Appello unitario di tutte le associazione in difesa della legge 185/90



Fermiamo i mercanti di morte

Noi rappresentanti di diverse realtà della società civile organizzata, esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo, delle religioni e dello sport, degli istituti missionari e degli organi di informazione, del volontariato e organizzazioni non governative, cittadine e cittadini... ricordiamo che, così come esplicitato nell'art. 1 della Legge 185/90 che regola il commercio delle armi, la Costituzione Repubblicana all'articolo 11 “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Coerentemente riteniamo che nessun atto legislativo del Parlamento possa contraddire quel dettato favorendo in qualche modo il ricorso allo strumento della guerra.

Per questo motivo affermiamo la nostra contrarietà alle misure introdotte dall'Accordo quadro tra Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna e Irlanda del Nord “relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa” siglato a Fanborough il 27 luglio 2000 e sottoposto ora alla ratifica del Parlamento italiano con il Disegno di Legge n. 1927. Si tratta di un accordo firmato tra stati che figurano tra i maggiori produttori mondiali di sistemi d'arma (90% della produzione bellica europea) e, data la genericità delle misure di controllo contenute in quell'accordo, crediamo che la sua attuazione possa contribuire solo a far circolare nel mondo una quantità maggiore di armi ancora più “efficienti”. Chiediamo che le istituzioni comunitarie si dotino di adeguati strumenti di garanzia di trasparenza e di controllo in tema di produzione e commercio di armi.


Il nostro “NO” si fa ancora più deciso verso la proposta contenuta nella ratifica dell'Accordo, di modificare la Legge 185 del 1990. Quella legge fu ottenuta grazie all'impegno di alcune realtà di base per vincolare a criteri etici e di trasparenza il commercio di armi. In particolare vanno salvaguardati i principi di fondo che diedero vita a quella legge e le stringenti normative che vietano l'esportazione di armi italiane “a Paesi in stato di conflitto armato; Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'art. 11 della Costituzione; Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite; Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo; Paesi che, ricevendo dall'Italia aiuti ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese”. Chiediamo perciò un'applicazione ancora più rigorosa di quella legge che peraltro è posta a garanzia della trasparenza di tutte le operazioni relative al commercio di materiale bellico. Una riforma di quella legge permetterebbe l'immissione sul mercato di una quantità rilevante di armi e, in particolare, renderebbe ancor più difficile accertare i canali di vendita e i destinatari finali. In un momento storico in cui bande armate, formazioni terroristiche, criminalità organizzata e mercenari si riforniscono di armi attraverso canali che sfuggono al controllo degli stati, una tale normativa finirebbe anche col favorire un incremento del commercio clandestino di armi da parte di mercanti senza scrupoli. Per queste le ragioni ci appelliamo alla coscienza di ciascun parlamentare affinché voti contro ogni ipotesi di riforma della legge 185/90. Preannunciamo una vigilanza attenta e una mobilitazione che, anche a livello europeo, impedisca alla lobby dell'industria bellica di lucrare alti profitti pagati a prezzo della vita dalle vittime delle guerre e della violenza diffusa.