[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 377
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 377
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Oct 2002 21:49:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 377 del 7 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Una lettera di Gino Strada 2. Enrico Peyretti, Bush e Saddam uniti da Hitler 3. Elettra Deiana, intervento del 3 ottobre allaCamera dei Deputati 4. La newsletter del "Centro studi difesa civile" 5. Jean Marie Muller, momenti e metodi dell'azione nonviolenta (parte terza e conclusiva) 6. Davide Melodia, Resistenza e memoria storica 7. Breve notizia sull'opera saggistica di George Steiner 8. Riletture: Laura Conti, Che cos'e' l'ecologia 9. Riletture: Giuliana Martirani, Facciamo politica 10. Riletture: Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw bambina cambogiana 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. UNA LETTERA DI GINO STRADA [GinoStrada e' il fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency"; per contatti: www.emergency.it] Cari amici, "Fuori l'Italia dalla guerra", firmato ormai da oltre duecentomila persone, non e' piu' soltanto un appello, ma diventa una iniziativa per sensibilizzare i cittadini, le famiglie italiane. Siamo convinti - e ne abbiamo ogni giorno nuove conferme - che la grande maggioranza dei nostri concittadini sia contraria alla guerra, in particolare alla nuova guerra contro l'Iraq che e' ormai all'orizzonte. Per rendere visibile questa "opinione pubblica" che crediamo trascurata e oscurata da molti giornali e televisioni, chiediamo un gesto, una testimonianza: appendere stracci bianchi, bandiere di pace, alle finestre e ai balconi delle nostre case e dei luoghi di lavoro ma anche annodare un piccolo straccetto bianco al polso, alla borsetta, allo zaino, alla bicicletta, al guinzaglio del cane: ovunque sia visibile. Uno straccio di pace e' un modo semplice per far sapere che vogliamo trovare nuove forme di stare insieme, nuovi modi per risolvere i problemi che non siano la violenza, il terrorismo, la guerra. Dobbiamo vincere una sorta di pudore, di timidezza, e dobbiamo credere che sia possibile: se i duecentomila che hanno firmato l'appello di Emergency - e ogni giorno diecimila persone si aggiungono all'elenco - esponessero uno straccio di pace - la cosa non potrebbe piu' essere ignorata o censurata. Duecentomila stracci di pace potrebbero addirittura rappresentare una massa critica capace di innescare una reazione a catena. E'una scommessa difficile, ma non dobbiamo perderla. O riusciamo a tenere "Fuori l'Italia dalla guerra" o non sara' possibile neppure tenere la guerra fuori dall'Italia. E' un impegno che vi chiediamo, e' la prima di tante iniziative che, insieme con altre organizzazioni, vi proporremo per i prossimi mesi. Tenere l'Italia fuori dalla guerra e' davvero nelle nostre mani. Buon lavoro a tutti noi. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: BUSH E SADDAM UNITI DA HITLER [Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' una delle personalita' piu' autorevoli della cultura della pace] Se pensassimo che c'e' uno Hitler dentro ognuno di noi e che la guerra personale di ciascuno, l'unica giusta, e' sempre quella per tenerlo a bada, e che l'unica conquista necessaria e' il potere su di se'; se pensassimo con Gandhi che dentro ogni Hitler che successivamente insanguina la storia c'e' un uomo umano nascosto e represso, che noi potremmo risvegliare e liberare se trattassimo lo Hitler che lo domina con metodi totalmente diversi ed opposti ai metodi hitleriani, invece di imitarli e confermarli combattendolo con le stesse armi che lui usa contro di noi, anzi piu' potenti distruttive e spregiudicate, perche' la guerra la puo' vincere solo il piu' armato e piu' crudele, anche se non ha la minima ragione; se pensassimo bene tutto questo, capiremmo che, nello sciagurato duello odierno ridicolmente semplificato e personalizzato tra Bush e Saddam, i due nemici si assomigliano come due infelici gemelli siamesi, appiccicati per un unico piccolo cervello. Una ministra tedesca ha paragonato Bush a Hitler, quindi ha dovuto dimettersi, perche' nel pubblico come nel privato non si puo' dire tutto cio' che si pensa. Bush ha dichiarato Saddam pericolo pubblico numero uno per tutta l'umanita', incarnazione del male, come Hitler. Un pappagallo a stelle e strisce, che "conta" (nei due sensi del verbo) molto in Italia, ha ripetuto fedelmente. Saddam ama esibirsi sfoderando uno sciabolone enorme, o sparando in aria con un fucilone (prontamente identificato in queste immagini dai nostri tg di governo) ed appartiene, se non ci sta ripensando ora, a quella autosoddisfatta semplificazione che definisce i capi dell'occidente Grande Satana, che e' poi la versione metafisica di Hitler. Hanno ragione un po' tutti. La storia non si ripete, ma anche si ripete. Il fuehrer nazista e' il simbolo piu' chiaro di ogni potente ossessionato dalla sindrome del grilletto, dalla volonta' di dominio, dalla paranoia della superiorita', dal culto della forza. Ma quanti ce ne sono! Uomini di minuscola umanita' ingigantiti da una corazza scintillante di minacce mortali. Se paragonare a Hitler e' giustamente sentito come un'offesa - vedete che in tutti c'e' un residuo di dignita' - la somiglianza con Hitler c'e' veramente in ogni politica di potenza dominatrice ed offensiva, che si arroga il diritto di punire, anche preventivamente, chi le attraversa la strada, e non conosce altra via che le armi, la morte, il ricatto per regolare le controversie. Queste politiche sono molto piu' di una, ma io vedo, osservando la storia, che la potenza piu' forte e' sempre stata la piu' pericolosa e dannosa per l'umanita'. Il dominio, prima ancora della guerra omicida, suo strumento, e' l'opposto della pace e della giustizia. La malattia di ogni Hitler e' il dominio come destino. Chi sapra' curarlo ed aiutarlo a guarire, riconducendolo ad affrontare i problemi comuni a tutta l'umanita' entro leggi uguali per tutti, quindi da rispettare noi per primi? Chi pensa invece di sopprimerlo coinvolgendo innocenti, non fara' che riprodurre la genia hitleriana. 3. DOCUMENTAZIONE. ELETTRA DEIANA: INTERVENTO DEL 3 OTTOBRE ALLA CAMERA DEI DEPUTATI [Riportiamo il testo pressoche' integrale dell'intervento di Elettra Deiana nel dibattito parlamentare svoltosi alla Camera il 3 ottobre sull'invio degli alpini italiani in Afghanistan. Elettra Deiana e' deputata del Prc, per contatti: deiana_e at camera.it] Il ministro Martino ha invocato, nella sua comunicazione al Parlamento, senso di verita' e senso di responsabilita' e ha chiesto, sulla base di questo doppio senso, il voto favorevole all'invio di un contingente di alpini in Afghanistan. Vorrei sottolineare che proprio questo senso manca nella richiesta di proseguire la partecipazione italiana all'operazione "Enduring freedom" e nel voto che, sicuramente, assecondera' questa richiesta e scavera' - io credo - un grandissimo ed ulteriore solco tra il sentire democratico, costituzionalmente orientato, pacifista della stragrande maggioranza del popolo italiano, contrario alla guerra (addirittura il 94 per cento, stando alle ultime rilevazioni), ed il Parlamento che rischia di essere ogni giorno piu' lontano dalla fonte della sua legittimazione istituzionale, vale a dire dal dettato costituzionale. Per avanzare una richiesta come quella dell'invio degli alpini in Afghanistan bisogna innanzitutto celare la verita', camuffare la partita che la' in quel paese si sta giocando e nascondere il contesto in cui quella partita si inserisce: non e' la lotta al terrorismo. Non e' la lotta al terrorismo il contesto che giustifica la guerra. Al contrario, cio' che sta avvenendo non fara' che alimentare il terrorismo, l'odio tra i popoli, la distanza tra paesi ricchi e paesi poveri. Il contesto si chiama, invece, "The national security strategy of the United States", vale a dire la nuova dottrina statunitense in materia di difesa, imperniata sull'idea, veramente imperiale e per noi veramente insopportabile, di impedire la nascita di qualsiasi potenziale rivale, grande o piccolo, di difendere, preventivamente - e lo ripeto - preventivamente, anche con la guerra, gli interessi della nazione statunitense ed, in subordine e nella misura della fedelta', i suoi alleati. E' stata esposta questa strategia per la prima volta nelle ultime settimane senza mezzi termini ne' ambiguita' e consiste fondamentalmente nell'idea della guerra preventiva, versione piu' definita e puntuale di quella guerra infinita ed indefinita collaudata in Afghanistan. E' irresponsabile - il giudizio e' rivolto al ministro Martino - far finta di credere e voler far credere a noi che non vi sia collegamento tra l'Afghanistan e l'Iraq. Che vi sia uno stretto collegamento lo dicono i fatti, gli esperti di questioni geopolitiche, i documenti ed i generali del Pentagono, e lo ha affermato ossessivamente il presidente Bush. Dobbiamo perlomeno dare atto al presidente americano del fatto che le cose le dice e le ripete con estrema chiarezza. Il ministro Martino, nel "Giornale di Sicilia", su cui e' solito scrivere, un paio di settimane fa ha scritto di condividere la strategia statunitense della guerra preventiva. Sarebbe un bell'argomento di discussione in Parlamento (prima di fare disquisizioni giornalistiche), visto che una tale concezione bellica e' la negazione totale ed irreversibile del dettato costituzionale, della carta delle Nazioni Unite, del ruolo dell'ONU e di quel senso di responsabilita' che il ministro pretende di imporre. Kost si trova nel sudest dell'Afghanistan, al confine con il Pakistan. A Kost sono destinati ad andare gli alpini italiani. Kost e' un luogo infido, dominato dal signore della guerra Bacha Kahn Zadran, che, pur essendo alleato degli Stati Uniti d'America ai quali ha fornito centinaia di soldati mercenari per far fuori la resistenza dei Taliban, non gradisce la leadership di Hamid Karzai ed e' impegnato in un conflitto sanguinoso con le forze governative. In varie occasioni, peraltro, il premier Karzai ha avuto modo di denunciare il pericolo maggiore che incombe sul suo paese in questo momento: quello che lui chiama la cultura del "warlordismo", ovvero lo strapotere dei capi delle tribu' dell'alleanza del nord che si stanno adoperando in tutti i modi e con tutti i mezzi, compresa la sistematica violazione dei diritti umani, per impedire il consolidamento del nuovo governo. Intervistato quest'estate dal "Washington Post", il tenente generale dell'esercito statunitense Dick Mcneill, comandante delle forze terrestri, di tutte le forze terrestri impegnate in Afghanistan, futuro comandante quindi degli alpini italiani, ha ammesso, con grande franchezza, che il problema del warlordismo esiste, ma che i signori della guerra hanno fornito un aiuto essenziale, a parole sue, nell'operazione "Enduring freedom". Sono insomma dei collaboratori essenziali nella guerra sul campo. Mentre Karzai, che e' un uomo di formazione liberale, lamenta lo strapotere dei signori della guerra e indica nel fenomeno del warlordismo il male peggiore del paese, quello cioe' che impedisce veramente qualsiasi speranza di transizione democratica, i generali del Pentagono spiegano che, senza i signori della guerra, non c'e' possibilita' di vincere la guerra stessa. La retorica della pacificazione viene usata per far accettare la guerra, cosi' come ieri veniva usata quella dei diritti civili. A Kost si combatte senza esclusione di colpi, tra opposte fazioni; soprattutto a Kost si svolge gran parte di quella guerra sporca che ha fatto seguito ai bombardamenti di un anno fa sulla popolazione civile e su tutte le infrastrutture, quelle pochissime di cui era in possesso quel disgraziatissimo paese; sul territorio, nelle montagne e nelle grotte, la guerra, dopo il bombardamento, e' condotta metro per metro sui territori, senza risparmio di inganni, tradimenti, violenze senza limiti, l'utilizzazione degli scontri tribali da parte degli angloamericani per eliminare le sacche di resistenza dei Taliban e dei loro sostenitori. Questo significano le parole del tenente generale Mcneill. Mi chiedo se non dica niente alla vostra coscienza il crimine di Mazar-el-Sharif consumato nel silenzio con la complicita' o per diretta ispirazione - non lo sappiamo e ci chiediamo quando sara' possibile saperlo - delle forze occidentali. Non vi fa echeggiare quell'orrore dello sterminio dei prigionieri nei campi che cosi' radicalmente e' entrato nella coscienza europea, dopo il dramma della seconda guerra mondiale che ha informato le Costituzioni europee? Chi segue con mente libera, giorno per giorno, le vicende della guerra in Afghanistan, sa bene che Kost e' un posto maledetto, tra i piu' pericolosi dell'Afghanistan, dove l'operazione "Enduring freedom" si manifesta per quello che e', una guerra per imporre il dominio degli Stati Uniti d'America, combattuta con tutti i mezzi per imporre nel paese un governo amico - che, attenzione, cari colleghi e colleghe, potra' domani non essere piu' tale, per decreto degli Stati Uniti - e per costruire, con la forza militare, nuovi assetti politici nell'intero e cruciale territorio dell'Asia centrale. Il terrorismo c'entra soltanto perche' offre una copertura alla guerra. Se si legge la stampa statunitense libera - e ce n'e' tanta - tutto questo viene fuori con estrema chiarezza. I militari italiani non vanno a portare la pace, come si compiace di affermare il ministro Martino. Come potrebbero, d'altra parte, in una zona cosi' endemicamente coinvolta nella guerra? Non e' in loro potere. La guerra ha abbattuto il regime dei Taleban a prezzo di un nuovo disastro storico-politico nel paese, aprendo voragini chissa' quando ricomponibili nel tessuto sociale, sostituendo il fondamentalismo degli uni con quello degli altri, come piu' volte hanno denunciato le donne afgane impegnate nelle organizzazioni democratiche, umanitarie, civili, come l'esponente dell'organizzazione di donne "Rawa", Zoia, insignita, per questo suo coraggio civile e politico, del premio internazionale Viareggio poche settimane fa. Che cosa vanno a fare, dunque, i nostri alpini nel sud-est dell'Afghanistan? Vanno a continuare il lavoro sporco lasciato indietro dai Royal marines e da quegli statunitensi pronti a partire per l'Iraq? Staranno con il locale potente signore della guerra, Padshah Khan Zadran, oppure staranno con il governo? La decisione di appoggiare "Enduring Freedom", secondo il ministro Martino, e' un valore per il paese e sarebbe davvero un peccato che, per faziosita' o settarismo, un tale patrimonio andasse dissipato. Dove si nasconde il patrimonio nazionale, caro signor ministro? Misurarsi con quello che sta avvenendo nei rapporti mondiali, nelle dinamiche di potere tra parti diverse del mondo, nei processi di ridefinizione strategica della guerra, misuriamo su questi terreni funzione e capacita' di iniziativa internazionale del nostro paese, cominciando con il dire "no" decisamente all'invio dei militari italiani in Afghanistan. 4. ESPERIENZE. LA NEWSLETTER DEL "CENTRO STUDI DIFESA CIVILE" [Riportiamo integralmente la newsletter del "Centro studio difesa civile" (in sigla CSDC) diffusa il 2 ottobre 2002. Per contatti: info at pacedifesa.org] La lettera contiene aggiornamenti su: 1. Prossime iniziative e incontri; 2. Contributi teorici; 3. Laboratori e formazione. Informiamo che e' on line il nuovo sito del CSDC; si puo' visitare all'indirizzo www.pacedifesa.org * 1. Prossime iniziative e incontri * IIPCO. Continua la campagna per la creazione in Italia di un Istituto internazionale di ricerca per la pace e sui Conflitti (IIPCO), promossa dal MIR di Padova e dal CSDC. Al momento piu' di 500 persone hanno firmato l'appello per la creazione dell'Istituto. Progetti di legge che raccolgono questa proposta sono stati presentati da appartenenti a diverse forze politiche, di maggioranza e opposizione, sia alla Camera che al Senato. L'appello e i disegni di legge possono essere scaricati dal sito del CSDC www.pacedifesa.org/istituto/istituto.htm e del MIR sezione Padova, http://digilander.libero.it/mirpd/richie.htm I fogli per la raccolta delle firme possono essere richiesti contattando le nostre segreterie. * Nel corso dell'European Social Forum che si terra' a Firenze dal 6 al 10 Novembre il CSDC e l'Associazione per la Pace, in collaborazione con Nonviolent Peaceforce e European Network for Civil Peace Services, stanno organizzando un workshop sui Corpi civili di pace europei dal titolo "Civil peace services and nonviolent peace force as alternatives to military defence". Data e luogo ci saranno comunicati a breve dal comitato organizzatore. Chi fosse interessato a partecipare puo' mettersi in contatto con le nostre segreterie. *Nasce Nonviolent Peaceforce. Dal 29 Novembre al 2 Dicembre si terra' a Nuova Delhi, India, l'evento fondativo di Nonviolent Peaceforce www.nonviolentpeaceforce.org, una nuova ong internazionale che lavora alla creazione di un Corpo Civile di Pace che operi a livello globale. Il CSDC ha tradotto l'invito di NPF e lo ha diffuso in Italia. Chi fosse interessato puop' trovarlo sul nostro sito, all'indirizzo http://www.mediazioni.org/csdc/news5-2.htm * Il CSDC partecipa alla segreteria tecnica del coordinamento "Verso I Corpi civili di pace italiani". La prossima riunione si terra' a Bologna il 20 ottobre, c/o Studentato missionario dehoniano, in via Santi Vincenzi. * Il CSDC organizza due conferenze stampa a Perugia, presso la Casa dell'associazionismo, in via della Viola 1: - Presentazione del CSDC e del programma annuale 2002/2003. Mercoledi' 9 ottobre, ore 11. - Presentazione delle proposte di legge per l'Istituto Internazionale di ricerca e formazione sulla pace e I conflitti. Martedi' 22 ottobre, ore 11. * Il CSDC ha partecipato ai lavori del seminario "La nonviolenza: attivarsi per un mondo diverso - Verso la costruzione dei gruppi di azione nonviolenta", per una politica comune nonviolenta all'interno del conflitto sociale in atto, organizzato dalla Rete Lilliput e svoltosi a Roma, il 27, 28 e 29 settembre scorsi. * Sono in corso colloqui con il Polo universitario aretino dell'Universita' di Siena, che organizzera' il convegno "La comunicazione come antidoto alla violenza" (si svolgera' nei primi mesi del 2003 probabilmente a Firenze, in prosecuzione di quello di Arezzo "La comunicazione come antidoto al conflitto"), al fine di presentare il progetto IIPCO in quella sede. Gli interessati al convegno possono intanto scrivere a perugia at pacedifesa.org * 2. Contributi teorici * E' stata pubblicata l'ultima ricerca del CSDC. Da settembre e' disponibile nelle librerie specializzate e nelle maggiori citta' italiane: Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazione di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive. Maggiori informazioni all'indirizzo: http://www.mediazioni.org/csdc/news5-3.htm * Il CSDC e' proponente di due "Expression of Interest" (EoI) per il VI programma quadro di ricerca della Comunita' Europea. Si tratta di un progetto integrato e di un network of excellence dal titolo "Chances and methods for violence prevention and nonviolent conflict transformation" a cui hanno aderito finora una quindicina di associazioni e istituti di ricerca di 5 paesi europei. Le proposte del CSDC possono essere scaricate dal sito del VI programma quadro alla pagina http://eoi.cordis.lu/search_form.cfm , inserendo la parola conflict, la priorita' 1.1.7.ii e l'opzione "network of excellence". Altrimenti possono essere scaricate agli indirizzi: http://www.mediazioni.org/csdc/news5-1.1.htm e http://www.mediazioni.org/csdc/news5-1.2.htm * 3. Laboratori e formazione Ecco i laboratori del CSDC in programma fino a dicembre: - Aggressivita', passivita', assertivita': tre modi di affrontare i conflitti. Conduttori: Roberto Tecchio e Francesco Tullio. Data e sede: Roma, sabato 5 e domenica 6 ottobre. Info: Roberto Tecchio, tel. 0676963043, cell. 3476515331. - La mia via per un mondo migliore. Conduttore: Lennart Parknas. Data e sede: Roma, sabato 26 e domenica 27 ottobre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org - Bullismo ed apatia in classe. Gestione strategica ed implicazioni emotive. Conduttori: Francesco Tullio e Susanna Cirone. Data e sede: Agriturismo "Le Macchie", Ponte Felcino (Pg), sabato 30 e domenica I dicembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org - Nuovi modi di lavorare in una organizzazione attivista. Conduttore: Lennart Parknas. Data e sede: Roma, sabato 2 e domenica 3 novembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org - La gestione nonviolenta dei conflitti. Quali finanziamenti come ottenerli. Conduttori: Giancarlo Arcangeli, Alessandro Rossi, Marco Solazzi. Data e sede: Agriturismo "Le Macchie", Ponte Felcino (PG), da venerdi' 15 fino a domenica 17 novembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org - Qualita' del servizio offerto al cliente. Conduttore: Giancarlo Arcangeli. Data e sede: Perugia, sabato 14 e domenica 15 dicembre. Info: Carla Liuzzi: tel. e fax 0755726641, cell. 3490641907, e-mail: laboratori at pacedifesa.org La tabella con ulteriori informazioni alla pagina: http://www.mediazioni.org/csdc/news5-4.htm * Centro Studi Difesa Civile, segreteria operativa Roma: c/o Associazione per la Pace, via Salaria 89, 00198 Roma, resp. Karl Giacinti, tel. 068419672, e-mail: pacedifesa-roma at mediazioni.org; segreteria operativa Perugia: c/o AUOC, via della Viola 1, 06122 Perugia, resp. Sandro Mazzi, tel. e fax: 0755726641, e-mail: perugia at pacedifesa.org. Siti amici: http://www.mediazioni.org, http://go.to/cecop 5. MATERIALI. JEAN MARIE MULLER: MOMENTI E METODI DELL'AZIONE NONVIOLENTA (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Riportiamo la terza e ultima parte (le due precedenti abbiamo pubblicato nei numeri 374 e 375 di questo giornale) del testo di un opuscolo edito dal Movimento nonviolento che a sua volta riproduceva anastaticamente un capitolo di una piu' ampia opera. L'opuscolo e': Jean Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, s. i. l. ma verosimilmente Perugia 1981; il libro e' Jean Marie Muller, Strategia dell'azione nonviolenta, Marsilio, Venezia-Padova 1975 (il capitolo e' il settimo, alle pp. 73-99). Noi riproduciamo qui il testo di Muller senza le note dell'autore e senza la presentazione del traduttore Matteo Soccio (uno dei maggiori studiosi ed amici della nonviolenza in Italia), rinviando per la lettura del testo integrale all'acquisto dell'opuscolo, disponibile presso il Movimento nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it. Jean Marie Muller e' nato nel 1939 a Vesoul in Francia, docente, ricercatore, e' tra i pi? importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento e fondatore del MAN (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Metodi e momenti dellâazione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999] b. Azioni dirette d'intervento Se la manifestazione e' un confronto diretto con il pubblico che si cerca di far aderire alla propria causa perche' eserciti una pressione capace di provocare il cambiamento ricercato, se l'azione di non-cooperazione ha lo scopo di inaridire le fonti del potere dell'avversario e di costringerlo a soddisfare le rivendicazioni che gli vengono presentate, l'intervento nonviolento e' un confronto diretto con l'avversario attraverso il quale ci si sforza di provocare il cambiamento nei fatti. Con l'intervento nonviolento si porta il conflitto nel campo dell'avversario che e' posto di fronte ai fatti compiuti, per cui lo scontro diventa inevitabile. L'intervento provoca deliberatamente le rappresaglie e la repressione, per cui i rischi in cui si incorre devono essere accuratamente calcolati. - Il sit-in. Il piu' noto metodo di intervento diretto nonviolento e' il sit-in (letteralmente: stare seduti dentro) che fu impiegato soprattutto dai neri negli Stati Uniti per ottenere la fine della segregazione nei ristoranti, nei cinema, nelle biblioteche, ecc. Si tratto' allora di sfidare i responsabili di quei locali pubblici mettendoli di fronte al fatto compiuto e di obbligarli a cedere di fronte alla pressione sociale cosi' esercitata. Generalmente il sit-in e' un'occupazione che si fa stando seduti nei locali di proprieta' dell'avversario allo scopo di imporsi a lui come interlocutori necessari e di obbligarlo a riconoscere i diritti che si e' rifiutato, fino a quel momento, di prendere in considerazione. Durante uno sciopero operaio, questo metodo dovrebbe consistere nell'occupare pacificamente gli uffici del padrone per costringerlo a negoziare nel caso che si rifiuti di farlo. Esso dovrebbe essere sistematicamente preferito al sequestro del padrone nel suo ufficio, per ragioni morali e tattiche, e dovrebbe rivelarsi piu' efficace. In senso lato il sit-in consiste nello svolgere una manifestazione sedendosi in un luogo pubblico. Questo metodo puo' essere impiegato in particolare da quelli che partecipano ad una manifestazione che rischia di scontrarsi con le forze di polizia. Essa permette allora un'occupazione efficace del terreno che diventa molto difficile da "pulire", e permette alla manifestazione di durare. E' possibile allora che le forze di polizia indietreggino di fronte alla responsabilita' di caricare, a colpi di sfollagente e di bombe lacrimogene, una folla silenziosa il cui solo torto e' di star seduta in una strada per far valere i propri diritti. Ma e' anche possibile che esse non indietreggino e si decidano invece a fare una carica. Queste due possibilita' si sono verificate negli Stati Uniti nel corso di manifestazioni nonviolente dei neri in lotta per 1'integrazione. Si tratta di valutare nel modo piu' giusto possibile il rischio che si corre, partendo dall'analisi del clima politico e sociale nel quale si svolge la manifestazione. Se si prendera' la decisione di andare fino in fondo, e' opportuno che le prime file dei manifestanti siano particolarmente preparate, sia psicologicamente che tecnicamente, ad affrontare le cariche della polizia e conoscano in particolare i metodi elementari di protezione che devono essere presi in quel momento (si tratta soprattutto di proteggersi la nuca con le mani). Se la polizia non osa disperdere la manifestazione con la violenza, si trova costretta a portar via uno alla volta tutti i manifestanti. Si puo' dare allora la parola d'ordine di rifiutare qualsiasi cooperazione con le forze di polizia, e cioe' di "diventare molli" (come dicono gli anglosassoni) e lasciarsi "manipolare" con calma dai poliziotti mentre questi riempiono i furgoni destinati a ricevere i manifestanti. - L'ostruzione. L'ostruzione consiste nell'impedire la libera circolazione su una via pubblica facendo dei proprio corpo un ostacolo inevitabile per chi volesse passare. Questo metodo e' stato utilizzato in particolare in occasione di scioperi operai per impedire ai non-scioperanti di accedere al loro posto di lavoro. Si e' pure ricorso a questo procedimento per ottenere l'arresto e l'immobilizzazione di veicoli che servono ad alimentare direttamente, sia in uomini che in materiali, l'ingiustizia che si combatte. Puo' essere utilizzata anche per impedire una costruzione giudicata indesiderabile come quella di una base militare, di una centrale atomica o di una realizzazione di prestigio che costituirebbe un'ingiuria per i poveri: si tratterebbe in questi casi di occupare il cantiere e di impedire agli operai di lavorare. Si puo' anche concepire l'ostruzionismo simbolico dell'ingresso di un edificio ufficiale: ostruendo ad esempio l'ingresso del ministero della Difesa nazionale per protestare contro la vendita di armi che vanno ad alimentare l'oppressione in diversi paesi stranieri. In genere, e' preferibile che l'ostruzione sia compiuta da un gran numero di persone piuttosto che da poche. Vi sono soprattutto meno pericoli e l'azione sara' capita meglio dal pubblico. In questi ultimi tempi, si sono sviluppate altre tecniche di ostruzione: non si tratta piu' soltanto di fare ostruzione con il proprio corpo ma con la propria automobile, con il proprio trattore, o con il proprio camion. Il fine dell'ostruzione qui non e' piu' di impedire gli spostamenti dell'avversario o di rendere impossibile la cooperazione con lui, ma di impedire semplicemente la circolazione al fine di creare il fatto che consenta di far conoscere l'ingiustizia all'opinione pubblica. E' noto che in Francia i commercianti, gli agricoltori e i camionisti sono ricorsi a queste tecniche, e generalmente con successo. - L'usurpazione civile. Invece che abbandonare il proprio posto e interrompere ogni attivita', puo' essere piu' efficace, per dare scacco al sistema, sovvertirlo dall'interno restando al proprio posto. Si tratta allora di ignorare volutamente le istruzioni che giungono dall'alto e d'impegnarsi a seguire, nel proprio lavoro, le disposizioni dei movimento di resistenza. Invece di scioperare, questa o quella categoria di funzionari o di professionisti puo' esercitare sul governo una pressione maggiore mettendo a disposizione del movimento "le sue armi e i suoi bagagli". Questo metodo di azione e' chiamato "usurpazione civile". Theodor Ebert ne da' la seguente definizione: "Lungi dall'interrompere il lavoro, gli insorti si assumono direttamente l'organizzazione dei lavoro secondo i metodi del sistema sociale che essi auspicano ed e' l'ampiezza di questa azione che costringe gli attuali detentori del potere ad adattarsi alle strutture create dagli insorti". Ci sembra opportuno precisare che non si tratta qui di fare evolvere le strutture dall'interno sforzandosi di sfruttare il piu' possibile il margine d'iniziativa lasciato dal sistema. Salvo qualche eccezione, questo comportamento avalla maggiormente il sistema piu' di quanto non lo metta in discussione. Serve spesso di pretesto a chi non ha il coraggio di rifiutare apertamente la propria collaborazione con l'ingiustizia. L'usurpazione civile si colloca certamente all'interno delle strutture, pero' essa opera una rottura con il sistema dominante e sfida apertamente la gerarchia. Si tratta di dirottare le strutture dal fine che e' loro assegnato dal sistema e di rivolgere la loro efficacia contro di esso. Questo metodo puo' essere utilizzato allo scopo di incominciare a realizzare direttamente nei fatti il cambiamento sociale che si vuole promuovere, invece che esercitare una pressione per ottenerlo. Arriviamo percio' alla nozione di "controllo operaio" cosi' come e' stato gia' espresso nel contesto della lotta di classe. "L'assunzione del controllo da parte dei lavoratori significa che questi smettono di giocare secondo le regole. Significa che essi stessi decidono delle loro condizioni di lavoro, e soprattutto della loro produzione. Significa rifiutare totalmente la collaborazione con il sistema esistente. Significa farsi carico della vita dell'impresa (formazione professionale, ritmi, sicurezza, orari, ripartizione dei lavoro, movimenti del personale...). (...) La strategia del fatto compiuto e' sempre comprensibile a condizioni che sia onesta' fin dall'inizio della sua proposta. Infatti, non bisogna nascondere ai lavoratori che l'esercizio del controllo non puo' essere transitorio e legato ad un rapporto di forza. Cio' finisce sempre in uno scontro globale con l'avversario di classe (lock-out...). Ma soprattutto, l'esercizio dei controllo collettivo resta la forma migliore di apprendimento da parte dei proletariato delle responsabilita' che l'attendono per la presa del potere e la transizione verso il socialismo" ("Le controle ouvrier"). Cosi', invece di porsi in sciopero per reclamare nuovi ritmi di lavoro in fabbrica, gli operai decidono da soli di lavorare con i nuovi ritmi e instaurano in fabbrica una situazione di fatto. La pressione cosi' esercitata puo' rivelarsi piu' efficace. L'usurpazione civile realizza contemporaneamente sia il programma di non-cooperazione con il quale ci si rifiuta di servire un sistema ingiusto, sia il programma costruttivo che permette di realizzare nei fatti le soluzioni concrete proposte dal movimento. I settori di attivita' sociale, in cui l'organizzazione dei lavoratori e' riuscita a soppiantare la direzione legata al sistema e in cui diventa possibile applicare concretamente i principi della nuova societa', costituiscono dei "territori liberati". Certo, anche qui si dovra' fare i conti con i mezzi di risposta di cui dispone l'avversario. Egli tentera' di porre fine a questa usurpazione e di riprendere possesso dei servizi amministrativi o dei settori sociali che sono sfuggiti al suo controllo. Questa risposta dell'avversario potra' essere piu' o meno efficace a seconda dei rapporti di forza gia' esistenti. Puo' divenire necessario evacuare i territori momentaneamente liberati e organizzare la resistenza facendo ricorso unicamente ai metodi classici di non-cooperazione, e cioe' alle diverse forme di sciopero. Ma e' anche possibile che l'avversario si trovi disarmato per riprendere questi territori e che questi giochino allora un ruolo determinante nell'evoluzione del conflitto. - Usurpazione delle funzioni governative e governo parallelo. Quando tutto un paese e' abbandonato all'arbitrio di un governo che intende imporre il dominio rinnegando tutti i principi della vita democratica, non si tratta piu' soltanto di opporsi a una legge particolare, si trattera' di opporsi al governo. Converra' percio', allo scopo di bloccare i meccanismi del governo e di paralizzarlo, estendere la disobbedienza civile alle leggi che, pur non essendo di per se stesse ingiuste, servono nondimeno ai progetti del governo. Nella misura in cui la disobbedienza civile avra' potuto essere organizzata su scala nazionale, i leader dei movimento di resistenza potranno essere considerati come rappresentanti dell'autorita' legittima del paese. Se la situazione l'esiga e lo permetta - e bisogna ammettere che cio' si puo' verificare solo eccezionalmente - il movimento di resistenza puo' essere condotto a usurpare certe funzioni governative, fino a creare un governo parallelo. La popolazione ignorerebbe allora sistematicamente le decisioni del governo per obbedire solo alle disposizioni del movimento di resistenza. "Quando un gruppo di uomini rinnega lo Stato sotto la cui dominazione hanno vissuto fino ad allora - scrive Gandhi -, essi costituiscono quasi un proprio governo. Dico "quasi" perche' essi non arrivano al punto d'impiegare la forza quando lo Stato resiste". 6. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: RESISTENZA E MEMORIA STORICA [Riportiamo ampi stralci della relazione tenuta da Davide Melodia ad un convegno sulla Resistenza svoltosi ad Arona, il 22 marzo 1997; il testo che qui presentiamo e' stato riveduto dall'autore nel settembre 2002. Davide Melodia, quacchero, e' una delle figure piu' belle dell'impegno nonviolento in Italia. Per contatti: melody at libero.it] * La memoria storica Diversamente dalla storia ufficiale, non e' un vasto ed organico coacervo di notizie e di dati sistematizzati secondo una teoria interpretativa o una ideologia X o Y, o una corrente di pensiero, bensi' e' la semplice realta' dei fatti, vissuti dai soggetti e incarnati nel tessuto socio-culturale, la' dove gli eventi si sono svolti. Non e' l'interpretazione di un singolo di fatti selezionati dallo stesso, ma l'esperienza corale di una comunita'. E' l'eredita' diretta, integrale, corretta, responsabilmente serbata per se' e per gli altri, da una intera comunita', relativa a persone, eventi, idee, influenti sul piano sociale e politico. E' un sacro deposito generalmente difeso a denti stretti dagli eredi, anche a dispetto delle autorita' e del sistema in auge nel loro Paese. Talvolta e' scritto, talaltra e' sotto forma di tradizione, altre volte di canto e perfino di favola. In questi casi la verita' va rintracciata sotto i simboli. Laddove e' necessario, viene trasmessa segretamente, in attesa di tempi migliori. Lo storico professionista, se la rintraccia, puo' farvi man bassa, e piegarla alla propria visione degli eventi, ma la verita' vera, prima o dopo, riprende il sopravvento. A questo serve la memoria storica, nel nostro caso quella genuina della Resistenza al fascismo. C'e' chi prova a cancellarla, ma non vi riuscira'. Potrebbe pero' nel tempo presente cercare di ripristinare un regime che la Resistenza aveva abbattuto, e questo puo' riuscirgli solo se il popolo non glielo impedira'. Uno dei pregi straordinari della memoria storica e' che essa tesaurizza ogni elemento, ogni particolare, piccolo o grande, degli accadimenti, si' da rappresentare un mosaico completo e prezioso per ogni ricostruzione del passato. Laddove un mosaico d'arte manchi di una o piu' tessere, e' svalutato, e un fatto storico, se viene presentato senza alcuni elementi, e' fuorviante. Non solo. Colui che ha eseguito a falsificazione e' responsabile di indurre in errore ogni persona impreparata, che ha il diritto di conoscere e di valutare da se' gli eventi. Incompletezza e menzogna storica in questo caso coincidono. Il reato di omissione e' grave quanto quello di fuorviare dalla verita'. Esistono strumenti per ovviare al falso storico? La stessa memoria storica ci fornisce due strumenti principali: i testimoni diretti, nell'immediato, e i documenti, nel mediato, che insieme forniscono al ricercatore onesto la base su cui fondare la sua ricostruzione. Poiche' i testimoni vivono per un tempo, dovrebbero preoccuparsi di lasciare traccia sicura della loro esperienza, accompagnate da prove inconfutabili, senza concessioni al compromesso, al gioco delle parti, o al calcolo. Anche i documenti devono essere confortati da prove sicure, tali da potere escludere qualsiasi contestazione. Una cosa pero' manca: un rapporto dinamico con le nuove generazioni, che poco o nulla sanno della Resistenza, e potrebbero cadere nelle trappole degli aspiranti ad un regime capitalistico autoritario. Vanno create occasioni di incontro fra chi sa e chi e' necessario e urgente che sappia. E devono sapere del regime fascista, nella giusta ottica, la dottrina e la prassi, le corporazioni, le persecuzioni agli antifascisti, agli ebrei, i delitti politici, e le guerre, e i campi di concentramento e di sterminio nazi-fascisti. Il tutto sempre e comunque nell' assoluto rispetto della verita', anche la piu' amara. Gandhi aveva adottato il termine "satyagraha", che letteralmente significa "adesione alla verita'", quale principio morale e metodo di lotta, consapevole del fatto che, quando si e' tutt'uno con la verita', si e' per cio' stesso una forza. E difatti, storicamente, per lui e i suoi seguaci e' stato cosi'. * Il revisionismo post-bellico Questo pseudo-critico mostro moderno, che attua il metodo della menzogna per confondere i lettori della storia, di cui fa strame, approfitta oggi della quasi totale assenza di testimoni dei fatti svoltisi durante il ventennio fascista e la II guerra mondiale in Europa, in quanto non sono piu' con noi e non possono difendere la verita'. E nemmeno noi lo potremmo, se quei testimoni non avessero lasciato prove documentate - e lo hanno fatto - e se non ci preoccupassimo di metterle al sicuro, perche' i regimi autoritari amano troppo i roghi di libri e di documenti, scritti nel segno della liberta'. Ma quando una intera comunita' ha vissuto una certa esperienza, e' la' che possiamo recuperare le prove, nella sua memoria storica, che esiste anche oltre i testimoni ed i documenti. Se non l'abbiamo ancora fatto, facciamolo. Sbattiamo in faccia al ciarlatano le prove inconfutabili che la Resistenza fu un fatto di popolo, che fu disinteressata, che opero' per amore della liberta' di tutti. In un momento difficile come l'attuale, in cui la destra ha rialzato la cresta e, avendo impugnato temporaneamente alcune leve di comando, parla ora con voce vellutata, ora con arroganza, promettendo il meglio e il nuovo, e' doveroso per ogni testimone superstite, per ogni erede diretto e indiretto della Resistenza, per ogni amante della liberta' di tutti, riesumare ogni grande o piccolo dettaglio che dimostra il male del nazi-fascismo, e le prospettive positive di liberta' e di giustizia insite nella lotta partigiana... E allora? E' nostro sacrosanto dovere, di fronte al grave pericolo che ci sovrasta, impedire con la forza della volonta', dell'intelligenza e dei valori che coltiviamo, far si' che riprendano vigore, affinche' i nostri figli non debbanmo tardivamente risvegliarsi in una societa' che incatena ogni speranza e soffoca la liberta', e non debbano ricominciare daccapo una lotta immane per restaurarle. Leviamoci dalle nostre comode poltrone, finche' siamo in tempo, e andiamo sollecitamente a cercare lungo tutti i filoni antifascisti che sono esistiti tra la I guerra mondiale e la fine della II, le prove della sacralita' della Resistenza alla violenza reazionaria, e senza innalzare altari e trofei, di cui non abbiamo bisogno. Operiamo come hanno fatto quei compagni, a rischio della propria vita, oggi spesso ingiuriati, e, come loro, in modo corale, col senno e col frutto dell'esperienza. Offriamo al popolo odierno una cura preventiva, un vaccino antifascista, un antibiotico democratico che lo preservi dalla infezione letale del totalitarismo. Non possiamo essere spettatori impotenti del dramma che si sta svolgendo. E' un lusso che non possiamo permetterci. Dobbiamo essere attori, protagonisti della nuova storia da scrivere. Finche' siamo in tempo. * L'Incompiuta del nostro Paese Irriverente forse, realistica sicuramente, questa espressione si riferisce all'indomani della Liberazione dal fascismo. Che tale evento sia stato grande, e' certo. Ma il processo che doveva innescare, di liberazione totale da ogni e qualsiasi residuo di fascismo, non si e' compiuto. Una liberazione, per esere completamente degna di quel nome, degna delle lotte, dei sacrifici, dei caduti, non e' solo una marcia lunga e insanguinata verso il momento liberatorio, cioe' la caduta formale del regime, ma e' il coacervo di tutti gli atti necessari ad estirpare la mala pianta con tutte le sue radici. Tutto questo non e' stato fatto, dopo. E non sono stati esautorati i servitori devoti dello Stato abbattuto; non e' stato totalmente superato il Codice Rocco, causa non ultima dei problemi della giustizia; la liberta' agognata non e' stata compiutamente assicurata; la parita' fra i sessi e', sovente, una chimera; la cultura e' ancora in buona parte privilegio di classi privilegiate; l'educazione e' destrorsa, malgrado gli sforzi; l'informazione e' controllata, frenata, falsata, teleguidata; la storia recente e' sottaciuta per non affrontare i problemi e i fatti del fascismo e dell'antifascismo; la Costituzione, fondata in massima parte sui valori democratici e antifascisti, e' spesso inattuata ed e' a rischio di revisione; strutture, istituzioni, enti pubblici stentano ad abbandonare i vecchi modelli del ventennio fascista. Queste cose scrivevo nel 1997, per un Convegno sulla Resistenza ad Arona. Oggi, nel 2002, sotto un governo di centro-destra, i difetti indicati si sono aggravati, ivi compresa la sanita', il lavoro, lo Statuto dei lavoratori, le pensioni, la giustizia, la scuola, la revisione della Costituzione, l'ambiente - messo a rischio dalle Grandi Opere di quel Governo... Il progresso tecnologico e' posto sotto tutela dalle forze economiche dominanti, mettendo a rischio l'equilibrio ecologico del territorio - il tutto a dispetto dell'etica e dei valori primordiali della vita. Poiche' non possiamo attenderci miracoli dall'alto, noi dobbiamo riprendere in mano con coraggio, determinazione e tempismo, gli strumenti della democrazia. Finche' siamo in tempo. Abbiamo sottovalutato gli avversari, figli di squadristi in orbace? Temo di si'. O prendiamo coscienza del nostro ruolo e della responsabilita' storica che ci compete, oggi, o domani non saremo piu' presi sul serio. Molti, troppi nemici della democrazia e della liberta' si annidano fra i servitori attuali dello Stato, che non monta elencare, perche' possiamo permetterci di vivere in pace. La nostra pace personale potrebbe essere causa della non pace degli altri, nonche' causa di sofferenze e di violenze per le future generazioni. Forse occorrera' una nuova Resistenza in tempo di pace che, partendo dai valori della prima, li arricchisca di esperienza, di valori e di metodi adatti al tempo presente, come la resistenza attiva nonviolenta. Per far questo, da domani, occorre dedicare tutte le nostre forze ad offrire alle giovani generazioni, nelle scuole e nella societa', una nuova educazione e, in primis, un esempio visibile di coerenza, democratica e umanitaria. * Un appello Come il pensiero e l'azione antifascista degli anni '19-'43, generalmente non armata, creava le basi culturali e ideali dell'azione resistenziale degli anni 39-45, cosi' nel futuro la ragione antifascista di ieri potra' coltivare, e ad un tempo fornire al Paese le forze morali con cui opporsi all'irrazionale che esalta i sogni della destra rampante. La situazione socio-politica e' molto diversa, oggi, sia dal '39 che dal '43; la guerra non e' in casa nostra; truppe di occupazione non bivaccano nelle nostre citta'; i surrogati odierni del fascismo, sebbene al potere semi-democratico insieme al centro-destra, non hanno una milizia armata; ma lo spirito del fascismo non e' morto, purtroppo, ne' lo sono le sue motivazioni economiche e sociali, sostenute di fatto dal sistema capitalistico occidentale che impone a tutto il mondo una soffocante globalizzazione dei suoi disvalori. Poiche' il fascismo e' un male, e lo sono tutti i suoi surrogati, per ognuno di noi e' un dovere difendersi tempestivamente da esso; se e' dietro la porta, bisogna chiuderla in tempo; se c'e' disinformazione sul suo passato, e sui suoi intenti attuali, bisogna ovviare; se e' travestito, bisogna smascherarlo; se e' segretamente armato, bisogna disarmarlo. E' vero che le ideologie, come tali e nelle loro applicazioni, sono tramontate. Ma certi ideali di giustizia e di umanita', nelle persone della sinistra, c'erano in grande misura. Essendo validi, questi ideali di liberta', di giustizia, di solidarieta', di eguaglianza, di democrazia, di pace, per ciascuno e per tutti, per gli amici e per i nemici, vanno recuperati, applicati e fatti barriera insuperabile contro ogni rigurgito dittatoriale, politico o economico. Su tali ideali deve fondarsi da domani la nuova Resistenza, per trasmetterli ai giovani. Solo cosi' potremo costruire insieme una casa comune, fondata sulla verita', dalle fondamenta cosi' profonde, cosi' rispondenti ai bisogni di un popolo civile, da rappresentare una incrollabile, autentica difesa dal veleno fascista. 7. AUTORI. BREVE NOTIZIA SULL'OPERA SAGGISTICA DI GEORGE STEINER George Steiner e' uno dei piu' grandi intellettuali viventi, ed e' un uomo buono, e saggio. Nasce a Parigi nel 1929 da famiglia erede della grande tradizione culturale ebraica e mitteleuropea, il padre di origine ceca (di Lidice) e la madre viennese. Nel 1940 la famiglia si stabilisce in America (ha scritto Steiner: "Lasciammo sani e salvi la Francia, dov'ero nato e cresciuto. Sicche' non mi tocco' d'essere la' quando si fece l'appello. Io non stavo nella pubblica piazza con gli altri bambini, quelli con cui ero cresciuto. Ne' vidi mio padre e mia madre scomparire quando le porte del convoglio ferroviario venivano spalancate. Ma in un altro senso sono un sopravvissuto, e non indenne. Se spesso non sono in sintonia con la mia generazione, se cio' che mi assilla e domina la mia vita sentimentale colpisce molti di quelli con cui dovrei essere amico e lavorare in questo mondo come qualcosa di remotamente sinistro e artificioso, e' perche' il cupo mistero di quanto accadde in Europa non e' per me separabile dalla mia stessa identita'. Proprio perche' non ero la', perche' un caso fortunato tolse il mio nome dall'elenco"). Torna poi in Europa. Docente di letteratura comparata (a Ginevra, a Cambridge, a Oxford), saggista finissimo e denso moralista. Le sue opere di riflessione critica sono di una ricchezza, luciditˆ e profonditˆ straordinarie e vivamente le raccomandiamo ai nostri interlocutori. Tra le opere di George Steiner tradotte in italiano a nostra conoscenza vi sono due testi narrativi (ma della narrativa ad un tempo d'invenzione e di pensiero che e' propria dell'autore): Il processo di San Cristobal, Rizzoli, Milano 1982 (l'edizione originale e' del 1981); e Il correttore, Garzanti, Milano 1992. Ma e' dei saggi che qui vogliamo parlare, poiche' e' lo Steiner saggista che da' un contributo grande alla nostra riflessione su noi stessi, sul nostro tempo, sui compiti nostri. Questa nota e' quindi una segnalazione dei libri di saggi di Steiner tradotti in italiano che noi conosciamo (ma crediamo che non ne manchi alcuno). Tolstoj o Dostoevskij (Garzanti, Milano 1995), del 1959, e' un grande confronto con e tra i due giganti della letteratura e del pensiero; e' il primo e gia' cospicuo libro di Steiner; e se su Dostoevskij dovra' venire poi la conoscenza della riflessione bachtiniana (il romanzo polifonico, e le altre grandi categorie interpretative del filosofo e critico del principio dialogico), e se di Tolstoj si analizza il romanziere e non lo scrittore di religione ovvero il pubblicista umanitario appassionato (il Tolstoj militante nonviolento), resta un libro forte, e denso. La morte della tragedia (Garzanti, Milano 1992, 1999), del 1961, non e' solo una storia della tragedia come forma letteraria e strumento ermeneutico nella e della cultura occidentale, ma una meditazione profonda su questa grande idea e forma (e verrebbe voglia di dire voce, e di dirlo con la parola tedesca) che la Grecia antica ha dato come impronta all'occidente, all'umanita'. Linguaggio e silenzio (Rizzoli, Milano 1971, ora Garzanti, Milano 2001 - edizione ridotta, e gia' la prima traduzione italiana lo era rispetto all'originale inglese) e' una raccolta di saggi del 1967, ed alcuni sono indimenticabili. Scrive l'autore nell'introduzione: "Adesso sappiamo che un uomo puo' leggere Goethe e Rilke la sera, puo' suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz": la Shoah e' uno dei temi fondamentali della meditazione di Steiner, la Shoah e il suo rapporto con la cultura. Del 1971 e' Nel castello di Barbablu' (Se, Milano 1990, 2002), testo delle conferenze tenute lo stesso anno per una "ridefinizione della cultura" (richiamandosi alle Note su tale argomento di Eliot del '48) riversando nella riflessione tutta l'ampiezza del suo meditare le vicende del pensiero e della storia. Del 1974 e' La nostalgia dell'assoluto (Anabasi, Milano 1995, ora Bruno Mondadori, Milano 2000), cinque conferenze radiofoniche tenute in Canada che costituiscono un'agile e agevole sintesi di alcuni temi e verifiche piu' caratteristiche della riflessione di Steiner. Dopo Babele (La Nuova Italia, Firenze 1984, ora Garzanti, Milano 1994 - nuova edizione che tiene conto della nuova versione inglese rivista, aggiornata e ampliata dall'autore nel 1992), del 1975, e' un classico sui problemi del linguaggio e della traduzione. La monografia di Steiner su Heidegger (Mondadori, Milano 1990, ora Garzanti, Milano 2002), del 1978, e' una delle presentazioni essenziali piu' nitide (e ancor troppo generosa) del pensatore di Essere e tempo, che e' un libro magnifico, e del discorso del rettorato, che e' un'infamia perenne. Le Antigoni (Garzanti, Milano 1990, 1995), del 1984, e' un capolavoro: Steiner insegue e scruta la figura di Antigone dalla tragedia di Sofocle a tutta la tradizione successiva. Una profonda riflessione morale oltre che una magistrale lezione di storia della cultura (ed Antigone, per gli amici della nonviolenza, e' un'occasione di meditazione infinita). Del 1989 e' Vere presenze (Garzanti, Milano 1992, 1998), ancora un forte invito a un dialogo diretto con i classici, con le opere grandi, con i temi decisivi della vita e del pensiero. Nel 1996 Steiner pubblica Nessuna passione spenta (Garzanti, Milano 1997, 2001), una raccolta di saggi in cui tornano letture di autori e meditazioni su temi che l'autore sente decisivi. Errata (Garzanti, Milano 1998, 2000), del 1997, e' un'autobiografia che focalizza alcuni snodi del suo percorso di studioso ed e' occasione per una riflessione approfondita su campi del sapere e vicende della vita e della storia cruciali per l'autore. 8. RILETTURE. LAURA CONTI: CHE COS'E' L'ECOLOGIA Laura Conti, Che cos'e' l'ecologia, Mazzotta, Milano 1977, 1981, pp. VIII + 152. Uno dei doni che Laura Conti, indimenticabile generosa lottatrice per la dignita' umana e un mondo vivibile, ci ha lasciato. 9. RILETTURE. GIULIANA MARTIRANI: FACCIAMO POLITICA Giuliana Martirani, Facciamo politica, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1995, pp. 144, lire 15.000. Una grande maestra invita all'impegno civile per i diritti, l'ambiente, la solidarieta', la pace, la nonviolenza. 10. RILETTURE. MOLYDA SZYMUSIAK: IL RACCONTO DI PEUW BAMBINA CAMBOGIANA Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw bambina cambogiana, Einaudi, Torino 1986, pp. XVI + 356. Una drammatica testimonianza, tradotta e presentata dall'indimenticabile Natalia Ginzburg. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 377 del 7 ottobre 2002
- Prev by Date: missione a Baghdad: presentazione in conferenza stampa
- Next by Date: IL GRILLO PARLANTE N.78 (29)
- Previous by thread: missione a Baghdad: presentazione in conferenza stampa
- Next by thread: IL GRILLO PARLANTE N.78 (29)
- Indice: