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La nonviolenza e' in cammino. 333
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 333
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Jan 2002 08:08:21 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 333 del 5 gennaio 2002 Sommario di questo numero: 1. Emmanuel Levinas, la giustizia 2. Hans Jonas, come agire 3. Paolo Barnard, cinque domande ai signori della guerra 4. Alcuni dati sulle violazioni dei diritti umani in Turchia nel 2001 5. Emilio R. Papa, sul ruolo del pubblico ministero e sui tentativi di asservirlo al potere politico 6. Tiziana Filippi: un libro su Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: LA GIUSTIZIA [Da Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1990, p. 306. Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla più giovane età in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Università di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Guéroult. L' amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanità e d'una nazione cui ci si può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia già cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Léon Brunschvicg. L' avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L' affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell' Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunità di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso -e impietoso- di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all' Università di Poitiers, poi dal 1967 all'Università di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario è una biografia. Essa è dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Lévinas, Signature, in Difficile liberté). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro è di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Lévinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalité et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberté (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu 'être ou au-delà de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient à l'idée (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Città Nuova); Transcendance et intelligibilité (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione è adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Lévinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Lévinas. Une bibliographie première et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verità nomade, Jaka Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Lévinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Lévinas. Soggettività e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Lévinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterità come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernità, Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si può non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Lévinas, Violence et métaphysique, in L'écriture et la différence, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Lévinas, Flammarion; François Poirié, Emmanuel Lévinas, Babel] La giustizia e' un diritto alla parola. 2. MAESTRI. HANS JONAS: COME AGIRE [Da Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1990, 1993, p. 16. Hans Jonas è nato a Mönchengladbach nel 1903, è stato allievo di Heidegger e Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel 1933 si è trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949 ha insegnato in diverse università nordamericane, dedicandosi a studi di filosofia della natura e di filosofia della tecnica. E' uno dei punti di riferimento del dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilità" si ispirano riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarietà, dell'etica contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994; Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e libertà, Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia intellettuale è Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia 1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo, Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova 1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di interviste e conversazioni è Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000. Opere su Hans Jonas: si veda la parte su Jonas in AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996, e la bibliografia critica lì segnalata. Per un profilo sintetico ed una ampia nota bibliografica, cfr. anche Giovanni Fornero, Jonas: la responsabilità verso le generazioni future, nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, volume decimo, Tea, Milano 1996] "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita' futura di tale vita", oppure, semplicemente: "Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell'umanita' sulla terra", o ancora, tradotto nuovamente in positivo: "Includi nella tua scelta attuale l'integrita' futura dell'uomo come oggetto della tua volonta'". 3. RIFLESSIONE. PAOLO BARNARD: CINQUE DOMANDE AI SIGNORI DELLA GUERRA [Paolo Barnard e' giornalista di "Report", Rai 3. Questo intervento abbiamo ripreso dall'ottimo sito pacifista e libertario "Nonluoghi", www.nonluoghi.it] Non mi perdo in preamboli: la nostra Guerra al Terrorismo sembra aver prodotto finora un crimine contro l'umanita' pari a quello perpetrato l'11 Settembre 2001 a New York e a Washington, pari sia per l'assurdita' delle intenzioni che, all'incirca, per il numero di vittime innocenti. Ma la mia opinione vale quel tanto. Cio' che invece vale e' l'obiettivita' dei seguenti punti, ai quali i sostenitori della Guerra al Terrorismo di Bush, Blair e Berlusconi devono dare risposte precise. Ripeto: devono. * Primo punto: quanti civili afghani sono stati uccisi da questa guerra? Infatti ancora non esistono cifre ufficiali sulle vittime innocenti della triade di fuoco americana Cruise-Daisy Cutters-Cluster Bombs, fatta piovere dal cielo sulle distese afghane. Tuttavia un tentativo di raccogliere dati attendibili sui morti civili dei bombardamenti e' stato fatto, e il risultato parla di 3.767 vittime finora ("A Dossier on Civilian Victims of United States' Arial Bombing of Afghanistan", Prof. Marc Herold, Department of Economics, University of New Hampshire, Usa); e' una cifra per difetto, poiche' il Prof. Herold non ha tenuto conto: 1) dei decessi avvenuti in seguito alle ferite riportate; 2) delle morti avvenute fra il 10 dicembre 2001 e oggi; 3) delle morti per fame e gelo a causa dell'interruzione delle forniture umanitarie imposta dai bombardamenti; 4) dei morti fra i contadini in fuga che sono incappati nelle vecchie mine della guerra sovietica o nelle bombette Cluster appena sparse dagli americani attorno ad alcuni villaggi. E non si risponda che si tratta di morti accidentali, poiche' la decisione di bombardare da alte quote e' stata presa a Washington e a Londra con lo scopo preciso di risparmiare le vite dei loro piloti e dei loro marines. Dopo la strage nel villaggio afghano di Chowkar-Karez (93 civili morti) bersagliato da un AC-130 americano, il Pentagono ha commentato nel seguente modo: "Quelli sono morti perche' li volevamo morti" (Pentagon Press Release, October 2001). E se questa dichiarazione puo' sembrare inumana, vale la pena ricordare che il cinismo piu' sconcertante e' la norma a Washington: quando la giornalista americana Lesley Stahl chiese all'allora Segretario di Stato M. Albright se la morte di 500.000 bambini iracheni era un prezzo che Washington poteva moralmente pagare per mantenere le sanzioni contro Saddam Hussein, la Albright rispose: "Dopo tutto, si', ne vale la pena" (CBS, 60 Minutes, 12 maggio 1996). E precisamente le stesse parole erano state usate dal George Bush Senior per commentare i 2.000 civili panamensi uccisi nel patetico tentativo americano di rovesciare Manuel Noriega nel 1989: "Ne e' valsa la pena" (New York Times, 22 dicembre 1989, p. 16). Di nuovo: quanti civili afghani sono stati uccisi da questa guerra? * Secondo punto: quanti morti fra i civili afghani ci saranno? Sto parlando dei futuri morti per freddo, per fame o per malattia in seguito all'interruzione delle forniture umanitarie causata dai bombardamenti, e alla quale la cosiddetta "liberazione" di Kabul ha posto assai pochi rimedi. Sto parlando del pericolo futuro per i civili inermi (soprattutto per le donne) rappresentato dalle bande di assassini, stupratori e coltivatori di oppio che formano larga parte della cosiddetta Alleanza del Nord; e ancora, sto parlando dei futuri morti perche' incappati nelle bombe Cluster o perche' uccisi dalle famigerate mine sovietiche. Ma andiamo con ordine. Christian Aid, una delle piu' stimate ONG del mondo, ha dichiarato che "Dall'11 settembre il nostro lavoro e' stato di fatto bloccato" e "Dal 12 di novembre, data della liberazione di quasi tutto l'Afghanistan, la quantita' di aiuti che ci e' concesso portare e' crollata di piu' della meta', nonostante l'assenza dei Talebani." (Independent on Sunday, 9 dicembre 2001). La giornalista del Sunday Telegraph Christina Lamb ha testimoniato di aver visto in pieno Afghanistan "liberato" gente morire di fame e bambini in fasce succhiare dagli stracci delle loro madri gia' morte di assideramento (Maslakh, provincia di Herat, il 9 dicembre 2001). Il responsabile degli aiuti dell'ONU, Kenzo Oshima, ha dichiarato: "Ci saranno molti decessi di civili nelle prossime settimane se la situazione di anarchia e violenza nell'Afghanistan liberato non cessera'" (Conferenza di Berlino, dicembre 2001). Norah Niland, dell'Uffico di Coordinamento dell'ONU a Kabul ha detto: "I dissensi e la violenza fra le fazioni vittoriose hanno drasticamente ridotto la nostra capacita' di prevenire sul terreno i disastri dell'inverno imminente" (The Independent, 9 dicembre 2001). Oxfam, un'altra autorevole ONG internazionale, ha semplicemente commentato: "Stiamo lavorando sull'orlo del precipizio" (The Guardian, 22 novembre 2001). E ora passo alla facile previsione di quanti afghani e (soprattutto) afghane verranno uccisi dalla violenza endemica dei "nostri amici" dell'Alleanza del Nord, che, ricordiamolo, fuggirono da Kabul nel 1996 inseguiti dai Talebani, lasciandosi alle spalle 50.000 morti in soli 4 anni di governo ("Afghanistan, making human rights the agenda", Amnesty International, Londra 13/11/2001). RAWA, l'associazione rivoluzionaria delle donne afghane che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori sia dei Talebani che dei loro predecessori, ha scritto: "La nostra gente non ha dimenticato gli orribili anni di terrorismo e oscenita' per mano dei Jehadis (l'Alleanza del Nord). Sono degli assassini." (RAWA Statement, 11/10/2001). Queste parole hanno fondamento, e infatti il giornalista e storico inglese Robert Fisk scrive: "Rasoul Sayaf, oggi uno dei capi dell'Alleanza del Nord, gestiva sia un centro di tortura per afghani sciiti che una tratta di schiave del sesso per i suoi soldati (ZNet, 11/10/2001). In un recente scritto Rasil Basu, che fu consulente del governo afghano per conto del Programma di Sviluppo dell'ONU, ci ha rinfrescato la memoria su chi veramente siano i "nostri amici" dell'Alleanza del Nord, i "liberatori" oggi al governo a Kabul grazie soprattutto alle nostre bombe. Scrive Basu: "Usavano violentare e torturare le donne come arma di controllo sulla popolazione civile, e l'impunita' per le loro truppe era totale... Il terrore degli stupri spinse molte donne al suicidio, e alcuni padri uccisero le figlie per evitare quell'onta... Gia' nel 1994 (con l'Alleanza del Nord al governo) la Suprema Corte di Kabul ordinava alle donne afghane l'uso del velo su tutto il corpo e proibiva loro di uscire di casa, e questo perche' erano considerate sediziose" ("The Rape of Afghanistan", 31/12/2001, ZNet). Non puo' mancare in conclusione l'autorevole intervento di Amnesty International, per voce del suo Segretario Generale Irene Khan: "La popolazione afghana e' oggi alla merce' di gruppi armati responsabili di orrendi crimini contro i diritti dell'uomo" ("Afghanistan, making human rights the agenda" Londra 13/11/2001). Infine il pericolo ordigni abbandonati. Le bombe Cluster, lanciate dagli USA sull'Afghanistan, esplodono spargendo a pioggia centinaia di bombette micidiali. Mark Hiznay, ricercatore di Human Rights Watch di New York, ha lanciato un allarme: "Per le circa 5.000 bombette inesplose (ma potrebbero essere addirittura 70.000) sparse sul terreno afghano, che rimarranno una minaccia per anni. Esse sono il risultato dell'uso americano di 350 bombe Cluster, ciascuna contenente 202 bombette che possono esplodere al solo tatto" (HRW press release 17/11/2001). Il fatto sconcertante e' anche che queste micidiali bombette "sono quasi identiche per forma e colore alle razioni alimentari che gli USA hanno fatto piovere dal cielo" (The Independent, 17/11/2001), per cui si immagina la tragica ironia della storia. Di nuovo: quanti morti fra i civili afghani ci saranno? * Terzo punto: e' stato sconfitto, o almeno minato, il terrorismo islamico? All'indomani delle stragi dell'11 settembre di New York e Washington, il presidente Bush dichiarava: "Dobbiamo catturare i malvagi esecutori di questo vile atto e dobbiamo trascinarli davanti alla giustizia". Partiva dunque il bombardamento anglo-americano sull'Afghanistan. Il 19 dicembre scorso, dopo tre mesi di guerra, miliardi di dollari spesi e migliaia di morti in Afghanistan, il ministro della difesa statunitense, Donald Rumsfeld dichiarava: "Ci aspettiamo altri attacchi terroristici devastanti, anche su Londra" (Guardian Special Reports, 20/12/2001). Bel risultato. Fin dalle prime ore dopo quel terribile 11 settembre abbiamo saputo che i piu' spietati e determinati terroristi islamici della storia moderna erano quasi tutti sauditi e di classe media, mentre il responsabile della giustizia Usa John Ashcroft ci confermava che l'operazione era stata pianificata in Germania. Per la maggior parte sono sauditi anche i terroristi islamici che infestano Luxor, in Egitto, e saudita e' lo studio legale che li difende ("Beirut to Bosnia", Channel 4, 1993, GB). Di origine saudita e' anche il tipo di purismo islamico che ha ispirato i Talebani: si chiama wahhabismo ("War Against the Planet", Vijay Prashad, Trinity College Hartford, 9/2001). Saudita e' stato anche il grande sponsor dei Talebani protettori di Bin Laden: si chiama principe Turki bin Feisal al-Saud, ex capo dei servizi segreti di re Fahd ("Taliban", Ahmed Rashid, 2001). E ancora. Nel 1994 Mohammed al-Khilewi, un diplomatico Saudita presso l'ONU, chiese asilo politico negli Usa; con se' portava documenti riservati con le prove dei finanziamenti sauditi a vari gruppi terroristici islamici, fra cui Hamas. Al-Khilewi incontro' gli agenti dell'FBI poco dopo, e piazzo' i documenti sul tavolo, ma gli agenti si rifiutarono di prenderli ("King's ransom", Seymour Hersh, The New Yorker, 22/10/2001). Nel 1996 l'FBI dovette archiviare una indagine sulla World Assembly of Muslim Youth, una organizzazione presieduta da Abdullah bin Laden, fratello di Osama, e sospettata di terrorismo. L'ordine di archiviare venne dall'alto perche' "bisognava evitare di coinvolgere la famiglia reale saudita e di indagare le connessioni fra i sauditi e l'acquisizione di tecnologia nucleare da parte del Pakistan" (The Guardian, 7/11/2001). Questo per dire che solo un gonzo puo' credere che bombardando i piu' disastrati Paesi del terzo mondo, ma lasciando intatti i grandi sponsor del terrore, si potra' mai sconfiggere il terrorismo. Gli interessi in gioco sono altri, e' evidente, e certamente non sono la nostra sicurezza come cittadini ne', come si e' visto, quella dei diseredati del sud del pianeta, che sotto le bombe ci muoiono. Infine, e non volendo trattare qui le cause del profondo risentimento del mondo islamico verso la triade Usa-GB-Israele, la vicenda di Richard Reid, l'inglese che voleva massacrare 196 passeggeri sul volo AA 63 con una bomba nelle scarpe, dimostra che gli addentellati del terrore islamico sono sparsi come polvere in milioni di microcellule in tutto il mondo, occidentale e non, e prova soprattutto che l'idea di risolvere il problema con la guerra e con i B-52 e' ridicola e non merita considerazione. Solo opposizione. Di nuovo: e' questa la vera lotta al terrorismo? * Quarto punto: quali dubbie cambiali politico-economiche sono state firmate dall'Occidente per ottenere consenso internazionale a questa azione bellica? Eccone una lista che credo si commenti da sola: 1) All'Iran: fornitura di Jeep e binocoli notturni dalla GB - promessa di cancellazione della richiesta danni per 10 miliardi di dollari come risarcimento agli ostaggi Usa del 1979. 2) Alla Siria: nonostante sia classificato come Stato Terrorista, e' stato ammesso da poco al Consiglio di Sicurezza dell'Onu come membro temporaneo, e gli Usa non hanno posto il veto. 3) All'Egitto: promessi 26 sistemi missilistici, il Congresso Usa era contrario prima dell'11 Settembre. 4) All'Oman: 12 caccia F-16C, sistemi di guida missili al laser, missili aria-aria, missili Harpoon per la marina militare e radar. 5) Al Pakistan: promessa la cancellazione delle sanzioni, ristrutturazione dei prestiti del FMI, piu' altri prestiti, aiuti militari approvati dal Senato Usa per la lotta al terrorismo, concessioni commerciali della Commissione Europea per un valore di 1,4 miliardi di dollari. 6) Alla Russia: carta bianca in Cecenia e nelle repubbliche musulmane ex sovietiche. 7) Alla Cina: promessa di sbloccare la vendita americana a Pechino di pezzi di ricambio per gli elicotteri Black Hawk, interrotta dopo la repressione di Tiananmen. 8) Uzbekistan: rinvigoriti i rapporti fra Bush e il presidente uzbeko Karimov (che tiene in galera 7.000 dissidenti politici), per facilitare il progetto dell'oleo-gasdotto attraverso l'Afghanistan tanto caro alla californiana Unocal. 9) Alla Turchia: promessi prestiti dal FMI e dalla BM per 1,7 miliardi di dollari. 10) Alla Malesia: dalla GB promessi sistemi militari di spionaggio contro i dissidenti malesi in cambio di intelligence su al-Qaeda (Jamie Wilson, Suzanne Goldenberg, Jonathan Steele, The Guardian, 20/10/2001). Da sottolineare che tutti gli Stati sopraccitati si macchiano da anni di efferati abusi dei piu' elementari diritti umani (Amnesty International, Rapporto 2000). Ancora: come puo' questo mercato di biechi interessi contribuire alla stabilita' mondiale? * Quinto e ultimo punto: quali conseguenze avra' questa guerra (con il precedente che ha creato) sul fragilissimo (ma preziosissimo) impianto della legalita' internazionale? La Guerra al Terrorismo porta il sigillo di due risoluzioni ONU: la 1368 (Condanna degli attacchi sugli Usa, 12/9/2001) e la 1373 (Contro il terrorismo con ogni mezzo, 28/9/2001). Nessuna delle due pero' sembra autorizzare quanto e' accaduto in Afghanistan. Specificamente gli articoli 2 (4) e 51 della Carta delle Nazioni Unite non prevedono cio' che invece e' stato fatto dagli Usa e dai loro alleati (Michael Ratner, Center for Constitutional Rights, New York, 10/10/2001). La guerra avrebbe anche violato l'art. 48 della Convenzione di Ginevra (A. J. Chien, Institute for Social Justice, 12/10/2001). Ma c'e' di piu'. La tracotanza dell'azione militare alleata, che ha ignorato ogni sorta di legalita' in Afghanistan, rischia di bruciare sul nascere gli storici, seppur incerti, passi avanti della fondamentale legalita' internazionale. Ci si chiede infatti: con quali mezzi la Corte Mondiale potra' nuovamente sfidare i potenti del mondo, come accaduto quando il Nicaragua ha chiesto e ottenuto la condanna degli Stati Uniti per "complicita' nel terrorismo" assassino dei Contras (John Pilger, The New Statesman, 26/11/2001). Come potranno i giudici belgi chiamare a processo Ariel Sharon, premier israeliano, accusato di crimini di guerra per la sua complicita' nella strage di 2.000 palestinesi a Sabra e Chatila (Libano) nel 1982. Il Belgio e' oggi l'unica nazione al mondo che ha dato ai propri tribunali giurisdizione sui criminali di guerra di tutto il mondo, indipendentemente da dove si trovano. Washington concedera' l'estradizione di John Negroponte, attuale Ambasciatore Usa all'ONU, sospettato di aver coordinato per anni gli squadroni della morte del Centro America dalla sua sede diplomatica in Honduras (Noam Chomsky, Composite Interview, 21/09/2001)? Verrebbe concessa l'estradizione di Orlando Bosch, l'estremista di destra cubano implicato nell'abbattimento di un aereo di linea cubano sopra le Barbados nel 1976, con la morte di decine di innocenti ("Consistently Inconsistent", Tim Wise, ZNet, 15/11/2001)? L'opinione pubblica occidentale si sta rendendo conto che Bush e Blair e altri leader, nel nome della Guerra al Terrorismo, stanno cancellando alcuni essenziali caposaldi dei diritti civili? Sapete per esempio che Katie Sierra, una quindicenne della Virginia (Usa), dovra' comparire di fronte alla Suprema Corte dello Stato per aver espresso a scuola la sua indignazione contro il bombardamento americano in Afghanistan? A. J. Brown, 19 anni e studentessa della North Carolina, e' stata agli arresti domiciliari per "possesso di materiale anti-americano", e cioe' per aver appeso in camera un poster contro Bush e la pena di morte. Caccia alle streghe? Neil Goffrey, 22 anni di Filadelfia, e' stato arrestato all'aeroporto perche' possedeva un romanzo di un autore anarchico (The Guardian, Special Report, 26/12/2001). I tribunali militari speciali americani, illegali perche' voluti da Bush il 13 novembre senza prima ottenere dal Congresso una formale dichiarazione di entrata in guerra (American Civil Liberties Union, 29/12/2001) potranno processare i sospetti terroristi sulla base di prove circostanziali o di semplici "sentito dire" (The Independent, 29/12/2001). La Repubblica Ceca ha promulgato una legge che consente l'arresto di chiunque esprima approvazione per gli attacchi dell'11 settembre, e il giornalista Tomas Pecina del Britske Listy di Praga e' stato arrestato per aver criticato la legge in questione (The Guardian, 26/12/2001). Ancora, Alina Lebedeva, di 16 anni: e' stata arrestata e incriminata in Latvia per aver schiaffeggiato con un fiore il Principe Carlo d'Inghilterra durante una sua visita al Paese. Alina protestava contro la guerra e contro la Nato. E' un'adolescente che rischia oggi 15 anni di galera. Infine c'e' la Gran Bretagna, che dopo l'11 settembre ha riproposto la carcerazione preventiva illimitata per i sospettati di terrorismo (Internment Without Trial), una misura di sicurezza abietta e gia' fallita nell'Irlanda del Nord, dove non produsse un singolo arresto di rilievo ma solo infiniti errori giudiziari. Poche parole per concludere. I sostenitori della Guerra al Terrorismo devono rispondere a questi punti. Il silenzio o risposte incomplete appartengono alla sfera della disonesta' morale, o peggio. 4. MATERIALI. ALCUNI DATI SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN TURCHIA NEL 2001 [Questi dati abbiamo ripreso da "Newroz 2002", n. 1 del 4 gennaio 2002, notiziario a cura dell'associazione "Azad", redazione c/o Villaggio globale, ex-mattatoio, Lungotevere Testaccio snc, 00154 Roma, tel 0657302933, 3396504639, 3333510598, fax/segr. 0657305132, e-mail: ass.azad at libero.it] * Atti di repressione: Omicidi per mano ignota: 12 Bilancio di esplosione di mine: 16 morti, 21 feriti Omicidi extragiudiziali e uccisioni per mancato rispetto dell'ordine di fermarsi: 37 Morti in combattimento: 86 Operazioni rivolte contro la popolazione civile: 42 morti, 68 feriti Arrestati di cui non si hanno notizie, da presumere "desaparecidos": 4 Casi di tortura o trattamenti inumani conosciuti e/o denunciati: 832 Persone tratte in arresto (per motivi politici): 55.389 Persone incarcerate (per motivi politici): 3.224 Feriti in seguito a interventi contro manifestazioni: 269 Morti e feriti in seguito ad attacchi delle forze di sicurezza: 17 morti e 21 feriti Persone obbligate con minacce a prestarsi a collaborare: 44 Casi di lesioni fisiche in seguito ad assalti (delle forze di sicurezza): 129 Esiti di bombardamenti o incendi di centri abitati: 64 localita', 11 morti, 21 feriti Villaggi e centri abitati forzosamente evacuati: 2 * Violazioni nel sistema penitenziario: Persone ferite o violentate nel corso di attacchi (delle forze di sicurezza): 55 Detenuti ai quali e' stata negato o impedito un trattamento terapeutico: 275 Persone morte in seguito a sciopero della fame: 40 Detenuti morti per suicidio con il fuoco: 6 Detenuti morti in seguito a mancato trattamento terapeutico: 2 Altri detenuti morti in seguito a presunto suicidio: 7 * Violazioni dei diritti del lavoro: Licenziamenti illegittimi per motivi politici o economici: 58.669 Lavoratori colpiti da trasferimenti, sospensioni, allontanamenti, sanzioni amministrative: 1.944 Ricorsi giudiziari contro provvedimenti illegittimi: 9.757 Incidenti sul lavoro: 45 morti, 41 feriti * Violazioni della liberta' di pensiero, espresione, organizzazione ed opinione: Chiusure di sedi associative e politiche, centri culturali e organi di stampa: 114 Incursioni in sedi associative e politiche, centri culturali e organi di stampa: 196 Organi di stampa sequestrati e/o vietati: 245 Iniziative o attivita' vietate: 38 Funzionari pubblici rimossi o sottoposti a divieti per motivi di opinione: 162 Pene richieste per reati di opinione: 1.921 casi, 3.758 anni e 2 mesi di prigione Pene irrogate per reati di opinione: 66 casi, 132 anni e 6 mesi di prigione, pene pecuniarie per 42.500.000.000 lire turche "Prigionieri di coscienza" detenuti per reati di opinione: 93 Sospensione di trasmissioni radiotelevisive (da 1 giorno a 180 giorni): complessivamente 94 mesi (2.836 giorni) Spettacoli teatrali e film vietati: 6 Partiti politici messi al bando: 1 (Partito della Virtu') Presidenti provinciali e distrettuali del partito Hadep arrestati: 30 Presidenti provinciali e distrettuali del partito Hadep incarcerati: 9 Dirigenti provinciali, distrettuali e cittadini dell'Hadep arrestati: 182 Dirigenti provinciali, distrettuali e cittadini dell'Hadep incarcerati: 93 Membri del partito Hadep arrestati: 1.303 Membri del partito Hadep incarcerati: 28 Dirigenti provinciali del partito Hadep scomparsi: 2 Dirigenti provinciali del partito Hadep aggrediti: 1 Dirigenti provinciali del partito Hadep minacciati: 3 Sindaci eletti nelle liste dell'Hadep rimossi dall'incarico: 2 Membri del partito Sip arrestati a causa delle loro attivita': 50 circa Membri e dirigenti del partito Emep arrestati a causa delle loro attivita': 40 * Inoltre: a. e' stato aperto un procedimento penale in base all'art.8 della Legge antiterrorismo contro il presidente del partito Odp (Partito della Democrazia e della Pace), perquisita la sua sede provinciale di Diyarbakir e impedito un convegno sulla Costituzione turca b. un altro partito e' in procinto di essere chiuso solo a causa della presenza nel suo nome del termine "comunista" * Esuli e profughi: secondo statistiche ufficiali solo nell'anno 2001 sono stati 12.800 i cittadini turchi costretti a riparare all'estero. 5. RIFLESSIONE. EMILIO R. PAPA: SUL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO E SUI TENTATIVI DI ASSERVIRLO AL POTERE POLITICO [Emilio R. Papa e' professore di storia del diritto medievale e moderno alla facolta' di economia dell'universita' di Bergamo. Questo intervento e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio] Dalle anticipazioni di un ampio piano governativo di riforma giudiziaria e' dato intendere che l'asse di rotazione di siffatto progetto e' l'istituto del Pubblico Ministero. Purtroppo, non mi par proprio possibile poter cogliere nell'impegno dei riformatori una sollecitudine motivata dalla situazione senz'altro non brillante del funzionamento della giustizia nel nostro paese. Il significato dell'impresa si colloca in effetti nella ventilata bipartizione delle carriere in magistratura. Nel contesto di un piano complessivo nel quale cio' che conta e' ridurre poteri e funzioni dei magistrati (soprattutto di quelli piu' scomodi, del ramo inquirente: del Pubblico ministero per l'appunto). Rileggevo in questi giorni alcune pagine di Alessandro Galante Garrone, di un suo manuale di educazione civica, uscito negli anni cinquanta. Presentando la figura del magistrato fra politica e societa' civile, nella storia europea dell'otto-novecento ed in particolare italiana, Galante Garrone la porgeva, con alta levatura di storico e di giurista, in un intreccio di pressioni e di interferenze dalle quali alfine il nostro paese uscito dallo spirito rigeneratore della Resistenza, pareva averla tratta a riva. E m'e' venuto fatto di pensare alle polemiche di questi giorni: ricorrenze non poco inquietanti mi hanno ricondotto quale studioso di storia delle istituzioni sulla traccia di non piacevoli evocazioni. Tirare sul Pubblico ministero nella storia della nostra civilta' giudiziaria e' un esercizio non nuovo. Ed appare tuttora gratificante. Da sempre il Pm e' la testa di turco di tutte le polemiche nel campo del difficile rapporto fra magistratura e politica. Vale a dire, fra i due poli entro i quali si misura il livello civile e di sviluppo democratico di uno stato di diritto. E' una problematica questa, alla quale nella seconda meta' dell'800 all'epoca del cosiddetto stato liberale, dedico' un libro di coraggiosa denunzia Francesco Saverio Merlino, avvocato napoletano, ideologo del socialismo libertario, un giurista che fu implacabile accusatore dell'asservimento del sistema giudiziario italiano al potere esecutivo. E indico' in quale contesto di fondo il Pm fungeva da strumento della volonta' politica del governo rivelandosi prezioso: per la diligenza con la quale in certi casi esercitava l'azione penale, o per la diligenza con la quale, in certi casi, non la esercitava affatto. Posti "sotto la direzione del ministro della giustizia", i membri dell'ufficio del Pm non godevano di quel tanto di guarentigie che lo statuto Albertino pur accordava ai magistrati giudicanti (limitatamente ad una inamovibilita' ch'era peraltro divenuta ben presto oggetto di interpretazione restrittiva), e potevano essere dal ministro censurati, ammoniti, sospesi, destituiti, per quanto a questi ed ai suoi collaboratori non piacesse del loro modo di svolgere le indagini. L'esecutivo, il governo, era il potere forte, il potere vero, ed il potere giudiziario finiva con l'esserne un complemento. Il Pm, la carriera del quale era nelle mani dei politici (dai notabili locali al ministro) divenne il bersaglio di quanti della non indipendenza della magistratura si dolevano. Il Pm era superiore gerarchico del pretore, dirigeva la polizia giudiziaria, esercitava l'azione penale. Era dunque uno strumento importante, in una logica nella quale il governo nominava i capi degli uffici giudiziari, e fruiva - per una direzione anche mediata del corpo giudiziario - della organizzazione di tipo gerarchico della magistratura. Una organizzazione giustificata con motivazioni di tipo meritocratico (come attualmente - e' un caso? - da parte dei fautori di un liberale ritorno all'antico in tema di poteri dell'ordine giudiziario, a dispetto della lezione di un liberale quale Luigi Einaudi: "dare indipendenza alla magistratura e' abolire assolutamente ogni carriera nella magistratura stessa. Questa - egli scriveva - e' la prima fondamentale esigenza della nuova vita nazionale"). Non erano vicende italiane soltanto, quelle contro le quali si rivolgeva la coraggiosa polemica di F. S. Merlino. Nell'ottica degli stati nazionali europei dell'800, che erano di sedicente riferimento liberale, di quello francese in particolare, il Pm, in una sua ibrida natura di organo intermedio fra il potere politico e il potere giudiziario ("organo amministrativo" e non "organo della giurisdizione", lo voleva la dottrina ufficiale) divenne senz'altro "il rappresentante del potere esecutivo presso l'autorita' giudiziaria" (secondo l'art. 77 dell'ordinamento giudiziario italiano del 1923, che ricalcava in pieno l'art. 129 dell'ordinamento giudiziario del 1865, ch'era nato a sua volta in piena rifrazione del sistema giudiziario francese). In Francia, il ruolo servile del Pm veniva sovente irriso dalla stampa, e ad esso dedico' una sua esilarante piece ("Un client serieux") Georges Courteline: servo di tutti coloro che contano il Pm, meno che della giustizia. Quando venne l'ora del fascismo, il Pm divenne una cerniera del regime sull'apparato giudiziario, e venne accentuato il peso della sua subordinazione al governo. Ma furono tempi nei quali tirare sul Pm non incanto' piu' di tanto. Critiche e critici... venivano rispettivamente vietate e messi a tacere. Lo statalismo autoritario confondeva stato e governo, politica e giustizia, in un unico abbraccio accentratore, e la dottrina giuridica ufficiale... si uniformo'. Con la costituzione repubblicana il cambiamento. Il Pm (dal rdl del '46 posto non piu' sotto la "direzione", ma sotto la semplice "vigilanza" del guardasigilli) diviene organo giudiziario, avente come tale l'obbligo di esercitare l'azione penale, al di fuori di ogni discrezionalita'; viene inoltre equiparato alla magistratura giudicante quanto ad autonomia e indipendenza "da ogni altro potere", ed e' il rappresentante della pretesa punitiva dello stato nei confronti di chi viola la legge. L'ultimo comma dell'art. 107 della Costituzione, precisa tuttavia ch'egli "gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario". La specifica attribuzione di garanzie contemplate da leggi ordinarie - e dunque, piu' facilmente modificabili - anziche' da norme costituzionali, fu lo scotto che si pago' al termine di un non facile dibattito (nel quale a sostegno della tesi del Pm-organo dell'esecutivo si distinse Giovanni Leone). Tanto non valse e non vale tuttavia a contraddire la chiara enunciazione costituzionale che ha proclamato il Pm organo giudiziario autonomo e indipendente. Tornando al Pm "testa di turco": chi tira sul Pm oggi? Tira sul Pm chi parte esattamente da una prospettiva ideale opposta rispetto ai protagonisti della ricordata querelle ottocentesca, contraria alla soggezione del Pm all'esecutivo. Tira sul Pm oggi chi non trova comodo che questi sia stato affrancato nel corso storico dal suo abito servile d'antan, e che possa far valere le ragioni della legge a 360 gradi, contro chiunque la violi la legge. E chiede: - carriere separate fra Pm e magistrati giudicanti (che servano nuove norme per regolare il passaggio ed il ritorno dall'una all'altra funzione - e non carriera - all'interno del corpo giudiziario, e' senz'altro un problema da affrontare, ma cio' non significa dare il via ad una sottrazione di garanzie costituzionali nei confronti di chi esercita la prima delle due predette funzioni; valga fra l'altro considerare che i giudicanti valutano nel giudizio persone e comportamenti in ordine ai quali e' il Pm ad aver esercitato l'azione penale, e pertanto, limiti e scelte eventualmente imposti a quest'ultimo, condizionano pesantemente l'opera dei giudicanti). - due Csm, uno per i giudicanti e l'altro per i Pm (simile ghettizzazione del Pm mentre contraddice la formulazione costituzionale del Csm, porterebbe, fatalmente, ad una discriminazione sul piano delle garanzie: significherebbe distinguere fra due tipi di magistrato: uno, giudicante, che si finge volerlo autonomo e indipendente (ma che tale non puo' essere se non fruisce del libero concorso dell'altro), e l'altro, inquirente, che autonomo e indipendente non lo e' al punto da venir significativamente riferito ad un diversificato organismo di autotutela (una sorta di Csm di serie B). Se si vuole affermare che e' giusto che i giudicanti dipendano soltanto dalla legge, mentre l'istituto del Pm vale soltanto a una politica di mera attuazione dell'ordinamento, si percorre una strada pericolosa, e si finisce coll'incidere la pelle della liberta'. La crisi della prima repubblica, una crisi politica di fondo, ha a volte portato la magistratura ad assumere un ruolo "di supplenza", e non sono mancati fenomeni di protagonismo e di anche spettacolare invadenza, non fronteggiati dall'indebolito prestigio dell'esecutivo. Ma non sono mancati esempi di insegnamento civile, di professionale equilibrio (e di sacrificio) offerti da tanti magistrati. Ricondurre il potere giudiziario fuori dal campo di improprie attese, e' cosa per certo auspicabile, ma non per costringerlo in un raggio d'azione controllato, al fine di garantire immunita' e via libera a interessi del potere politico ed economico dominante (non incline per sua rivelata natura al vaglio della liceita' nel segno del pubblico interesse). Si e' chiesto troppo alla magistratura nell'immaginario popolare, negli anni di tangentopoli. All'immagine semplicistica del giudice vindice, ad una folata di totalizzante giustizialismo, e' poi seguita una fatalistica indifferenza. Ha scritto un grande processualista, Salvatore Satta: "ci sono dei momenti nella storia e nella vita dei popoli nei quali non si chiede nulla al giudice. Dei momenti in cui gli si chiede tutto, e si attende da lui la salvezza della societa'. Sono questi i momenti meno felici di un popolo, perche' segnano la sua decadenza, il venir meno dei valori fondamentali che da soli non riusciamo a conservare... Chiediamo al giudice quello che egli non puo' dare... con l'unico risultato di mettere in crisi venerande istituzioni". E venerandi principi. Ma c'e' una distinzione da compiere sul piano storico, in ordine al rapporto fra potere giudiziario e collettivita', e popolo. Voler chiedere e non dover chiedere al giudice (perche' la domanda si porrebbe al di fuori del potere giurisdizionale di questi), e' fenomeno significativo di una insoddisfatta esigenza morale in particolari contesti di partecipazione popolare alla vita politico-istituzionale; e mortifica risorse e valori i quali attengono non al retto funzionamento della giustizia, ma al processo di formazione e di scelta della classe politica. Voler chiedere, e non poter chiedere al giudice quanto e' invece legittimo chiedergli (perche' rientra o dovrebbe rientrare nel suo potere giurisdizionale) significa, ce lo spiega la storia, avere giudici (e leggi) di regime. 6. RIFLESSIONE. TIZIANA FILIPPI: UN LIBRO SU HANNAH ARENDT, SIMONE WEIL, EDITH STEIN E MARIA ZAMBRANO [Questo articolo e' apparso sul "Corriere del Ticino" del 28 novembre 2001, noi lo abbiamo trovato segnalato nel sito della "Libreria delle donne" di Milano e lo riprendiamo dal sito del "Corriere del Ticino", www.cdt.ch] Nel 1954 Hannah Arendt, denunciando la crisi della morale contemporanea, scriveva all'amica Mary McCarthy che era andata perduta "la fiducia nel fondamento sensoriale del buon senso o senso comune". Questa e' una tra le tante tematiche che sono state affrontate nell'ambito di un interessante ciclo di conferenze, tenutesi nel febbraio del 2000 presso la biblioteca del Comune di Arcore, volte a profilare lo stile di pensiero di alcune delle piu' importanti pensatrici del '900: Arendt, Weil, Stein, Zambrano. Recentemente la Tre Lune edizioni ha pubblicato questi interventi in un volume dal titolo Filosofia Ritratti Corrispondenze, affidandone l'introduzione e la cura a una giovane studiosa, Francesca De Vecchi, che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l'Universita' di Ginevra. Senza alcuna pretesa di esaustivita', questi saggi ci presentano dei veri e propri ritratti che tratteggiano la riflessione di queste filosofe. E in questo senso sono una bella occasione per chi, non conoscendone il pensiero vorrebbe avvicinarvisi. D'altra parte in ogni incontro le relatrici hanno impostato la loro analisi sulla base di testi tutti tradotti solo recentemente in italiano, fornendo preziosi elementi di approfondimento per chi invece gia' le conosce. * La morale di Hannah Arendt Cosi' Laura Boella, che insegna filosofia morale all'Universita' Statale di Milano, ha dato una esemplificazione del pensiero di Hannah Arendt parlando del suo carteggio con l'amica Mary McCarthy (Sellerio, 1999). Il carteggio con l'amica americana e' significativo in relazione all'impossibilita' per la Arendt di formulare una dottrina di morale politica dopo Auschwitz, che ha rivelato il crollo dei valori morali e religiosi. Il problema e' quello che conosciamo come la banalita' del male, incarnata nel nazista Eichmann: poverta' di esperienza, vuoto di emozioni e di pensiero, una vita interiore e delle azioni codificate da ordini e norme. Il totalitarismo, in tutte le sue forme, per la Arendt ha tragicamente messo in luce la fragilita' delle categorie morali della tradizione, ha fatto emergere l'adesione ipocrita di donne e uomini europei a codici morali di riferimento dati per ovvi e acquisiti. La questione morale nuova posta dal totalitarismo e' sintetizzabile nel comportamento degli amici che si sono uniformati all'opinione della maggioranza, che si sono messi al passo con il regime nazista. L'esperienza di scacco di valori e di credenze dati per consolidati si presenta come un problema di vuoto di relazione tra le persone, indicato nel momento in cui uno o una decide di allinearsi, rinunciando alla propria autonomia di giudizio, alla propria dignita'. L'impossibilita' per la Arendt della rifondazione di un sistema di valori non significa che la morale non possa far parte dell'esperienza umana, tutt'altro. Ma e' proprio nella poverta' dell'esperienza degli uomini e delle donne contemporanei che si radica l'assenza della morale: quello che va riattivato non e' dunque un sistema di valori, ma la capacita' di ciascun essere umano di distinguere il bene dal male, il bello dal brutto, il vero dal falso. Su questo problema la Arendt dirigera' la propria attenzione nella sua opera postuma La vita della mente, curata dall'amica Mary McCarthy , continuando cosi' fino alla fine della sua vita a interrogarsi su come liberare lo spazio per una moralita' vissuta in prima persona, nella forma di relazioni concrete che ci facciano accedere alla realta', e che impediscano l'annichilimento del pensare. Le idee della Arendt su queste questioni si erano formate anche nella sua esperienza di amicizia con la scrittrice Mary McCarthy. Il loro carteggio che va dal 1949 al 1975 e' in primo luogo la preziosa testimonianza di una profonda relazione d'amicizia tra due donne, fatta di valori vissuti e sperimentati in prima persona che sostituiscono per cosi' dire i trattati di morale, ormai impossibili da scrivere. Nel loro dialogo epistolare le due amiche riflettono criticamente su alcuni fatti di cronaca mettendo a fuoco il grande tema della banalita' del male: similmente ad Eichmann, tendenzialmente nessuno vorrebbe ammettere la possibilita' di agire moralmente, e tutti preferiremmo scaricare la responsabilita' delle nostre azioni malvagie su altri o altro. Per le due amiche la condotta morale e' una questione di rispetto nella relazione con se stessi e con gli altri, vale a dire che la deresponsabilizzazione si puo' correggere solo con un gesto di orgoglio. * La relazione magistrale di Simone Weil Nell'intervento su Simone Weil Maria Concetta Sala, che dell'autrice prescelta ha curato parecchie opere nell'edizione italiana, si e' occupata delle Lezioni di filosofia (Adelphi,1999) che sono gli appunti presi da un'allieva durante le lezioni della Weil, insegnante a Roanne nel '33-'34, e della raccolta Piccola cara. Lettere alle allieve (Marietti, 1998). In esse troviamo anticipate alcune questioni che impegneranno Simone Weil nelle opere successive e ne orienteranno l'azione (in particolare il linguaggio come strumento di ri-creazione del mondo e di scambio tra esseri umani, il rapporto tra teoria e pratica, l'azione metodica). Esse ci offrono anche una spaccato sulla qualita' della relazione magistrale intessuta dalla Weil con le sue allieve: una relazione costruita sul rigore, la liberta', la fiducia e il rispetto reciproci. Anche sulla gioia perche' per la Weil - che non aveva alcuna fiducia negli espedienti pedagogici - il pensiero umano e l'intelligenza si nutrono sostanzialmente di gioia. E perche', dice la Weil con parole attualissime, chi insegna possa avvertire e mettere in atto a sua volta la gioia dell'insegnare, occorre che abbia sentito e senta la gioia dell'apprendere, dell'esplorare, del "rischiarare" sotto la spinta del desiderio. L'impegno di Simone Weil andava nel senso di rendere capaci le sue allieve di ritrarsi da se' per poter esercitare la facolta' di attenzione all'altro da se', agli esseri umani e alle cose che ci circondano, in modo da comprendere il mondo nel quale siamo stati gettati e amarlo. * L'"inattenzione" di Edith Stein L'attenzione e' al centro della riflessione anche di un' altra grande filosofa: Edith Stein, che, come e' noto, di famiglia ebraica si era convertita al cattolicesimo, facendosi carmelitana per poi morire ad Auschwitz nel '42. Nel suo contributo Roberta de Monticelli, che insegna filosofia moderna e contemporanea all'Universita' di Ginevra, ne introduce il pensiero mettendo in evidenza il contributo notevole e innovativo che la Stein, in particolare nella sua Introduzione alla filosofia (Citta' Nuova, 1998), ha apportato alla filosofia fenomenologica. Edith Stein formula una teoria dell'inattenzione che mostra quanto noi esseri umani non siamo mai veramente attenti alla realta' nella sua individualita' e nelle sue esigenze, poiche' cio' non e' necessario alla nostra sopravvivenza e neppure alle routines previste da un comportamento reputato socialmente corretto. La nostra quotidiana distrazione rende spesso inadeguato il nostro comportamento ordinario rispetto alla portata e al valore di cio' che succede attorno a noi nella realta'. La teoria dell'inattenzione della Stein ci consente di illuminare ulteriormente quell'atroce fenomeno che la Arendt avrebbe chiamato la banalita' del male. (Questa e' tra l'altro una problematica che De Monticelli, con un altro percorso di riflessione, aveva proposto nel corso di una conferenza, organizzata la primavera scorsa dall'Associazione Dialogare, all'Universita' della Svizzera Italiana). Il vuoto di pensiero del nazista Eichmann possiamo rappresentarlo come vuoto estremo di attenzione, cioe' come scelta di un soggetto di neutralizzare la portata di tutte le informazioni che il mondo trasmette, per mettersi in una condizione di estrema sordita' e cecita' affettiva, una condizione di atrofizzazione della parte profonda di noi stessi, che e' un recedere della vita. Per la Stein la perdita della capacita' di attenzione va di pari passo con la perdita di identita' morale individuale. All'opposto c'e' la liberta' di un percorso di approfondimento di noi stessi: noi conosciamo noi stessi facendo venire alla luce cio' che ci sta a cuore, le nostre preferenze di valore , ed e' risvegliando a nuova vita una parte di noi che non viveva che arriviamo a scoprire il regno dei valori. * Il riscatto di Maria Zambrano Infine l'intervento di Rossella Prezzo, filosofa e redattrice della rivista "aut aut", che ha affrontato il pensiero della spagnola Maria Zambrano parlando della sua autobiografia Delirio e destino (curata e introdotta nell'edizione italiana dalla stessa Prezzo, Cortina, 2000), scritta in esilio tra il '52 il '53, e rimasta inedita fino all'88. Attraverso stupende pagine narrative e meditative, difficilmente sintetizzabili, la Zambrano mostra nello stesso farsi di una vita quell'idea - teorizzata nella sua produzione filosofica - della necessita' di un pensiero che riscatti il vivere, che di per se e' confusione e dispersione. Riscattare, che e' usato da Zambrano nel senso originario di tornare a prendere liberando, significa recuperare, pagando il doloroso pegno della memoria, quel vivere che si e' perduto ma che e' irrinunciabile. Non per realizzare il sogno impossibile di rivivere la vita vissuta , ma per accordarle il tempo che non le e' stato concesso per essere del tutto vita viva, il tempo per una nascita in un altro modo. Nella situazione limite della grave malattia e dell'esilio, similmente allo stato originario della nascita, la vita si ri-presenta nella nudita' d'essere. Ma e' accettando la fatica che il vivere comporta che possiamo "tornare alla luce", continuare a nascere. Un pensiero che riscatti il vivere nella sua interezza oltre ai deliri deve trarre fuori dal silenzio anche i fallimenti: recuperare quella speranza che meritava di non essere sconfitta, dare nuovo tempo a quell'alba che era stata interrotta. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 333 del 5 gennaio 2002
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