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La nonviolenza e' in cammino. 373
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 373
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 2 Oct 2002 22:24:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 373 del 3 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. La guerra puo' essere impedita 2. Una lettera a Bush di familiari delle vittime dell'11 settembre 3. Enrico Peyretti: il pacifismo non basta, occorre la nonviolenza 4. Giuliana Sgrena, gli alpini nel covo dei taleban 5. Marinella Correggia, che fine ha fatto Mordechai Vanunu? 6. Pax Christi, seminario sul tema "Difendere lo stato di diritto" 7. "Azione nonviolenta" di ottobre 8. Un estratto da "Chiama l'Africa news" 9. Tommaso Di Francesco, il disarmante dossier di Scott Ritter 10. Riletture: Britta Benke, Georgia O'Keeffe 11. Riletture: Renate Siebert, Le donne, la mafia 12. Riletture: Dorothee Soelle, Fantasia e obbedienza 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA GUERRA PUO' ESSERE IMPEDITA E' possibile impedire che questa nuova guerra venga scatenata. E' possibile isolare i guerrafondai e metterli in condizione di non nuocere. Ma per questo serve che l'impegno per la pace delle istituzioni e dei movimenti democratici, delle donne e degli uomini di volonta' buona prosegua e si intensifichi. Continuiamo a promuovere iniziative di pace, continuiamo a chiedere agli stati e alle istituzioni di esser fedeli alla Carta delle Nazioni Unite e per quel che riguarda l'Italia alla Costituzione della Repubblica. La guerra puo' essere impedita. 2. APPELLI. UNA LETTERA A BUSH DI FAMILIARI DELLE VITTIME DELL'11 SETTEMBRE [Il testo originale di questo appello puo' essere letto alla pagina web: www.peacefultomorrows.org/letters/bush_iraq_letter.html. Riprendiamo questa traduzione dal sito di Peacelink (www.peacelink.it)] Caro signor Presidente, ognuno di noi ha perso almeno un familiare l'11 settembre 2001. Le scriviamo per esprimere la nostra grave preoccupazione riguardo alla sua dichiarata intenzione di condurre la nostra nazione in guerra contro l'Iraq. Dopo quello che abbiamo subito, nessuno piu' di noi potrebbe desiderare la fine del terrorismo. E' questo il motivo per cui la esortiamo vivamente a perseguire delle azioni diplomatiche, multilaterali e non violente che proteggano il popolo americano da qualsiasi pericolo possa provenire dal regime iracheno. Il nostro gruppo, le "Famiglie dell'undici settembre per un domani pacifico", e' stato formato per far si' che nessuna famiglia in nessun luogo della terra viva il dolore e la perdita che noi abbiamo subito attraverso una violenza insensata. Noi sappiamo che una guerra in Iraq causerebbe la sofferenza di molte migliaia di famiglie irachene innocenti, persone che, come i nostri familiari l'11 settembre, si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Inoltre una guerra metterebbe in pericolo le nostre truppe, causando lutti e sofferenze ad altre famiglie americane. Le esprimiamo il nostro disappunto per il fatto che Lei ha usato l'anniversario della morte dei nostri cari non come un momento per la riflessione e il dolore, ma come il momento per fare appello alla guerra verso una nazione che non e' in rapporto con i fatti dell'11 settembre. Temiamo che una guerra contro l'Iraq distogliera' le necessarie risorse dal compito di indagare e portare davanti alla giustizia i responsabili per l'attacco dell'11 settembre. Temiamo che questa guerra possa destabilizzare le regione del Medio Oriente e costare la vita a un numero enorme di civili innocenti in altre nazioni. Siamo profondamente preoccupati per il fatto che altri morti possono soltanto alimentare il fuoco del terrorismo e dare la possibilita' alle organizzazioni terroristiche di reclutare con maggiore facilita' chi vorra' danneggiarci. Temiamo che una nuova guerra possa diminuire il nostro impegno nel portare stabilita' e democrazia in Afghanistan. Il nostro gruppo, le Famiglie dell'undici settembre per un domani pacifico, ha inviato quest'anno due delegazioni in Afghanistan. Alcuni membri del nostro gruppi hanno incontrato dozzine di normali famiglie afgane. Gli Stati Uniti non possono permettersi di abbandonare le proprie responsabilita' riguardo alla ricostruzione dell'Afghanistan. Sappiamo meglio di chiunque altro quali effetti possa avere in America un Afghanistan instabile. Infine, siamo profondamente preoccupati per il fatto che Lei sta presentando la guerra contro l'Iraq come un'azione preventiva e, se necessario, unilaterale. Questo e' un pericoloso precedente in un mondo che sta diventando sempre piu' interconnesso e interdipendente. Non crediamo che il ruolo guida a livello mondiale degli Stati Uniti consista nell'agire in un modo che possa servire da scusa alle altre nazioni che sceglieranno l'azione militare come prima piuttosto che come ultima soluzione per regolare i conflitti. Nel corso di quest'ultimo anno, ognuno di noi ha provato a rispondere alla morte dei propri cari non con la rabbia o la collera, ma con il sincero desiderio di creare un mondo in cui nessuna famiglia provi le nostre stesse sofferenze. Ci auguriamo che Lei si unisca a noi nell'onorare i nostri cari perseguendo la strada di un futuro di pace. Vogliamo che l'America sia un luogo sicuro. E soprattutto, non vogliamo vedere un altro 11 settembre ripetersi in nessun luogo della terra. Aspettiamo con ansia una Sua risposta alle nostre preoccupazioni. Sinceramente, Famiglie dell'undici settembre per un domani pacifico 3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL PACIFISMO NON BASTA, OCCORRE LA NONVIOLENZA [Pubblichiamo il testo della seconda parte (e le appendici collegate) di una lezione su "radici e realta' del pacifismo" tenuta da Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) a Roma presso l'Universita' La Sapienza il 18 aprile 2002. Il testo della prima parte abbiamo presentato nel notiziario di ieri. Abbiamo ripreso questo scritto dall'eccellente sito del Centro Sereno Regis di Torino (per contatti: e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.arpnet.it/regis/). Enrico Peyretti e' una delle pi? prestigiose figure della cultura della pace e della nonviolenza. Opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] * Pacifismo? No, grazie [Tratto e modificato da Enrico Peyretti, Per perdere la guerra, Beppe Grande Editore, Torino 1999, pp. 61-63 (il libro puo' essere richiesto all'editore: via Stefano Clemente 15, 10143 Torino, tel. 0114371264)] Il pacifismo e' in crisi, si dice spesso. Certo, la pace e' in crisi fin quando non sara' sistema. Ma io rifiuto il concetto di pacifismo e di pacifisti (parole inventate dai guerrafondai, diceva Ernesto Balducci). Ne conosco diversi tipi. C'e' il pacifismo vile, di chi vuole una qualunque pace, magari a spese altrui: e' quello di Monaco 1938, a spese della Cecoslovacchia. E' meglio la violenza per una causa giusta che la vilta', insegnava Gandhi. Ma aggiungeva che non c'e' solo questo dilemma: c'e' la nonviolenza dei forti (non dei deboli), giusta ed efficace (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, pp. 18-19). Poi c'e' il semi-pacifismo: no a questa guerra, si' a quest'altra; no alla tua guerra, si' alla mia; no alla violenza dell'oppressore, si' a quella del ribelle o del liberatore. Il fatto e' che la violenza non libera mai davvero nessuno, lo rende solo imitatore del precedente oppressore. Terzo, c'e' il pacifismo vero e proprio: rifiuta ogni guerra. E' scritto nell'art. 11 della nostra grande Costituzione e nel proemio della Carta delle Nazioni Unite. Va bene, ma non basta. La guerra non e' l'unica violenza, e' solo il risultato distruttivo e cruento di tutte le altre forme di violenza. Percio' ripudiare la guerra non basta. La nonviolenza combatte anche le altre violenze, quella strutturale (nell'economia, nelle leggi) e quella culturale (nelle menti, nell'informazione, a giustificare le altre violenze). Anzi, la maggior parte delle lotte nonviolente e' sempre stata contro queste violenze, piu' diffuse e frequenti della guerra. Solo la cultura nonviolenta ha sviluppato e sta sviluppando le alternative di fondo alla guerra, perche' non agisce solo sul piano giuridico e istituzionale, ma sviluppa a livello interiore, culturale, politico, strategico, tecnico, teorico e pratico, le basi della difesa dei diritti umani, della lotta a tutte le ingiustizie, senza uso di mezzi violenti, che seminano violenza nel risultato anche quando l'intenzione e' giusta. La vera alternativa alla guerra non e' l'ambiguo pacifismo, ma la nonviolenza. La quale non e' la non-difesa, come credono militari, politici ignoranti, e cittadini consegnati al monopolio militare della difesa. Essa invece assume il conflitto, non lo elude, anzi lo solleva quando e' celato, ma lo conduce in modo costruttivo invece che distruttivo (cfr. Arielli, Scotto, I conflitti, Bruno Mondadori 1998. Oggi si puo' aggiungere l'importante volume di Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000, di 500 pagine. Ne do una sintesi nell'Annuario della Pace. Italia, maggio 2000-giugno 2001, Asterios, Trieste 2001). La nonviolenza non si misura nei saltuari cortei pacifisti; essa e' una ricerca ed esperienza continua, crescente negli anni. Il Novecento e' il secolo della grande violenza e anche della nonviolenza efficace in tante grandi prove. Ogni potere consiste tutto nell'essere obbedito (Etienne de la Boetie, Discorso sulla servitu' volontaria, 1546-1550; Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, vol. 1, cap. 1, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985); il popolo puo' far cadere senza violenza un potere ingiusto, come gigante dai piedi d'argilla. Tutto dipende dalla cultura ed educazione politica popolare. Questo e' il punto: liberare i popoli dalla stolta fede nelle armi. Cio' si puo fare oggi con la comunicazione internazionale. L'intervento armato e' retrogrado e disastroso. La pace e' sconfitta dalla rassegnazione alle armi. La storia diventera' umana quando la politica uscira' da questa superstizione, e non sara' piu' (parafrasando von Clausewitz) un'altra maniera di fare la guerra. * Riascoltando Guenther Anders [Articolo pubblicato in forma ridotta nel mensile torinese "Il foglio" (sito: www.ilfoglio.org), n. 293, giugno-luglio 2002] Macche' 11 settembre. Tutto e' cambiato il 6 agosto 1945, non l'11 settembre 2001. L'11 settembre e' cambiato qualcosa solo per gli Stati Uniti: e' caduta la loro illusione - abbastanza infantile, per non dire stupida - di essere invulnerabili. Ma per il mondo, che e' qualcosa di piu' degli Usa, e' cambiato tutto nell'agosto '45. Dopo l'11 settembre io non mi sento in pericolo piu' di prima. Non vedo piu' di prima in pericolo le nostre citta', i nostri tesori d'arte e cultura, la nostra economia. Negli anni '80, con l'escalation missilistica in piena guerra fredda, mi sentivo ed ero, eravamo tutti, oggettivamente in pericolo molto piu' di ora. Gli Usa devono dettarci anche la loro paura e farci secernere la loro stessa quantita' di adrenalina? Noi abbiamo le nostre paure, le paure di tutti. La minaccia atomica su tutta l'umanita', e su tutto cio' che e' l'umanita', e' nata nell'agosto '45 ed e' un totalitarismo ormai inamovibile, che puo' solo crescere e diffondersi, proliferare, e che e' proliferato. Solo una crescita di coscienza e di opposizione resistente all'apparato scientifico-militar-industriale, che e' il maggior pericolo del mondo, puo' limitare quella minaccia. Se l'11 settembre fa crescere la coscienza collettiva negli Usa, paese primo autore del totalitarismo atomico, allora sara' una data importante: il giorno di un ingiustificabile delitto (piu' spettacolare ma non piu' grave di tantissimi altri) avra' avuto un effetto salutare. Se invece avra' accentuato in quel paese il senso di lesa maesta', la pretesa di una superiore inviolabilita', sara' stato il giorno di un nuovo effetto nefasto, conseguenza lontana anche del 6 agosto 1945. Il 12 luglio del 2002 saranno dieci anni dalla morte di Guenther Anders. Vedremo chi se ne ricordera'. Egli scriveva che l'arma atomica e' totalitaria per sua natura. Le sue Tesi sull'eta' atomica sono un testo capitale. Uscirono in appendice all'edizione italiana del suo libro Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki, apparso in italiano col titolo Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961, nella traduzione di Renato Solmi. Una delle tesi ha questo titolo: Carattere totalitario della minaccia atomica. Anders scrive: "La tesi prediletta da Jaspers fino a Strauss suona: 'La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata solo con la minaccia della distruzione totale'. E' un argomento che non regge. 1) la bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan 'totalitario' e' desunto da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita' di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra dell'ipocrisia". Dopo 40 anni, queste parole sono di quelle che ancora camminano davanti ai nostri passi, a farci luce sulla strada buia. Anche nella guerra attuale contro il terrorismo la minaccia atomica e' stata ventilata piu' di una volta dal ministro della difesa statunitense. Anders ci dice che questo pensiero e' suicida. Non ci sono soltanto i suicidi kamikaze. La pazzia onnidistruttiva e' un male diffuso. Questa minaccia folle e', di sua natura, un totalitarismo, un terrorismo totalitario. Il terrorismo e' un male diffuso. La terra umana cosi' minacciata e' "un lager senza uscita". La guerra per la "liberta' duratura" ha ridotto la liberta' non solo con le restrizioni a scopo di sicurezza, ma con la minaccia totale su tutta l'umanita'. Siamo nel "non plus ultra dell'ipocrisia". Nell'ultima delle sue tesi, Guenther Anders scrive: "Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la massima cinica: 'Se siamo disperati, che ce ne importa? Continuiamo come se non lo fossimo'". Disperati, non disperiamo. Non disperare significa lavorare, lottare. * Prima appendice: Alternative alla guerra [Articolo di Nanni Salio, ottobre 2001] Proviamo a formulare alcune proposte in positivo. 1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei mandanti, e' compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l'umanita': cambieranno idea dopo l'11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l'umanita' e non un atto di guerra, e come tali devono essere affrontati. 2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti e' la non demonizzazione dell'avversario e l'analisi corretta delle sue richieste. Che cosa hanno chiesto le parti che si sentono interpretate dal terrorismo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma che da tempo avrebbero dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell'embargo e dei bombardamenti sull'Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime dell'11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita. 3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita', la giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da ong e gruppi di base, sulla falsariga di quella promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali. 4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti di donne come quello afghano Rawa (www.ecn.org/reds/donne.html). 5. Dialogo, educazione, cultura: e' il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un'autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo l'articolo di Umberto Eco, "Le guerre sante: passione e ragione" ("La Repubblica", 8 ottobre 2001, www.repubblica.it/online/mondo/idee/eco/eco.html). 6. Movimento internazionale per la pace: cosi' come negli anni '80 una grandiosa mobilitazione riusci' a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle societa' civili di ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell'agenda delle priorita' politiche sui temi globali: pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta. 7. Uscire dall'economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione e di minaccia ambientale planetaria, e' diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre. E' indispensabile avviare prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, decentrate, a piccola potenza. 8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e' pieno di "Bin Ladren" come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attivita' mafiose per costruire paradisi fiscali e potentati economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dei "Bin Ladren" nostrani, che stanno varando leggi scandalose e offensive del piu' comune buon senso morale. 9. Zone libere dall'odio: e' la proposta lanciata dalla ong americana "Global exchange" che richiama quella delle zone denuclearizzate degli anni '80. Dichiariamo le nostre scuole e i nostri quartieri "zone libere dall'odio", con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e capacita' costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti. 10. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani se la piu' potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto in quelli piu' potenti, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi e distruttivi con forme di difesa popolare nonviolenta. * Seconda appendice: la guerra non e' l'unico strumento [Documento del "Coordinamento gruppi per una giustizia solidale", Alba, 5 novembre 2001] Si dice: ma di fronte ad un attacco brutale come quello dell'11 settembre bisogna reagire subito. E' vero: ma la guerra e' l'unico strumento che abbiamo? No, per fortuna ci sono molti modi per lottare contro il terrorismo impegnando in modo alternativo le enormi risorse umane ed economiche oggi assorbite dalla guerra 1. Ratificare tutti immediatamente la convenzione per un tribunale internazionale che persegua e giudichi i responsabili di crimini terroristici e contro l'umanita'. E renderlo operativo con la collaborazione delle forze di polizia di tutti i paesi. 2. Applicare con coraggio e rigore le leggi esistenti, per combattere in modo democratico le varie mafie, che sono i principali fiancheggiatori del terrorismo. 3. Limitare drasticamente la vendita di armi (pesanti e leggere) sia agli stati che ai privati, applicando la legge 185 e impedendo traffici illeciti; e riconvertire l'industria bellica. 4. Abolire subito il segreto bancario e i "paradisi fiscali" per individuare e "congelare" tutte le risorse economiche delle mafie e dei terroristi. 5. Impegnarsi per l'abolizione dei servizi segreti, per i legami storici con varie forme di terrorismo e totalitarismo: una vera democrazia e' del tutto trasparente. 6. Ricordiamo che ogni giorno 35.000 bambini muoiono di fame: dall'11 settembre sono piu' di due milioni. Occorre togliere al terrorismo il pretesto di lottare per la giustizia e il consenso di popolazioni disperate. Per far questo si puo' agire, nei paesi che "favoriscono il terrorismo", in vari modi: - smettere di sostenere e riverire le classi dirigenti corrotte ed ultraricche, legate agli interessi della grande economia mondiale; - favorire l'alfabetizzazione e la coscientizzazione dei poveri; - sostenere le organizzazioni umanitarie locali, le lotte di liberazione delle donne, i partiti democratici sovente perseguitati (anche dando rifugio politico ai loro leader); - finanziare progetti di sviluppo locali, decentrati, con forti ricadute sociali, creando a questo scopo un fondo costituito attraverso la tassazione di tutte le transazioni e speculazioni finanziarie; - smettere le politiche di embargo che si ritorcono drammaticamente sulle popolazioni. 7. Impegnarsi per la soluzione del conflitto arabo-israeliano, fonte di profonde umiliazioni e disperazione, terreno di coltura di fanatismo e terrorismo. 8. Far funzionare l'ONU, riformandola in modo da sottrarla al ricatto delle nazioni piu' forti e dotandola di effettive forze di polizia internazionale. 9. Promuovere scambi culturali, dialogo, conoscenza, nel rispetto delle differenze. 4. GUERRE. GIULIANA SGRENA: GLI ALPINI NEL COVO DEI TALEBAN [Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002] Gli alpini che parteciperanno alla Enduring freedom avranno il compito di "interdizione d'area", secondo quanto spiegato dal ministro della difesa Antonio Martino, dovranno evitare che elementi terroristici provenienti dal Pakistan si infiltrino in territorio afghano. Quindi saranno schierati a protezione della frontiera. Non conoscendo la situazione il compito degli alpini in partenza, si dice, in marzo, ovvero quando sara' finito il grande freddo ma intanto taleban e militanti di al Qaeda piu' avvezzi alle intemperie potrebbero essersi gia' ridispiegati, potrebbe apparire persino verosimile. Tra i circa 2.000 chilometri di confine tra Afghanistan e Pakistan sara' scelta la zona orientale, ovvero quella di Khost che sfugge a qualsiasi controllo: quello governativo, quello degli agenti speciali americani e dei loro mercenari, e ora persino a quello del piu' potente signore della guerra locale, Padshah Khan Zadran, che dopo essere riuscito per mesi ad occupare il palazzo del governatore, incarico affidato dal presidente Karzai ad Hakim Taniwal, dopo pesanti combattimenti ha perso le sue posizioni. Ma non si dara' per vinto, non solo continuera' a sfidare il governatore di Khost ma anche quello del capoluogo della provincia di Paktiya, Gardez. Il paradosso e' che Zadran, che combatte contro il presidente Karzai imposto dagli Stati Uniti, e' invece "l'uomo degli americani" perche' ha fornito loro i mercenari da utilizzare sul posto al prezzo di 200 dollari al mese. Un mensile non disprezzabile per gli standard locali. Quando siamo stati a Khost ci era sembrato che l'orologio della storia qui si fosse fermato: strade sterrate, polvere, per le strade esclusivamente uomini, tutti in abiti tradizionali, tutti superarmati. Nei giorni trascorsi nella zona non abbiamo incontrato una donna - nemmeno invisibile sotto il burqa -, non una bambina, solo bande armate rivali che scorrazzavano mentre sullo sfondo quasi ogni giorno si udiva il fragore delle armi, intercalate dai missili lanciati contro la base americana, situata in uno dei due aeroporti occupati dalle forze di Enduring freedom. Una delle due piste serve per l'atterraggio di aerei che sbarcano le truppe speciali o supporti logistici, l'altra serve per l'addestramento dei mercenari. Khost era una delle roccaforti dei taleban, da queste parti bazzicava anche Osama bin Laden quando aveva i suoi campi di addestramento poco lontani, ed e' ancora ritenuta una delle zone dove i residui taleban e di al Qaeda godono di supporto. E l'abbiamo verificato. Pur se non esplicito, si esprime soprattutto nell'ostilita' agli americani che hanno raso al suolo un villaggio, poco lontano da Khost, dove pure hanno bombardato numerose case. E anche la moschea. Dove si erano rifugiati esponenti di al Qaeda, riconoscono, ma la loro morte li ha santificati. Il cimitero dove sono sepolti, poco distante dalla moschea, e' diventato meta di pellegrinaggio, con esposizione di ex-voto, e c'e' chi giura che ci sono stati miracolati. I miracoli di al Qaeda! Khost si trova a meno di 40 chilometri dal Pakistan, ma non c'e' nessuna frontiera tra le zone pashtun afghane e quelle tribali pakistane; i locali, che conoscono le strade, passano da una parte all'altra - a piedi, con taxi o muli -, senza documenti, e cosi' fanno i contrabbandieri e i trafficanti di droga, e hanno fatto anche i taleban e i seguaci di bin Laden. Che in queste zone, due mesi fa, hanno diffuso volantini promettendo una taglia di 50.000 dollari a chi consegnava un americano, vivo o morto. E quando l'esercito pakistano ha annunciato che sarebbe intervenuto in queste zone si e' scontato con una mobilitazione delle milizie tribali armate. Tra l'altro, hanno ripreso la loro attivita' anche le fabbriche di armi, un po' artigianali, che Musharraf aveva cercato di chiudere. Inutilmente le bombe e gli agenti speciali Usa, che a loro volta hanno sfondato in Pakistan, hanno dato la caccia a Haqqani, ex ministro taleban delle frontiere che viveva proprio a Khost e che ora si sarebbe alleato con un altro leader fondamentalista, Gulbuddin Hekmatyar. Questo il terreno su cui saranno paracadutati gli alpini italiani, in sostituzione dei Royal marine e degli americani diretti in Iraq. Al confronto persino l'incubo somalo potrebbe apparire ora quasi un sogno. 5. DIRITTI UMANI. MARINELLA CORREGGIA: CHE FINE HA FATTO MORDECHAI VANUNU? [Anche questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002] Davvero gli Stati Uniti sono mossi dalla volonta' di bloccare con la guerra chi in Medio Oriente possiede armi nucleari e di distruzione di massa? Allora dovrebbero puntare a Tel Aviv, anziche' a Baghdad. Lo stato ebraico detiene fra 200 e 500 armi termonucleari e nel ramo e' la quinta maggiore potenza; con il suo arsenale nucleare, chimico e biologico, induce altri stati dell'area a seguire la stessa strada ed e' una minaccia per la pace e la stabilita' in Medio Oriente, area del mondo per la quale le risoluzioni del 1991 post guerra all'Iraq chiedono il disarmo non convenzionale. Lo scorso aprile decine di deputati inglesi hanno presentato la proposta di mozione 1213 che "riconosce Israele come stato nucleare grazie alla coraggiosa testimonianza di Mordechai Vanunu". Mordechai Vanunu, israeliano di origine marocchina, dopo aver lavorato per nove anni come tecnico nella base nucleare di Dimona, nel 1986 rivelo' a Peter Hounam del "Sunday Times" il segreto nucleare di Israele, testimoniato da foto e notizie. Una realta' conosciuta alle potenze del mondo ma tenuta nascosta ai popoli, a cominciare dagli israeliani. Per questo "tradimento" Vanunu fu rapito dal Mossad a Fiumicino il 30 settembre 1986, ricondotto in Israele e condannato a 18 anni di carcere. Ad Askhelon ha subito condizioni durissime: i primi due anni sotto illuminazione 24 ore su 24, i primi tredici in isolamento. Nel 1998 Vanunu ha passato la boa dei due terzi della pena ma la liberazione condizionale non e' mai venuta. Israele sostiene che egli e' tuttora una minaccia per la sicurezza; ma in realta' si tratta di una punizione "esemplare": "Mordechai ha sempre detto di voler continuare dopo la liberazione la sua battaglia antinucleare. Ci ha scritto piu' di una volta: e' tempo di disarmo, in Israele e nel mondo", spiega Ernest Rodker della Campagna inglese Free Vanunu. Al detenuto e' anche rimproverata la simpatia per la causa palestinese: i suoi avvocati hanno denunciato per calunnia il quotidiano "Yediot Aharonot" secondo il quale Vanunu avrebbe fornito informazioni su armi nucleari a membri di Hamas, colleghi di carcere. Le stesse autorita' di Askhelon hanno negato. Mordechai Vanunu, prigioniero di coscienza, e' un simbolo per i pacifisti perche', scrive David Polden sul bollettino della campagna inglese, "uno stato di Israele senza armi nucleari renderebbe piu' probabile un Medio Oriente senza nucleare e un accordo di pace comprensivo per l'area". Fra pochi giorni, finalmente,Vanunu sara' riascoltato dal tribunale israeliano: una prima tappa per una nuova richiesta di scarcerazione. Quest'anno l'anniversario del 30 settembre e' stato e viene celebrato in molte citta' del mondo con sit in, veglie e appelli. Fra le citta' mobilitate Hiroshima (le cui autorita' hanno piu' volte chiesto la scarcerazione del pacifista), Oslo, Lisbona, Londra, Toronto, Washington, Sydney, Boston, Stoccolma, Bologna e Roma. Il sit in romano (il 2 ottobre a largo Argentina) e' organizzato dal Comitato Vanunu, dalle donne in nero e dalla Wilfp, e sara' pro Vanunu e contro la guerra. Quali le possibilita' che Mordechai sia finalmente liberato? Finora il governo di Israele ha ignorato i numerosi appelli di premi Nobel, parlamentari, scienziati (una raccolta di adesioni e' in corso in Italia da parte del Comitato Vanunu), governi e cittadini. C'e' anche una via legale. In Italia il giudice Sica apri' un'inchiesta sul rapimento; poi archivio' il caso sostenendo curiosamente che era una montatura e Vanunu doveva essere in combutta con le autorita' del suo paese: un'assurdita' evidente dopo 16 anni di carcere. Per riaprire il caso giudiziario - cosa imbarazzante per Israele e che potrebbe contribuire alla liberazione anticipata del detenuto pur di evitare una simile grana - occorrono elementi nuovi. E sembrano esserci: un gruppo di marinai israeliani dichiaro' anni fa di aver effettuato un viaggio dall'Italia in Israele con il prigioniero a bordo. Alcuni legali si stanno muovendo. Il sito: nonviolence.org/vanunu chiede di inviare a Mordechai (Mordechai Vanunu, Askhelon prison, Askhelon, Israele) cartoline di buon compleanno: 48 anni il 13 ottobre. 6. INCONTRI. PAX CHRISTI: SEMINARIO SUL TEMA "DIFENDERE LO STATO DI DIRITTO" [Riceviamo e diffondiamo] L'ultimo anno ha reso evidenti i danni che un indirizzo politico poco rispettoso - anzi addirittura avverso - ai principi e alle norme valide per ogni democrazia e ai valori di legalita' propri dello stato di diritto puo' apportare e gia' ha apportato alla vita del paese. Pax Christi e il suo Centro studi economico-sociali per la pace (Csesp) sono gravemente preoccupati e ritengono che vada opposto a questo indirizzo una ferma resistenza che faccia ricorso a tutti i metodi del dibattito e dell'azione democratica e che utilizzi in particolare lo strumento della critica e della difesa costituzionale. Percio' il Csesp, nella linea del suo lavoro culturale e di formazione desidera raccogliere in un apposito seminario di studio da tenersi a Tavarnuzze (Fi) nella Casa per la pace, il 12 e 13 ottobre, i contributi di quanti, da giuristi specialisti, sono in grado di analizzare i termini costituzionali dei problemi attuali, in una panoramica quanto possibile completa, approfondita e veloce, dei maggiori tra questi problemi. Dopo un intervento breve ed essenziale di ogni oratore, si dara' spazio alle domande e agli interventi dei partecipanti per giungere a prospettare una linea di impegno per i prossimi mesi. Per facilitare la partecipazione al maggior numero di persone, si organizza un secondo seminario sulle stesse tematiche a Bari il 23 e 24 novembre 2002. * Programma Sabato 12 ottobre: ore 9.30, saluto di mons. Bettazzi e introduzione del prof. Allegretti; ore 10, inizio del contributo degli esperti sui temi previsti, relatori i professori Allegretti, Brancasi, Caretti, Cecchetti, Protopisani, Corsi, Colombini, Tarli Barbieri, Russo, Albanese, Corpacci. Domenica 13 ottobre: ore 9.30, continuazione sessioni tematiche; ore 12, conclusioni. L'iniziativa e' promossa da Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. * Note tecniche Le iscrizioni vanno inviate con cortese sollecitudine. Quota iscrizione: 15 euro da versare sul ccp n. 16709503 intestato a Pax Christi - Casa della Pace, 50029 Tavarnuzze (FI). Quota di soggiorno: 40 euro (52.00 per chi arriva gia' venerdi' sera). Per raggiungere la Casa: dalla Stazione di S. Maria Novella, autobus n. 37; scendere a Bottai e telefonare (0552374505) per essere accompagnati alla Casa. Per chi arriva in auto: uscita autostrada Firenze-Certosa: svoltare a sinistra in direzione Firenze, a 50 metri sulla destra direzione Via Quintole per le Rose, poi proseguire seguendo la direzione Baruffi. La Casa si trova dopo circa 1500 metri sulla destra. Segreteria Nazionale Pax Christi, via Petronelli 6, 70052 Bisceglie (Ba), tel. 0803953507, fax 0803953450. Inviare le iscrizioni a: Casa per la pace, via Quintole per le Rose 131-133, 50029 Tavarnuzze (Fi), tel. e fax 0552374505. 7. RIVISTE. "AZIONE NONVIOLENTA" DI OTTOBRE E' uscito il numero di ottobre 2002 di "Azione nonviolenta", rivista mensile del Movimento Nonviolento, di formazione informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo, fondata da Aldo Capitini nel 1964. Chi volesse chiederne una copia saggio puo' farlo per e-mail: azionenonviolenta at sis.it In questo numero: - Dopo averla tanto preparata, ecco che arriva un'altra guerra (di Mao Valpiana); - Nel rispetto della Costituzione, mettiamo la pace al centro della politica (appello della Tavola per la pace); - La guerra e' il piu' grande crimine contro l'umanita'. Solo la nonviolenza puo' contrastarla (di Peppe Sini); - Da Rio a Johannesburg, ovvero dalla speranza alla delusione (di Gianni Tamino); - E' l'uomo in se' l'unica vera minaccia per il futuro del pianeta: quando impareremo a smettere di voler controllare la vita? (di Christoph Baker); - La pace e' nelle nostre mani. Noi proponiamo (Carovana della pace); - Le dieci parole della nonviolenza: satyagraha, la forza della verita' (di Daniele Lugli). E poi le consiete rubriche: Lilliput; Educazione; Economia; Cinema; Musica; Storia; Libri; Lettere. "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org. Abbonamento annuo: 25 euro sul ccp n. 10250363 oppure bonifico bancario sul c/c n. 9490570 Unicredito, Agenzia di Borgo Trento, Verona, Cab 11718 Abi 06355, intestato ad "Azione nonviolenta" via Spagna 8, Verona. 8. INFORMAZIONE. UN ESTRATTO DA "CHIAMA L'AFRICA NEWS" [Riportiamo un estratto da "Chiama l'Africa news" del 2 ottobre 2002, per abbonasi alla newsletter e' sufficiente farne richiesta all'indirizzo: info at chiamafrica.it. Il sito e': www.chiamafrica.it. Invitiamo caldamente i nostri lettori a mettersi in contatto con questa importante esperienza di informazione e solidarieta'] * Sommario: 1. No alla guerra, pace da tutti i balconi; 2. Notizie dal continente: R. D. Congo Sierra Leone, Burundi, Senegal, Costa d'Avorio, Mali; 3. Attivita', Un viaggio responsabile in Senegal, Un giorno per l'Africa; 4. Novita' sul sito; 5. Appuntamenti. 1. No alla guerra "Chiama l'Africa" ribadisce il suo n deciso alla guerra. A qualunque guerra. Un attacco all'Iraq porterebbe soltanto centinaia, migliaia di vittime civili, che si aggiungerebbero a quelle yugoslave, afghane, congolesi, ugandesi... e la lista sarebbe lunga. Perche' non esiste una guerra giusta, se non per chi sulla guerra costruisce i propri profitti. Industria delle armi, economie in crisi, controllo del petrolio e delle risorse naturali. Ecco in nome di chi e di che cosa si stanno davvero scaldando i motori. * Manifesto dell'iniziativa "Pace da tutti i balconi" Diciamo no a tutte le guerre, diciamo si' alla via del dialogo. Esponiamo la bandiera della pace ai nostri balconi, dipingiamo di pace le citta'. Rendiamo visibile il nostro no alla guerra, raccogliendo gli appelli di molte organizzazioni umanitarie a sostenere la pace con ogni mezzo. Insieme a padre Alex Zanotelli invitiamo tutti ad aderire all'iniziativa nazionale "pace da tutti i balconi". I media amplificano i messaggi di guerra con l'obiettivo di renderci assuefatti all'orrore. Amplifichiamo i messaggi di pace, noi con i nostri mezzi popolari e con la forza dei nostri valori. Esponiamo da subito la bandiera della pace ai balconi delle nostre case, lasciandola ben visibile finche' non sara' definitivamente scongiurata la minaccia di un conflitto armato contro l'Iraq. Le bandiere si possono ordinare presso i "Beati i Costruttori di Pace", e-mail: beati at libero.it (indicare chiaramente nel subject "Richiesta acquisto bandiere della pace"), tel. 0498070522, fax 0498070699. Per saperne di piu': www.retelilliput.org Sul sito www.chiamafrica.it sono disponibili gli appelli contro la guerra di: Un Ponte per, Pax Christi, Tavola della Pace, Emmaus, Tavolo Intercampagne, Alex Zanotelli, Emergency. 2. Notizie dal continente (...) 3. Attivita' (...) 4. Novita' sul sito * nella sezione approfondimenti: - Zimbabwe. Studieranno solo i figli dei ricchi? Un articolo di Rodrick Mukumbira, tratto da "Africanews" di luglio 2002, pubblicato su "Solidarieta' Internazionale", numero 4/2002. - Dalla schiavitu' degli aiuti alla liberta' dei diritti. Gli atti del convegno di Ancona del 22/24 febbraio 2002, con le relazioni di: Joseph Ki Zerbo, Antonio Papisca, Pedro Miguel, Sergio Santini, Fabien Eboussi Boulaga, Paola Giani, Veronique Gnah, Rosario Lembo, Cyprien Bakara, Edoardo Missoni, Francesco Gesualdi. * Nella sezione l'Africa tra noi: - Mbacke Gadji. Vite e storie di confine nelle pagine di uno scrittore senegalese. Tra passato e presente, tra cultura e umanita'. Mbacke sara' con noi martedi' 8 ottobre al prossimo "Martedi' dell'Africa" per parlarci di africani migranti che narrano la propria terra vista da lontano, attraverso una lingua che non gli appartiene e con gli occhi di chi vive l'incontro-confronto con altre societa' e con altre culture. 5. Appuntamenti (...) * Per segnalare notizie, iniziative o appuntamenti scrivere una e-mail a info at chiamafrica.it o anche una lettera a "Chiama l'Africa", via Francesco del Furia 18, 00135 Roma, tel. 3295713452, fax 0630993424. 9. LIBRI. TOMMASO DI FRANCESCO: IL DISARMANTE DOSSIER DI SCOTT RITTER [Questo articolo di Tommaso Di Francesco e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 28 settembre 2002] Passo dopo passo, annuncio dopo annuncio, il mondo sta entrando nell'avventura della guerra all'Iraq che il presidente statunitense George W. Bush e l'alleato-maggiordomo Tony Blair vogliono ad ogni costo. Stavolta non ci sara' nemmeno la bugia della "guerra umanitaria", sara' una guerra-guerra, tout court, anzi sara' preventiva. Anche se non mancheranno le motivazioni che ci spiegheranno - gia' hanno cominciato a farlo - che l'azione armata alla fine e' servita proprio per "prevenire" un disastro all'umanita' di fronte ad armi di distruzione di massa. Diranno tante cose. Ma il punto e' che ogni guerra per essere tale ha bisogno, da parte del potere, di trovare una sua giustificazione, per essere narrata e trovare la sua legittimazione. Insomma, stavolta quale sara' la "Rambouillet" irachena, il casus belli utile a scatenare l'inferno? Non l'hanno ancora trovata, ma in queste ore si sta delineando. Ci dice infatti il Dipartimento di Stato Usa che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno definito la risoluzione dell'Onu da imporre all'Iraq, tale che dovrebbe convincere i recalcitranti che non vogliono questa guerra - i piu' - e tale da zittire la disponibilita' del regime di Saddam Hussein che ha risposto, di fronte ai tanti dossier e rivelazioni, che era disposto, senza condizioni, al ritorno degli ispettori dell'Onu su tutto il territorio del paese. In buona sostanza si prepara una Risoluzione "forte" al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come voleva Bush, scritta da Blair, che impone a Baghdad la presenza degli ispettori non nei soli siti sospettati di ospitare armi di distruzione di massa, ma ovunque, soprattutto nelle sedi politiche del regime, il parlamento e i ministeri, il palazzo presidenziale compreso. Aggiungeranno magari che, stavolta, gli ispettori, dovranno essere "protetti" da una missione internazionale armata. Condizioni, come si vede, fatte apposta per portare al fallimento della mediazione del segretario dell'Onu, Kofi Annan, che ha accettato la disponibilita' di Baghdad - che chiede la presa in considerazione del problema della fine delle devastanti sanzioni che durano da dieci anni - e che ha attivato da subito gli ispettori guidati dal capo missione Hans Blix che si dichiara pronto a partire. Questi i fatti, fin qui. Tenendo presente che l'intera costruzione si regge sulle dichiarazioni di Bush e Blair che chiedono l'autorizzazione a fare la guerra per "disarmare" l'Iraq che possiederebbe "armi bateriologiche e chimiche, armi di distruzione di massa pronte ad essere usate in 45 minuti contro Israele e Cipro" e "l'arma atomica tra pochi mesi". E si aggiunge in queste ore, richiamando la memoria ancora ferita dell'11 settembre, che "Saddam ha dato le armi chimiche ad Al Qaeda", smentendo le smentite su questo fatte solo poche ore prima. Baghdad corre a rispondere aprendo alla stampa internazionale i "siti" considerati letali e chiedendo l'arrivo degli ispettori al piu' presto, ma non basta e non servira' a nulla. Blair ha presentato un "dossier". Non convince nessuno, ma per la guerra puo' bastare, e per l'immaginario televisivo basta e avanza per dire che ci sono le prove. Ci vorrebbe a questo punto qualcuno, davvero autorevole, capace di smontare la costruzione mitologica occidentale sulle "armi di distruzione di massa" in possesso di Baghdad. Questo qualcuno c'e'. Si chiama Scott Ritter, ufficiale statunitense eroe dei marines, che ha partecipato per sette anni alla missione di disarmo in qualita' di ispettore Onu e perdipiu' e' un fervente repubblicano che ha votato per Bush alle ultime presidenziali. Scott Ritter ha pubblicato in questi giorni un libro-intervista, Guerra all'Iraq, straordinario quanto decisivo, uscito in contemporanea in Italia, dov'e' stato pubblicato da Fazi Editore (10 euro, pp. 115) e negli Stati Uniti, curato dal noto commentatore e saggista americano William Rivers Pitt. Un libro che, da questo punto di vista, davvero e' il "controdossier" che andrebbe letto nei parlamenti occidentali. Che cosa dice di talmente eccezionale l'ex funzionario-ispettore Onu dal 1991 al 1997? Semplicemente questo: "Se io dovessi quantificare la minaccia rappresentata dall'Iraq in termini di armi di distruzione di massa, essa equivale a zero". E la sostanza di questa affermazione non l'ha solo scritta nelle risposte di questo libro, o in decine di interviste e articoli che ha pubblicato in questo ultimo periodo. No, ha fatto di piu'. In aperto conflitto con il "suo" governo, e' andato a Baghdad in queste settimane per accompagnare i giornalisti della stampa internazionale a visitare i presunti "siti di armi di distruzione di massa", che altro non sono che fabbriche civili o macerie, residuo del buon lavoro di controllo e distruzione fatto proprio dagli ispettori Onu. Una denuncia cosi' fastidiosa da meritare la risposta stizzita perfino del segretario di stato Usa Colin Powell. Un libro bomba, e' il caso di dire. Fin dall'esergo iniziale che cita Karl Kraus: "Come si governa il mondo per condurlo alla guerra? I diplomatici dicono bugie ai giornalisti e poi, una volta che le vedono pubblicate, ci credono". E l'America, scrive nell'introduzione William Rivers Pitt, dopo l'11 settembre appare propensa a credere e ad apprezzare ogni contrapposizione tra bene e male, tutt'altro che tranquilla all'idea che qualcuno abbia armi di distruzione di massa e che queste possano arrivare ai terroristi di Al Qaeda di bin Laden. Inoltre Saddam Hussein e' stato cosi' demonizzato, ancora di piu' dopo la prima guerra del Golfo, con il paragone tra lui e Hitler, che si ritiene ci siano motivi piu' che sufficienti per una sua deposizione. Tuttavia ancora non e' chiaro perche' sia necessaria questa guerra. E non e' chiaro chi sia Saddam Hussein, mentre tutti o quasi sanno ormai che Osama bin Laden era nel libro paga della Cia quando organizzava la resistenza islamica all'occupazione militare sovietica dell'Afghanistan e che i talebani erano alleati, anche d'affari, del Pakistan, dell'Arabia Saudita e degli Stati Uniti fino a un mese prima dell'11 settembre e con loro trattavano il nuovo oleodotto del consorzio angloamericano Unocal, ora realizzato a "fine" guerra da Hamid Karzai, neopresidente afghano, ex consulente dell'Unocal e assai probabilmente agente della Cia. Il fatto e', spiega bene il libro, che anche Saddam Hussein e' una creatura americana: "E' un mostro, si', ma il "nostro" mostro, e' una creazione americana come la Coca Cola e l'Oldsmobil". E' stato il governo americano del presidente Ronald Reagan ad appoggiare e ad armare il suo regime, ferocemente impegnato contro il fondamentalismo islamico interno e iraniano, fin dall'inizio degli anni Ottanta - nell'82 l'Iraq venne cancellato dalla lista dei paesi terroristi - per contrastare l'influenza sovietica nella regione, e ad armarlo ancora di piu' durante la guerra con l'Iran, guerra in cui ha usato sul campo di battaglia armi chimiche fornite proprio dallo stato maggiore americano, guerra sostenuta attivamente dall'intelligence Usa che pianifico' battaglie, attacchi aerei e danni dei bombardamenti. Una guerra costata due milioni di morti. Come dettagliatamente resocontato nell'agosto del 2002 dal "New York Times" che ha pubblicato dettagliate e controfirmate dichiarazioni di alti ufficiali Usa coinvolti nella politica di aiuti militari all'Iraq durante l'amministrazione Usa: l'America sapeva che Saddam Hussein usava armi chimiche contro l'Iran, ma continuava a fornirgli armi e assistenza. L'America chiudeva tutti e due gli occhi sugli effetti devastanti di quel riarmo, chimico, batteriologico, nucleare visto che l'avvio di nucleare iracheno era stato bombardato nel 1981 da un altro alleato americano nell'area, vale a dire Israele con il suo potenziale bellico e atomico (200 testate, ma clandestine). Una conoscenza delle armi di Saddam Hussein che sarebbe tornata utile nei bombardamenti chirurgici della prima guerra del Golfo: uno scherzo per i bombardieri di precisione americani, visto che i siti erano nei cassetti dello stato maggiore Usa che li aveva costruiti. Non uno scherzo per i 100.000 militari occidentali contaminati dalla Sindrome del Golfo, quella che ora tutti dimenticano. E inolte, vorremmo ricordare noi, quale America gridava allo sterminio quando, nel 1984, Saddam Hussein massacrava i comunisti iracheni? E poi "sempre gli Stati Uniti non hanno deposto il regime di Baghdad durante la guerra del Golfo, e di fatto hanno ostacolato i tentativi di rovesciare Saddam Hussein compiuti dai ribelli iracheni sollecitati all'azione dalla nostra retorica" e, aggiungiamo, dalle promesse della Cia. Il libro-intervista racconta decine e decine di ispezioni, di indagini campione di sarin, di scoperte poi dimostratesi di scarso rilievo, delle menzogne degli iracheni smascherate, del lavoro delle ispezioni a sorpresa della biologa Diane Seaman e l'affare del codice segreto che parlava di "Attivita' biologiche speciali", documento che poi si rivelo' come il testo dei servizi segreti iracheni per la sicurezza personale del dittatore iracheno, e il mondo fu perfino sull'orlo di una nuova guerra che poi fu evitata e su cui, mentendo, soffiava - denuncia Scott Ritter - l'ex capo ispettore Richard Butler pur informato sulla realta' e inconsistenza dell'affare; e ancora di tensioni per le ispezioni nelle sedi istituzionali, di approfondimenti in laboratorio, dell'impianto di fermentazione chimica di Al Hakum fatto esplodere dagli ispettori, del monitoraggio capillare dal 1994 al 1998 della totalita' degli impianti chimici iracheni. Ispezione dopo ispezione per arrivare alla conclusione che i bombardamenti e il lavoro di distruzione ha praticamente portato a zero il grado di pericolosita' dell'Iraq quanto ad armi di distruzione di massa. "Ritengo a questo punto fondamentale un problema di cifre - risponde Scott Ritter nel libro -. L'Iraq ha distrutto il 90-95% delle sue armi di distruzione di massa. Dobbiamo ricordare che il restante 5-10% non costituisce necessariamente una minaccia ne' un programma di armamento, se non siamo in grado di dire quella percentuale minima che fine ha fatto, non significa che l'Iraq ne sia ancora in possesso", dopo il massiccio embargo e il passaggio degli ispettori. E i legami con Al Qaeda? E la bomba atomica di Saddam pronta tra pochi mesi? Scott Ritter non ha dubbi e definisce la "connessione" con Al Qaeda "una faccenda palesemente assurda". "Saddam Hussein - ricorda - e' un dittatore laico, ha passato gli ultimi trenta anni a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi. A parte la guerra all'Iran degli ayatollah, in Iraq sono in vigore leggi che sentenziano la pena di morte per il proselitismo in nome del wahabismo, la religione di Osama bin Laden. Osama odia in modo particolare Saddam, lo chiama l'apostata, un'accusa che implica la pena di morte". L'unica arma, se cosi' si puo' dire, che lega Osama bin Laden e l'Iraq e' il fatto che il leader di Al Qaeda cosi' come reclama la liberta' in Palestina condanna il mondo occidentale per le sanzioni all'Iraq. Perche'? "Perche' le sanzioni americane - risponde Scott Ritter - non colpiscono certo Saddam, colpiscono il popolo iracheno", al quale bin Laden si richiama profeticamente usando le sanzioni come grido di guerra. Quanto al nucleare, il libro-intervista rivela che il fondamento di questa accusa risiede in alcuni fuoriusciti e disertori, Khidre Hamza, funzionario di medio livello del programma nucleare iracheno, oggi immeritatamente protagonista di molti programmi-scoop della tv americana, e soprattutto aiutante di Hussein Kamal genero di Saddam e responsabile della commissione militare industriale irachena. E' stato Hamza a raccontare e a costruire con la Cia i dati sul presunto programma nucleare iracheno attuale, ma lo stesso genero di Saddam, Hussein Kamal, quando diserto' nel 1995, si rifiuto' di sottoscrivere e prendere per buoni quei dati definendoli "un falso grossolano". Resta un solo interrogativo vero, che William Rivers Pitt prende alla fine di petto con questa domanda: "Lei e' un veterano dei marine, un ufficiale e un funzionario di intelligence. Ha passato sette anni in Iraq a rintracciare queste armi per garantire la salvezza e la sicurezza non solo di questo paese, ma anche del Medio Oriente e del mondo. Eppure alcuni suoi concittadini la chiamano traditore perche' parla cosi' apertamente di tali argomenti. Come risponde?". "La gente puo' dire quello che vuole - risponde secco ma sereno Scott Ritter - ma chi parla in questo modo non fa che dimostrare la propria ignoranza. Esiste una cosuccia che si chiama Costituzione degli Stati Uniti d'America. Quando ho indossato l'uniforme dei marines e mi fu affidato l'incarico di ufficiale ho giurato di essere fedele e di difendere la Costituzione contro tutti i nemici, esterni e interni. Questo significa che sono disposto a morire per quel pezzo di carta e per quello che rappresenta. Quel documento parla di noi come popolo, e di un governo del popolo, fatto dal popolo, per il popolo, Parla di liberta' di parola e di liberta' civili individuali... Il massimo servizio che posso rendere al mio paese - conclude Scott Ritter - e' di facilitare la discussione e il dialogo sul comportamento da tenere verso l'Iraq... Se quelli che esercitano pressioni a favore della guerra non sono in grado di provare le proprie ragioni, l'opinione pubblica americana dovra' esserne consapevole". "Voglio che l'America non commetta l'errore di questa guerra", ha ripetuto sui giornali americani in questi giorni. Forse, alla maniera di Scott Ritter, vale la pena sentirsi un po' "tutti americani". 10. RILETTURE. BRITTA BENKE; GEORGIA O'KEEFFE Britta Benke, Georgia O'Keeffe, Taschen Verlag, Colonia 2000, pp. 96, s. i. p. Una monografia sull'artista americana, con molte illustrazioni. 11. RILETTURE. RENATE SIEBERT: LE DONNE, LA MAFIA Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, 1997, pp. 464, lire 18.000. Un libro profondo e appassionato della grande sociologa di forte e sensibile impegno civile 12. RILETTURE. DOROTHEE SOELLE: FANTASIA E OBBEDIENZA Dorothee Soelle, Fantasia e obbedienza, Morcelliana, Brescia 1970, pp. 96. Un'intensa meditazione della teologa di Colonia. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 373 del 3 ottobre 2002
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