La nonviolenza e' in cammino. 365



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it



Numero 365 del 25 settembre 2002



Sommario di questo numero:

1. Un esposto per far cessare le stragi di immigrati

2. Ada Gobetti, amicizia

3. Enrico Peyretti, scrivere

4. Antonello Ricci ricorda Vittorio Emanuele Giuntella

5. Carlo Schenone, a cosa serve il Forum Sociale Europeo?

6. Giulio Vittorangeli, si puo' essere felici?

7. Giampaolo Calchi Novati, diplomazia di vetro

8. Charles C. Walker, manuale per l'azione diretta nonviolenta (parte
quarta e conclusiva)

9. Riletture: Eleonora Missana, L'etica nel pensiero contemporaneo

10. Riletture: Fran?oise Sironi, Persecutori e vittime

11. Riletture: Elena Soetje, La responsabilita' della vita. Introduzione
alla bioetica

12. La "Carta" del Movimento Nonviolento

13. Per saperne di piu'



1. DOCUMENTI. UN ESPOSTO PER FAR CESSARE LE STRAGI DI IMMIGRATI

[Il seguente esposto-denuncia indirizzato alla Procura della Repubblica di
Roma contro il Ministro del Lavoro e il Presidente del Consiglio dei
Ministri e' stato sottoscritto da numerose personalita' e strutture
impegnate per i diritti umani. Per contatti: bastastragi at libero.it]

I sottoscritti..., nella loro qualita' di rappresentanti di associazioni ed
organizzazioni di tutela dei legittimi diritti e interessi dei cittadini e
dei lavoratori stranieri in Italia, espongono quanto segue.

La legge n. 286/1998, recante il "Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero", all'art. 3 comma 4 prescrive l'emanazione annuale da parte del
Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati e le
competenti commissioni parlamentari, di "uno o piu' decreti" per definire
"le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per
lavoro subordinato (...)".Tale normativa e' da considerarsi in vigore per
l'anno in corso, dal momento che la nuova legislazione sull'immigrazione,
che rende facoltativa e non piu' obbligatoria l'emissione di decreti
annuali sulle quote e le modalita' d'ingresso, non e' entrata in vigore se
non in settembre e manca tuttora dei regolamenti destinati a renderla
operativa.

In ogni caso anche la nuova normativa prevede che l'opportunita' di
emettere i decreti in questione, e la loro misura, siano oggetto di
consultazione con le commissioni parlamentari e gli enti locali.

Non solo il governo non ha provveduto ad emettere tali decreti nell'anno in
corso, ma il ministro del Lavoro, che nella prassi corrente e' designato a
proporli, ha dichiarato piu' volte alle agenzie di stampa il suo rifiuto di
ottemperare all'obbligo di legge. Cosi' il 29 agosto 2002 (Ansa) dichiarava
che "Nel 2002 non faremo nessun nuovo decreto sui flussi, e nel 2003
valuteremo sulla base dell'esito della regolarizzazione", e il 17 settembre
ribadiva (Ansa) che il Governo sarebbe impegnato a "superare il decreto
annuale sui flussi con una programmazione come quella gia' prevista per gli
stagionali".

Infatti nel corso del 2002 con decreti ad-hoc dello stesso Ministero del
Lavoro e' stato consentito l'ingresso legale in Italia esclusivamente a
quote di lavoratori stagionali destinati in larga prevalenza
all'agricoltura, e destinati all'espatrio a fine lavoro.

Nel frattempo tutte le organizzazioni imprenditoriali dell'industria e
dell'agricoltura, nonche' gli apparati statali di gestione di taluni
servizi (es. sanita'), denunciavano ripetutamente la vitale necessita' di
forza lavoro aggiuntiva non stagionale ma stabile, in misura calcolata da
diverse fonti (es. Banca d'Italia) nell'ordine delle centinaia di migliaia
di unita' ogni anno, e queste prese di posizione venivano amplificate anche
dalla stampa internazionale.

Questa richiesta di lavoro stabile non puo' confondersi, come fa il Governo
e in particolare il ministro Maroni, con l'emersione di quote di lavoro
straniero gia' esistente, trattandosi con tutta evidenza della richiesta di
forza-lavoro aggiuntiva e non sostitutiva di quella gia' impiegata
irregolarmente.

Nella totale assenza, per tutto l'anno in corso, di canali d'ingresso
legale per lavoro non stagionale in Italia, e nell'evidenza di un'ampia
domanda di lavoro insoddisfatta in Italia, si e' amplificato a dismisura il
canale irregolare, come attesta la stima diffusa dal Ministero dell'Interno
(vedi ad es. "Il manifesto" del 17 settembre 2002), presumibilmente
inferiore alla realta', di 14.042 ingressi illegali in Italia nei primi
sette mesi dell'anno, a fronte di 10.565 ingressi illegali nel periodo
corrispondente del 2001.

L'ingresso illegale, gestito spesso da organizzazioni criminali senza
scrupoli, ha comportato nell'anno in corso un incremento spaventoso di
tragedie dell'immigrazione (morti per annegamento, asfissia ed altro),
anche a causa dell'irrigidimento delle misure di controllo delle coste e
delle frontiere che ha indotto i vettori non a rinunciare al loro traffico,
ma a mettere piu' facilmente a repentaglio la merce umana abbandonandola in
mare o rinchiudendola ermeticamente nei cassoni dei Tir.

Tutto cio' premesso, i sottoscritti chiedono a codesto Tribunale di
verificare se nei comportamenti descritti del Ministro del Lavoro, nonche'
dell'intero governo, non sia da identificarsi una grave omissione in atti
d'ufficio, nonche' una correlata responsabilita' nell'oggettiva
incentivazione dei canali illegali d'ingresso e nel favoreggiamento
rispetto a coloro che li gestiscono e ne lucrano, e dunque una
corresponsabilita' anche negli esiti spesso tragici della situazione
descritta.

I sottoscritti chiedono di essere informati degli esiti del presente
esposto anche in caso di archiviazione.



2. MAESTRE. ADA GOBETTI: AMICIZIA

[Da Ada Gobetti, Diario partigiano, Einaudi, Torino 1956 (noi citiamo
dall'edizione del '72, a p. 15) riportiamo la dedica del libro. Ada
Gobetti, nata a Torino nel 1902, moglie e collaboratrice di Piero Gobetti,
fortemente impegnata nella lotta antifascista, nel dopoguerra svolse un
rilevante impegno come educatrice e per la democrazia, tra lâaltro
dirigendo le riviste ãEducazione democraticaä ed il ãGiornale dei
genitoriä. Eâ scomparsa nel 1968. Opere di Ada Gobetti: (a cura di), Samuel
Johnson. Esperienza e vita morale, Laterza, Bari 1939, poi Garzanti,
Milano); Storia del gallo Sebastiano, Garzanti, Milano 1940, poi Einaudi,
Torino 1963; Alessandro Pope. Il poeta del razionalismo settecentesco,
Laterza, Bari 1943; Cinque bambini e tre mondi, AIE, Torino 1953;
Partigiani sulla frontiera, ANPI, Torino 1954; (a cura di), Donne
piemontesi nella lotta di liberazione, ANPI, Torino 1954; Diario
partigiano, Einaudi, Torino 1956; Non lasciamoli soli, La Cittadella,
Torino 1958; Vivere insieme, Loescher, Torino 1967; (a cura di), Camilla
Ravera. Vita in carcere e al confino, Guanda, Parma 1969; Educare per
emancipare (Scritti pedagogici 1953-1968), Lacaita, Manduria 1982]

Dedico questi ricordi ai miei amici: vicini e lontani; di vent'anni e di
un'ora sola. Perche' proprio l'amicizia - legame di solidarieta', fondato
non su comunanza di sangue, ne' di patria, ne' di tradizione intellettuale,
ma sul semplice rapporto umano del sentirsi uno con uno tra molti - m'e'
parso il significato intimo, il segno della nostra battaglia. E forse lo e'
stato veramente. E soltanto se riusciremo a salvarla, a perfezionarla o a
ricrearla al disopra di tanti errori e di tanti smarrimenti, se riusciremo
a capire che questa unita', quest'amicizia non e' stata e non dev'essere
solo un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma e' un valore in se
stessa, perche' in essa forse e' il senso dell'uomo - soltanto allora
potremo ripensare al nostro passato e rivedere il volto dei nostri amici,
vivi e morti, senza malinconia e senza disperazione.



3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: SCRIVERE

[Siamo assai grati a Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it)
per averci consentito di pubblicare questa sua meditazione. Enrico Peyretti
e' una delle pi? prestigiose figure della cultura della pace, animatore di
innumerevoli iniziative di pace e per la nonviolenza. Scrive sul mensile
ãIl foglioä di Torino, sul quindicinale ãRoccaä di Assisi, sul mensile
ãAzione nonviolentaä. Tra le sue opere: (a cura di), Al di lˆ del ãnon
uccidereä, Cens, Liscate 1989; Dallâalbero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica ? pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. Eâ diffusa attraverso la rete telematica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e
nonviolente]

Io sono contento quando scrivo. Contento non vuol dire comodo. Faccio
fatica a scrivere, anche se una volta qualcuno mi chiamo' Penna Facile.

Sono contento se qualcuno leggera' e mi rispondera', ma intanto, e' gia'
una gioia scrivere. Perche'? Perche' qualcosa, pur molto modesto, esce da
me, come un piccolo frutto dall'ultimo ramo, anche se nessuno salira' a
raccoglierlo e cadra' in terra a marcire, ma il ramo e' contento; come la
poca acqua che sgorga dalla piu' ignorata sorgente, e subito si perde nella
terra, ma la sorgente e' viva; come ogni artigiano, ed anche ogni
casalinga/o nella ripetizione quotidiana del suo lavoro, vede con occhio
umilmente lieto una piccola opera uscita dalle proprie mani, non fosse
altro che un pavimento pulito. Per non dire di ogni madre, salvo la piu'
disperatamente infelice, che nel generare vive la piu' grande angustia
dolore e timore insieme alla massima gioia, perche' per opera sua profonda
"e' nato un uomo al mondo", una gioia tale che le basta per tutta la vita,
eppure non sa ancora se quel figlio vivra' degnamente, o se non sara' la
sua croce.

Tante volte la fatica o la noia occulta la gioia d'una piccola opera, ecco
allora che una parola giusta aiuta a riconoscersi contenti di quel lavoro.
Vicino al lavandino di cucina avevo una pagina che illustrava il valore del
lavare i piatti: e' caduta, l'ho persa, ma il senso mi e' rimasto e di fare
quel lavoro sono per lo piu' contento.

Dio non ha creato solo meraviglie, ha creato anche insetti immondi e uomini
brutti, persino potenziali criminali. Noi "siamo creati creatori", come
disse Garaudy quando era ancora marxista. Non importa cio' che creiamo, da
un piatto di minestra alla Cena di Leonardo. Viviamo di aria e di pane, ma
anche di ogni parola, come disse Gesu', e non solo quelle che vengono da
Dio, ma anche le piccole parole di chi non ti ignora e, parlandoti, ti
riconosce umano. La crisi del parlarsi e' una malattia grave.

Le parole, dette o scritte, non sono l'ultima delle nostre opere. Sono
l'anima dei nostri scambi umani, persino - magari parole bugiarde, perche'
siamo capaci di tutto - degli scambi commerciali. Imperfette, o persino
sbagliate, da correggere con altre parole, le parole sono l'opera umana.
Sono anche un'arma, piu' omicida della spada, perche' nell'uomo c'e' anche
il servire la morte, contro la vita. Comunque, l'animale umano e' l'unico,
a quanto sappiamo, che produce parole, mondi di parole, piu' ricchi,
immensi, misteriosi, affascinanti, e piu' reali, di tutti i mondi di cose.

Nell'inanellare a fatica parole umane, distillate dai giorni umani, siamo e
diventiamo umani. Incompiuti e contraddittori come tutto cio' che e' umano,
ma umani, rivolti ad umani, in attesa di segni umani, in cerca della nostra
umanita', lavorando senza riposo, anche nel sonno, a distinguere le parole
di vita dalle parole di morte.



4. MEMORIA. ANTONELLO RICCI RICORDA VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA

[Ringraziamo Antonello Ricci (per contatti: ag.ricci at libero.it) per averci
inviato questa sua prosa (titolo originale: La barba di Vittorio Emanuele)
da un libro ancora inedito. Antonello Ricci, viterbese e partecipe di
rilevanti esperienze di impegno civile a Viterbo, e' poliedrico studioso,
versatile scrittore, educatore, regista teatrale e promotore di cultura
infaticabile, e un amico assai caro. Vitorio Emanuele Giuntella, nato nel
1913, dopo lâ8 settembre 1943, tenente degli alpini, fu uno degli ufficiali
italiani che rifiutarono di servire i nazifascisti e fu internato in Lager.
Storico, docente di storia dellâetˆ dellâilluminismo allâUniversitˆ di
Roma, costantemente impegnato per i diritti umani, ? stato tra i pi?
autorevoli rappresentanti dellâOpera Nomadi. Eâ scomparso nel 1996. Opere
di Vittorio Emanuele Giuntella: autorevolissimi i suoi studi sul â700 e
quelli sulle vicende della seconda guerra mondiale, della deportazione e
della Resistenza; fondamentale ? il suo volume Il nazismo e i Lager,
Studium, Roma 1979]

* La barba di Vittorio Emanuele

Era stato mio padre a portarmi dal Barbone. Alla fine del liceo, d'estate.
In mezzo ai noccioli del Casaletto di Capranica. Barbone: cosi' lo
chiamava. La sua auctoritas avrebbe dovuto indirizzarmi alla "giusta"
scelta universitaria. Il mio futuro. Ma lo sapevo bene: dietro
quell'incontro c'era proprio lui, mio padre - che per Vittorio Emanuele
tante volte aveva lavorato. Mio padre, orfano di contadini e unico della
sua schiatta con un titolo di studio. Voleva convincermi a prendere
Ingegneria. O Legge. O Medicina. A me, invece, piacevano storia e poesia.
Quando lo vidi, capii subito perche' quell'ingiuria affettuosa e piena di
rispetto. Sotto due occhi chiari e schietti, una gran barba bianca. Barba
da patriarca, da profeta. Vittorio Emanuele, romano d'adozione, cristiano
vero, insegnava alla Sapienza: storia dell'eta' dell'Illuminismo. Era nato
da queste parti. Classe 1913. Da gente li cui rami erano corsi a salutare
Garibaldi alla stazione. Ebbe per me parole di buon senso. Sentii quanto
stimasse mio padre. Resistetti. Trovammo un onorevole compromesso: Lingue.

Era la fine di novembre ora, e sentivo di dover rendere conto alla sua
saggezza, prima ancora che alla mia famiglia, del mio proposito di
"scivolare" su Lettere. Gli telefonai da una cabina di viale Regina
Margherita, di sera. Ci vediamo domani in Istituto. Alle nove. Si presento'
puntuale. Uno sciame d'allievi impazienti lo accolse, petulando amorevoli
richieste. Lo veneravano. Se li mise intorno. Ascoltandoli paternamente. Un
libro che non si trovava, un articolo ancora da buttar giu', la scaletta
della tesi, un dubbio amletico da sciogliere in vista dell'esame. Calorosa
dolcezza di maestro. Io, matricola spaurita, non trovavo il coraggio
d'avvicinarmi al tavolo. Restai in piedi sulla porta. Imbarazzatissimo.
Nell'ansia d'esser notato al piu' presto. Ma i minuti passavano. E il
gruppo restava immerso nel proprio chiacchiericcio. Certo il Barbone non
m'aveva riconosciuto. All'improvviso, come per caso, distogliendo lo
sguardo da quel simposio mi chiese cordialmente chi fossi. Invitandomi,
semmai, a unirmi a loro. Sono il figlio del geometra Pietro. Accadde
qualcosa che non m'aspettavo.

Proprio Vittorio Emanuele ricordava spesso come venga per ognuno il tempo
in cui si e' chiamati a rispondere di cio' che della nostra vita abbiamo
fatto. Non detto o scritto: fatto. E quando ripenso a quel giorno io, che
pure non credo, non ho dubbi: se c'e' un paradiso dei cristiani, il Barbone
siede oggi fra i giusti. Con benevola enfasi scaccio' tutti. Dopo! dopo!
ora c'e' una cosa piu' urgente. Piu' importante. Mi chiese di venire
avanti. Batte' sul piano d'una sedia perche' gli andassi vicino. Mi
guardo'. Cerco' le parole. Un uomo, Suo padre... - dava del Lei a quel
ragazzino timido come un seminarista - Suo padre... e di mio padre traccio'
un panegirico che - lo ricordo quasi fosse oggi - mi commosse. E sconvolse.
Stentavo, in quel ritratto, a riconoscere il mio omino silenzioso. Uomo di
grande moralita', Suo padre.

Parola di Barbone. Lui che, trentenne, tenente degli alpini aveva servito
la Patria fino alla disfatta. Lui che, caduto prigioniero dopo la rotta
dell'Otto Settembre, dalla Slovenia era precipitato nell'incubo dei lager
nazisti. Dove pure non aveva avuto dubbi: mai piu' fascismo. E rischiando
la vita fra i reticolati, insieme con tanti altri aveva animato la
Resistenza. L'unica possibile in quella condizione coatta: un ostinato
rifiuto alle lusinghe e alle minacce tedesche per l'arruolamento fra gli
aguzzini di Salo'. Una lotta fatta di scambi di libri e di lecturae dantis
clandestine. Faro di fermezza, Vittorio Emanuele, esempio irremovibile per
centinaia di soldati-contadini, ventenni e analfabeti, assediati dalla fame
dal dubbio dalla paura d'una rappresaglia. Dalla nostalgia di casa. E pure
quella lotta (troppo presto dimenticata) ebbe la sua vittoria: se e' vero
che su seicentomila internati  italiani solo un decimo, alla fine, avrebbe
firmato. Una volta libero poi, il Barbone volle portare dappertutto
l'inesausta sua testimonianza: nelle scuole e nella societa'. Consapevole
che il lager puo' tornare.

Ma che cosa riconosceva di tanto altamente morale in mio padre (modesto
impiegato-artigiano di provincia), quel nobile uomo di pace?

Gia'. Perche' mio padre, di dieci anni piu' giovane, caporaletto
d'aviazione era stato sorpreso dall'Otto Settembre in un aeroporto
dell'alta Italia. E come migliaia e migliaia d'altri picari nelle sue
stesse condizioni, s'era scoperto impreparato a quell'incrocio della
Storia. Per strade secondarie, macchie e tradotte, s'era dato alla fuga
attraverso gli Appennini, gia' per la Toscana e l'Umbria, fino al ritorno
in paese. Poi il Dopoguerra. E il Quarantotto. Lui, qualunquista in
politica, voto' senza remore DC: per paura dei cosacchi in piazza San
Pietro.

Che cosa ammirare in mio padre, percio'? Serieta' dedizione bravura
scrupolo onesta' precisione rispetto. In altre parole: amore per il proprio
lavoro. La migliore approssimazione concreta alla felicita' sulla terra, ha
scritto Primo Levi. Ma allora, a parte l'emozione che m'incendiava le
guance, non avrei potuto apprezzare il senso tutto leviano di quell'elogio.
Lo ammetto: sono uno che ha letto tardi Se Questo e' un Uomo. Arbeit Macht
Frei. Con la sua silenziosa dignita', con la sua umilta' di formichina, mio
padre era Lorenzo, era l'esempio vivente che riscattare il lavoro
dall'orrenda parodia di Auschtwitz e' possibile. Non lo sapevo. Ma avrei
capito.

Negli ultimi giorni del ricovero di mio padre lessi che Vittorio Emanuele
era morto. Ricordavo una sua intervista di qualche tempo prima. Ne veniva
fuori stanco e amareggiato. Stanco di testimoniare invano, di resistere
alla barbarie montante. Raccontava d'aver perso fiducia nella Scuola: i
giovani non vogliono piu' sentir parlare di fascismo. Non vogliono
ascoltare, capire, ricordare. Con un groppo in gola scelsi di non dir nulla
a mio padre. Per non rattristarlo. Ma avevano gia' un appuntamento.



5. DIBATTITO. CARLO SCHENONE: A COSA SERVE IL FORUM SOCIALE EUROPEO?

[Siamo assai grati a Carlo Schenone (per contatti: e-mail:
schenone at libero.it, sito: www.schenone.8k.com) per averci inviato questo
intervento. Carlo Schenone e' da molti anni a Genova una delle figure piu'
impegnate nella riflessione sulla nonviolenza e nella pratica di essa nei
movimenti e nei conflitti sociali, particolarmente attivo nella formazione;
con una lunga, ampia e qualificata esperienza sia di impegno politico e
sociale di base, sia di rappresentanza nelle istituzioni, sia di intervento
meditato e propositivo nelle sedi organizzative e di coordinamento, di
dibattito e decisionali, dei movimenti per i diritti]

A cosa serve il Forum Sociale Europeo [in sigla, di qui in poi: FSE]? A
superare la rivoluzione francese.

Al momento attuale al FSE sono previsti molti temi di discussione e di
approfondimento.

Forse in ritardo sui tempi ma osservando come le cose stanno evolvendo ho
provato a chiedermi "a cosa serve il FSE" e mi sono reso conto che se e' la
semplice riproposizione del WSF di Porto Alegre e' praticamente inutile se
non come vetrina per alcuni che desiderano accreditarsi come rappresentanti
del fantomatico movimento.

Pensare al FSE come una summa di seminari in cui tre o quattro persone
ripetono quanto hanno gia' detto a Porto Alegre e/o a Genova puo' forse
servire a qualche centinaio di persone che seguira' i seminari (escludendo
coloro che seguono i seminari per solidarieta' con i relatori ma che magari
li hanno gia' sentiti in altre occasioni ripetere le stesse cose) e che
irrobustiranno la loro cultura a riguardo dei temi trattati. Ma sarebbe ben
poca cosa rispetto allo sforzo fatto anche perche' sono cose che cominciano
a non essere piu' nuove neppure per i media e quindi sempre meno
interessanti per chi vive dell'ansia di nuovismo di questa societa'.

Penso che l'FSE debba essere una occasione per procedere oltre nella
ricerca di un mondo futuro che non sia semplicemente "un altro mondo"
(anche quello di "Blade Runner" e' un altro mondo) ma che cerchi di essere
"un mondo migliore".

Mille sono i temi su cui bisognerebbe andare oltre, magari riuscendo a
passare dalla denuncia e, quando c'e', dalla proposta ad una concreta
soluzione dei problemi e valorizzazione delle ricchezze.

Ma penso che ci sia un tema che precede tutti gli altri. Dai tempi della
rivoluzione francese che ha enunciato (ma ha anche ottenuto) che ogni
cittadino abbia il diritto/dovere di partecipare alle decisioni che lo
riguardano, imponendo un modello rappresentativo parlamentare, i modelli
decisionali si sono modificati molto poco nonostante sempre di piu' siano
evidenti le debolezze che l'usura ha fatto emergere di tale modello. Sono
stati tentati altri modelli che sono degenerati ancora piu' velocemente in
cui cambiava il gruppo sociale predominante, ma alla fin fine il modello
rappresentativo parlamentare viene dato da tutti come inesorabilmente il
meno peggio.

In effetti, quando una sua prima fase fini' con il periodo delle dittature
europee e le guerre mondiali, si cerco' di rivederlo e migliorarlo per
esempio con il suffragio universale, ma col tempo i sistemi sociali tendono
a corrompersi perche' gli aggressori diventano sempre piu' competenti e le
difese tendono a indebolirsi. E cosi' nuovamente ci troviamo con dei
sistemi parlamentari in cui sempre meno cittadini si sentono rappresentati
e sentono di influire sulle decisioni che li riguardano.

Penso che sia necessario che, soprattutto noi europei che abbiamo esportato
questo modello in tutto il mondo, perfino in contesti sociali in cui ha
creato piu' danni che benefici, e che ci ergiamo a paladini di questo
modello verso tutto il mondo pretendendo che tutti gli altri popoli vi si
uniformino, cominciamo a riflettere, senza preconcetti, sul suo superamento
o almeno il suo restauro, non solo in linea teorica ma anche pensando come
arrivare a realizzare tale miglioramento.

Questo significa cominciare a sperimentare nuovi modelli decisionali prima
di tutto all'interno di chi li propone e poi pensare dei percorsi che
permettano con gli anni di farli diventare patrimonio comune. E sarebbe
auspicabile riuscire a fare cio' senza dover aspettare un Termidoro o una
Norimberga prossimi venturi.

Penso che sia necessario arrivarci affinche' tutti gli altri temi non
rimangano semplici proposte teoriche che nessun sistema decisionale
arrivera' a attuare.

Oramai e' sempre piu' evidente che chi ha il potere ha imparato ad ignorare
senza problemi anche manifestazioni oceaniche, cose che in passato hanno
fatto recedere governi ritenuti anche molto autoritari. Se non si agira'
con sufficiente tempismo non ci sara' piu' alcuno spazio per la politica ma
solo per il conflitto.

Affrontare il problema delle decisioni non richiede necessariamente di
arrivare a definire un modello comune di mondo ideale, che difficilmente
potrebbe essere condiviso da tutti, ma di cominciare a sperimentare alcuni
strumenti accettabili o almeno non inaccettabili per tutti riuscendo poi a
far diventare pratica comuni quelli che dimostrano di essere i piu' validi.

Per non limitarmi ad evidenziare un problema pretendendo di lasciare ad
altri la ricerca delle soluzioni, provo ad elencare alcune proposte che
penso potrebbero essere sperimentate ai diversi livelli, dalla micro alla
macro scala; potrebbero essere, per fare alcuni esempi, la diarchia (ad
ogni ruolo di responsabilita' politica vengono eletti un uomo e una donna),
la rotazione casuale (ad un ruolo viene eletto non solo una persona ma un
gruppo di persone che lo ricoprono alternandosi secondo una sequenza
casuale), l'azione diretta per gruppi di affinita' e il metodo del consenso
(vedi http://www.controg8.org/adn), la difesa civile non armata.

Molte altre ipotesi ancora, sia rappresentative che, in generale,
organizzative e che timidamente sono gia' sperimentate in tanti contesti,
possono venire dall'esperienza e dalla pratica dei tantissimi singoli e
gruppi che desiderano procedere alla ricerca di un mondo migliore.

Mi fermo qui per non tediare ulteriormente. Spero che altri raccolgano
questa riflessione in modo che possa essere messa all'ordine del giorno dei
futuri incontri, a partire da Firenze.



6. GIULIO VITTORANGELI: SI PUO' ESSERE FELICI?

[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo notiziario. Impegnato nei movimenti
della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarietˆ
internazionale, e' il responsabile dellâAssociazione Italia-Nicaragua di
Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio, ed ?
impegnato in alcuni progetti di solidarietˆ concreta. E' una delle figure
piu' belle della solidarieta' internazionale]

Si puo' essere felici in tempi di "guerra preventiva perpetua"; davanti a
questo principio aberrante che, una volta affermato, legittima ogni
avventura? Oggi in Iraq (non ci si chiede se questa guerra si debba fare,
ma su come si debba procedere per farla. E sembra certo che le resistenze
degli alleati europei e di quelli arabi - turbati dalla totale impunita'
del governo di Ariel Sharon - riusciranno soltanto a ritardare questa prima
guerra preventiva del XXI secolo), domani in Corea, dopodomani chissa';
colpire per primi un nemico potenziale non e' aggressione ma autodifesa. E'
la mentalita' e la tecnica dei pistoleri del west applicata su scala
mondiale. La stessa mentalita' che vuole l'impunita' dei soldati Usa;
inaudita pretesa di essere formalmente legittimati a commettere crimini
contro l'umanita'. "Da coloro che calcolano cosi' bene i costi e i ricavi
di ogni guerra, e come oscilleranno i prezzi del petrolio, e come si
chiamera' il prossimo dittatore iracheno esportato, vorrei sapere quale
sara' il prezzo di sangue che il damerino inglese ha gia' messo in conto,
quante saranno le vittime innocenti. E' disgustoso questo dettaglio, che le
vittime siano ormai un sottinteso irrilevante. Saranno meno dei morti di
fame e sete conteggiati a Johannesburgh ma saranno freschi e premeditati.
La mia generazione e' convinta di aver vissuto in un secolo tragico ma puo'
dirsi fortunata, il genocidio era in fondo ancora episodico e circoscritto
e non ancora duraturo e pianificato su scala planetaria" (Luigi Pintor).

Si puo' essere felici dopo l'11 settembre, con il mondo ridotto solo a due
categorie, diviso tra terrorismo e antiterrorismo? Non esistono piu' lotte
di liberazione o rivendicazioni democratiche e repressioni, violazioni dei
diritti umani. Sarebbe inumano azzerare le vittime dell'11 settembre con la
scusa che di vittime e massacri ne esistono tanti. Ma il governo degli
Stati Uniti ci chiede di azzerare tutti gli altri massacri in nome del
fatto che esiste l'11 settembre, chiedono al mondo di condividere il loro
dolore ma rifiutano di vedere quello degli altri.

Si puo' essere felici davanti al dramma della Palestina, fra gli attentati
dei kamikaze (in assoluta sintonia e collusione con i carri armati
d'Israele) e lo stillicidio quotidiano di vite palestinesi? Nell'indecente
silenzio del mondo davanti a questa tragedia, al martirio del popolo
palestinese, alla distruzione di qualsiasi futura prospettiva di pace. E'
chiara l'intenzione di Sharon di eliminare una volta per tutte Arafat e
l'Anp, stretti in un tragico assedio a Ramallah, di cui al momento non
conosciamo l'epilogo. Sembra che in seguito alle pressioni degli Stati
Uniti l'esercito israeliano ha sospeso la demolizione del quartiere
generale di Arafat e ha permesso che venissero consegnati dei viveri al
leader palestinese e agli uomini che sono con lui.

Si puo' essere felici davanti al dramma dell'immigrazione, ad iniziare dal
quotidiano stillicidio di morti negli sbarchi, come il recente naufragio di
Porto Empedocle? Vero degrado morale e civile che ci porta a dover
convivere con una legge razzista come la Bossi-Fini, espressione di un
governo che organizza ed alimenta la xenofobia di massa; ad accettare i
campi di concentramento frutto del governo di centro-sinistra con la legge
Turco-Napolitano; il tutto per negare il diritto di ogni essere umano a
fuggire la fame e la morte, a vivere nel mondo che e' di tutti perche' e'
l'unico che abbiamo.

Eppure crediamo che si puo' essere felici, per un libro, per una poesia,
per una canzone, per un film, per una mostra d'arte, per un dipinto
rinascimentale, per una passeggiata nel centro storico.

Si puo' essere felici per la nascita di una bambina; per un nuovo amore
(fatto di carezze e scherzi, abbracci e sorrisi e silenzi); per le amicizie
presenti e passate, perche' la vita ci fa fare tanti incontri che paiono
definitivi, ci fa sperimentare solidarieta' umane che sembrano senza fine,
e poi ci si disperde. Una felicita' ("che non ci costringa ad essere sempre
allegri e soddisfatti - e un po' stupidi - come una gallina che si e'
riempita il gozzo." Gianni Rodari), delle cose piccolissime, ma molto
importanti, come quella di portare il proprio bambino a scuola; comunque
sempre combinate con qualcosa di sensuale, di umano, di affettivo.

Eppure, in tempi come questi in cui e' cosi' facile cadere nel cinismo, non
credere a niente, rifiutare i sogni prima che abbiano la possibilita' di
mettere le ali, sentiamo che esiste una felicita' piu' profonda (legata
alla contagiosa euforia dei sogni collettivi), per la quale vale la pena
vivere. "Forse la felicita' sta nel fare le cose che possono arricchire la
vita di tutti gli uomini; nell'essere in armonia con coloro che vogliono e
fanno le cose giuste e necessarie. E allora la felicita' non e' semplice e
facile come una canzonetta: e' una lotta. Non la si impara dai libri, ma
dalla vita e non tutti vi riescono: quelli che non si stancano mai di
cercare, di lottare e di fare, vi riescono, e credono che possano essere
felici per tutta la vita" (dal Libro dei perche' di Gianni Rodari). Per
molti di noi, questa felicita' ha il colore della solidarieta'
internazionale, "tenerezza dei popoli"; perche' nonostante tutti gli errori
che facciamo ogni giorno dell'anno, abbiamo compreso che se non si ha la
saggezza di sperare nella nostra felicita', tantomeno si e' capaci di
cambiare il mondo; perche' non si puo' pensare di dare la felicita' se si
e' infelici. Occorre cercare nella felicita' l'ispirazione per stare al
mondo, non per negare l'immensa infelicita' del tempo presente, ma per
cambiare l'esistente.



7. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: DIPLOMAZIA DI VETRO

[Questo articolo di Giampaolo Calchi Novati e' apparso sul quotidiano "Il
manifesto" il 20 settembre 2002. Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935,
docente universitario, direttore dellâIpalmo, e' tra i massimi esperti
italiani delle questioni del sud del mondo. Opere di Giampaolo Calchi
Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); LâAfrica nera non ?
indipendente (1964); Le rivoluzioni nellâAfrica nera (1967); La rivoluzione
algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979), La decolonizzazione
(1983),  Dopo lâapartheid (a cura di, 1986); LâAfrica (1987), Nord/Sud
(1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno dâAfrica nella storia e nella
politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995)]

Prima ancora della formulazione della risoluzione-ultimatum che aveva in
mente il governo americano, Saddam ha "aperto" il giuoco. Soddisfazione,
speranza e diffidenza sparse come da copione. Tutte le ipotesi, e gli
scenari possibili, scontano un fattore che e' dirimente in se': lo
strapotere legale e illegale degli Stati Uniti. I due termini affiancati si
sorreggono a vicenda. Gli Stati Uniti inglobano nell'armamentario della
loro strategia l'Onu con l'aviazione e i missili, le pressioni economiche
su chi deve decidere, l'impiego delle ispezioni a scopi politici. Puo' ben
essere che di fronte a una disponibilita' massima di Baghdad l'opzione
militare venga dilazionata nel tempo, ma essa sara' sempre dentro il
giuoco, non a fianco del giuoco o l'"alternativa" alla guerra. Non e' un
confronto alla pari con nessuno, ne' con l'Iraq ne' con gli alleati ne' con
i semi-alleati. Per fermarsi al rapporto Usa-Iraq, il governo di Baghdad
puo' destreggiarsi fra trattativa e bluff mentre il governo americano
manovra insieme la trattativa e l'uso della forza (altra cosa dalla
deterrenza su cui si baso' il duopolio Usa-Urss). Non per niente anche in
questo interludio, le forze anglo-americane sono all'attacco con i voli sul
territorio iracheno, i raids contro i sistemi di difesa, la sobillazione
della famosa opposizione "democratica". Il paradosso e' che, a rigore, non
c'e' un contenzioso chiaro fra Stati uniti e Iraq. Delle sue violazioni
Saddam dovrebbe rispondere all'Onu, non agli Usa o ai soli Usa. Questo
rende ancora piu' evanescente il negoziato (gia' sperequato) e ne falsa di
conseguenza l'esito. Tutt'al piu' si puo' pensare che il gruppo dirigente
che circonda Bush junior voglia continuare, prendendosi una rivincita, la
guerra "incompiuta" del 1990-91. Ma anche allora, sempre formalmente e non
disquisendo qui sui margini pressoche' illimitati concessi a Bush senior,
gli Stati Uniti agivano su mandato dell'Onu. Inevitabilmente si torna
all'Onu. Forse la Casa Bianca ne e' consapevole: nel suo discorso al
palazzo di vetro il presidente ha dato l'impressione di rivolgere il suo
ultimatum piu' a Kofi Annan che a Saddam Hussein. Il presidente iracheno e'
un non-interlocutore (il Tiranno, il Male). E questo da' il colpo di grazia
all'intero processo della diplomazia. Lo stesso Kofi Annan e' sotto esame:
gli Stati Uniti emanano ordini e si aspettano che l'Onu li esegua, ci pensi
il segretario ad appianare le opposizioni degli stati membri. L'appello di
Bush all'Onu affinche' non si metta sulla strada dell'impotenza e
dell'inutilita' che fu percorsa dalle Societa' delle Nazioni e'
sbalorditivo: tutti erano e sono persuasi che l'Onu - almeno dal 1989 o
1990 - abbia perso gran parte della sua influenza e forse della sua ragion
d'essere proprio perche' totalmente asservita agli Stati Uniti e al volere
del mondo occidentale. Evidentemente Bush e il resto del mondo guardano due
film diversi.

Non si tratta solo di una caduta di stile. E' una questione di sostanza.
L'insieme delle relazioni internazionali e' caratterizzato da un divario
che e' in parte l'effetto della crisi e in parte la sua causa. Quello che
una volta si chiamava Terzo Mondo, Sud o periferia annoverava fra i suoi
strumenti l'azione dell'Onu. Non bastava a colmare il gap ma c'era comunque
un'istanza che fungeva da garanzia e che soprattutto separava la legalita'
e l'illegalita'. Tutto cio' non esiste piu'. Ma il fatto che Bush lo
evidenzi con tanta ostentazione non fa che accrescere le tensioni, e' esso
stesso un agente della crisi.

E' inutile ricordare che Bush, e neppure Clinton, ha mai intimato all'Onu,
al suo segretario generale o al Consiglio di sicurezza, di far rispettare
da Israele le centinaia di risoluzioni delle Nazioni Unite che i vari
governi israeliani hanno disatteso, ignorato e deriso: per un bel pacchetto
di altre eventuali risoluzioni, gli Stati Uniti hanno piu' semplicemente
messo sul tavolo il veto. E Israele non e' uno stato o una questione
qualunque. Le sue inadempienze - tacendo per brevita' delle sue violenze -
sono un motivo lampante della crisi in cui entrano direttamente o
indirettamente anche le iniziative azzardate o criminose di Saddam. I
governi mediorientali possono essere piu' o meno indifferenti alla sorte
dei palestinesi, ma le masse arabe sono infiammabili al tema, fosse pure
per esprimere rimostranze di altro tipo, e quegli stessi governi si trovano
in un disagio profondo dovendosi barcamenare fra la volonta' (necessita')
di compiacere gli Stati Uniti e la loro sopravvivenza. Gli Stati Uniti non
hanno mai preso atto veramente di quanto sia costato agli arabi lasciar
cadere il "rifiuto" nei confronti di Israele, avendone in cambio solo
l'emarginazione o un arruolamento a latere per altre guerre contro spezzoni
del mondo arabo o islamico. E' sempre Israele, non l'Egitto come Sadat e
Moubarak si erano illusi, il referente principale dell'America nel Medio
Oriente e se si deve accreditare una nazione musulmana come alleato e
destinatario di armi e capitali e' la Turchia la preferita. Supponendo che
alla fine o all'inizio di tutto Saddam proclami la sua "resa", il mondo - e
il Medio Oriente in particolare - non sarebbe per cio' piu' stabile o piu'
sicuro perche' sarebbe stato aggiunto un altro tassello alla frustrazione
di chi partecipa al sistema verificandone ad ogni occasione le
insufficienze e l'intima ingiustizia.

I realisti si spingono fino ad ammettere che per rimediare alla crisi -
quella crisi incombente e indefinibile che adesso si e' soliti sintetizzare
con i richiami al "terrorismo" e alla "difesa della liberta'" - c'e'
bisogno di piu' impegno per debellare la poverta' o far mostra di porre lo
sviluppo del Sud fra le priorita' dell'agenda internazionale. Ma per essere
piu' realisti dei realisti, si deve dire che la poverta' e' un "falso
problema". I poveri possono fornire manodopera per la violenza ma non hanno
rilevanza sul piano della politica e tanto meno della strategia. Piero
Ottone vorrebbe togliere loro anche il diritto di voto. I protagonisti
occulti della crisi sono le elites con le loro ambizioni e pretese ma anche
con le loro logiche (a cominciare dalla convenienza, a fini
autoconservativi, di non sfidare troppo clamorosamente le rispettive
opinioni pubbliche). E quanto piu' un'elite e' legata all'Occidente, tanto
piu' e' sensibile al rischio. In questo senso, lo sconquasso di una guerra
all'Iraq - se e quando gli Stati Uniti, come sciaguratamente sembra
probabile, colpiranno con o senza Onu - e' una minaccia molto piu' temibile
per l'Egitto che per Israele, che potra' esibire i suoi armamenti, magari
anche l'atomica, e vedra' rafforzato il suo ruolo. Se poi lo sconquasso
comportera' un disfacimento territoriale dell'Iraq, ad allarmarsi sarebbero
in molti, compresa la Turchia, ma non solo la Turchia, perche' tutti gli
assetti della regione fissati dopo la prima guerra mondiale sarebbero in
discussione.

Confusamente, anche Saddam, come per altri versi l'islamismo radicale o il
terrorismo (che non hanno connessioni particolari con Saddam), e' uno dei
sottoprodotti della mancata offerta alle elites del mondo emergente di un
posto appena decente nella gestione delle risorse e nei benefici
dell'internazionalizzazione. L'economia di rendita (in questo caso dal
petrolio) ha leggi strettissime. Saddam le ha tentate tutte per affermarsi
forzandole. Si puo' essere "razionali" anche sulle rive del Tigri. Di tutti
gli stati arabi del Medio Oriente, l'Iraq - paese di deserto (la devozione
islamica, il petrolio) e di terre fertili (l'agricoltura, le citta', le
riforme e la modernita') - ne avrebbe i mezzi. L'Iraq e l'Iran sono i veri
pilastri del sistema mediorientale. Per accumulare visibilita' e meriti,
Saddam scese persino in guerra contro l'Iran galvanizzato dalla rivoluzione
di Khomeini (guerra che l'Occidente gli rinfaccia iscrivendola nel suo
"libro nero" ma che gli fu sollecitata e facilitata in vari modi dallo
stesso Occidente). Se l'Iran e' "perso" - uno dei grandi smacchi della
politica americana negli anni del bipolarismo maturo cosi' come lo fu,
fatte le debite proporzioni, la "perdita" della Cina agli esordi della
guerra fredda - l'Iraq diventa insostituibile. L'inedita aggressivita' di
Bush e del suo entourage di falchi composto da fondamentalisti e petrolieri
deriva dalla pretesa, grazie alla scomparsa del contro-potere rappresentato
dall'Urss, di disfarsi di tutti gli intermediari demolendo gli oppositori e
procedendo al controllo diretto del petrolio e delle vie del petrolio dal
Caucaso al Mediterraneo. Per il resto e' storia vecchia. Dopo l'11
settembre il mondo non sara' piu' quello di prima? Ma se siamo ancora alla
pace di Sevres, agli accordi della "linea rossa" per spartirsi il petrolio
del Golfo e all'investitura di qualche principe hashemita disoccupato per
il "trono" di Baghdad?



8. MATERIALI. CHARLES C. WALKER: MANUALE PER L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA
(PARTE QUARTA ED ULTIMA)

[Pubblichiamo di seguito la quarta e ultima parte (le precedenti abbiamo
pubblicato negli ultimi tre numeri del notiziario) di questo vecchio ma
sempre utile manuale, riprendendolo dall'edizione italiana rivista e
integrata a cura del Movimento Nonviolento: Charles C. Walker, Manuale per
l'azione diretta nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia
1982. L'opuscolo integrale (noi qui presentiamo solo  la parte del manuale
di Walker  vero e proprio, l'opuscolo presenta anche altri materiali) puo'
essere richiesto al Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito:
www.nonviolenti.org]

* Sezione XIII. Assicurare la vitalita' del movimento



A. Elaborare nuovi simboli

1. Azioni eroiche e quelli che le hanno compiute.

2. Le vittime delle rappresaglie.

3. Quelli che sono in prigione.

4. Anniversari di avvenimenti rimarcabili.

5. Distintivi, adesivi, insegne, vestiti, bracciali, ecc.



B. Perseguire costantemente gli sforzi di persuasione

1. Fare in modo che il pubblico non perda di vista i principali obiettivi.

2. Ricercare l'appoggio di persone non ancora impegnate o indecise.

3. Sforzarsi soprattutto di persuadere l'avversario: per esempio, fare
appello a quelli che si sono abbandonati alla violenza affinche' non
partecipino piu' a tali indegnita' e aderiscano al movimento.

4. Tenere regolarmente al corrente gli aderenti, in particolare sui
progressi realizzati, le iniziative di sostegno, il contributo dato dal
partecipanti.

5. Sforzarsi di estendere la cerchia dei partecipanti e dei simpatizzanti.



C. Incoraggiare ed organizzare delle azioni di sostegno

1. Dichiarazioni di personalita' eminenti.

2. Risoluzioni di gruppi simpatizzanti.

3. Manifestazioni o raduni di sostegno.

4. Lettere e visite alle autorita'.

5. Gruppi di mutua assistenza.



D. Saper conservare l'iniziativa

1. Rispondere in maniera costruttiva alle calunnie e alle rappresaglie.

2. Quando la situazione sembra non aver via d'uscita, sperimentare un nuovo
modo di affrontarla.

3. Elaborare nuove proposte e offerte per un negoziato.



E. Trattare i dissenzienti con pazienza e lealta'

1. Non impiegare mezzi antidemocratici nel caso di obiezioni ai dirigenti,
alla disciplina o agli obiettivi da raggiungere.

2. Di fronte a lagnanze o proteste, anche se di partecipanti di carattere
problematico, riconoscere in esse i sintomi di uno stato di cose non
soddisfacente. Non tenere unicamente conto dei "fatti" che motivano la
lamentela, ma anche dei sentimenti che essa riflette.

3. Smascherare gli agenti provocatori senza, tuttavia, abbandonarsi alla
collera o alla ritorsione. Sforzarsi piuttosto di guadagnarli alla buona
causa (se non pure di riguadagnarli: sono infatti spesso dei vecchi
aderenti di cui sa servirsi la parte avversa).

4. Sforzarsi di affrontare ogni situazione imprevista senza che il pubblico
vi trovi a ridire. Tentando personalmente e con calma di risolvere le
difficolta' insorte, sara' piu' facile per i dissidenti cambiare le loro
opinioni e atteggiamenti, e saranno risparmiate al movimento molte
contrarieta'.

5. Una nota speciale circa i rapporti con forze opportuniste. Se delle
persone conosciute o sospettate di appartenere a tali forze si uniscono al
movimento, a nome personale e in numero ristretto, e' dovere dei dirigenti
assicurarsi che lo fanno non strumentalmente, ma per motivi e fini
lodevoli; in certi casi, si puo' loro richiedere di desistere. Nessuna di
quelle persone dovra' comunque introdursi nei quadri dell'organizzazione.
Di contro, opporsi immediatamente, in maniera decisa e democratica, a
qualsiasi tentativo di sovvertire o far deviare il gruppo dal suoi
obiettivi principali o dal suo impegno alla nonviolenza.



F. Proseguire senza sosta l'addestramento, l'educazione e l'istruzione
degli aderenti

1. Tutti hanno bisogno di rafforzare i propri ideali fondamentali, il loro
senso dei valori.

2. Sono sempre necessari nuovi dirigenti, sia nel corso normale degli
eventi, sia specialmente quando un gruppo in carica sia stato arrestato o
colpito o isolato.

3. Incoraggiare lo studio e la discussione tanto della teoria quanto della
pratica della nonviolenza.

4. Da notare questa osservazione di un esperto militare: "E' necessario
ammettere per principio che l'addestramento prosegue sul campo di battaglia
fino al termine delle ostilita', senza tregua, anche per i migliori
soldati".



G. Impiegare il maggior numero possibile di volontari

1. Malgrado la sua difficolta' e complessita', questa raccomandazione e' da
seguire al fine di:

a) ripartire giudiziosamente il carico di lavoro;

b) intensificare l'unita' e il morale del movimento;

c) scoprire e valorizzare nuovi dirigenti;

d) evitare, con un piu' esteso controllo e partecipazione, che il potere di
agire possa concentrarsi nelle mani di una elite;

e) aprire la strada a una partecipazione democratica al nuovo ordine
sociale che il movimento cerca di realizzare.

2. Dare al volontari l'opportunita' di assumere responsabilita', decisioni
e iniziative significative; non dovrebbero essere confinati soltanto a
lavori abitudinari.

3. Un movimento i cui partecipanti sono profondamente, regolarmente e
individualmente coinvolti nel loro compiti e' il miglior antidoto a molti
mali, quali ad es.:

a) accuse di manipolazione di pochi dirigenti avidi di potere;

b) sentimenti di vanagloria in dirigenti eminenti;

c) agenti provocatori;

d) esagerate tendenze burocratiche;

e) disfattismo in tempi difficili.



H. Il morale dei partecipanti

1. Il morale non e' un fattore distinto e autonomo al di fuori delle
considerazioni di questa sezione, esso rappresenta la risposta d'insieme
dei partecipanti; e' il pensiero e il sentimento del gruppo.

2. Il morale sara' elevato se l'esperienza dei partecipanti da' loro la
possibilita' di vivere creativamente, di superare le prove, e di operare
lealmente con i propri compagni votati anch'essi a valori e a fini comuni.

3. "La vera disciplina e' il prodotto del morale".

4. I partecipanti non devono pensare ne' credere di essere delle ruote di
una macchina o dei nomi registrati in uno schedario, ma, al contrario, di
far parte d'un gruppo che si interessa veramente di loro come esseri umani
e del loro bene.

5. Il morale non diverra' necessariamente piu' alto per il semplice impegno
verbale a servire una causa o un gruppo, o per la dichiarata determinazione
a "fare la propria parte di lavoro", oppure per la probabilita' di riuscita
di questa o quell'azione; esso sara' piuttosto fondato sulle concrete
attivita' della vita quotidiana.



I. Il gruppo deve, in numerose e svariate maniere, dare l'esempio della
nonviolenza come marchio del suo carattere, come distintivo della sua
meritevolezza; nonviolenza che e' "incremento continuo del rapporto con
tutti", "apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di ogni
essere".



* Sezione XIV. I dirigenti



A. Le qualita' necessarie sono quelle generalmente richieste per dirigere
con successo iniziative di gruppo. Per quanto riguarda le azioni
nonviolente, vi e' tuttavia una importante differenza: la struttura o la
tradizione autoritarie non vi hanno posto alcuno.



B. Gia' prima dell'azione, occorre che i dirigenti facciano tra loro
l'esperienza del lavoro di gruppo e, se possibile, anche durante il periodo
preliminare di addestramento.



C. Il coordinatore non deve ritenersi "al di sopra" di tutta l'operazione,
ma come uno cui compete una funzione significativa: il coordinamento. Gli
altri lo considereranno, nell'esercizio della sua funzione, "primo tra
uguali".



D. Le decisioni, per risultare efficaci, devono essere basate su
informazioni accurate, molte delle quali saranno apportate proprio dai
dirigenti. Le relazioni devono essere precise e presentare la nuda verita',
distinguendo tra il fatto e il giudizio di chi lo riferisce. Gli effetti
cumulativi di informazioni inesatte costituiscono un sostanziale ostacolo
all'esecuzione efficace di un piano d'azione.



E. Il ruolo di dirigente esige, soprattutto, che sappia riflettere con
chiarezza allorche' avvenimenti o possibilita' impreviste lo investano
all'improvviso.



F. Prima dell'inizio dell'azione, i dirigenti superiori devono vigilare
affinche' ci sia equilibrio fra l'elaborazione del piano d'azione e la
messa a punto delle diverse attivita' interne al gruppo. Ad azione avviata,
essi devono poter contare sui loro collaboratori gia' designati per
l'assolvimento di compiti specifici, e concentrare il proprio pensiero ed
energie sull'"orizzonte" dell'azione.



G. La migliore qualita' di un buon dirigente e' l'amalgama tra una
dedizione integra e ferma, e una capacita' di flessibilita' tattica e di
salvaguardia dei sentimenti umani.  Si e' presto e pienamente leali con
tali dirigenti.



* Sezione XV. Quando la lotta si prolunga



A. Secondo Gandhi una campagna nonviolenta provoca cinque reazioni tipiche:
l'indifferenza, il ridicolo, l'insulto, la repressione, il rispetto. Il
raggiungimento di quest'ultimo stadio puo' richiedere un'azione prolungata
o parecchie campagne.



B. Un programma costruttivo acquista grande significato quando il conflitto
si protrae. La resistenza prolungata puo' indebolire l'avversario, ma non
si tratta di vincerlo bensi' di convertirlo, di realizzare la giustizia e
la riconciliazione. L'effetto congiunto di una sostenuta ed eroica
resistenza attraverso la nonviolenza e i risultati positivi ottenuti
mediante il suo lavoro e servizio costruttivi, possono provocare l'adesione
dei non impegnati (la cui influenza puo' essere decisiva).



C. Puo' esservi diversita' di vedute sul fatto di allargare gli obiettivi
dell'azione o del movimento, o invece di concentrarsi su un obiettivo
dominante. Le due strategie hanno ognuna il proprio merito. Di solito non
si decide, al riguardo, sollecitati automaticamente da una questione di
principio, ma basandosi sul proprio giudizio o sul "senso della situazione".



D. Cio' a cui si tende non e' ne' la vittoria in se' ne' la disfatta
dell'avversario nel senso angustamente personale o organizzativo, ma una
trasformazione dei rapporti tra le parti interessate: cio' all'interno di
una certa struttura sociale, ovvero tra gli individui e i gruppi che
agiscono in essa, o ancora in un nuovo ordine sociale. La vittoria sara'
quella della giustizia e della dignita' umana. Questa trasformazione nei
rapporti deve, dall'inizio alla fine, restare il momento centrale, la
ragion d'essere dell'intera iniziativa, conformandovi l'atteggiamento sia
interno sia esterno del gruppo dell'azione.



E. Una lotta prolungata puo' essere necessaria, poiche' antichi torti non
sono rapidamente riparabili, ne' gli sfruttatori rinunciano facilmente al
profitto dei loro sfruttamento. Allora si accentua il bisogno di
organizzazione; ma l'organizzazione tende a perpetuare se' stessa e, di
conseguenza, a perpetuare la spaccatura tra i gruppi contendenti. Gli
aderenti alla nonviolenza devono sforzarsi di trascendere i confini della
lotta in atto, e di portare a stabilire rapporti costruttivi tra le parti
interessate.



F. "La forza della verita' e' una forza ben piu' grande delle armi o delle
prigioni, piu' stimolante della gloria o della paura, del successo o del
denaro, piu' persuasiva di ognuna delle idee con le quali gli uomini
cercano di allargare il proprio "ego" e di darsi un'importanza indebita
nelle manifestazioni esterne della loro vita, Essa trionfa
sull'oppressione, dissolve la paura, scuote il cuore del potente,
rinvigorisce i muscoli del debole".

(Fine. Le tre parti precedenti abbiamo pubblicato nei numeri 362, 363, 364)



9. RILETTURE. ELEONORA MISSANA: L'ETICA NEL PENSIERO CONTEMPORANEO

Eleonora Missana, L'etica nel pensiero contemporaneo, Paravia, Torino 2000,
pp. 212, lire 19.000. Una utile introduzione, con un'ampia antologia.



10. RILETTURE. FRANCOISE SIRONI: PERSECUTORI E VITTIME

Fran?oise Sironi, Persecutori e vittime, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 212,
euro 23,24. Un'analisi delle strategie e degli effetti della violenza
(dalla tortura alla guerra); l'autrice e' docente universitaria di
psicologia clinica e psicopatologia, ha fondato a Parigi il "Centro Primo
Levi" specializzato nell'assistenza alle vittime di tortura e violenza
collettiva.



11. RILETTURE: ELENA SOETJE: LA RESPONSABILITA' DELLA VITA. INTRODUZIONE
ALLA BIOETICA

Elena Soetje, La responsabilita' della vita.Introduzione alla bioetica,
Paravia, Torino 1997, pp. 138, lire 13.500. Un'agile introduzione,
un'antologia dei principali autori organizzata per temi, una ragionata
bibliografia orientativa. Utile.



12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



13. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org
; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it
; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it



Numero 365 del 25 settembre 2002