicizia e fratellanza, e non e' cosa da poco. 10. PROPOSTE. TIZIANA VALPIANA: UNA INTERROGAZIONE AL MINISTRO DELLA DIFESA [Tiziana Valpiana, deputata, e' da sempre impegnata per la pace e i diritti. Per contatti: valpiana_t at camera.it] Al Ministro della Difesa. Per sapere - premesso che: l'Italia ha ratificato i Protocolli alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo con la legge 11 marzo 2002, n. 46, "Ratifica ed esecuzione dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti rispettivamente la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, fatti a New York il 6 settembre 2000"; la legge 8 gennaio 2001, n. 2, ha abrogato l'articolo 3 della legge 31 maggio 1975, n. 191, in contrasto con i citati protocolli; la Convenzione di New York vieta espressamente ai minori di 18 anni i lavori pericolosi e nessun lavoro e' piu' pericoloso di quello del soldato; trattandosi di "zona militare" e' evidente che, in caso di conflitti o di altre ostilita', un'Accademia Militare potrebbe divenire obiettivo sensibile, con grave pregiudizio e pericolo per la vita e l'incolumita' dei minori ivi alloggiati; - per quali ragioni le Accademie Militari continuino ad ammettere minorenni; - quando intenda, in ottemperanza alla legge, assumere le opportune iniziative affinche' nelle Accademie Militari siano accettati solo ultradiciottenni. 11. RICONOSCIMENTI. IL PREMIO "ALEXANDER LANGER" A ESPERANZA MARTINEZ [Dalla Fiera delle utopie concrete (per contatti: via Marconi 8, 06012 Citta' di Castello (Pg), tel. e fax: 0758554321, e-mail: segreteria at utopieconcrete.it, sito: www.utopieconcrete.it) riceviamo e diffondiamo] Il Comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer ha deciso di attribuire il Premio Internazionale Alexander Langer per l'anno 2002 ad Esperanza Martinez, fondatrice in Ecuador dell'associazione Accion Ecologica, coordinatrice dell'Osservatorio socio-ambientale dell'Amazzonia e cofondatrice di Oilwatch, la rete internazionale sorta per difendere i delicati ecosistemi e gli antichi diritti delle popolazioni indigene dai danni conseguenti alle attivita' petrolifere. Esperanza Martinez, 43 anni, madre di tre bambini, e' una biologa con specializzazione in sistemi di gestione dell'ambiente. Oilwatch, da lei coordinato, organizza oggi su tutto il pianeta la resistenza contro l'estrazione petrolifera nelle foreste pluviali. L'attivita' di estrazione del petrolio in ecosistemi cosi' delicati, produce un drastico peggioramento delle condizioni ambientali e di vita delle popolazioni indigene, mettendo in crisi un sapiente uso del territorio e delle sue risorse naturali, nonche' un consolidato sistema di relazioni sociali. Esperanza Maritinez riunisce nella sua persona la lotta per il riconoscimento dei diritti violati della parte piu' indifesa della societa' e l'impegno per l'ambiente e la salvaguardia dell clima, affrontati all'Assemblea ONU di Johannesburg. Negli ultimi anni Accion Ecologica si e' concentrata nella lotta contro la costruzione di un nuovo oleodotto lungo 500 km, che attraversa l'Ecuador da est a ovest, colpendo aree attualmente protette e abitate dai popoli indigeni Huarani, Quichua, Shuar e Achuar. Il contestato progetto e' stato affidato al consorzio di imprese OCP di cui fanno parte anche l'AGIP e la Banca Nazionale del Lavoro, che si occupa della collocazione dei titoli sul mercato. L'impegno di Esperanza Martinez per l'affermazione del diritto ad un ambiente sano e' stato energico, ma sempre nonviolento nei metodi, svolto con passione e intelligenza, senza tregua, ma anche con allegria. Per il suo stile di lavoro e la sua coerenza, lo scrittore Jeo Kane l'ha definita "el corazon verde del Ecuador". E Nnimmo Bassy ha scritto di lei: "Esperanza e' una donna con delle convinzioni molto forti e profonde. Ha le caratteristiche di una rivoluzionaria. Ecco cio' che ti trasmette: convinzioni. Ti aiuta a camminare nell'oscurita'. Non importa quanto profonda, sapendo che ci sara' la luce alla fine del tunnel". Con questo riconoscimento ad Esperanza Martinez, il Comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer vuole segnalare che i grandi eventi internazionali, cosi' carichi di aspettative, come il vertice di Johannesburg, possono infine deludere se non vengono accompagati da un diffuso impegno di individui e comunita', in direzione di una conversione ecologica profonda e socialmente desiderabile, che promuova, come ripeteva Alexander Langer, una vera "pace tra gli uomini e con la natura". La cerimonia di consegna del premio, domenica 13 ottobre alle ore 10 nella sala consiliare del Comune di Citta' di Castello, sara' presieduta dal vicepresidente del Comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, il prof. Gianni Tamino. La laudatio sara' tenuta dal prof. Sami Adwan, palestinese di Beit Jala che, insieme all'israeliano Dan Bar-On ha avuto il Premio Alexander Langer 2002. 12. RILETTURE. EMILIO BUTTURINI: LA PACE GIUSTA Emilio Butturini, La pace giusta, Casa Editrice Mazziana, Verona 1993, 1999, pp. 336, lire 30.000. Un'ampia presentazione (ed antologia) di alcuni testimoni e maestri di un cammino di pace: Ruskin, Tolstoj, Gandhi, Montessori, Capitini, Milani. 13. RILETTURE JOSYANE SAVIGNEAU: MARGUERITE YOURCENAR Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar, Einaudi, Torino 1991, 1993, pp. 502, lire 16.000. Una biografia della grande scrittrice. 14. RILETTURE. CLAUDIO TUGNOLI (A CURA DI): MAESTRI E SCOLARI DI NONVIOLENZA Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000, pp. 320, s. i. p. Utilissima raccolta di riflessioni, testimonianze e proposte; con molti densi profili di figure-chiave della teoria-prassi nonviolenta scritti da studiosi profondi ed affini. 15. RILETTURE. LORI WALLACH, MICHELLE SFORZA: WTO Lori Wallach, Michelle Sforza, WTO, Feltrinelli, Milano 2000, 2001, pp. 256, euro 6,71. "Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale", recita il sottotitolo. Le autrici sono due ricercatrici di "Public citizen", il movimento ambientalista americano fondato da Ralph Nader. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 379 del 9 ottobre 2002
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