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Leyla Zana ancora detenuta in Turchia: un anno dopo cosa è cambiato?
- Subject: Leyla Zana ancora detenuta in Turchia: un anno dopo cosa è cambiato?
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Thu, 18 Jul 2002 18:14:57 +0200
Carissimi tutti e tutte, ricorre il primo anniversario della sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo che condanna la Turchia per i casi di detenzione di Leyla Zana e degli altri parlamentari kurdi in carcere. Dopo un anno la situazione non ha avuto nessun esito positivo, anzi, per certi aspetti, è peggiorata. Silvana Barbieri ha preparato l'articolo che segue, il quale fa un quadro della situazione assai preciso e illustra anche il punto della campagna di lotta. Vi invitiamo a leggerlo con attenzione. Il 17 luglio 2001 la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha emesso all'unanimità - quindi con il voto anche del giudice turco - una sentenza di condanna della Turchia per il processo a carico di Leyla Zana e degli altri parlamentari kurdi in carcere con lei da quasi otto anni. La sentenza della Corte contesta la legittimità di questo processo sotto ogni profilo e chiede alla Turchia o la sua revisione immediata o la scarcerazione dei deputati kurdi. Leyla Zana, lo ricordiamo, è stata la prima e anche l'ultima donna kurda eletta al Parlamento turco, ed è in carcere in Turchia, come è per migliaia di kurdi, per aver parlato in kurdo e chiesto il riconoscimento della sua lingua e del suo popolo, cioè della lingua e dei diritti culturali di 20 milioni di persone. Dopo la sentenza del 17 luglio abbiamo tirato un sospiro di sollievo, per un momento abbiamo pensato: "ora il governo turco dovrà liberarli e dovrà affrontare in modo diverso la realtà kurda"; e non siamo stati i soli in questo: anche il marito di Leyla, i suoi avvocati, il partito kurdo Hadep, i democratici turchi. Abbiamo sperato che la Turchia cogliesse questa sentenza per iniziare le riforme che l'Unione Europea da tempo chiede. Ci siamo sbagliati. Ancora una volta abbiamo sottovalutato l'arroganza e il fascismo sostanziale del governo turco. Ci siamo dimenticati che è dal 1987 che la Turchia viene condannata dalla Corte di Strasburgo, alla quale 5.000 persone si sono rivolte, che 157 volte è stata condannata e solo 9 assolta, mentre in 400 casi è stato raggiunto un patteggiamento, e che per gli indennizzi essa ha dovuto pagare 11 milioni di dollari. Nei primi sei mesi di quest'anno il Consiglio d'Europa è intervenuto due volte per sollecitare il governo turco ad applicare la sentenza della Corte di Strasburgo. Quest'ultima inoltre nello stesso periodo ha emesso altre due importanti sentenze: la prima di condanna della Turchia per la messa al bando nel luglio del 1993 del partito kurdo Hep (predecessore del Dep di Leyla Zana e dell'attuale Hadep), in quanto l'Hep "non usava violenza né attentava all'integrità del paese". Sicché la Corte ha condannato la Turchia a pagare ai ricorrenti una multa di 40.000 euro. La seconda e significativa condanna della Corte stabilisce che la Turchia "ha violato il diritto di libere elezioni nel caso della rielezione della parlamentare kurda Leyla Zana e di altri deputati del passato partito Dep, dissolto dalla Corte Costituzionale turca il 16 giugno 1994", avendo infatti violato "la vera essenza del diritto a presentarsi come candidati e avere uffici parlamentari, e ha infranto la discrezionalità dell'elettorato che ha eletto i candidati". Ricordiamo che il partito Dep, fondato nel 1993, sosteneva i diritti politici e culturali dei kurdi. I suoi parlamentari, tutti provenienti dalla regione kurda, prestarono giuramento in Parlamento in lingua kurda, e così alcuni furono arrestati appena usciti dal Parlamento, mentre altri riuscirono a fuggire in Europa. Nello stesso giorno venne dissolto il partito Dep. Il caso dei membri kurdi del Parlamento turco è d'altronde solo l'ultimo di una lunga serie di censure della Turchia da parte della Corte di Strasburgo per aver dissolto partiti politici. Al tempo stesso questo caso è unico, in quanto per la prima volta la Corte ha dichiarato che la Turchia ha violato il diritto di libere elezioni (secondo l'art. 3 del protocollo 1 ) della Convenzione europea dei diritti umani: mentre in precedenza i casi si focalizzavano sul diritto dei partiti stessi di esistere, la sentenza in questo caso si incentra sia sul diritto dell'elettorato di scegliere i propri rappresentanti sia sul diritto individuale di candidarsi al Parlamento. Anche il Parlamento Europeo nella sua seduta del 13 dicembre 2001 ha votato all'unanimità una durissima risoluzione di condanna per il prolungarsi della detenzione di Leyla Zana e dei suoi colleghi. Sul versante interno della Turchia la situazione rimane sempre pesante. Il governo turco, per cercare di andare incontro alle richieste dell'Unione Europea, ha proceduto a modifiche costituzionali (l'attuale Costituzione, lo ricordiamo, è stata varata nel 1982 da un regime militare, e contiene infinite limitazioni nei diritti e nelle libertà democratiche). Il Parlamento turco nell'ottobre 2001 ha quindi adottato emendamenti a 34 articoli della Costituzione. A seguito di questi emendamenti costituzionali è stato ridotto a 24 o 48 ore, a secondo del tipo di reato, il periodo di detenzione preventiva, che è poi la fase in cui si verifica la maggioranza dei casi di tortura, e che arrivava a ben 10 giorni nelle zone kurde, sottoposte a regime militare. Un altro emendamento riguarda l'abolizione della pena di morte per i reati comuni: va però detto che nel codice penale turco solo uno dei 13 articoli che comportano la pena di morte si riferisce a reati comuni, gli altri 12 si riferiscono a "reati contro lo stato", e quello qui più usato è l'art. 125 per gli atti di "separatismo". L'introduzione poi del diritto ad un giusto processo e la sospensione della messa al bando per le espressioni e le pubblicazioni in kurdo fanno parte esse pure degli emendamenti alla Costituzione. Tuttavia tutto ciò è quasi solo sulla carta. Dato che l'abolizione del divieto di potersi esprimere in kurdo ha portato migliaia di studenti a richiederne l'insegnamento nelle scuole e nelle università, la risposta violenta dello stato non si è fatta attendere: migliaia di studenti sono stati perciò fermati e anche arrestati, e dalla sola Università Mustafa Kemal sono stati 325 gli studenti espulsi, con l'accusa di aver posto "richieste fuorvianti dettate da organizzazioni terroristiche come il PKK che abbandonando la lotta armata ha adottato una strategia tesa a mettere in difficoltà la Turchia". Si è arrivati inoltre al ridicolo di una circolare del Ministero dell'Interno a tutti i governatori, secondo la quale essi dovranno costituire commissioni con i direttori provinciali per le politiche educative per studiare il senso dei nomi kurdi onde poter impedire che le famiglie kurde diano ai propri figli nomi legati alla propria cultura. Queste commissioni dovranno anche controllare che questi nomi non si pongano in violazione con la norma che prevede l'indivisibilità dello stato. Dopo questa circolare il governatorato di Antalya ha messo sotto processo 23 genitori di bambini kurdi con l'accusa di aver dato nomi kurdi ai propri figli. Inoltre la repressione continua su ogni versante, e per dirla con Amnesty International la tortura continua a essere una pratica incessante in Turchia. Essa viene praticata principalmente durante la detenzione di polizia, prima cioè che i detenuti siano portati davanti al giudice. Amnesty International riferisce anche di episodi di persone ricondotte sotto la custodia della polizia per quattro e più giorni dopo essere state viste dal giudice e da esso condannati e quindi mandati in prigione oppure assolti e quindi lasciati liberi. Riportate nei commissariati di polizia queste persone sono state torturate fino ad estorcere loro delle confessioni di comodo. In occasione della giornata mondiale contro la tortura un cartello di numerose associazioni per la difesa dei diritti umani e per la prevenzione della tortura ha perciò presentato un documento dove si ricorda che la Turchia è uno di quei paesi nei quali le persone muoiono ancora oggi a causa delle violenze subite nelle carceri. Oggi la tortura è impedita dalla nuova legge di modifica costituzionale, ma l'associazione per i diritti umani Hid denuncia che nei primi mesi dell'anno 2002, 95 persone si sono rivolte ad essa per aver subito torture, e che questi casi non vengono studiati dalla polizia né alcun referto sulle condizioni di chi è stato torturato viene stilato dai medici. Va infine aggiunto che alla Turchia tutto questo è pure consentito dall'atteggiamento contraddittorio dell'Unione Europea e degli stati membri. Da un lato, infatti, vengono da essi poste alla Turchia richieste di democratizzazione perché possa davvero accedere all'Unione Europea; ma dall'altro si chiudono tutti e due gli occhi su ciò che realmente accade tutti i giorni in Turchia, dietro alla facciata delle riforme. Dominano cioè l'Unione Europea considerazioni politicanti e affariste. D'altronde in Italia lo si vide benissimo già quando Ocalan, presidente del PKK, ci chiese asilo e fu cacciato via. E si vede oggi nel fatto che, paradossalmente, il PKK, che da tre anni ha cessato ogni attività militare e recentemente si è pure sciolto, aprendo la strada a un nuovo partito kurdo di orientamento pacifista e che rivendica i diritti dei kurdi accettando al tempo stesso gli attuali confini della Turchia, è stato inserito nei mesi scorsi dall'Unione Europea nell'elenco delle organizzazioni "terroriste" da controllare e da reprimere! Nel messaggio che Leyla Zana inviò al Congresso della Federazione Internazionale delle Donne Democratiche nel 1998 a Parigi si diceva che la guerra civile tra PKK e lo stato turco era "una situazione che colpisce profondamente entrambi i popoli". Ma, aggiungeva Leyla Zana, "io credo che sia la donna kurda colei che soffre più intimamente e dolorosamente le ripercussioni devastanti di questa guerra. Perché a differenza delle donne turche a noi kurde è negata la nostra stessa identità culturale, e a questo si aggiunge la violenza fisica che viola in modo tremendo l'integrità dei nostri corpi". Ma è ancora di questi mesi, purtroppo, la brutale campagna contro l'avvocatessa Eren Keskin militante dell'associazione per i diritti umani Hid, impegnata nella lotta contro le violenze sessuali sulle donne da parte delle forze di sicurezza dello stato. Eren Keskin, durante un soggiorno in Germania effettuato per raccogliere fondi destinati a dare assistenza legale alle donne che hanno subito abusi sessuali da parte delle forze di sicurezza dello stato turco, ha descritto pubblicamente una serie di casi di violenza: terribile è stata la reazione contro di lei da parte di giornali e radio turche. "Se io non stuprassi Eren Keskin la prossima volta che la vedo, non sarei un uomo", ha detto un commentatore di "Radio D"; il giornale "Ikinci", a sua volta, ha scritto che "quando Eren Keskin ritorna, sarà lei a buscarsi la sua violenza sessuale"; "c'è solo una parola per questo: tradimento", ha scritto infine il quotidiano di massa "Hurriyet". Così il Comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa in un suo comunicato del 24 aprile chiede alla Turchia "una maggiore attività per cancellare, definitivamente, le pratiche violente che ancora si registrano nelle prigioni turche". Gli esperti recatisi in Turchia a settembre hanno definito, è vero, la situazione in "graduale miglioramento": però esso è pure ritenuto assai insufficiente. "Pratiche, quali applicazione di elettrodi, e altre simili, sono meno frequenti che in passato, ma le violenze sono ancora numerose anche se non è stato possibile registrarle tutte", afferma infatti il Comitato. A Van, inoltre, esso ha denunciato che la stanza degli interrogatori della sezione femminile della prigione è un tunnel nero, stretto e completamente insonorizzato: ovvero che "tali strutture sono assolutamente inconcepibili per un moderno servizio di polizia". I locali, poi, sono infestati da insetti di diverso tipo e, secondo sempre il Comitato, un interrogatorio in questo luogo già di per sé è da considerarsi una forma di tortura psicologica. Il Comitato ha anche registrato le denunce delle prigioniere che, durante gli interrogatori, sono bendate per impedire loro di riconoscere i torturatori. Il Comitato ha, infine, denunciato il fatto che in Turchia le madri imprigionate coi loro bambini sono costrette a vivere in condizioni terribili, in stanze piccolissime, senza alcuna forma d'igiene o di assistenza. E se queste sono le pratiche illegali che vengono adottate nei fermi di polizia o nelle carceri, ha solo pochi giorni la nuova legge che vieta ai dirigenti scolastici di verificare la verginità delle studentesse, come riporta "The International Tribune" del 20 giugno 2002. "Una nuova legge approvata in primavera non consente più ai dirigenti scolastici turchi di verificare la verginità delle studentesse. Negli ultimi anni la Turchia ha fatto dei passi avanti verso la parità tra uomo e donna, ma la situazione attuale mostra quanto lungo sia ancora il percorso da compiere. La questione della castità delle studentesse venne alla ribalta lo scorso anno, quando il Ministro della salute annunciò che le studentesse dei corsi per educatrici, se riconosciute sessualmente attive, avrebbero dovute essere espulse. In molte regioni del paese, specialmente nell'est e nel sud-est, persiste ancora una certa percentuale di poligamia, di matrimoni a seguito di rapimenti e di uccisioni di donne sospettate di aver avuto rapporti da nubili. La battaglia per la parità è condotta soprattutto da gruppi di donne che si scontrano con l'inerzia dello stato, che non si rende protagonista di un'efficace azione nei confronti dei governi locali. Quello che ancora manca è un vero e proprio programma di alfabetizzazione femminile, che potrebbe aiutare la lotta per l'emancipazione più che mille leggi parziali". E per concludere alcuni cenni sulla situazione politica in Turchia in questo momento. La grave crisi economica che colpisce la Turchia, e che ha ridotto il paese alla fame (il 40% del Pil va nella spesa militare) l'aveva messa tra i paesi ai quali il Fondo Monetario Internazionale era intenzionato a chiudere qualsiasi tipo di sostegno. Cosa che si è verificata per l'Argentina, mentre il traballante potere turco ha potuto salvarsi, per i tamponamenti che il Fondo Monetario gli ha portato, su richiesta degli Stati Uniti, in quanto la Turchia è l'alleato oggi più importante in seno alla Nato. Ma la crisi politica ed economica della Turchia è di una tale gravità che nemmeno i dollari che ogni giorno vengono pompati in essa riescono a fermarla. Così è di questi giorni la scissione del partito del capo del governo Ecevit, da parte della fazione più prossima all'Unione Europea, per estromettere Ecevit e i Lupi Grigi dal governo. Infine, tornando alla carcerazione di Leyla Zana, anche noi non siamo stati fermi in questi primi sei mesi dell'anno. Abbiamo lavorato per formare una delegazione parlamentare rappresentativa sia dell'opposizione che della maggioranza di governo, come ci aveva chiesto l'avvocato di Leyla Zana nello scorso novembre. Essa avrebbe dovuto incontrare rappresentanti del Parlamento e del Governo turchi. Per ben due volte siamo stati sul punto di partire, e per ben due volte abbiamo incontrato difficoltà che non siamo riusciti a superare. Nel frattempo però ci siamo pure mossi nelle istituzioni periferiche: e decine di consigli comunali, provinciali e regionali hanno votato mozioni, in genere all'unanimità, per la scarcerazione di Leyla Zana e dei suoi colleghi in carcere. Questo risultato lo dobbiamo prevalentemente alle compagne e ai compagni di Rifondazione Comunista, ma anche a molti dei Ds e indipendenti, che si sono impegnati a proporre le mozioni e a farle passare. A tutti loro va il nostro ringraziamento. Ma facciamo ancora un appello a quelle situazioni in cui la mozione è rimasta in sospeso affinché venga approvata al più presto e anche a quelle situazioni dove è stata approvata, ma non ci è pervenuta. Ricordiamo che le mozioni si possono inviare a Silvana Barbieri Vinci, Via R. Sanzio, 21 - 20149 Milano, oppure per fax a 02-4980071, oppure per e-mail a silbarbieri at virgilio.it Pensiamo infine di arrivare ad una iniziativa in autunno che coinvolga i consigli comunali, provinciali e regionali dove le mozioni sono state votate.
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