Cala il silenzio su Gladio



SERVIZI SEGRETI: FALSI STRAGISTI E UNA SPIA DAL NOME INVENTATO

Lettera al "Corriere della Sera" pubblicata il 24 Marzo

Quasi nessun giornale italiano - tra le poche eccezioni, va detto, quella del "Corriere della Sera" - ha dato notizia della conclusione dell`"affaire" Gladio. Giorni fa sono scaduti i termini per il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado della Corte di Assise di Roma che assolveva i capi di quell'organizzazione: questo significa che, per la legge, gli appartenenti a Stay Behind non sono colpevoli. Ora, io ricordo bene ciò che accadde tra il 1990 e il 1991 quando, su iniziativa di Giulio Andreotti, si scoperchiò quella pentola: sembrò che fosse stata scoperta la madre della strategia della tensione... Non le sembra che adesso la fine di quella storia passi un po' troppo sotto silenzio?

- Rina Ometti, Milano

RISPONDE Paolo Mieli:

Cara signora Ometti, non so se quella vicenda giudiziaria sia davvero chiusa per sempre. Ormai siamo abituati a processi che si aprono e si chiudono, si riaprono e si richiudono all'infinito. In ogni caso, lei ha ragione, ben altro avrebbe dovuto essere il rilievo dato dai media a quella notizia. Anche perché, nel frattempo, il fatto che i "gladiatori" fossero stati all'origine di ogni ordito contro l'Italia repubblicana si è fatto senso comune. Quasi non c'è libro di storia (recente) o filmato televisivo che esprima dubbi in proposito. Ricordo bene quando scoppiò il caso. Al giornale radio uno speaker lesse i nomi degli appartenenti italiani a Stay Behind uno ad uno. E l'Italia tutta li considerò dei malfattori. In pochi si chiesero come mai quella struttura che esisteva anche in altri Paesi della Nato, solo da noi era composta da stragisti. Perché i leader cattolici e laici di indiscussa fede antifascista che avevano saputo di Gladio, non avevano detto nulla. Ma senza successo. Le persone il cui nome fu messo in relazione a quella vicenda, si ritrovarono sole. Nessuno o quasi fu disponibile a dar ascolto alla loro voce. Qualcosa di simile - quantomeno per la sgradevolezza - è capitato in questi giorni a Marisa Musu. Medaglia d'argento della Resistenza, eroica gappista e poi dirigente del Pci, la Musu è stata accusata di aver fatto parte di una rete di informatori dei servizi segreti italiani da un'inchiesta del giudice Carlo Mastelloni travasata - come ormai accade sempre più spesso - in un libro ("Lo Stato invisibile" di Gianni Cipriani, Sperling & Kupfer editore). Cipriani - precisiamo - è un autore di sinistra, che da anni si occupa di questi argomenti ed è assai apprezzato dalla sua parte politica. Quando Marisa Musu ha saputo quel che le era capitato, è andata su tutte le furie. «Il mio nome», ha dichiarato a "Liberazione" (l'unico giornale che meritoriamente le ha dato ascolto), è apparso in quell'inchiesta «senza peraltro che io sia mai stata interpellata o interrogata». Peggio: ha saputo di quello sgradevole inserimento in una lista di spie «solo a inchiesta chiusa e in maniera del tutto casuale, da fonti giornalistiche». «E' assurdo», protesta giustamente Marisa Musu, «che il proprio nome venga inserito in un documento giudiziario senza nessun atto di contestazione diretta e di comunicazione ufficiale». Ma perché l'ex capo della Divisione Affari Riservati, Federico Umberto D'Amato, scrisse quel nome sulle sue carte? Mistero. D'Amato è morto. La Musu suppone che «D'Amato potesse avere una reale fonte d'informazione e che per coprirla abbia usato il mio nome». Oppure «che, non avendo nessuna fonte, abbia usato il mio nominativo per giustificare fondi destinati a un altro informatore o a qualche funzionario dell'Ufficio stesso». Infine, l'ipotesi a cui lei crede maggiormente, è che «D'Amato, uomo abile e vicino alle trame nere, avesse architettato nel 1964 una manovra infamante contro il Pci». Per infangare «il Partito comunista italiano e la stessa memoria della Resistenza». Marisa Musu dice di essere in preda all'indignazione. Per quel che vale, lo sono anch'io. Non mi piace vivere in un Paese in cui possono accadere cose del genere.

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MA GLADIO SERVIVA SOLTANTO A FAR SOLLEVARE UN POLVERONE

Indro Montanelli, "Oggi" del 21 Novembre 1990, riportato dal "Corriere della Sera" del 24 Marzo 2002

La mia personale convinzione, non basata, intendiamoci, su nessuna prova, è che questo famoso "Gladio" esistette solo sulla carta, non servì a nulla, cioè servì soltanto ai portafogli di coloro che lo idearono, così come oggi serve soltanto a sollevare polveroni per coprire manovre politiche, di cui non riusciamo a vedere per ora gli sbocchi. Altrimenti non comprendiamo per quale motivo Andreotti ha ritirato fuori questa vecchia storia. Il "Gladio", se esistette, ha cessato di esistere da oltre dieci anni. (...) Per fortuna la guerra fredda rimase fredda. Se diventava calda, l'Italia avrebbe subito la stessa sorte di Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania: vale a dire rovina economica, processi e fucilazioni. Il "Gladio", sempre ammesso che sia esistito, non ci sarebbe servito a nulla. Serve ora, ma soltanto a fare
confusione, e Dio sa se in Italia ce n'era bisogno.