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[viator-buone-notizie] Giornata dell'Ebraismo e settimana per l'unita' dei Cristiani
- Subject: [viator-buone-notizie] Giornata dell'Ebraismo e settimana per l'unita' dei Cristiani
- From: Alberto Vitali <salvador80 at tiscali.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sat, 19 Jan 2002 00:22:30 +0100
E' questa una settimana particolarmente importante per il cammino che le Religioni vogliono compiere insieme, nel segno della Pace. Giovedi prossimo si terra' l'incontro di Preghiera delle Religioni ad Assisi, voluto dal Papa. Ieri abbiamo celebrato la Giornata dell'Ebraismo e oggi inizia la setimana di preghiera per l'Unita' dei cristiani. Viator ha dedicato a questi appuntamenti il numero di gennaio. Vi inviamo il testo di Angelo Regginato sul rapporto Ebraico - Cristiano Shalom Alberto Vitali ------------------------------------------------------------------------------------------------- Dall'anatema al dialogo: uno studioso di ebraismo ci aiuta a vincere alcuni pregiudizi Al cospetto d¹Israele L'appuntamento di Assisi è un'importante occasione per rinsaldare i legami tra cristiani ed ebrei. E per scoprirsi più vicini Un celebre aforisma di Elias Canetti "parliamo tutti la stessa lingua: la tecnica" esprime bene il polso della situazione culturale ai tempi della globalizzazione. Anche i bambini, in occidente, parlano con estrema facilità questa lingua e si muovono a loro agio tra schermi e tastiere. Diverso il discorso, se si esce da questo territorio e si è costretti a parlare altri linguaggi. La stessa persona che mostra competenza nella conoscenza degli ultimi ritrovati tecnologici, esprime balbettii disarticolati su problemi di cui ne va della stessa vita. Sappiamo clonare un essere umano e, tuttavia, siamo fermi ai luoghi comuni su tradizioni millenarie di altri popoli e culture. Anche tra cristiani seri, abituati a coltivare la propria fede nell'ascolto delle Scritture e nella riflessione ecclesiale, s'insinua il germe della semplificazione, peraltro in tutta buona fede! E così succede che in un contesto di guerra, in cui prevale il criterio della forza, l'invito di un vecchio Papa, rivolto ai rappresentanti delle diverse religioni, a ritrovarsi ad Assisi per intercedere per la pace, venga interpretato "paternalisticamente" come azione educativa dei bravi cristiani nei confronti degli altri credenti, soprattutto dei discoli musulmani ed ebrei, incapaci di prendere congedo da un Dio violento, ispiratore di guerre sante e martìri omicidi. Il "pensiero unico" del mercato globale si traduce così anche in chiave religiosa, mutilando i cristiani dello specifico organo della fede, l¹orecchio, e spingendoli ad una religione che non è più esperienza di ascolto bensì come dice il teologo J. B. Metz "ideologia rassicurante". In realtà la Scrittura testimonia che i credenti non sono i padroni della verita' quanto piuttosto i discepoli. E, nell'itinerario di discepolato, l'ascolto ed il dialogo con i credenti di altre religioni e' decisivo. In casa cattolica è stato il Concilio Vaticano II ad invitare i fedeli a passare "dall'anatema al dialogo". Soprattutto nella stagione successiva si e' approfondito il dialogo con l'ebraismo, dopo secoli di "insegnamento del disprezzo". Con le sorelle ed i fratelli ebrei, i cristiani non sono semplici parenti alla lontana. L¹ebraismo è "radice santa" del cristianesimo (Rom 11, 16): non possiamo comprenderci senza Israele. Non e' dunque solo questione di correttezza di rapporti: nel dialogo cristiano-ebraico ci giochiamo la nostra stessa identita'. Per questo ad Assisi, come ovunque, i cristiani devono mettersi in ascolto e approfondire la propria fisionomia spirituale "al cospetto d¹Israele". La storia ci mostra la tenace rimozione di questo rapporto da parte dei cristiani, i quali fin da subito si sono sentiti gli eredi unici dell'antica promessa divina. Ma si entra in possesso dell'eredità solo a condizione che il testatario sia morto. E così, da Marcione in poi, lo si e' ucciso disprezzandolo per la "carnalità" dell'interpretazione dei testi biblici, accusandolo di deicidio, forzandolo alla conversione, emarginandolo nei ghetti, uccidendolo nei pogrom, fino allo sterminio pianificato ed eseguito dal regime nazista. Se la Shoa' ha scosso l¹Occidente cristiano ed ha provocato un cambio di atteggiamento nelle chiese, il lavoro per snidare i pregiudizi, per sgombrare il campo dall'armamentario ideologico antigiudaico accumulato in quasi venti secoli e' solo agli inizi. Compito urgente quest'ultimo, per rimettersi in ascolto della Parola di pace tipicamente ebraica. I luoghi comuni sono meccanismi di difesa per non dover piu' ascoltare e convertirsi. Si pensi, a livello biblico, alla contrapposizione (falsa!) tra il Dio guerriero e ambiguo dell'Antico Testamento ed il Dio limpidamente misericordioso del Nuovo Testamento. I cristiani che passano troppo in fretta al Nuovo Testamento, in nome di una sua presunta minore ambiguita' riguardo alla testimonianza resa a Dio, dimenticano facilmente alcune sfaccettature dello Shalom biblico: la concretizzazione tradotta nei vari precetti, compresa la cosiddetta legge del taglione ("occhio per occhio"), sorta per arginare una vendetta infinita; l'utopia profetica di una riconciliazione che permetta la convivenza tra lupo e agnello; la storicità di tutte le Scritture d'Israele: fedeltà ad una storia amata da Dio, nella quale coniugare concretezza ed utopia. Lo Shalom, infatti, in quanto non semplicemente assenza di guerra bensì situazione di pienezza, compimento delle diverse aspirazioni umane, è dono di Dio per i tempi ultimi. Questa tensione escatologica, questo guardare alla storia dal punto di vista della redenzione, ha fatto di Israele un popolo perennemente in esilio, incapace di accontentarsi e di godere di una condizione stabilita. Ma, nell¹attesa dei tempi messianici, Israele, in nome di quella fedeltà alla terra che contraddistingue la sua fede, ricerca instancabilmente realizzazioni parziali di quel progetto di pace. Una pace povera ma necessaria, da rischiare responsabilmente nei conflitti che la storia continuamente propone. La tradizione talmudica (Tora' orale), l'interpretazione esegetica (di cui anche il midrash è parte), sono una preziosa operazione di scavo e di approfondimento dello Shalom biblico promesso da Dio all'umanità, a fronte delle contraddizioni della storia. Si pensi al rapporto tra giustizia e misericordia, entrambi ingredienti fondamentali della pace biblica. Secondo la tradizione d'Israele, Dio non siede immobile su un unico trono. Egli passa continuamente dal trono della giustizia a quello della misericordia. Infatti, se sedesse solo sul primo, tutti sarebbero condannati; se si fermasse solo sul secondo, il mondo sarebbe in preda al caos. Questa tensione tra giustizia e misericordia il Dio biblico la vive fin dalla scena iniziale, quando reagendo al grido di Israele, schiavo in Egitto, interviene a liberarlo con mano potente e braccio teso. Narra la tradizione ebraica che gli angeli, vedendo Israele libero e gli egiziani sommersi dalle acque, avrebbero voluto esultare, intonando un canto a Dio. Ma il Signore disse loro: le opere delle mie mani annegano nel mare, e voi vorreste cantarmi una canzone? (Sanhedrin 39b). Da questi semplici accenni si puo' intuire la ricchezza della riflessione d'Israele, vera e propria civilta' del commento, normalmente scavalcata dalla conoscenza per sentito dire di molti cristiani. Questa operazione di scavo e' tipica non solo dell'Israele antico: giunge fino al presente, nel quale la riflessione ebraica consegna apporti decisivi per una cultura di pace all'altezza delle sfide attuali. I credenti, infatti, non possono limitarsi a ribadire l'annuncio biblico della pace; sono chiamati pure a rendere ragione di una Parola che aggancia i desideri profondi degli esseri umani ma anche li incalza, li mette in discussione. E per rendere ragione di una parola onnicomprensiva come "pace", non e? certo sufficiente la semplice esortazione morale, soprattutto nel clima post-moderno di destituzione delle grandi parole d'ordine. Importante, in questo senso, risulta allora la riflessione tipicamente ebraica di filosofi come Martin Buber ed Emmanuel Levinas, i quali aprono i sentieri impervi del dialogo e dell'ascolto dell'alterita' ad un pensiero occidentale dal volto tendenzialmente totalitario. Quest'ultimo come ha notato Stefano Levi della Torre ha elaborato un pensiero sulla pace intesa come Shalom-completezza, che ha giustificato le varie ideologie della completezza e del compimento, spesso portatrici di guerra. L'integrità, che e' una delle accezioni dello Shalom biblico, si e' prolungata in integralismo! Paradossalmente il famigerato "Dio delle schiere" cioè degli eserciti, ma anche delle schiere angeliche o degli elementi del creato viene rivalutato dall'interpretazione ebraica in quanto Dio del molteplice, capace di tenere assieme le diversità ed operare, in tal modo, la pace! Com'e' noto, l'ebraismo non si riconosce propriamente attorno ad un'ortodossia. L'elemento unificante e' piuttosto nell'ortoprassi, cioe' nell'esecuzione dei precetti. Per cui a livello di riflessione esistono una pluralità di percorsi, tutti facenti parte, a pieno titolo, dell'interpretazione infinita della Parola divina consegnata al popolo dell'alleanza. E tuttavia, nella molteplicita' dei sentieri battuti dal pensiero ebraico, sia religioso che laico, il "dopo Auschwitz" gioca un ruolo di vero e proprio spartiacque. Dopo Auschwitz non e' piu' tollerabile parlare di pace a cuor leggero: li le persone e le idee sono letteralmente andate in fumo. Dopo Auschwitz la pace non percorre piu' i rettilinei creati dalla Provvidenza o ideati dall'astuzia della ragione, bensì i ponti instabili di una storia sempre a rischio e che tale risulta anche per i credenti. Dopo Auschwitz la storia e' costretta a togliersi la maschera ottimistica del continuo progresso maschera imposta dai vincitori di turno, coloro che scrivono la storia e svela il suo volto catastrofico, in attesa di redenzione. Dopo Auschwitz la fede stessa e' chiamata a ripensarsi, in linea peraltro con la tradizionale capacita' ebraica di rinnovamento radicale. E "in nome della pace è lecito cambiare", come ricorda il Talmud. Il "dopo Auschwitz" evoca anche la nascita dello stato d'Israele ed il conflitto col popolo palestinese. In questo contesto, la cui drammaticita' e' di nuovo dinanzi ai nostri occhi, si e' alzata la voce di molti maestri d'Israele ad invitare alla convivenza pacifica tra i due popoli; si e' pure tentato di attuare questo insegnamento di pace, come a Neve' Shalom. Certo, accanto a questi eredi dei profeti, esistono anche coloni che leggono la Bibbia per definire i confini d'Israele: e costoro non sono che una delle molte espressioni dell'integralismo religioso e laico, descritte, per esempio, dallo scrittore Amos Oz nel suo celebre reportage: "In terra d'Israele". Ma le ambiguita' di una tradizione religiosa, gli usi impropri della rivelazione ricevuta, non dovrebbero essere usati per interrompere l'ascolto. Al contrario, nella consapevolezza della trasversalita' del rischio di "nominare invano" il nome divino, di strumentalizzarlo per progetti di guerra e non di pace, ci è richiesto un supplemento di ascolto e di preghiera: "possa Colui che stabilisce la pace nei suoi luoghi eccelsi stabilire la pace su di noi e su tutto Israele. E dite tutti: Amen" (Qaddish). Angelo Reginato Angelo Reginato ha condotto studi di teologia ed e' esperto di ecumenismo. Si interessa inoltre delle problematiche inerenti al dialogo cristiano-ebraico. Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, manda una mail all'indirizzo: viator-buone-notizie-unsubscribe at yahoogroups.comL'utilizzo, da parte tua, di Yahoo! Gruppi è soggetto alle http://it.docs.yahoo.com/info/utos.html
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