La nonviolenza e' in cammino. 377



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it



Numero 377 del 7 ottobre 2002



Sommario di questo numero:

1. Una lettera di Gino Strada

2. Enrico Peyretti, Bush e Saddam uniti da Hitler

3. Elettra Deiana, intervento del 3 ottobre allaCamera dei Deputati

4. La newsletter del "Centro studi difesa civile"

5. Jean Marie Muller, momenti e metodi dell'azione nonviolenta (parte terza
e conclusiva)

6. Davide Melodia, Resistenza e memoria storica

7. Breve notizia sull'opera saggistica di George Steiner

8. Riletture: Laura Conti, Che cos'e' l'ecologia

9. Riletture: Giuliana Martirani, Facciamo politica

10. Riletture: Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw bambina cambogiana

11. La "Carta" del Movimento Nonviolento

12. Per saperne di piu'



1. UNA LETTERA DI GINO STRADA

[GinoStrada e' il fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency"; per
contatti: www.emergency.it]

Cari amici,

"Fuori l'Italia dalla guerra", firmato ormai da oltre duecentomila persone,
non e' piu' soltanto un appello, ma diventa una iniziativa per
sensibilizzare i cittadini, le famiglie italiane.

Siamo convinti - e ne abbiamo ogni giorno nuove conferme - che la grande
maggioranza dei nostri concittadini sia contraria alla guerra, in
particolare alla nuova guerra contro l'Iraq che e' ormai all'orizzonte.

Per rendere visibile questa "opinione pubblica" che crediamo trascurata e
oscurata da molti giornali e televisioni, chiediamo un gesto, una
testimonianza: appendere stracci bianchi, bandiere di pace, alle finestre e
ai balconi delle nostre case e dei luoghi di lavoro ma anche annodare un
piccolo straccetto bianco al polso, alla borsetta, allo zaino, alla
bicicletta, al guinzaglio del cane: ovunque sia visibile.

Uno straccio di pace e' un modo semplice per far sapere che vogliamo
trovare nuove forme di stare insieme, nuovi modi per risolvere i problemi
che non siano la violenza, il terrorismo, la guerra.

Dobbiamo vincere una sorta di pudore, di timidezza, e dobbiamo credere che
sia possibile: se i duecentomila che hanno firmato l'appello di Emergency -
e ogni giorno diecimila persone si aggiungono all'elenco - esponessero uno
straccio di pace - la cosa non potrebbe piu' essere ignorata o censurata.

Duecentomila stracci di pace potrebbero addirittura rappresentare una massa
critica capace di innescare una reazione a catena.

E'una scommessa difficile, ma non dobbiamo perderla. O riusciamo a tenere
"Fuori l'Italia dalla guerra" o non sara' possibile neppure tenere la
guerra fuori dall'Italia.

E' un impegno che vi chiediamo, e' la prima di tante iniziative che,
insieme con altre organizzazioni, vi proporremo per i prossimi mesi.

Tenere l'Italia fuori dalla guerra e' davvero nelle nostre mani.

Buon lavoro a tutti noi.



2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: BUSH E SADDAM UNITI DA HITLER

[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' una delle
personalita' piu' autorevoli della cultura della pace]

Se pensassimo che c'e' uno Hitler dentro ognuno di noi e che la guerra
personale di ciascuno, l'unica giusta, e' sempre quella per tenerlo a bada,
e che l'unica conquista necessaria e' il potere su di se'; se pensassimo
con Gandhi che dentro ogni Hitler che successivamente insanguina la storia
c'e' un uomo umano nascosto e represso, che noi potremmo risvegliare e
liberare se trattassimo lo Hitler che lo domina con metodi totalmente
diversi ed opposti ai metodi hitleriani, invece di imitarli e confermarli
combattendolo con le stesse armi che lui usa contro di noi, anzi piu'
potenti distruttive e spregiudicate, perche' la guerra la puo' vincere solo
il piu' armato e piu' crudele, anche se non ha la minima ragione; se
pensassimo bene tutto questo, capiremmo che, nello sciagurato duello
odierno ridicolmente semplificato e personalizzato tra Bush e Saddam, i due
nemici si assomigliano come due infelici gemelli siamesi, appiccicati per
un unico piccolo cervello.

Una ministra tedesca ha paragonato Bush a Hitler, quindi ha dovuto
dimettersi, perche' nel pubblico come nel privato non si puo' dire tutto
cio' che si pensa. Bush ha dichiarato Saddam pericolo pubblico numero uno
per tutta l'umanita', incarnazione del male, come Hitler. Un pappagallo a
stelle e strisce, che "conta" (nei due sensi del verbo) molto in Italia, ha
ripetuto fedelmente. Saddam ama esibirsi sfoderando uno sciabolone enorme,
o sparando in aria con un fucilone (prontamente identificato in queste
immagini dai nostri tg di governo) ed appartiene, se non ci sta ripensando
ora, a quella autosoddisfatta semplificazione che definisce i capi
dell'occidente Grande Satana, che e' poi la versione metafisica di Hitler.

Hanno ragione un po' tutti. La storia non si ripete, ma anche si ripete. Il
fuehrer nazista e' il simbolo piu' chiaro di ogni potente ossessionato
dalla sindrome del grilletto, dalla volonta' di dominio, dalla paranoia
della superiorita', dal culto della forza. Ma quanti ce ne sono! Uomini di
minuscola umanita' ingigantiti da una corazza scintillante di minacce
mortali. Se paragonare a Hitler e' giustamente sentito come un'offesa -
vedete che in tutti c'e' un residuo di dignita' - la somiglianza con Hitler
c'e' veramente in ogni politica di potenza dominatrice ed offensiva, che si
arroga il diritto di punire, anche preventivamente, chi le attraversa la
strada, e non conosce altra via che le armi, la morte, il ricatto per
regolare le controversie. Queste politiche sono molto piu' di una, ma io
vedo, osservando la storia, che la potenza piu' forte e' sempre stata la
piu' pericolosa e dannosa per l'umanita'. Il dominio, prima ancora della
guerra omicida, suo strumento, e' l'opposto della pace e della giustizia.
La malattia di ogni Hitler e' il dominio come destino.

Chi sapra' curarlo ed aiutarlo a guarire, riconducendolo ad affrontare i
problemi comuni a tutta l'umanita' entro leggi uguali per tutti, quindi da
rispettare noi per primi? Chi pensa invece di sopprimerlo coinvolgendo
innocenti, non fara' che riprodurre la genia hitleriana.



3. DOCUMENTAZIONE. ELETTRA DEIANA: INTERVENTO DEL 3 OTTOBRE ALLA CAMERA DEI
DEPUTATI

[Riportiamo il testo pressoche' integrale dell'intervento di Elettra Deiana
nel dibattito parlamentare svoltosi alla Camera il 3 ottobre sull'invio
degli alpini italiani in Afghanistan. Elettra Deiana e' deputata del Prc,
per contatti: deiana_e at camera.it]

Il ministro Martino ha invocato, nella sua comunicazione al Parlamento,
senso di verita' e senso di responsabilita' e ha chiesto, sulla base di
questo doppio senso, il voto favorevole all'invio di un contingente di
alpini in Afghanistan.

Vorrei sottolineare che proprio questo senso manca nella richiesta di
proseguire la partecipazione italiana all'operazione "Enduring freedom" e
nel voto che, sicuramente, assecondera' questa richiesta e scavera' - io
credo - un grandissimo ed ulteriore solco tra il sentire democratico,
costituzionalmente orientato, pacifista della stragrande maggioranza del
popolo italiano, contrario alla guerra (addirittura il 94 per cento, stando
alle ultime rilevazioni), ed il Parlamento che rischia di essere ogni
giorno piu' lontano dalla fonte della sua legittimazione istituzionale,
vale a dire dal dettato costituzionale.

Per avanzare una richiesta come quella dell'invio degli alpini in
Afghanistan bisogna innanzitutto celare la verita', camuffare la partita
che la' in quel paese si sta giocando e nascondere il contesto in cui
quella partita si inserisce: non e' la lotta al terrorismo. Non e' la lotta
al terrorismo il contesto che giustifica la guerra.

Al contrario, cio' che sta avvenendo non fara' che alimentare il
terrorismo, l'odio tra i popoli, la distanza tra paesi ricchi e paesi
poveri. Il contesto si chiama, invece, "The national security strategy of
the United States", vale a dire la nuova dottrina statunitense in materia
di difesa, imperniata sull'idea, veramente imperiale e per noi veramente
insopportabile, di impedire la nascita di qualsiasi potenziale rivale,
grande o piccolo, di difendere, preventivamente - e lo ripeto -
preventivamente, anche con la guerra, gli interessi della nazione
statunitense ed, in subordine e nella misura della fedelta', i suoi alleati.

E' stata esposta questa strategia per la prima volta nelle ultime settimane
senza mezzi termini ne' ambiguita' e consiste fondamentalmente nell'idea
della guerra preventiva, versione piu' definita e puntuale di quella guerra
infinita ed indefinita collaudata in Afghanistan.

E' irresponsabile - il giudizio e' rivolto al ministro Martino - far finta
di credere e voler far credere a noi che non vi sia collegamento tra
l'Afghanistan e l'Iraq. Che vi sia uno stretto collegamento lo dicono i
fatti, gli esperti di questioni geopolitiche, i documenti ed i generali del
Pentagono, e lo ha affermato ossessivamente il presidente Bush. Dobbiamo
perlomeno dare atto al presidente americano del fatto che le cose le dice e
le ripete con estrema chiarezza.

Il ministro Martino, nel "Giornale di Sicilia", su cui e' solito scrivere,
un paio di settimane fa ha scritto di condividere la strategia statunitense
della guerra preventiva. Sarebbe un bell'argomento di discussione in
Parlamento (prima di fare disquisizioni giornalistiche), visto che una tale
concezione bellica e' la negazione totale ed irreversibile del dettato
costituzionale, della carta delle Nazioni Unite, del ruolo dell'ONU e di
quel senso di responsabilita' che il ministro pretende di imporre.

Kost si trova nel sudest dell'Afghanistan, al confine con il Pakistan. A
Kost sono destinati ad andare gli alpini italiani. Kost e' un luogo infido,
dominato dal signore della guerra Bacha Kahn Zadran, che, pur essendo
alleato degli Stati Uniti d'America ai quali ha fornito centinaia di
soldati mercenari per far fuori la resistenza dei Taliban, non gradisce la
leadership di Hamid Karzai ed e' impegnato in un conflitto sanguinoso con
le forze governative. In varie occasioni, peraltro, il premier Karzai ha
avuto modo di denunciare il pericolo maggiore che incombe sul suo paese in
questo momento: quello che lui chiama la cultura del "warlordismo", ovvero
lo strapotere dei capi delle tribu' dell'alleanza del nord che si stanno
adoperando in tutti i modi e con tutti i mezzi, compresa la sistematica
violazione dei diritti umani, per impedire il consolidamento del nuovo
governo.

Intervistato quest'estate dal "Washington Post", il tenente generale
dell'esercito statunitense Dick Mcneill, comandante delle forze terrestri,
di tutte le forze terrestri impegnate in Afghanistan, futuro comandante
quindi degli alpini italiani, ha ammesso, con grande franchezza, che il
problema del warlordismo esiste, ma che i signori della guerra hanno
fornito un aiuto essenziale, a parole sue, nell'operazione "Enduring
freedom". Sono insomma dei collaboratori essenziali nella guerra sul campo.

Mentre Karzai, che e' un uomo di formazione liberale, lamenta lo strapotere
dei signori della guerra e indica nel fenomeno del warlordismo il male
peggiore del paese, quello cioe' che impedisce veramente qualsiasi speranza
di transizione democratica, i generali del Pentagono spiegano che, senza i
signori della guerra, non c'e' possibilita' di vincere la guerra stessa.

La retorica della pacificazione viene usata per far accettare la guerra,
cosi' come ieri veniva usata quella dei diritti civili. A Kost si combatte
senza esclusione di colpi, tra opposte fazioni; soprattutto a Kost si
svolge gran parte di quella guerra sporca che ha fatto seguito ai
bombardamenti di un anno fa sulla popolazione civile e su tutte le
infrastrutture, quelle pochissime di cui era in possesso quel
disgraziatissimo paese; sul territorio, nelle montagne e nelle grotte, la
guerra, dopo il bombardamento, e' condotta metro per metro sui territori,
senza risparmio di inganni, tradimenti, violenze senza limiti,
l'utilizzazione degli scontri tribali da parte degli angloamericani per
eliminare le sacche di resistenza dei Taliban e dei loro sostenitori.
Questo significano le parole del tenente generale Mcneill.

Mi chiedo se non dica niente alla vostra coscienza il crimine di
Mazar-el-Sharif consumato nel silenzio con la complicita' o per diretta
ispirazione - non lo sappiamo e ci chiediamo quando sara' possibile saperlo
- delle forze occidentali. Non vi fa echeggiare quell'orrore dello
sterminio dei prigionieri nei campi che cosi' radicalmente e' entrato nella
coscienza europea, dopo il dramma della seconda guerra mondiale che ha
informato le Costituzioni europee?

Chi segue con mente libera, giorno per giorno, le vicende della guerra in
Afghanistan, sa bene che Kost e' un posto maledetto, tra i piu' pericolosi
dell'Afghanistan, dove l'operazione "Enduring freedom" si manifesta per
quello che e', una guerra per imporre il dominio degli Stati Uniti
d'America, combattuta con tutti i mezzi per imporre nel paese un governo
amico - che, attenzione, cari colleghi e colleghe, potra' domani non essere
piu' tale, per decreto degli Stati Uniti - e per costruire, con la forza
militare, nuovi assetti politici nell'intero e cruciale territorio
dell'Asia centrale.

Il terrorismo c'entra soltanto perche' offre una copertura alla guerra. Se
si legge la stampa statunitense libera - e ce n'e' tanta - tutto questo
viene fuori con estrema chiarezza.

I militari italiani non vanno a portare la pace, come si compiace di
affermare il ministro Martino. Come potrebbero, d'altra parte, in una zona
cosi' endemicamente coinvolta nella guerra? Non e' in loro potere. La
guerra ha abbattuto il regime dei Taleban a prezzo di un nuovo disastro
storico-politico nel paese, aprendo voragini chissa' quando ricomponibili
nel tessuto sociale, sostituendo il fondamentalismo degli uni con quello
degli altri, come piu' volte hanno denunciato le donne afgane impegnate
nelle organizzazioni democratiche, umanitarie, civili, come l'esponente
dell'organizzazione di donne "Rawa", Zoia, insignita, per questo suo
coraggio civile e politico, del premio internazionale Viareggio poche
settimane fa.

Che cosa vanno a fare, dunque, i nostri alpini nel sud-est dell'Afghanistan?

Vanno a continuare il lavoro sporco lasciato indietro dai Royal marines e
da quegli statunitensi pronti a partire per l'Iraq?

Staranno con il locale potente signore della guerra, Padshah Khan Zadran,
oppure staranno con il governo?

La decisione di appoggiare "Enduring Freedom", secondo il ministro Martino,
e' un valore per il paese e sarebbe davvero un peccato che, per faziosita'
o settarismo, un tale patrimonio andasse dissipato. Dove si nasconde il
patrimonio nazionale, caro signor ministro? Misurarsi con quello che sta
avvenendo nei rapporti mondiali, nelle dinamiche di potere tra parti
diverse del mondo, nei processi di ridefinizione strategica della guerra,
misuriamo su questi terreni funzione e capacita' di iniziativa
internazionale del nostro paese, cominciando con il dire "no" decisamente
all'invio dei militari italiani in Afghanistan.



4. ESPERIENZE. LA NEWSLETTER DEL "CENTRO STUDI DIFESA CIVILE"

[Riportiamo integralmente la newsletter del "Centro studio difesa civile"
(in sigla CSDC) diffusa il 2 ottobre 2002. Per contatti:
info at pacedifesa.org]

La lettera contiene aggiornamenti su: 1. Prossime iniziative e incontri; 2.
Contributi teorici; 3. Laboratori e formazione.

Informiamo che e' on line il nuovo sito del CSDC; si puo' visitare
all'indirizzo www.pacedifesa.org

*

1. Prossime iniziative e incontri

* IIPCO. Continua la campagna per la creazione in Italia di un Istituto
internazionale di ricerca per la pace e sui Conflitti (IIPCO), promossa dal
MIR di Padova e dal CSDC. Al momento piu' di 500 persone hanno firmato
l'appello per la creazione dell'Istituto. Progetti di legge che raccolgono
questa proposta sono stati presentati da appartenenti a diverse forze
politiche, di maggioranza e opposizione, sia alla Camera che al Senato.

L'appello e i disegni di legge possono essere scaricati dal sito del CSDC
www.pacedifesa.org/istituto/istituto.htm e del MIR sezione Padova,
http://digilander.libero.it/mirpd/richie.htm

I fogli per la raccolta delle firme possono essere richiesti contattando le
nostre segreterie.

* Nel corso dell'European Social Forum che si terra' a Firenze dal 6 al 10
Novembre il CSDC e l'Associazione per la Pace, in collaborazione con
Nonviolent Peaceforce e European Network for Civil Peace Services, stanno
organizzando un workshop sui Corpi civili di pace europei dal titolo "Civil
peace services and nonviolent peace force as alternatives to military
defence". Data e luogo ci saranno comunicati a breve dal comitato
organizzatore. Chi fosse interessato a partecipare puo' mettersi in
contatto con le nostre segreterie.

*Nasce Nonviolent Peaceforce. Dal 29 Novembre al 2 Dicembre si terra' a
Nuova Delhi, India, l'evento fondativo di Nonviolent Peaceforce
www.nonviolentpeaceforce.org, una nuova ong internazionale che lavora alla
creazione di un Corpo Civile di Pace che operi a livello globale. Il CSDC
ha tradotto l'invito di NPF e lo ha diffuso in Italia. Chi fosse
interessato puop' trovarlo sul nostro sito, all'indirizzo
http://www.mediazioni.org/csdc/news5-2.htm

* Il CSDC partecipa alla segreteria tecnica del coordinamento "Verso I
Corpi civili di pace italiani". La prossima riunione si terra' a Bologna il
20 ottobre, c/o Studentato missionario dehoniano, in via Santi Vincenzi.

* Il CSDC organizza due conferenze stampa a Perugia, presso la Casa
dell'associazionismo, in via della Viola 1:

- Presentazione del CSDC e del programma annuale 2002/2003. Mercoledi' 9
ottobre, ore 11.

- Presentazione delle proposte di legge per l'Istituto Internazionale di
ricerca e formazione sulla pace e I conflitti. Martedi' 22 ottobre, ore 11.

* Il CSDC ha partecipato ai lavori del seminario "La nonviolenza: attivarsi
per un mondo diverso - Verso la costruzione dei gruppi di azione
nonviolenta", per una politica comune nonviolenta all'interno del conflitto
sociale in atto, organizzato dalla Rete Lilliput e svoltosi a Roma, il 27,
28 e 29 settembre scorsi.

* Sono in corso colloqui con il Polo universitario aretino dell'Universita'
di Siena, che organizzera' il convegno "La comunicazione come antidoto alla
violenza" (si svolgera' nei primi mesi del 2003 probabilmente a Firenze, in
prosecuzione di quello di Arezzo "La comunicazione come antidoto al
conflitto"), al fine di presentare il progetto IIPCO in quella sede. Gli
interessati al convegno possono intanto scrivere a perugia at pacedifesa.org

*

2. Contributi teorici

* E' stata pubblicata l'ultima ricerca del CSDC. Da settembre e'
disponibile nelle librerie specializzate e nelle maggiori citta' italiane:
Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazione di pace nelle crisi
internazionali. Analisi, esperienze, prospettive. Maggiori informazioni
all'indirizzo:

http://www.mediazioni.org/csdc/news5-3.htm

* Il CSDC e' proponente di due "Expression of Interest" (EoI) per il VI
programma quadro di ricerca della Comunita' Europea. Si tratta di un
progetto integrato e di un network of excellence dal titolo "Chances and
methods for violence prevention and nonviolent conflict transformation" a
cui hanno aderito finora una quindicina di associazioni e istituti di
ricerca di 5 paesi europei. Le proposte del CSDC possono essere scaricate
dal sito del VI programma quadro alla pagina
http://eoi.cordis.lu/search_form.cfm , inserendo la parola conflict, la
priorita' 1.1.7.ii e l'opzione "network of excellence". Altrimenti possono
essere scaricate agli indirizzi:
http://www.mediazioni.org/csdc/news5-1.1.htm e

http://www.mediazioni.org/csdc/news5-1.2.htm

*

3. Laboratori e formazione

Ecco i laboratori del CSDC in programma fino a dicembre:

- Aggressivita', passivita', assertivita': tre modi di affrontare i
conflitti. Conduttori: Roberto Tecchio e Francesco Tullio. Data e sede:
Roma, sabato 5 e domenica 6 ottobre. Info: Roberto Tecchio, tel.
0676963043, cell. 3476515331.

- La mia via per un mondo migliore. Conduttore: Lennart Parknas. Data e
sede: Roma, sabato 26 e domenica 27 ottobre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax
0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org

- Bullismo ed apatia in classe. Gestione strategica ed implicazioni
emotive. Conduttori: Francesco Tullio e Susanna Cirone. Data e sede:
Agriturismo "Le Macchie", Ponte Felcino (Pg), sabato 30 e domenica I
dicembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907,
e-mail: laboratori at pacedifesa.org

- Nuovi modi di lavorare in una organizzazione attivista. Conduttore:
Lennart Parknas. Data e sede: Roma, sabato 2 e domenica 3 novembre. Info:
Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail:
laboratori at pacedifesa.org

- La gestione nonviolenta dei conflitti. Quali finanziamenti come
ottenerli. Conduttori: Giancarlo Arcangeli, Alessandro Rossi, Marco
Solazzi. Data e sede: Agriturismo "Le Macchie", Ponte Felcino (PG), da
venerdi' 15 fino a domenica 17 novembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax
0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org

- Qualita' del servizio offerto al cliente. Conduttore: Giancarlo
Arcangeli. Data e sede: Perugia, sabato 14 e domenica 15 dicembre. Info:
Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail:
laboratori at pacedifesa.org

La tabella con ulteriori informazioni alla pagina:

http://www.mediazioni.org/csdc/news5-4.htm

*

Centro Studi Difesa Civile, segreteria operativa Roma: c/o Associazione per
la Pace, via Salaria 89, 00198 Roma, resp. Karl Giacinti, tel. 068419672,
e-mail: pacedifesa-roma at mediazioni.org; segreteria operativa Perugia: c/o
AUOC, via della Viola 1, 06122 Perugia, resp. Sandro Mazzi, tel. e fax:
0755726641, e-mail: perugia at pacedifesa.org. Siti amici:
http://www.mediazioni.org, http://go.to/cecop



5. MATERIALI. JEAN MARIE MULLER: MOMENTI E METODI DELL'AZIONE NONVIOLENTA
(PARTE TERZA E CONCLUSIVA)

[Riportiamo la terza e ultima parte (le due precedenti abbiamo pubblicato
nei numeri 374 e 375 di questo giornale) del testo di un opuscolo edito dal
Movimento nonviolento che a sua volta riproduceva anastaticamente un
capitolo di una piu' ampia opera. L'opuscolo e': Jean Marie Muller, Momenti
e metodi dell'azione nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, s. i.
l. ma verosimilmente Perugia 1981; il libro e' Jean Marie Muller, Strategia
dell'azione nonviolenta, Marsilio, Venezia-Padova 1975 (il capitolo e' il
settimo, alle pp. 73-99). Noi riproduciamo qui il testo di Muller senza le
note dell'autore e senza la presentazione del traduttore Matteo Soccio (uno
dei maggiori studiosi ed amici della nonviolenza in Italia), rinviando per
la lettura del testo integrale all'acquisto dell'opuscolo, disponibile
presso il Movimento nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it. Jean Marie
Muller e' nato nel 1939 a Vesoul in Francia, docente, ricercatore, e' tra i
pi? importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente,
oltre che attivo militante nonviolento e fondatore del  MAN (Mouvement pour
une Alternative Non-violente). Opere di Jean-Marie Muller: Strategia della
nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza,
Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento
Nonviolento, Torino 1980; Metodi e momenti dellâazione nonviolenta,
Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha,
Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1994; Le principe de non-violence. Parcours philosophique,
Desclee de Brouwer, Paris 1995; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1999]

b. Azioni dirette d'intervento

Se la manifestazione e' un confronto diretto con il pubblico che si cerca
di far aderire alla propria causa perche' eserciti una pressione capace di
provocare il cambiamento ricercato, se l'azione di non-cooperazione ha lo
scopo di inaridire le fonti del potere dell'avversario e di costringerlo a
soddisfare le rivendicazioni che gli vengono presentate, l'intervento
nonviolento e' un confronto diretto con l'avversario attraverso il quale ci
si sforza di provocare il cambiamento nei fatti. Con l'intervento
nonviolento si porta il conflitto nel campo dell'avversario che e' posto di
fronte ai fatti compiuti, per cui lo scontro diventa inevitabile.
L'intervento provoca deliberatamente le rappresaglie e la repressione, per
cui i rischi in cui si incorre devono essere accuratamente calcolati.

- Il sit-in. Il piu' noto metodo di intervento diretto nonviolento e' il
sit-in (letteralmente: stare seduti dentro) che fu impiegato soprattutto
dai neri negli Stati Uniti per ottenere la fine della segregazione nei
ristoranti, nei cinema, nelle biblioteche, ecc. Si tratto' allora di
sfidare i responsabili di quei locali pubblici mettendoli di fronte al
fatto compiuto e di obbligarli a cedere di fronte alla pressione sociale
cosi' esercitata.

Generalmente il sit-in e' un'occupazione che si fa stando seduti nei locali
di proprieta' dell'avversario allo scopo di imporsi a lui come
interlocutori necessari e di obbligarlo a riconoscere i diritti che si e'
rifiutato, fino a quel momento, di prendere in considerazione. Durante uno
sciopero operaio, questo metodo dovrebbe consistere nell'occupare
pacificamente gli uffici del padrone per costringerlo a negoziare nel caso
che si rifiuti di farlo. Esso dovrebbe essere sistematicamente preferito al
sequestro del padrone nel suo ufficio, per ragioni morali e tattiche, e
dovrebbe rivelarsi piu' efficace.

In senso lato il sit-in consiste nello svolgere una manifestazione
sedendosi in un luogo pubblico. Questo metodo puo' essere impiegato in
particolare da quelli che partecipano ad una manifestazione che rischia di
scontrarsi con le forze di polizia. Essa permette allora un'occupazione
efficace del terreno che diventa molto difficile da "pulire", e permette
alla manifestazione di durare. E' possibile allora che le forze di polizia
indietreggino di fronte alla responsabilita' di caricare, a colpi di
sfollagente e di bombe lacrimogene, una folla silenziosa il cui solo torto
e' di star seduta in una strada per far valere i propri diritti. Ma e'
anche possibile che esse non indietreggino e si decidano invece a fare una
carica. Queste due possibilita' si sono verificate negli Stati Uniti nel
corso di manifestazioni nonviolente dei neri in lotta per 1'integrazione.
Si tratta di valutare nel modo piu' giusto possibile il rischio che si
corre, partendo dall'analisi del clima politico e sociale nel quale si
svolge la manifestazione. Se si prendera' la decisione di andare fino in
fondo, e' opportuno che le prime file dei manifestanti siano
particolarmente preparate, sia psicologicamente che tecnicamente, ad
affrontare le cariche della polizia e conoscano in particolare i metodi
elementari di protezione che devono essere presi in quel momento (si tratta
soprattutto di proteggersi la nuca con le mani). Se la polizia non osa
disperdere la manifestazione con la violenza, si trova costretta a portar
via uno alla volta tutti i manifestanti.

Si puo' dare allora la parola d'ordine di rifiutare qualsiasi cooperazione
con le forze di polizia, e cioe' di "diventare molli" (come dicono gli
anglosassoni) e lasciarsi "manipolare" con calma dai poliziotti mentre
questi riempiono i furgoni destinati a ricevere i manifestanti.

- L'ostruzione. L'ostruzione consiste nell'impedire la libera circolazione
su una via pubblica facendo dei proprio corpo un ostacolo inevitabile per
chi volesse passare. Questo metodo e' stato utilizzato in particolare in
occasione di scioperi operai per impedire ai non-scioperanti di accedere al
loro posto di lavoro. Si e' pure ricorso a questo procedimento per ottenere
l'arresto e l'immobilizzazione di veicoli che servono ad alimentare
direttamente, sia in uomini che in materiali, l'ingiustizia che si
combatte. Puo' essere utilizzata anche per impedire una costruzione
giudicata indesiderabile come quella di una base militare, di una centrale
atomica o di una realizzazione di prestigio che costituirebbe un'ingiuria
per i poveri: si tratterebbe in questi casi di occupare il cantiere e di
impedire agli operai di lavorare. Si puo' anche concepire l'ostruzionismo
simbolico dell'ingresso di un edificio ufficiale: ostruendo ad esempio
l'ingresso del ministero della Difesa nazionale per protestare contro la
vendita di armi che vanno ad alimentare l'oppressione in diversi paesi
stranieri.

In genere, e' preferibile che l'ostruzione sia compiuta da un gran numero
di persone piuttosto che da poche. Vi sono soprattutto meno pericoli e
l'azione sara' capita meglio dal pubblico.

In questi ultimi tempi, si sono sviluppate altre tecniche di ostruzione:
non si tratta piu' soltanto di fare ostruzione con il proprio corpo ma con
la propria automobile, con il proprio trattore, o con il proprio camion. Il
fine dell'ostruzione qui non e' piu' di impedire gli spostamenti
dell'avversario o di rendere impossibile la cooperazione con lui, ma di
impedire semplicemente la circolazione al fine di creare il fatto che
consenta di far conoscere l'ingiustizia all'opinione pubblica. E' noto che
in Francia i commercianti, gli agricoltori e i camionisti sono ricorsi a
queste tecniche, e generalmente con successo.

- L'usurpazione civile. Invece che abbandonare il proprio posto e
interrompere ogni attivita', puo' essere piu' efficace, per dare scacco al
sistema, sovvertirlo dall'interno restando al proprio posto. Si tratta
allora di ignorare volutamente le istruzioni che giungono dall'alto e
d'impegnarsi a seguire, nel proprio lavoro, le disposizioni dei movimento
di resistenza. Invece di scioperare, questa o quella categoria di
funzionari o di professionisti puo' esercitare sul governo una pressione
maggiore mettendo a disposizione del movimento "le sue armi e i suoi
bagagli". Questo metodo di azione e' chiamato "usurpazione civile". Theodor
Ebert ne da' la seguente definizione: "Lungi dall'interrompere il lavoro,
gli insorti si assumono direttamente l'organizzazione dei lavoro secondo i
metodi del sistema sociale che essi auspicano ed e' l'ampiezza di questa
azione che costringe gli attuali detentori del potere ad adattarsi alle
strutture create dagli insorti". Ci sembra opportuno precisare che non si
tratta qui di fare evolvere le strutture dall'interno sforzandosi di
sfruttare il piu' possibile il margine d'iniziativa lasciato dal sistema.
Salvo qualche eccezione, questo comportamento avalla maggiormente il
sistema piu' di quanto non lo metta in discussione. Serve spesso di
pretesto a chi non ha il coraggio di rifiutare apertamente la propria
collaborazione con l'ingiustizia. L'usurpazione civile si colloca
certamente all'interno delle strutture, pero' essa opera una rottura con il
sistema dominante e sfida apertamente la gerarchia. Si tratta di dirottare
le strutture dal fine che e' loro assegnato dal sistema e di rivolgere la
loro efficacia contro di esso.

Questo metodo puo' essere utilizzato allo scopo di incominciare a
realizzare direttamente nei fatti il cambiamento sociale che si vuole
promuovere, invece che esercitare una pressione per ottenerlo.  Arriviamo
percio' alla nozione di "controllo operaio" cosi' come e' stato gia'
espresso nel contesto della lotta di classe. "L'assunzione del controllo da
parte dei lavoratori significa che questi smettono di giocare secondo le
regole. Significa che essi stessi decidono delle loro condizioni di lavoro,
e soprattutto della loro produzione. Significa rifiutare totalmente la
collaborazione con il sistema esistente. Significa farsi carico della vita
dell'impresa (formazione professionale, ritmi, sicurezza, orari,
ripartizione dei lavoro, movimenti del personale...). (...) La strategia
del fatto compiuto e' sempre comprensibile a condizioni che sia onesta' fin
dall'inizio della sua proposta. Infatti, non bisogna nascondere ai
lavoratori che l'esercizio del controllo non puo' essere transitorio e
legato ad un rapporto di forza. Cio' finisce sempre in uno scontro globale
con l'avversario di classe (lock-out...). Ma soprattutto, l'esercizio dei
controllo collettivo resta la forma migliore di apprendimento da parte dei
proletariato delle responsabilita' che l'attendono per la presa del potere
e la transizione verso il socialismo" ("Le controle ouvrier").

Cosi', invece di porsi in sciopero per reclamare nuovi ritmi di lavoro in
fabbrica, gli operai decidono da soli di lavorare con i nuovi ritmi e
instaurano in fabbrica una situazione di fatto. La pressione cosi'
esercitata puo' rivelarsi piu' efficace.

L'usurpazione civile realizza contemporaneamente sia il programma di
non-cooperazione con il quale ci si rifiuta di servire un sistema ingiusto,
sia il programma costruttivo che permette di realizzare nei fatti le
soluzioni concrete proposte dal movimento. I settori di attivita' sociale,
in cui l'organizzazione dei lavoratori e' riuscita a soppiantare la
direzione legata al sistema e in cui diventa possibile applicare
concretamente i principi della nuova societa', costituiscono dei "territori
liberati".

Certo, anche qui si dovra' fare i conti con i mezzi di risposta di cui
dispone l'avversario. Egli tentera' di porre fine a questa usurpazione e di
riprendere possesso dei servizi amministrativi o dei settori sociali che
sono sfuggiti al suo controllo. Questa risposta dell'avversario potra'
essere piu' o meno efficace a seconda dei rapporti di forza gia' esistenti.
Puo' divenire necessario evacuare i territori momentaneamente liberati e
organizzare la resistenza facendo ricorso unicamente ai metodi classici di
non-cooperazione, e cioe' alle diverse forme di sciopero. Ma e' anche
possibile che l'avversario si trovi disarmato per riprendere questi
territori e che questi giochino allora un ruolo determinante
nell'evoluzione del conflitto.

- Usurpazione delle funzioni governative e governo parallelo. Quando tutto
un paese e' abbandonato all'arbitrio di un governo che intende imporre il
dominio rinnegando tutti i principi della vita democratica, non si tratta
piu' soltanto di opporsi a una legge particolare, si trattera' di opporsi
al governo. Converra' percio', allo scopo di bloccare i meccanismi del
governo e di paralizzarlo, estendere la disobbedienza civile alle leggi
che, pur non essendo di per se stesse ingiuste, servono nondimeno ai
progetti del governo.

Nella misura in cui la disobbedienza civile avra' potuto essere organizzata
su scala nazionale, i leader dei movimento di resistenza potranno essere
considerati come rappresentanti dell'autorita' legittima del paese. Se la
situazione l'esiga e lo permetta - e bisogna ammettere che cio' si puo'
verificare solo eccezionalmente - il movimento di resistenza puo' essere
condotto a usurpare certe funzioni governative, fino a creare un governo
parallelo. La popolazione ignorerebbe allora sistematicamente le decisioni
del governo per obbedire solo alle disposizioni del movimento di
resistenza. "Quando un gruppo di uomini rinnega lo Stato sotto la cui
dominazione hanno vissuto fino ad allora - scrive Gandhi -, essi
costituiscono quasi un proprio governo. Dico "quasi" perche' essi non
arrivano al punto d'impiegare la forza quando lo Stato resiste".



6. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: RESISTENZA E MEMORIA STORICA

[Riportiamo ampi stralci della relazione tenuta da Davide Melodia ad un
convegno sulla Resistenza svoltosi ad Arona, il 22 marzo 1997; il testo che
qui presentiamo e' stato riveduto dall'autore nel settembre 2002. Davide
Melodia, quacchero, e' una delle figure piu' belle dell'impegno nonviolento
in Italia. Per contatti: melody at libero.it]

* La memoria storica

Diversamente dalla storia ufficiale, non e' un vasto ed organico coacervo
di notizie e di dati sistematizzati secondo una teoria interpretativa o una
ideologia X o Y, o una corrente di pensiero, bensi' e' la semplice realta'
dei fatti, vissuti dai soggetti e incarnati nel tessuto socio-culturale,
la' dove gli eventi si sono svolti.

Non e' l'interpretazione di un singolo di fatti selezionati dallo stesso,
ma l'esperienza corale di una comunita'. E' l'eredita' diretta, integrale,
corretta, responsabilmente serbata per se' e per gli altri, da una intera
comunita', relativa a persone, eventi, idee, influenti sul piano sociale e
politico. E' un sacro deposito generalmente difeso a denti stretti dagli
eredi, anche a dispetto delle autorita' e del sistema in auge nel loro
Paese.

Talvolta e' scritto, talaltra e' sotto forma di tradizione, altre volte di
canto e perfino di favola. In questi casi la verita' va rintracciata sotto
i simboli. Laddove e' necessario, viene trasmessa segretamente, in attesa
di tempi migliori. Lo storico professionista, se la rintraccia, puo' farvi
man bassa, e piegarla alla propria visione degli eventi, ma la verita'
vera, prima o dopo, riprende il sopravvento.

A questo serve la memoria storica, nel nostro caso quella genuina della
Resistenza al fascismo. C'e' chi prova a cancellarla, ma non vi riuscira'.

Potrebbe pero' nel tempo presente cercare di ripristinare un regime che la
Resistenza aveva abbattuto, e questo puo' riuscirgli solo se il popolo non
glielo impedira'.

Uno dei pregi straordinari della memoria storica e' che essa tesaurizza
ogni elemento, ogni particolare, piccolo o grande, degli accadimenti, si'
da rappresentare un mosaico completo e prezioso per ogni ricostruzione del
passato. Laddove un mosaico d'arte manchi di una o piu' tessere, e'
svalutato, e un fatto storico, se viene presentato senza alcuni elementi,
e' fuorviante. Non solo. Colui che ha eseguito a falsificazione e'
responsabile di indurre in errore ogni persona impreparata, che ha il
diritto di conoscere e di valutare da se' gli eventi. Incompletezza e
menzogna storica in questo caso coincidono. Il reato di omissione e' grave
quanto quello di fuorviare dalla verita'.

Esistono strumenti per ovviare al falso storico? La stessa memoria storica
ci fornisce due strumenti principali: i testimoni diretti, nell'immediato,
e i documenti, nel mediato, che insieme forniscono al ricercatore onesto la
base su cui fondare la sua ricostruzione.

Poiche' i testimoni vivono per un tempo, dovrebbero preoccuparsi di
lasciare traccia sicura della loro esperienza, accompagnate da prove
inconfutabili, senza concessioni al compromesso, al gioco delle parti, o al
calcolo.

Anche i documenti devono essere confortati da prove sicure, tali da potere
escludere qualsiasi contestazione.

Una cosa pero' manca: un rapporto dinamico con le nuove generazioni, che
poco o nulla sanno della Resistenza, e potrebbero cadere nelle trappole
degli aspiranti ad un regime capitalistico autoritario. Vanno create
occasioni di incontro fra chi sa e chi e' necessario e urgente che sappia.
E devono sapere del regime fascista, nella giusta ottica, la dottrina e la
prassi, le corporazioni, le persecuzioni agli antifascisti, agli ebrei, i
delitti politici, e le guerre, e i campi di concentramento e di sterminio
nazi-fascisti.

Il tutto sempre e comunque nell' assoluto rispetto della verita', anche la
piu' amara.

Gandhi aveva adottato il termine "satyagraha", che letteralmente significa
"adesione alla verita'", quale principio morale e metodo di lotta,
consapevole del fatto che, quando si e' tutt'uno con la verita', si e' per
cio' stesso una forza. E difatti, storicamente, per lui e i suoi seguaci e'
stato cosi'.



* Il revisionismo post-bellico

Questo pseudo-critico mostro moderno, che attua il metodo della menzogna
per confondere i lettori della storia, di cui fa strame, approfitta oggi
della quasi totale assenza di testimoni dei fatti svoltisi durante il
ventennio fascista e la II guerra mondiale in Europa, in quanto non sono
piu' con noi e non possono difendere la verita'.

E nemmeno noi lo potremmo, se quei testimoni non avessero lasciato prove
documentate - e lo hanno fatto - e se non ci preoccupassimo di metterle al
sicuro, perche' i regimi autoritari amano troppo i roghi di libri e di
documenti, scritti nel segno della liberta'.

Ma quando una intera comunita' ha vissuto una certa esperienza, e' la' che
possiamo recuperare le prove, nella sua memoria storica, che esiste anche
oltre i testimoni ed i documenti. Se non l'abbiamo ancora fatto,
facciamolo. Sbattiamo in faccia al ciarlatano le prove inconfutabili che la
Resistenza fu un fatto di popolo, che fu disinteressata, che opero' per
amore della liberta' di tutti.

In un momento difficile come l'attuale, in cui la destra ha rialzato la
cresta e, avendo impugnato temporaneamente alcune leve di comando, parla
ora con voce vellutata, ora con arroganza, promettendo il meglio e il
nuovo, e' doveroso per ogni testimone superstite, per ogni erede diretto e
indiretto della Resistenza,  per ogni amante della liberta' di tutti,
riesumare ogni grande o piccolo dettaglio che dimostra il male del
nazi-fascismo, e le prospettive positive di liberta' e di giustizia insite
nella lotta partigiana...

E allora? E' nostro sacrosanto dovere, di fronte al grave pericolo che ci
sovrasta, impedire con la forza della volonta', dell'intelligenza e dei
valori che coltiviamo, far si' che riprendano vigore, affinche' i nostri
figli non debbanmo tardivamente risvegliarsi in una societa' che incatena
ogni speranza e soffoca la liberta', e non debbano ricominciare daccapo una
lotta immane per restaurarle.

Leviamoci dalle nostre comode poltrone, finche' siamo in tempo, e andiamo
sollecitamente a cercare lungo tutti i filoni antifascisti che sono
esistiti tra la I guerra mondiale e la fine della II, le prove della
sacralita' della Resistenza alla violenza reazionaria, e senza innalzare
altari e trofei, di cui non abbiamo bisogno.

Operiamo come hanno fatto quei compagni, a rischio della propria vita, oggi
spesso ingiuriati, e, come loro, in modo corale, col senno e col frutto
dell'esperienza.

Offriamo al popolo odierno una cura preventiva, un vaccino antifascista, un
antibiotico democratico che lo preservi dalla infezione letale del
totalitarismo.

Non possiamo essere spettatori impotenti del dramma che si sta svolgendo.
E' un lusso che non possiamo permetterci. Dobbiamo essere attori,
protagonisti della nuova storia da scrivere. Finche' siamo in tempo.



* L'Incompiuta del nostro Paese

Irriverente forse, realistica sicuramente, questa espressione si riferisce
all'indomani della Liberazione dal fascismo.

Che tale evento sia stato grande, e' certo. Ma il processo che doveva
innescare, di liberazione totale da ogni e qualsiasi residuo di fascismo,
non si e' compiuto.

Una liberazione, per esere completamente degna di quel nome, degna delle
lotte, dei sacrifici, dei caduti, non e' solo una marcia lunga e
insanguinata verso il momento liberatorio, cioe' la caduta formale del
regime, ma e' il coacervo di tutti gli atti necessari ad estirpare la mala
pianta con tutte le sue radici.

Tutto questo non e' stato fatto, dopo. E non sono stati esautorati i
servitori devoti dello Stato abbattuto; non e' stato totalmente superato il
Codice Rocco, causa non ultima dei problemi della giustizia; la liberta'
agognata non e' stata compiutamente assicurata; la parita' fra i sessi e',
sovente, una chimera; la cultura e' ancora in buona parte privilegio di
classi privilegiate; l'educazione e' destrorsa, malgrado gli sforzi;
l'informazione e' controllata, frenata, falsata, teleguidata; la storia
recente e' sottaciuta per non affrontare i problemi e i fatti del fascismo
e dell'antifascismo; la Costituzione, fondata in massima parte sui valori
democratici e antifascisti, e' spesso inattuata ed e' a rischio di
revisione; strutture, istituzioni, enti pubblici stentano ad abbandonare i
vecchi modelli del ventennio fascista.

Queste cose scrivevo nel 1997, per un Convegno sulla Resistenza ad Arona.

Oggi, nel 2002, sotto un governo di centro-destra, i difetti indicati si
sono aggravati, ivi compresa la sanita', il lavoro, lo Statuto dei
lavoratori, le pensioni, la giustizia, la scuola, la revisione della
Costituzione, l'ambiente - messo a rischio dalle Grandi Opere di quel
Governo...

Il progresso tecnologico e' posto sotto tutela dalle forze economiche
dominanti, mettendo a rischio l'equilibrio ecologico del territorio - il
tutto a dispetto dell'etica e dei valori primordiali della vita.

Poiche' non possiamo attenderci miracoli dall'alto, noi dobbiamo riprendere
in mano con coraggio, determinazione e tempismo, gli strumenti della
democrazia. Finche' siamo in tempo.

Abbiamo sottovalutato gli avversari, figli di squadristi in orbace? Temo di
si'.

O prendiamo coscienza del nostro ruolo e della responsabilita' storica che
ci compete, oggi, o domani non saremo piu' presi sul serio.

Molti, troppi nemici della democrazia e della liberta' si annidano fra i
servitori attuali dello Stato, che non monta elencare, perche' possiamo
permetterci di vivere in pace.

La  nostra pace personale potrebbe essere causa della non pace degli altri,
nonche' causa di sofferenze  e di violenze per le future generazioni.

Forse occorrera' una nuova Resistenza in tempo di pace che, partendo dai
valori della prima, li arricchisca di esperienza, di valori e di metodi
adatti al tempo presente, come la resistenza attiva nonviolenta.

Per far questo, da domani, occorre dedicare tutte le nostre forze ad
offrire alle giovani generazioni, nelle scuole e nella societa', una nuova
educazione e, in primis, un esempio visibile di coerenza, democratica e
umanitaria.



* Un appello

Come il pensiero e l'azione antifascista degli anni '19-'43, generalmente
non armata, creava le basi culturali e ideali dell'azione resistenziale
degli anni 39-45, cosi' nel futuro la ragione antifascista di ieri potra'
coltivare, e ad un tempo fornire al Paese le forze morali con cui opporsi
all'irrazionale che esalta i sogni della destra rampante.

La situazione socio-politica e' molto diversa, oggi, sia dal '39 che dal
'43; la guerra non e' in casa nostra; truppe di occupazione non bivaccano
nelle nostre citta'; i surrogati odierni del fascismo, sebbene al potere
semi-democratico insieme al centro-destra, non hanno una milizia armata; ma
lo spirito del fascismo non e' morto, purtroppo, ne' lo sono le sue
motivazioni economiche e sociali, sostenute di fatto dal sistema
capitalistico occidentale che impone a tutto il mondo una soffocante
globalizzazione dei suoi disvalori.

Poiche' il fascismo e' un male, e lo sono tutti i suoi surrogati, per
ognuno di noi e' un dovere difendersi tempestivamente da esso; se e' dietro
la porta, bisogna chiuderla in tempo; se c'e' disinformazione sul suo
passato, e sui suoi intenti attuali, bisogna ovviare; se e' travestito,
bisogna smascherarlo; se e' segretamente armato, bisogna disarmarlo.

E' vero che le ideologie, come tali e nelle loro applicazioni, sono
tramontate. Ma certi ideali di giustizia e di umanita', nelle persone della
sinistra, c'erano in grande misura.

Essendo validi, questi ideali di liberta', di giustizia, di solidarieta',
di eguaglianza, di democrazia, di pace, per ciascuno e per tutti, per gli
amici e per i nemici, vanno recuperati, applicati e fatti barriera
insuperabile contro ogni rigurgito dittatoriale, politico o economico.

Su tali ideali deve fondarsi da domani la nuova Resistenza, per
trasmetterli ai giovani.

Solo cosi' potremo costruire insieme una casa comune, fondata sulla
verita', dalle fondamenta cosi' profonde, cosi' rispondenti ai bisogni di
un popolo civile, da rappresentare una incrollabile, autentica difesa dal
veleno fascista.



7. AUTORI. BREVE NOTIZIA SULL'OPERA SAGGISTICA DI GEORGE STEINER

George Steiner e' uno dei piu' grandi intellettuali viventi, ed e' un uomo
buono, e saggio. Nasce a Parigi nel 1929 da famiglia erede della grande
tradizione culturale ebraica e mitteleuropea, il padre di origine ceca (di
Lidice) e la madre viennese. Nel 1940 la famiglia si stabilisce in America
(ha scritto Steiner: "Lasciammo sani e salvi la Francia, dov'ero nato e
cresciuto. Sicche' non mi tocco' d'essere la' quando si fece l'appello. Io
non stavo nella pubblica piazza con gli altri bambini, quelli con cui ero
cresciuto. Ne' vidi mio padre e mia madre scomparire quando le porte del
convoglio ferroviario venivano spalancate. Ma in un altro senso sono un
sopravvissuto, e non indenne. Se spesso non sono in sintonia con la mia
generazione, se cio' che mi assilla e domina la mia vita sentimentale
colpisce molti di quelli con cui dovrei essere amico e lavorare in questo
mondo come qualcosa di remotamente sinistro e artificioso, e' perche' il
cupo mistero di quanto accadde in Europa non e' per me separabile dalla mia
stessa identita'. Proprio perche' non ero la', perche' un caso fortunato
tolse il mio nome dall'elenco"). Torna poi in Europa. Docente di
letteratura comparata (a Ginevra, a Cambridge, a Oxford), saggista
finissimo e denso moralista. Le sue opere di riflessione critica sono di
una ricchezza, luciditˆ e profonditˆ straordinarie e vivamente le
raccomandiamo ai nostri interlocutori.

Tra le opere di George Steiner tradotte in italiano a nostra conoscenza vi
sono due testi narrativi (ma della narrativa ad un tempo d'invenzione e di
pensiero che e' propria dell'autore): Il processo di San Cristobal,
Rizzoli, Milano 1982 (l'edizione originale e' del 1981); e Il correttore,
Garzanti, Milano 1992. Ma e' dei saggi che qui vogliamo parlare, poiche' e'
lo Steiner saggista che da' un contributo grande alla nostra riflessione su
noi stessi, sul nostro tempo, sui compiti nostri.

Questa nota e' quindi una segnalazione dei libri di saggi di Steiner
tradotti in italiano che noi conosciamo (ma crediamo che non ne manchi
alcuno).

Tolstoj o Dostoevskij (Garzanti, Milano 1995), del 1959, e' un grande
confronto con e tra i due giganti della letteratura e del pensiero; e' il
primo e gia' cospicuo libro di Steiner; e se su Dostoevskij dovra' venire
poi la conoscenza della riflessione bachtiniana (il romanzo polifonico, e
le altre grandi categorie interpretative del filosofo e critico del
principio dialogico), e se di Tolstoj si analizza il romanziere e non lo
scrittore di religione ovvero il pubblicista umanitario appassionato (il
Tolstoj militante nonviolento), resta un libro forte, e denso.

La morte della tragedia (Garzanti, Milano 1992, 1999), del 1961, non e'
solo una storia della tragedia come forma letteraria e strumento
ermeneutico nella e della cultura occidentale, ma una meditazione profonda
su questa grande idea e forma (e verrebbe voglia di dire voce, e di dirlo
con la parola tedesca) che la Grecia antica ha dato come impronta
all'occidente, all'umanita'.

Linguaggio e silenzio (Rizzoli, Milano 1971, ora Garzanti, Milano 2001 -
edizione ridotta, e gia' la prima traduzione italiana lo era rispetto
all'originale inglese) e' una raccolta di saggi del 1967, ed alcuni sono
indimenticabili. Scrive l'autore nell'introduzione: "Adesso sappiamo che un
uomo puo' leggere Goethe e Rilke la sera, puo' suonare Bach e Schubert, e
quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz": la Shoah
e' uno dei temi fondamentali della meditazione di Steiner, la Shoah e il
suo rapporto con la cultura.

Del 1971 e' Nel castello di Barbablu' (Se, Milano 1990, 2002), testo delle
conferenze tenute lo stesso anno per una "ridefinizione della cultura"
(richiamandosi alle Note su tale argomento di Eliot del '48) riversando
nella riflessione tutta l'ampiezza del suo meditare le vicende del pensiero
e della storia.

Del 1974 e' La nostalgia dell'assoluto (Anabasi, Milano 1995, ora Bruno
Mondadori, Milano 2000), cinque conferenze radiofoniche tenute in Canada
che costituiscono un'agile e agevole sintesi di alcuni temi e verifiche
piu' caratteristiche della riflessione di Steiner.

Dopo Babele (La Nuova Italia, Firenze 1984, ora Garzanti, Milano 1994 -
nuova edizione che tiene conto della nuova versione inglese rivista,
aggiornata e ampliata dall'autore nel 1992), del 1975, e' un classico sui
problemi del linguaggio e della traduzione.

La monografia di Steiner su Heidegger (Mondadori, Milano 1990, ora
Garzanti, Milano 2002), del 1978, e' una delle presentazioni essenziali
piu' nitide (e ancor troppo generosa) del pensatore di Essere e tempo, che
e' un libro magnifico, e del discorso del rettorato, che e' un'infamia
perenne.

Le Antigoni (Garzanti, Milano 1990, 1995), del 1984, e' un capolavoro:
Steiner insegue e scruta la figura di Antigone dalla tragedia di Sofocle a
tutta la tradizione successiva. Una profonda riflessione morale oltre che
una magistrale lezione di storia della cultura (ed Antigone, per gli amici
della nonviolenza, e' un'occasione di meditazione infinita).

Del 1989 e' Vere presenze (Garzanti, Milano 1992, 1998), ancora un forte
invito a un dialogo diretto con i classici, con le opere grandi, con i temi
decisivi della vita e del pensiero.

Nel 1996 Steiner pubblica Nessuna passione spenta (Garzanti, Milano 1997,
2001), una raccolta di saggi in cui tornano letture di autori e meditazioni
su temi che l'autore sente decisivi.

Errata (Garzanti, Milano 1998, 2000), del 1997, e' un'autobiografia che
focalizza alcuni snodi del suo percorso di studioso ed e' occasione per una
riflessione approfondita su campi del sapere e vicende della vita e della
storia cruciali per l'autore.



8. RILETTURE. LAURA CONTI: CHE COS'E' L'ECOLOGIA

Laura Conti, Che cos'e' l'ecologia, Mazzotta, Milano 1977, 1981, pp. VIII +
152. Uno dei doni che Laura Conti, indimenticabile generosa lottatrice per
la dignita' umana e un mondo vivibile, ci ha lasciato.



9. RILETTURE. GIULIANA MARTIRANI: FACCIAMO POLITICA

Giuliana Martirani, Facciamo politica, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1995, pp. 144, lire 15.000. Una grande maestra invita all'impegno civile
per i diritti, l'ambiente, la solidarieta', la pace, la nonviolenza.



10. RILETTURE. MOLYDA SZYMUSIAK: IL RACCONTO DI PEUW BAMBINA CAMBOGIANA

Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw bambina cambogiana, Einaudi, Torino
1986, pp. XVI + 356. Una drammatica testimonianza, tradotta e presentata
dall'indimenticabile Natalia Ginzburg.



11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



12. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it



Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it



Numero 377 del 7 ottobre 2002