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Sulla cultura mafiosa
- Subject: Sulla cultura mafiosa
- From: "Daniele D'Elia" <danieledelia at email.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Mon, 13 May 2002 00:52:03 +0200
Dal "Giornale di Sicilia" - CronacaDicono le cronache che l'ultimo boss arrestato qualche giorno fa, Antonino Giuffrè, il ricercatissimo vice di Bernardo Provenzano, se ne andava in giro con una manciata di immaginette sacre in una tasca e una pistola nell'altra. Immagine eloquente di quella realtà, difficile da capire, ma innegabile, che è il legame tra la mafia e una certa religiosità popolare. A questa religiosità l'"Onorata società" ha attinto, in passato, anche alcuni elementi del suo armamentario simbolico (si pensi al rito di iniziazione, che includeva, come è noto, il versamento di alcune gocce di sangue su di una immagine sacra, che poi veniva bruciata). E del legame a cui accennavamo costituiscono un esempio non solo Giuffrè, ma anche altri esponenti di spicco di "Cosa Nostra": da Michele Greco, detto "il Papa", che leggeva la Bibbia in carcere, ad Aglieri, che si faceva celebrare la messa nel suo nascondiglio di pluriomicida latitante. Forse, per capire, bisognerebbe ricordare che la mafia, almeno in Sicilia, non è stata una pura e semplice organizzazione criminale. Essa ha avuto profonde radici in un contesto storico e culturale che ha largamente coinvolto la popolazione. Si pensi alla tendenza di "Cosa Nostra" a costituire un ordine parallelo a quello dello Stato, tradizionalmente sentito dai siciliani come una realtà estranea ed ostile, a cui piegarsi solo per paura o interesse, mai per intima adesione. Non è un caso che la mafia abbia assunto la sua forma definitiva nella seconda metà dell'Ottocento, quando la pressione dello Stato unitario, governato da una ‚lite di piemontesi e toscani, fece salire al massimo la tensione fra le regole "moderne", imposte dalla pubblica amministrazione, e il comune sentire della popolazione. Con questo Stato, centralista e fortemente anticlericale, anche la Chiesa ebbe allora un durissimo conflitto, che la portò a difendere le tradizioni popolari del mondo contadino contro l'invadenza di una cultura borghese, largamente influenzata dalla Massoneria. E' in questo quadro storico che può essere compresa la contiguità tra la cultura mafiosa e la religiosità popolare, come pure la scarsa percezione, da parte degli ambienti ecclesiastici, della gravità del fenomeno mafioso. Oggi le cose sono molto cambiate. Gli ultimi decenni hanno visto una progressiva presa di coscienza - non solo da parte della Chiesa, ma di tutta la società - del carattere criminale della mafia e della necessità di sostenere decisamente lo Stato democratico nella lotta contro di essa. Le prese di posizione sempre più chiare e dure da parte dei vescovi e dello stesso Papa sono troppo note per essere qui riprese. In esse l'incompatibilità non solo dell'organizzazione mafiosa, ma anche della cultura di fondo a cui essa si ispira, con la visione cristiana della vita e dei rapporti umani, è stata affermata senza ombre n‚ riserve. Proprio questa netta presa di distanza da parte della Chiesa evidenzia quello che rimaneva nascosto in altre epoche: e cioè che l'aggancio tra la mafia e la religiosità popolare si fonda non sugli elementi genuinamente evangelici di quest'ultima - che pure sono tanti -, bensì sulle commistioni di paganesimo che essa porta in s‚ e da cui è sempre più urgente che venga purificata. Si pensi a un certa cultura del fatalismo, o della vendetta, che sono entrambi chiaramente in contrasto col messaggio di Gesù e con l'idea cristiana della storia e dei rapporti umani; si pensi al misconoscimento del bene comune - di cui lo Stato è il garante e il promotore -, in nome dell'interesse privato della "famiglia", visione agli antipodi dell'insegnamento sociale della Chiesa. Ma, per superare l'equivoco di questa falsa religiosità, non bastano le condanne ufficiali del fenomeno mafioso: si impone un'azione pastorale volta a far entrare davvero il vangelo nella mentalità diffusa della nostra gente e a far uscire la fede dalla sfera della celebrazione meramente rituale, per farlo diventare fermento di un nuovo stile di vita personale e sociale. Se questa sfida fosse vinta, molte cose cambierebbero in Sicilia. E non sarebbero solo i boss mafiosi a vedere smascherato il loro preteso cristianesimo.
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