"Carlo Giuliani", un film deviato da un sasso



"Carlo Giuliani, un film deviato da un sasso"
       di Alberto Crespi

Auguriamo un immenso successo a tutti i film che escono oggi in Italia, ma
potendo scegliere, vorremmo che ci fosse un tutto esaurito al cinema
America di Genova, a tutti gli spettacoli: è lì che esce una delle 7 copie
di "Carlo Giuliani, ragazzo", il documentario di Francesca Comencini
distribuito dalla Mikado.

Per la cronaca, le altre 6 sono visibili nelle seguenti sale: l' Anteo di
Milano, il Tibur di Roma, l'Astra di Padova, il Modernissimo di Napoli,
l'Empire di Torino e l'Azzurro di Ancona. Tra una settimana il film
arriverà sicuramente anche a Firenze e a Bologna, in sale ancora da
definire. Non ci sono discussioni: Carlo Giuliani, ragazzo è il film
italiano più importante della stagione, proprio perché non è «solo» un film.

Innanzi tutto, è un documento decisivo anche riguardo alle recenti
polemiche sulla morte di Giuliani: basta guardarlo con occhi aperti per
rendersi conto di quanto siano ridicole tutte le «perizie» e le illazioni
che parlano di pallottole deviate e rimbalzate qua e là (certo le
pallottole sono strane: anche quella che uccise Kennedy fece un percorso a
zig-zag davvero bizzarro).

Ieri la società di produzione Luna Rossa Cinematografica ha risposto in
modo netto a quanti hanno parlato, per quanto concerne i materiali sul G8
girati dai registi della fondazione "Cinema del Presente", di filmati
«bonificati», ovvero manipolati; la società di Mauro Berardi ha ribadito
«il significativo contributo da noi dato all'accertamento di realtà troppo
spesso inquinate da notizie infondate e a senso unico». Francesca
Comencini, raggiunta telefonicamente, ci ha detto di non voler aggiungere
nulla a questa presa di posizione, di per sé limpida: i cineasti del
gruppo, almeno in sede legale, parlano collettivamente. Ci pare una
posizione giusta. Questo è un lavoro di gruppo nel quale non esistono star.
Al tempo stesso, va detto che "Carlo Giuliani, ragazzo" è un'opera
fondamentale (e bellissima) proprio perché si allontana dal grande mosaico
del G8 descritto da tutti i registi per isolarne una tessera, anzi: «la»
tessera, quella fondamentale.

Francesca Comencini e Luca Bigazzi, qui direttore della fotografia, hanno
conosciuto la mamma di Carlo Giuliani, Haidi, a Porto Alegre e hanno deciso
che bisognava darle la parola. Per due motivi, che risaltano fortemente nel
film. Il primo: Haidi Giuliani, dopo la morte di Carlo, ha avviato un
lavoro paziente, infinito, quasi ossessivo - ma è una madre che ha perso il
figlio, ha tutto il diritto di essere «ossessionata» - di ricostruzione
della giornata, del percorso del ragazzo all'interno del corteo genovese
fino al momento in cui viene assassinato. Il secondo: era giusto che su
Carlo si dicessero alcune verità, e che fossero i parenti e gli amici, la
mamma in primis, a dirle. «Si è detto che Carlo fosse un punkabestia, un
disadattato - dice Haidi -; non lo era, ma anche fosse? È un motivo
sufficiente per ammazzare la gente?». Così, per dare a Carlo quel che era
di Carlo, Francesca Comencini ha inserito nel film una serie di poesie
scritte dal ragazzo, in italiano e in latino (queste ultime, tradotte da
Erri De Luca), per comporre di lui un ritratto complesso e variegato; per
ribadire che era un ragazzo dolce, volitivo, intelligente, come confermano
tutti gli amici che ne parlano con struggente nostalgia in una
post-fazione, di circa 15 minuti, che si è aggiunta alla copia del film
mostrata a Cannes (ora il film è lungo 75 minuti, una durata da
lungometraggio vero).

Questa nuova struttura del film, più personale (ma non per questo meno
politica), giustifica maggiormente il titolo che per altro è una citazione
ben precisa: "Carlo Giuliani, ragazzo" è la scritta che da quel giorno mani
ignote hanno scritto sulle targhe stradali di piazza Alimonda, il luogo di
Genova, a due passi dalla stazione di Brignole, dove Carlo è caduto.

E con ciò ritorniamo al senso politico di questo film, che parte come una
dolorosa confessione e si trasforma ben presto in un'indagine con colpi di
scena da thriller. È impressionante la lucidità con la quale Haidi Giuliani
ricostruisce, ripercorrendo le migliaia di ore girate dalle onnipresenti
videocamere, la giornata del figlio; ed è impressionante il «crescendo» del
film, nel quale prima si rivive il corteo dei no-global che scendeva verso
il centro, e poi pian piano si rintraccia, dentro la folla, la presenza di
Carlo. Chiunque, quel giorno a Genova, è stato filmato da qualcuno. Ed ecco
dunque Carlo che entra nel corteo, assiste immobile a una carica della
polizia, arriva in piazza Alimonda, e a un certo punto solleva quell'
estintore (ma a una congrua distanza dalla jeep, si vede benissimo) e viene
abbattuto. La sequenza della morte c'è, ed è straziante. Ma forse ancor più
terribile è la sequenza successiva in cui la polizia crea un cordone
attorno al suo corpo senza nemmeno tentare di soccorrerlo; per non parlare
dell' agghiacciante immagine (a onor del vero vista, quel giorno, anche nei
tg) in cui un poliziotto accusa un manifestante di aver ucciso lui Carlo,
con un sasso. «In Italia non c'è la pena di morte. Ma Carlo è stato
condannato a morte, giustiziato, torturato». Sono parole della madre, nel
finale del film. Adesso vedremo se qualcuno avrà il coraggio di smentirla.