Cosa succede a Kabul. Dalle bombe alla fame



Cosa succede a Kabul. Dalle bombe alla fame

di Redazione (redazione at vita.it)

07/03/2002 Vita

Dopo cinque mesi di guerra per la popolazione l'emergenza continua, tra scontri etnici, fame, mortalità infantile e 50mila profughi. Numeri e indirizzi per capire

Dimenticare Kabul. A molte migliaia di chilometri di distanza, sembra facile. La guerra è ufficialmente finita, no? Molto più difficile invece dimenticarrsi che fame, mine, conflitti continuano se si vive proprio a Kabul, o in un qualunque altro posto dell'Afghanistan. Come ci racconta chi vive lì per soccorrere la popolazione.
Orzala Aschraf, la fondatrice dell'organizzazione non governativa Hawca che si occupa di assistenza ospedaliera, è esplicita: «Nella città di Mazar el Sharif le sparatorie sono all'ordine del giorno». La città del nord dell'Afghanistan, infatti, è divisa in 'spicchi' per dirla con Luca Lo Presti, responsabile italiano per l'Afghanistan di Amnesty International. Anche lui è pessimista: «Dovevo partire in settimana ma mi hanno sconsigliato di raggiungere Mazar. Il presidente Karzai ha un controllo solo... televisivo sul Paese, protegge le ambasciate e poco altro. Per il resto la stessa Kabul è divisa in spicchi, e chi sbaglia spicchio è fregato».
Informatori di Amnesty da Kabul e Kandahar riferiscono che, dopo il discorso alla nazione di Bush contro l'asse del male (tra cui l'Iran), il tagiko Dostun appoggiato dall'Iran era lì lì per decidere l'attacco a Kabul. La situazione è stata ricucita dai rappresentanti del Dipartimento di Stato Usa in Afghanistan. Che l'emergenza sicurezza continui lo dicono anche all'Onu. «Se ne parla meno ma la situazione è grave». Sull'argomento la portavoce dell'Alto commissarioato per i rifugiati, Laura Boldrini, non accusa nessuno, ma è chiaro il suo messaggio: «Abbassare la guardia su Kabul adesso sarebbe un errore. «Il problema numero uno per chi opera in Afghanistan è la mancanza di sicurezza. Non c'è l'accesso a molte zone, soprattutto quelle lontane dai grandi centri. In alcune aree rurali del sud attorno a Kandahar, a Tora Bora, le bande armate la fanno da padrone. E i quantitativi d'armi di cui dispongono sono enormi».
Anche nei 14 nuovi campi e nell'unico centro di transito che l'Acnur ha aperto in Pakistan la sicurezza non è scontata, anzi... «Tutti i centri sono ubicati nelle tribal areas (aree amministrate dalle tribù e fuori dal controllo del governo di Islamabad, ndr), le uniche zone concesse all'Acnur da Musharraf, che non voleva altri profughi, avendone già due milioni all'interno dei confini controllati». La conseguenza? «Nei campi delle tribal areas la sicurezza latita».
E poi ci sono le etnie. Dieci in tutto l'Afghanistan (15 milioni di abitanti), la cui rivalità dà problemi, come illustra la Boldrini: «A Bamyan, nella zona dove sono stati distrutti i Budda, sono tornati gli hazari, etnia di religione sciita (e perciò decimati dai sunniti talebani, ndr), le cui case erano state distrutte dal regime del mullah Omar. Adesso gli hazari si sono insediati nelle uniche abitazioni rimaste in piedi, quelle dei tagiki. E ciò ha creato un ulteriore problema. I tagiki, infatti, hanno abbandonato la zona per andare verso aree più sicure. Ora l'Acnur sta negoziando il loro ritorno nei lvillaggi». E se non ci dovesse riuscire? «Il rischio sarebbe la balcanizzazione dell'area. Anche se, rispetto all'ex Iugoslavia, non ho visto lo stesso odio tra le diverse fazioni. E poi qui la gente comune invoca l'intervento di una forza multinazionale di pace che tuteli e monitori il rispetto dei diritti umani».
Lo spettro della fame e i ritardi degli aiuti
Nell'Afghanistan del Nord, la crisi alimentare sta raggiungendo proporzioni allarmanti perché qui gli aiuti promessi dai leader occidentali non arrivano. Per attirare la loro attenzione, Christopher Stokes, direttore operativo di Medici Senza Frontiere, ha preparato uno studio sull'emergenza cibo nel Nord del Paese. Ma il fatto che il 99% delle 1.290 famiglie intervistate dai suoi volontari nei distretti di Sar-e-Pol abbiano abbandonato le loro case per mancanza di cibo, e che il tasso di mortalità nella provincia di Faryab sia passato dagli 0,6 decessi al giorno su 10 mila persone dell'agosto 2001 agli 1,4 di gennaio, non ha migliorato la situazione. Frustrati, i Medici Senza Frontiere hanno acquistato 572 tonnellate di cibo iperproteico costituito da una miscela di grano e soia e 116 tonnellate di olio al di fuori dei canali regolari.
Le cose non vanno meglio in altre aree del Paese. Secondo Ocha, l'ufficio Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie, solo il 25% delle 55mila persone che vagano senza fissa dimora nei pressi di Jalalabad al momento ricevono assistenza. E particolarmente difficoltosa è la distribuzione di cibo a Kandhar, la roccaforte dei talebani a lungo rimasta off limits per gli aiuti. Qui il Pam comincerà a distribuire 3mila tonnellate di cibo per 360mila persone solo il 14 marzo.
Profughi e invisibili. Con la paura di tornare
Quattro milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi e 1,2 milioni di sfollati interni. Di questi, da fine novembre, sono rientrati in 190mila, senza ricevere assistenza di rimpatrio. Da alcuni giorni l'Acnur ha iniziato il rimpatrio dei rifugiati dal Pakistan mentre, dall'Iran, il piano di rientro avrà inizio in aprile.
Chi rientra senza avvalersi del programma Acnur lo fa per un duplice motivo: perché ci sono le condizioni per farlo (sono stati cacciati i talebani) e per difendere le sue proprietà dagli attacchi di predoni. È comunque un dato di fatto che, oggi, l'Afghanistan è un Paese in evoluzione, un Paese di nomadi: «Dal ritiro dei talebani, sulla sola su Kabul, si sono riversati almeno 50mila sfollati, sull'Afghanistan centrale 250mila, lo stesso nelle province di Herat e Mazar», fanno sapere dall'ufficio Onu di Kabul.
Ma qual è il problema maggiore nei campi profughi? «Rassicurare gli afghani, convincerli a registrarsi. All'inizio non volevano nemmeno rilasciare le proprie generalità, per timore d'essere riportati indietro».Anche nel campo Acnur di Masklat, a pochi chilometri da Herat (che The Guardian aveva denunciato per le condizioni di vita dei profughi), si sta terminando l'opera di schedatura da parte dell'agenzia delle Nazioni Unite.
«La situazione dei bambini afghani? Gli ultimi che ho visto, 900 dai 4 anni in su, erano chiusi in un orfanotrofio e dormivano in 25 in stanzoni cui mancano i vetri alle finestre e le coperte sui letti». L'orfanotrofio di cui parla Marco Savini Nicci, della Croce Rossa italiana, si trova a Kabul. Ed è uno dei due ricoveri per bambini abbandonati che l'organizzazione ha adottato poco prima di Natale, trasportando nella capitale afghana materiali e viveri per poter assistere i suoi piccoli ospiti. Nel Nord del Paese le cose vanno ancora peggio, denunciano da Medici senza frontiere: «Solo nei nostri centri nutrizionali di Sar-e-Pol entrano 30 bambini al giorno».
E intanto i bambini muoiono in silenzio
Una situazione disperata che anche Save the children constata nella zona di Mazar-i- Sharif. Spiega Rudolph Von Bernut, responsabile emergenze: «Le cause dei decessi tra i bambini sono soprattutto freddo e fame, che si sommano alla siccità e alle guerre. Oltre che di nutrimento, i bimbi afghani oggi hanno bisogno di normalità». Una normalità che il Cesvi di Bergamo cerca di ricostruire nella zona di Taloqan dove, fra qualche giorno, aprirà i battenti la prima scuola dell'era post talebani. Sempre a Taloqan Children's Aid ha lanciato un programma di assistenza per mille bambini malnutriti sotto i 5 anni, cui distribuisce kit di cibo.
75 %
è la percentuale di eroina mondiale proveniente dall'Afghanistan. La produzione di oppio non sta diminuendo, anzi. è l'allarme dell'agenzia Onu per la lotta al narcotraffico. Ha dichiarato Hamid Ghodse, presidente Undcp. «Pace e sicurezza non si affermeranno se non si affronterà il problema droga». Un messaggio a Bush che ha scontato a Kabul le sanzioni in quanto Paese produttore di droga?
10 milioni
Cessati i bombardamenti dal cielo, il pericolo in Afghanistan viene dalla terra. Disseminata da 10 milioni di mine, che i russi hanno lasciato in eredità ai talebani, e adesso anche di cluster bomb, le bombe a grappolo che gli americani hanno lanciato contro i talebani e i terroristi di Al Qaeda negli ultimi mesi. A disinnescarle, fra Kabul e Jalalabad, è impegnata l'ong italiana Intersos. Una missione di cui Pierluigi Pugliaro, direttore dell'organizzazione, non nasconde la pericolosità: «Le cluster bomb sono micidiali perché nel 20% dei casi non esplodono e, poiché sono colorate, attirano i bambini che le prendono in mano per giocare».
Impossibile, per il momento, farne una stima degli ordigni a grappolo che si trovano in territorio afghano. Mentre sempre più triste, purtroppo, è il bilancio delle vittime delle mine anti uomo: 100 alla settimana, secondo l'ong inglese Oxfam, e 40 al mese nella sola regione del Panshir, per l'agenzia di stampa France Press. Gravissimo, secondo il Cesvi di Bergamo, anche l'impatto che hanno sul buon funzionamento e la velocità delle operazioni umanitarie: «Il Paese è pieno di campi minati impossibili da attraversare e di strade pericolose in cui camion pieni di aiuti rischiano di saltare in aria», spiega Ermes Frigerio, appena tornato in Italia da Kabul.
Input
Le ong citate in questo articolo
Medici senza frontiere: www.msf.it
Acnur: www.unhcr.ch
Croce Rossa: /www.cri.it
Cesvi: www.cesvi.org
Coopi: www.coopi.it
Save the children:
www.savethechildren.it
Articolo di Paolo Manzo p.manzo at vita.it e di Carlotta Jesi c.jesi at vita.it