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Risposta di Appello Palestina all'intervento di Gad Lerner sul Manifesto
- Subject: Risposta di Appello Palestina all'intervento di Gad Lerner sul Manifesto
- From: "kowalski" <kowalski at informationguerrilla.org> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Fri, 05 Apr 2002 10:54:45 +0200
Ti rispondo Lerner... Ti rispondo Lerner perché credo che stando come stanno le cose tanto vale dirsi tutto e subito così che non si dica che anche tu non sapevi, che nessuno ti aveva messo al corrente. Sono abbastanza giovane per non avere ricordi comuni con te pertanto quando ti penso ti vedo a braccetto con Ferrara che dici delle enormità in televisione. Queste enormità le stai ripetendo anche in questi giorni quando anche i più sordi e ciechi si sono resi conto che l’occupazione israeliana è una macchina di morte e sterminio senza precedenti, se non altro per il fatto che “lavora” al suo progetto di annientamento del popolo palestinese da tanti anni. Al contrario ho invece condiviso diverse delegazioni e momenti con Luisa Morgantini, le donne in nero e tanti pacifisti che non hanno atteso lo scorso Natale per recarsi in Palestina e riempirsi solo adesso la bocca di condanne tardive. Ero nella prima delegazione di Donne in Nero nel dicembre del 2000, otto donne, compresa la Morgantini, partite con il proposito di ricucire le relazioni tra palestinesi e israeliani brutalmente interrotte nei primi mesi dell’Intifada perché quella pressione così violenta dell’ esercito israeliano aveva il potere di terrorizzare tutti e zittire le anime più democratiche di entrambe le parti. Dopo un anno e mezzo di presenza in Palestina, nei territori palestinesi occupati (TPO), comprendo che era in atto una precisa strategia del terrore per non lasciare spazio al dialogo, interrotta e ostacolata solo dalla presenza di piccoli gruppi di delegazioni di pace. Ma si trattava di un leggero rallentamento prima che Sharon si scagliasse con tutta la sua potenza sulla popolazione palestinese per compiere definitivamente il suo progetto: una grande Israele in tutta la Palestina storica, con la cacciata degli arabi palestinesi o la loro segregazione in stretti e poverissimi bantustan. Questo progetto “americano” non si sta realizzando da oggi ma da tempo. La cosa che risultava più scioccante durante i viaggi nell’inferno dei TPO era la continua “attività” militare e strutturale delle truppe di Sharon. Ogni volta i soldati avevano occupato una nuova collina tra Betlemme e Gerusalemme e tra Gerusalemme e Ramallah, dopo aver espropriato terreni agricoli, demolito case. Poi in seguito alla postazione militare corredata di bandiera sorgevano i primi caravans e infine le case, la stuprante edilizia delle colonie. Il risultato: ancora più palestinesi senza casa, agricoltori senza terra, popolo senza diritti, i semi dell’odio. Nuove bypass roads, strade riservate ai coloni e ai loro blindati dove gli arabi non possono passare e l’angosciante spettacolo sulla strada che porta a Hebron di anziani, bambini, donne, studenti, invalidi, disabili, lavoratori in continuo esodo a piedi o sugli asini per raggiungere le famiglie, le scuole, il posto di lavoro, sotto il tiro costante dei soldati israeliani, attraverso la morsa dei check point. Se invece si viaggiava a nord della Cisgiordania, dove la terra si fa fertile per la presenza delle più importanti risorse idriche, si iniziava a vedere sul terreno il progetto di assimilazione forzata di molte aree rurali. Bastava guardarsi intorno: fonti d’acqua e incremento delle colonie che crescevano sul conseguente esproprio dei contadini palestinesi, poverissimi raccoglitori di olive che legavano la loro stessa esistenza ad alberi l’ulivo secolari piantati dai padri dei loro padri. Tutta l’area del governatorato di Nablus e Tulkarem è stata colonizzata per via delle risorse idriche perché, nel caso gli israeliani fossero stati costretti un giorno a restituire le terre ai palestinesi, si sarebbero assicurati ad ogni modo il controllo del 100% dell’acqua, percentuale che ad oggi in effetti controllano. Ai palestinesi restano solo acque di riciclo oppure la possibilità di ricomprare un 10-20% dagli israeliani a costo altissimo. Per questo le azioni dei pacifisti, specie di quelli israeliani, si sono concentrate nel nord della Cisgiordania, per contrastare questo furto delle risorse vitali, per proteggere la popolazione palestinese dagli espropri, dalle persecuzioni, dagli incendi dolosi sugli uliveti secolari. Questa si chiama pulizia etnica pianificata e noi la osservavamo crescere con orrore, cercavamo di denunciarla ma presto anche noi, come i palestinesi, siamo diventati invisibili, censurati dai telegiornali della Rai e delle reti berlusconiane, in ugual modo. Si sono ripetuti i leit motive che ancora adesso si ripetono e le terribile censure. Nonostante siano stati gli stessi palestinesi e israeliani ad aprirci gli occhi sul fatto che le proposte di Barak non erano affatto “generose” ma umilianti, proprio in virtù del fatto che trattavano di percentuali non sul totale dei territori, ma di una percentuale di una parte, per cui, dire che ai palestinesi toccava il 78% significava dire il 78% del 22% della Palestina storica dove gli israeliani avevano già avuto, con una cruenta guerra di occupazione e la cancellazione di centinaia di villaggi arabo-palestinesi, un buon 52% o giù di lì. Inoltre anche uno stupido comprenderebbe che non è pensabile uno stato senza confini propri, senza risorse idriche, senza continuità territoriale, senza il diritto al ritorno della sua gente resa profuga o senza la sua capitale al-Quds, la Santa, secondo il nome arabo di Gerusalemme che è città araba cosmopolita, con la sua medina che da sempre ospita tutte le altre religioni, con i suoi quartieri arabo, armeno, ortodosso, ebreo, cristiano. Eppure gli ebrei sono stati gli unici a volere di più e a espandersi all’interno di un luogo geografico, culturale e religioso delimitato. Hanno ottenuto di spianare l’area davanti al muro del pianto e di recarsi a pregare. Ma loro vogliono di più, vogliono distruggere la moschea perché credono che sia un loro diritto costruirci il tempio perduto così come dice la Bibbia. Ma il problema non sono gli ebrei ortodossi che vivono nel quartiere ebraico. Il problema sono i coloni che si aggirano armati per i luoghi santi fomentati dalla boria di Ariel Sharon che dopo aver espropriato (rubato) una casa palestinese ha esposto per tutta l’ altezza dell’edificio la bandiera con la stella di David dando l’esempio perché altre case palestinesi fossero occupate abusivamente con la violenza. Una politica di annientamento che non si è fermata fino all’impennata di questi giorni. Una svolta annunciata perché tutti sapevamo che l’America stava solo prendendo tempo e che prima o poi avrebbe dato carta bianca a Sharon come tante altre volte del resto. Quello che non ci aspettavamo forse è che il semaforo verde avrebbe riguardato ogni genere di violazione dei diritti umani, un uso talmente eccessivo della forza sulla popolazione civile da poter essere nominato solo con una parola: genocidio. C’erano già stati per tutta la seconda Intifadah azioni da parte dell’esercito di Sharon che avevano portato gli stessi ebrei a parlare di nuovo nazismo, quegli stessi ebrei che si erano recati alla conferenza di Durban sul razzismo impugnando cartelli molto eloquenti: Zionism=Nazism=Racism e che non era piaciuta all’amministrazione filo-sionista di Bush. Tuttavia ancora i palestinesi potevano manifestare la loro rabbia al mondo e il loro dolore seppellendo i morti, potevano nutrirsi di poco ma uscire dalle loro case nei campi profughi, potevano organizzarsi con associazioni democratiche e lavorare con speranza al consolidamento delle istituzioni locali per l’ istruzione, la sanità ecc. Ora non solo devono convivere giorni e giorni con i loro morti insepolti, non solo Sharon ha raso al suolo tutto ciò che era “palestinese” a livello pubblico, civile, politico ma queste azioni dell’ esercito hanno aperto un solco insormontabile, una ferita che non si rimarginerà. La violenza israeliana sui palestinesi ha rotto per sempre il legame di fiducia che pur continuava a esistere. Ma non mi riferisco alla banale dicotomia tra ebrei e arabi. Mi riferisco a un altra separazione: tra chi chiedeva una soluzione di pace giusta e duratura e chi ha appoggiato il criminale Sharon, la criminale politica degli Stati Uniti, il silenzio complice dell’Europa. Se Genova ha cambiato la vita degli italiani la Palestina ha cambiato il mondo. Per questo il suo articolo non solo non è piaciuto ma è stato giudicato da tanti almeno irresponsabile. Avere ancora il coraggio di nascondere questo obbrobrio dietro la giustificazione che Israele deve difendersi è poco onesto, mi consenta. Ma vorrei aggiungere... Un giorno un signore di un villaggio a sud di Hebron mi ha raccontato come ogni giorno tentasse di raggiungere il posto di lavoro in Israele, come venisse puntualmente arrestato al termine della giornata lavorativa, che perciò non gli veniva retribuita e come i soldati lo portassero nella caserma più lontano da casa. A volte spariva per dei giorni senza che i suoi familiari sapessero nulla di lui perché spesso veniva ri-arrestato sulla strada di rientro. Una famiglia di 12 persone da sfamare, una umiliazione quotidiana e infine, mi disse, posso scegliere solo se andare a rubare ad altri poveri o arruolarmi con Hamas. E Hamas di fatto ha accresciuto le sue fila, per tante ragioni che tu Lerner non immagini. Intanto la religione non centra nulla mentre invece centra molto la frustrazione, il dolore, la coscienza politica che Israele ha nascosto dietro la sua diplomazia il progetto etnico di cancellazione dell’ identità araba della Palestina. Quelli che chiamiamo kamikaze, con una parola che i palestinesi non comprendono, perché per loro si tratta di martiri cioè di persone che finiscono uccise dall’occupazione militare sia che siano coinvolte in azioni di assalto, di difesa o che siano vittime innocenti dei bombardamenti o dei cecchini, sono persone come noi, come lei e come me. Persone che hanno perduto tutto, che come accadde ai nostri partigiani comprendono con lucidità che qualcosa bisogna fare e questo “qualcosa” deve essere fatto perché a rischio c’è l’esistenza stessa di un popolo che, le ricordo, soffre di persecuzioni da 54 anni. Questo “qualcosa” l’avremo dovuto fare noi come società civile, come Europa, rispondendo per tempo agli appelli che arrivavano dalla società civile e democratica palestinese così come dagli stessi militanti dei gruppi politici per non parlare dei pacifisti israeliani. Chiariamo un altra cosa che i giornalisti da salotto non comprendono. Il popolo palestinese è un popolo fortemente politicizzato per cause di forza maggiore. A differenza di altri popoli che sono stati annientati nel silenzio come i kurdi (anche se mi auguro non del tutto), i palestinesi hanno avuto la capacità di riunirsi, discutere, organizzarsi. Questo è avvenuto sia sul piano istituzionale che con la creazione di ospedali, servizi, scuole ciascuno conformemente al suo programma politico. Anche Hamas è nato come movimento politico. Ogni gruppo costituisce una forza politica con precise caratteristiche e non c’è palestinese che non si interessi di politica e simpatizzi con un gruppo. Dire che uno è di Fatah o di Hamas significa dire che è vicino a quell’area politica non che è un terrorista. C’è differenza tra simpatizzanti, militanti, gruppi politici e gruppi armati per la liberazione della Palestina. Per tanto tempo i partiti islamici si sono scontrati con i gruppi laici di sinistra ma, fatto nuovo, questa seconda Intifada ha visto due nuovi fenomeni. Da un lato manifestazioni di protesta congiunte tra sinistre e destre islamiche (e quando dico islamiche non dico fondamentaliste dico a sfondo religioso, altrimenti dovremo riconoscere che 40 anni di governo DC in Italia hanno significato fondamentalismo) e da un altro lato la creazione di gruppi paralleli di combattenti. A questi si sono aggiunti ulteriori gruppi combattenti estremisti (una stretta minoranza) che vivono in clandestinità, usciti l’altro ieri dalle carceri israeliane dove erano stati rinchiusi durante la prima intifadah spesso per il reato di aver tirato le pietre nelle manifestazioni. Ho conosciuto uno di loro, un militante delle Brigate Martiri al-Aqsa (Barghouti non centra nulla, credetemi). 29 anni, 9 anni passati in carcere dove si è anche laureato in giurisprudenza. Una persona braccata che non può stare ferma nello stesso posto più di 15 minuti e così è stato. I collaborazionisti aiutano gli israeliani a scovare quelli come lui che ricevono in risposta un missile. Praticamente è già morto. Nei suoi occhi ho visto qualcosa che non avevo immaginato esistesse: un dolore e una tristezza tali da non poter nemmeno immaginare l’orrore che l’aveva potuta generare. “Qualcosa accadrà, il mondo capirà che quello che ci fanno è atroce e siccome il mondo è sordo noi facciamo l’unica cosa che ci è rimasta da fare: morire con dignità per dare speranza a quelli che restano, la speranza che oltre questo dolore ci sarà la pace”. Non era religioso, tutt’altro. Il suo corpo però era piagato dai segni delle torture ricevute in carcere fin da quando era poco meno che ventenne. Esperienza che centinaia di palestinesi condividono senza contare i bambini, i ragazzini tra i 14 e i 17 anni, incarcerati nelle prigioni israeliane insieme ai delinquenti israeliani comuni... e non aggiungo altro. Questi gruppi che portano avanti una lotta senza limite con lo scopo di far cessare l’ occupazione militare israeliana e poter liberare la Palestina stanno a lato dei gruppi politici e non centrano nulla con i leader. Marwan Barghouti non ha mai avuto altro che parole di estrema onestà e lugimiranza politica. Ha fatto di tutto per avvertire la comunità internazionale che l’Intifadah non si sarebbe fermata (e così è stato) e non perché lo decideva lui ma perché lui ne comprendeva le ragioni storiche e politiche. Ora è di nuovo braccato e gli israeliani lo vogliono uccidere, dopo averci provato con degli avvertimenti che hanno letteralmente “bollito” a suon di missili le sue guardie del corpo, così, tanto per dargli un avvertimento e dopo essere penetrati in casa sua, aver picchiato sua moglie e messo la bandiera israeliana sul tetto. Ma la ragione del perché Israele vuole uccidere Barghouti sta nel fatto che lui è un leader politico, popolare come si autodefinisce, cioè un possibile interlocutore di pace e Israele nella persona del sanguinario Sharon non vuole la pace. Questo non lo dico io ma gli stessi israeliani: con Sharon non avremo mai la pace, ripetono da tempo. Fortunatamente con Arafat c’è un ebrea cittadina israeliana. Si chiama Neta Golan e propongo una petizione perché il Nobel dato a Peres venga revocato e consegnato a lei. Peccato Lerner che nessuno ti abbia informato di questo particolare o forse lo ritieni ininfluente, forse che potrebbe smontare il castelletto della lotta difensiva contro il terrorismo. Credimi il terrorismo peggiore che la nostra epoca si trova ad affrontare è quello di stato e quello Israeliano in primis dato che, insieme a quello americano, ci sta trascinando in quello che un anziano ebreo ha chiamato il Quarto Reich. Tu che sei tanto scandalizzato dal fatto che qualcuno dia la propria vita per una causa dovresti chiederti perché ci sono persone che invece che stare a casa a seguire la guerra in Tv comodamente seduti a sentire un moralismo vecchio stampo in questo momento rischiano le loro vite nei campi profughi di Betlemme. Non turbano anche loro la tua visione pulita e semplicistica del mondo dove rischiare la vita per un ideale è incredibile? La Palestina è stata trasformata in una terra di martirio da tempo. Cosa credi che pensi quella donna palestinese immortalata da un fotografo mentre cammina con dignità per le strade di una Betlemme distrutta e ridotta a un cumulo di macerie sotto coprifuoco... Pensa che la sua vita vale meno della sua dignità, che quella è casa sua e che tutti i carri armati di Sharon possono ucciderla ma non togliergli la dignità. I nostri giornalisti sono scappati da Betlemme quando hanno compreso, ma non denunciato, che per i soldati israeliani non ci sarebbe stato alcun rispetto dei luoghi santi, proprio come i nazisti, ma i pacifisti restano, non se ne vanno, non si lasciano addomesticare. Sono pochi purtroppo e ormai è troppo tardi. Sharon ha già sentito l’odore del sangue palestinese, la gente lo teme, i vecchi profughi scampati dagli eccidi del 1948, 1967, 1953 e via andando non alzano neanche un lamento. Gaza tace in attesa di altre bombe sui profughi e di altre deportazioni. Il silenzio è totale perché loro sanno cosa significa fronteggiare le milizie terroriste di Sharon. Che Dio ci aiuti perché l’Europa è ancora ferma ai blocchi di partenza e la società civile si è mossa troppo tardi. Non so cosa si potrà fare ma so quali saranno i risultati: nessuno potrà mai essere giustificato di questo genocidio che purtroppo giustificherà a sua volta qualunque altra cosa. Arafat ha avvertito quando voleva andare a Beirut ma il mondo ha preferito restare schiavo dei criminali della terra. A dicembre avevamo già perso l’ ultimo treno. Arafat aveva ottenuto un cessate il fuoco unilaterale da parte palestinese, incondizionato. Per imporlo alla sua gente aveva usato il pungo di ferro. Ho visitato negli ospedali di Gaza i civili militanti di Hamas e del PFLP (i comunisti) feriti dalla polizia di Arafat durante le proteste contro l’occupazione e mi hanno detto che il popolo palestinese doveva evidentemente passare anche questo. La guerra civile che le richieste americane intendevano scatenare non c’è stata. Hamas ha mostrato ancora una volta la sua lungimiranza politica. Arafat ha convinto il suo popolo, ancora una volta, che una strada di pace poteva aprirsi. Tutti i gruppi politici e i combattenti alla fine hanno accettato il cessate il fuoco e rispettato l’ ordine di Arafat di non rilasciare comunicati ufficiali in cui si inneggiasse a una qualche forma di lotta. Il più lungo cessate il fuoco senza attentati, senza assalti alle postazioni militari, senza uno sparo, senza una pietra. In questo lasso di tempo (un mese e mezzo effettivo) in cui si sarebbe dovuta muovere la politica si sono mossi i carri armati israeliani con le loro demolizioni delle case nel sud della striscia di Gaza con l’uccisione di tanti palestinesi colpevoli di esercitare il diritto al movimento in un area che è intervallata da continue aree militari. L’ultimo dell’anno è stato indimenticabile per i cittadini di Gaza: il 31 dicembre 2001 ci sono stati 6 morti, in un giorno solo, assassinati senza che stessero compiendo azioni di attacco. Due corpi sono stati restituiti mutilati dopo 4 giorni. Le dichiarazioni informali dei vari gruppi politici (Hamas, Jihad, PFLP, Fatah, Tanzim, Brigate al-Aqsa) attendevano gli sviluppi della politica. Mi chiedevo e chiedevo loro quanto sarebbe durato il cessate il fuoco palestinese con tutti questi omicidi da parte israeliana, per non parlare delle vendette con la demolizione delle case, molte delle quali appartenenti a persone militanti di Hamas, fatte saltare in aria con il tritolo a Beit Hannoun, nel nord della Striscia di Gaza. Durerà quanto durerà dicevano. E alla fine Arafat non ha incontrato il sostegno internazionale che meritava e la sua azione di reprimere la lotta all’autodeterminazione del suo popolo è stata inutile, ha convinto molti che le strade politiche erano chiuse e dato cosa succede oggi, (non si riesce neanche a fare allontanare i soldati dalla piazza della Natività, non si riesce neanche a fare passare i medici della Croce Rossa - altro che Taleban!), avevano in fondo ragione. Non c’era e non c’è la volontà politica di far rispettare i diritti elementari del popolo palestinese. Tu Lerner potresti fare almeno una cosa zen: tacere, perché con la tua cinica disinformazione, con il tuo continuo cercare la medietà , censurando continuamente le atrocità che Israele sta commettendo, tu dicevo, rischi di farti complice. Stai un attimo in silenzio, ascolta le voci che arrivano dalla chiesa della Natività dove non ci sono terroristi ma uomini di tutte le età che combattono per la libertà, persone che un domani mureranno i fucili nei muri delle loro case e torneranno a essere quello che erano: negozianti, insegnanti, lavoratori, intellettuali. Diamo al popolo palestinese la possibilità di vivere liberi nella loro terra, di andare al mare o in discoteca come fanno gli israeliani tutti i giorni nei loro confini protetti dall’esercito dove ogni tanto giunge un martire dall’inferno dei TPO per chiedere il conto. Chi semina vento.... raccoglie tempesta. E la tempesta si sta levando e rischia di travolgere tutto comprese le speranze di una sicurezza reale per Israele dentro i confini del 1948. Se questi confini erano una questione spinosa che poteva essere superata solo con un pieno riconoscimento dei crimini commessi ai danni dei palestinesi ora la questione si complica. C’è solo da sperare nei pacifisti israeliani che hanno tessuto forti relazioni con gli arabi a livello civile e umano. Le loro azioni di protesta, il loro coraggio di scoperchiare la pentola sarà l’ unico deterrente affinché quel riconoscimento di Israele che i palestinesi avevano firmato a Oslo non venga cancellato. Speriamo che nonostante i governi israeliani non abbiano mantenuto e rispettato la firma di Rabin a Oslo, non ritirandosi dai TPO nel 1967, compresa Gerusalemme est e le siriane alture del Golan, speriamo che proprio questi legami nati sul terreno in nome della giustizia reggano in futuro. Israele non può fare a meno di esistere ma non deve accadere a discapito di un altro popolo e la strada delle intese politiche è ancora lunga. Di certo i bombardamenti e i rastrellamenti di questi giorni la rendono ancora più difficile. Ha ragione Gheddafi solo un pieno riconoscimento di Israele da parte del mondo arabo attraverso una pacifica convivenza con i palestinesi e i vicini arabi può garantire la vera sicurezza di Israele. Comunque, dopo che ti sarai auto oscurato caro Lerner fai una cosa giusta. Tu che sei giornalista di sani principi recati nei TPO, scegli tu, Gaza, Betlemme, Nablus, Jenin o magari Hebron dove noterai delle bellissime stelle di davide disegnate dai coloni e dai soldati sui negozi degli arabi costretti a chiudere per i porci comodi dei coloni di Brooklin e dintorni. Prova a esercitare i tuoi diritti, vedrai che il tuo moralismo ne trarrà giovamento. Un ultima cosa su Arafat. L’America ha detto che Israele non deve ucciderlo, quello che dice l’Europa non serve a nulla sul terreno. Tuttavia cosa stanno facendo i soldati israeliani tenendolo chiuso senza cibo, senz’acqua, senza finestre, senza soccorso medico? Lo stanno lentamente uccidendo. Una cosa ancora: lo stanno profondamente umiliando e non perché è prigioniero ma perché minacciano delle vere e proprie esecuzioni dei suoi uomini molti dei quali, i più giovani, erano poco più che bambini scampati dai bombardamenti di Sabra e Chatila e che Arafat ha preso con sé, allevato, istruito dandogli dignità e lavoro. Non vogliono uccidere Arafat ma garantirgli una morte lenta, un dolore senza precedenti attraverso il martirio dei suoi uomini, del suo popolo, del suo sangue palestinese. A Ramallah c’è una grande speranza: il presidente Arafat e una pacifista ebrea israeliana tenuti sotto il tiro dei carri armati di Sharon: fosse per loro due sarebbe pace e giustizia anche domani. grazie per l’attenzione firmato appello_palestina
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