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La nonviolenza e' in cammino. 332
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 332
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 5 Jan 2002 12:18:33 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 332 del 4 gennaio 2002 Sommario di questo numero: 1. David Maria Turoldo, amici 2. Francesco Comina: tornino i volti, ultimo riparo alla catastrofe 3. Giuliana Sgrena, la guerra continua 4. Giulio Vittorangeli, bambini 5. Stefano Catucci, La costruzione del nemico 6. Per contattare il Movimento Nonviolento 7. Riletture: Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto 8. Riletture: Howard Gardner, Formae mentis 9. Riletture: Marvin Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. DAVID MARIA TUROLDO: AMICI [Da David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (BG) 1997, p. 54. David Maria Turoldo e' nato in Friuli nel 1916, ordinato sacerdote nel 1940, partecipò alla Resistenza; collaboratore di don Zeno Saltini a Nomadelfia, fondatore con padre Camillo De Piaz della "Corsia dei Servi", poi direttore del "Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII" a S. Egidio Sotto il Monte. Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile, di poesia. E' scomparso nel 1992. Opere di David Maria Turoldo: della sua vastissima produzione segnaliamo particolarmente alcune raccolte di versi: Il sesto angelo (poesie scelte - prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano 1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993; Ultime poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; ed almeno la raccolta di testi in prosa La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996. Per una bibliografia più ampia: a) poesia: Io non ho mani, Bompiani, Milano 1948; Udii una voce, Mondadori, Milano 1952; Gli occhi miei li vedranno, Mondadori, Milano 1955; Preghiere tra una guerra e l'altra, Corsia dei Servi, Milano 1955; Se tu non riappari, Mondadori, Milano 1963; Poesie, Neri Pozza, Vicenza 1971; Fine dell'uomo?, Scheiwiller, Milano 1976; Il sesto angelo, Mondadori, Milano 1976; Laudario alla Vergine, Dehoniane, Bologna 1980; Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, Napoli 1978, poi GEI, Milano 1984; Impossibile amarti impunemente, Quaderni del Monte, Rovato 1982; Ritorniamo ai giorni del rischio, Cens, Liscate 1985; O gente terra disperata, Paoline, Roma 1987; Il grande Male, Mondadori, Milano 1987; Come possiamo cantarti, o Madre?, Diakonia della theotokos, Arezzo 1988; Nel segno del Tau, Scheiwiller, Milano 1988; Cosa pensare., La Rosa Bianca, Trento 1989; Canti ultimi, Carpena, Sarzana 1989, poi Garzanti, Milano 1991; (con G. Ravasi), Opere e giorni del Signore, Paoline, Cinisello Balsamo 1989; O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990; Mie notti con Qohelet, Garzanti, Milano 1992; Ultime poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; b) teatro: La terra non sarà distrutta, Garzanti, Milano 1951; Da una casa di fango (Job), La Scuola, Brescia 1951; La passione di San Lorenzo, Morcelliana, Brescia 1961, poi Città Armoniosa, Reggio Emilia 1978; Vigilia di Pentecoste, Giac (pro manuscripto), Milano 1963; Oratorio in memoria di frate Francesco, Messaggero, Padova 1981; Sul monte la paura, Cens, Liscate 1983; La morte ha paura, Cens, Liscate 1983; c) saggistica: Non hanno più vino, Mondadori, Milano 1957, poi Queriniana, Brescia 1979; La parola di Gesù, La Locusta, Vicenza 1959; Tempo dello Spirito, Gribaudi, Torino 1966; Uno solo è il Maestro, Signorelli, Milano 1972; Nell'anno del Signore, Palazzi, Milano 1973; Alla porta del bene e del male, Mondadori, Milano 1978; Nuovo tempo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1979; Mia terra addio, La Locusta, Vicenza 1980; Povero Sant'Antonio, La Locusta, Vicenza 1980; (a cura di), Testimonianze dal carcere, Paoline, Roma 1980; Amare, Paoline, Roma 1982; Perché a te, Antonio?, Messaggero, Padova 1983; Ave Maria, Gei, Milano 1984; (con A. Levi, M .C. Bartolomei Derungs), Dialogo sulla tenerezza, Cens, Liscate 1985; L'amore ci fa sovversivi, Joannes, Milano 1987; Come i primi trovadori, Cens, Liscate 1988; Il diavolo sul pinnacolo, Paoline, Cinisello Balsamo 1988; Il Vangelo di Giovanni, Rusconi, Milano 1988; Per la morte (con due meditazioni di P. Mazzolari), La Locusta, Vicenza 1989; Amar, traduzione portoghese, a cura di I. F. L. Ferreira, Paulinas, São Paulo 1986; (con R. C. Moretti), Mani sulla vita, Emi, Bologna 1990; La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996; Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte 1997; d) traduzioni: I Salmi, Dehoniane, Bologna 1973; Salterio Corale, Dehoniane, Bologna 1975; Chiesa che canta, volumi I-VII, Dehoniane, Bologna 1981-1982; (con G. Ravasi), «Lungo i fiumi...» - I Salmi, Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Ernesto Cardenal, Quetzalcoatl, Mondadori, Milano 1989; e) narrativa: ... E poi la morte dell'ultimo teologo, Gribaudi, Torino 1969. Lorenzo Milani e' nato a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinerà il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui deriverà il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non è più una virtù. Muore dopo una lunga malattia nel 1967: è appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non è più una virtù, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (LEF). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma - Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La EMI ha appena pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L' insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, LEF, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio bibliografico sintetico è in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla pace, CRP, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di libertà, supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, ECP, S. Domenico di Fiesole 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (BG) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualità, LEF, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 2001. Indirizzi utili: Centro di documentazione Don Milani, c/o biblioteca comunale, Vicchio di Mugello (FI); Centro nuovo modello di sviluppo, via della barra 32, 56019 Vecchiano (PI); Edoardo Martinelli: martinelli at dada.it; Giorgio Pecorini, piazza Libertà 21, 53031 Casole d'Elsa (SI); molti materiali di e su don Milani sono nel sito http://www.etruria.org/nonsololibri/milani] Cosi' eravamo amici, fino a urlare insieme la' dove non eravamo d'accordo. Ma grandi amici: senza bisogno di ridurre l'altro alla nostra misura. 2. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: TORNINO I VOLTI, ULTIMO RIPARO ALLA CATASTROFE [Francesco Comina, giornalista, saggista, e' impegnato nel movimento nonviolento di Pax Christi, per contatti: f.comina at ilmattinobz.it] Tornino i volti. Líesortazione che fa da titolo al bel libro di Italo Mancini (filosofo di Urbino morto sette anni fa) mi accompagna in questo nuovo inizio dell'anno, quasi come fosse un imperativo categorico, una nuova misura dell'essere, un punto esclamativo nel progetto culturale e politico della nostra storia. Il volto non e' l'idea di una presenza e nemmeno una dimensione oggettiva e vaga dell'uomo, come siamo stati abituati a fare con le nostre filosofie e teologie universalistiche. Il volto e' un soggetto distinto, individuabile, e' una parte del corpo che trattiene nelle pupille degli occhi un universo di vita, di storia, di esperienza e di sofferenza. Il volto e' la parte piu' scoperta dell'individuo, la piu' rivelativa e la piu' vulnerabile. "Difficile - scrive Mancini - sparare a qualcuno guardandolo in volto". Per questo l'etica del volto oggi diventa l'ultimo riparo alla catastrofe, la chiave di lettura della condizione umana nel terzo millennio, la via di fuga dalla teoria e dalla prassi della guerra come manipolazione del diritto e della politica, se e' vero, come e' vero, che "la guerra ha una sua grammatica ma il suo cervello continua ad essere la politica" (Italo Mancini, Il pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori). Allora, se mettiamo al centro dei nostri pensieri il volto, anche la nostra cultura si trasforma. Si trasforma il nostro modo di stare al mondo, la nostra percezione dell'altro che ci sta di fianco, a cominciare dal compagno di banco, dal collega di lavoro, dal nostro dirimpettaio. Il volto sofferente del vagabondo di strada ci convoca alle nostre responsabilita' di cittadini, al nostro senso civico, alla nostra "pietas" umana. Ancor prima di diventare un problema amministrativo, il lamento di chi dorme a dieci gradi sotto zero deve essere un tormento esistenziale per ognuno di noi che sente dentro di se' il peso del volto d'altri. Ecco perche' un Giorgio La Pira o un don Tonino Bello sono apparsi immediatamente come dei testimoni della politica e del vangelo. Il richiamo a fare qualcosa per il povero non era un'esigenza professionale per togliersi di torno l'inciampo, ma un orizzonte di reciprocita' umana, una spontanea risposta alla richiesta di aiuto di chi e' in difficolta' e brancola nel buio dell'indigenza. Ancora il volto ci appare dai sotterranei della morte nel deserto afghano dove i missili cercano di sotterrarlo. Gino Strada e altri volontari che si sono precipitati a soccorrere i disperati di Kabul non l'hanno fatto per un dovere professionale, ma per strappare la vita, qualsiasi vita (quella talebana come quella anti-talebana) al precipizio della morte. Cosi' si spiegano le scelte della solidarieta' e della pace, si spiega il viaggio infernale di Zanotelli nei gironi della miseria di Korogocho, si spiega l'afflato cosmico di Rigoberta Menchu' per i diritti delle donne, degli indigeni, dei fanciulli. L'altro mondo visto dalle periferie della terra e' il contributo che ci viene da intellettuali come Leonardo Boff, Eduardo Galeano, Frei Betto, Riszard Kapuscinsky, Tissa Balasurya. Ovunque andiamo troveremo penne al servizio delle moltitudini che non hanno alcun peso sul bilancino dei rapporti di forza economico-monetari di questo mondo. E cosi' ci appare - come in un panorama vago - l'intreccio dei volti anonimi che hanno vissuto tendenzialmente per gli altri e che le nostre cronache altolocate non segnalano mai all'attenzione del lettore. Se ci collochiamo dentro questa etica possiamo capire meglio perche' molta gente rifiuta la violenza, perche' molti gruppi spontanei escono allo scoperto per dire che un mondo piu' giusto e' possibile. Non c'e' solo il gusto della ribellione e del dissenso verso le politiche neoliberiste che governano il mondo, non c'e' la nostalgia per un orizzonte ideologico al tramonto e neppure un pregiudizio di fondo sulla filosofia della globalizzazione come spirito unificante. C'e' un qualcosa di molto piu' profondo, ossia la consapevolezza che i volti singoli di milioni e milioni di individui sono negati e deturpati, che le vite sono spezzate e rovinate, che le memorie dei popoli sono assogettate e violate, che le speranze delle tribu' della terra sono oscurate e carbonizzate. Il futuro, insomma, mi appare davanti nel frammento di una vita di relazione. Sono passate le visioni rivoluzionarie della storia, i grandi miti del passato, lo spirito imperialista a stelle e strisce se ne sta accovacciato - nonostante tutto - sulle rovine delle Twin Towers. Quello che rimane sono i volti: volti da guardare, da accarezzare, da rispettare. 3. IL PUNTO. GIULIANA SGRENA: LA GUERRA CONTINUA [Giuliana Sgrena e' inviata del quotidiano "Il manifesto" in Afghanistan. Questo articolo e' stato pubblicato il 3 gennaio] La guerra non e' finita in Afghanistan e la dimostrazione piu' lampante, e drammatica, e' la fuga che continua di migliaia di profughi verso il Pakistan. A denunciarlo ieri, a Islamabad, e' stato il portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi (Unhcr), Fatumata Kaba. In contrasto rispetto alle segnalazioni degli ultimi giorni che accreditavano una tendenza al rientro dei profughi nei villaggi d'origine, Kaba ha riferito che ieri che circa 5.000 profughi sono arrivati al confine di Chaman, tra Afghanistan e Pakistan. E altre migliaia di afghani starebbero per abbandonare la citta' di Kandahar per raggiungere il confine con il Pakistan, dove per ora sono trattenuti nella terra di nessuno, in condizioni al limite della sopravvivenza. Nella zona di Kandahar, ex roccaforte dei taleban, sta infatti continuando la caccia al mullah Omar, la guida spirituale degli ex studenti di teologia. Anche se nelle ultime ore la caccia si e' spostata piu' a nord-ovest, dove, in un villaggio vicino a Baghran, secondo fonti ufficiali afghane, il "ricercato numero due" si sarebbe rifugiato con circa 2.000 suoi combattenti. Le notizie sulla imminente cattura del mullah Omar tuttavia si sono fatte piu' caute dopo i fallimenti dei giorni scorsi. E crescono le proteste e polemiche suscitate tra la popolazione per i continui massacri di civili compiuti dai bombardamenti americani con il pretesto di colpire presunte postazioni di al Qaeda, l'organizzazione di bin Laden, o dei taleban. Tanto che ieri il portavoce del capo dell'intelligence Haji Gullalai di Kandahar ha dichiarato: "siamo ancora in contatto con la popolazione per cercare una soluzione pacifica a questo problema". Situazione che ha indotto anche il neopremier Hamid Karzai a ribadire ieri che non devono essere i civili a pagare il prezzo della lotta contro il terrorismo. Pur confermando il pieno appoggio alla campagna di Bush, il premier ad interim, in una intervista al New York Times, ha detto: "Noi vogliamo che i terroristi scompaiano dall'Afghanistan ma dobbiamo anche essere sicuri che i nostri civili non soffrano". Karzai ha anche manifestato l'intenzione di voler discutere presto con il comando americano delle vittime civili dei bombardamenti delle ultime settimane. Il 22 dicembre un convoglio di anziani capi tribu' era stato colpito mentre si stava dirigendo verso Kabul per assistere all'insediamento del governo (65 vittime), il 27 con il pretesto di colpire la casa di un capo taleban erano state distrutte case e uccise 40 persone, infine, domenica scorsa 107 persone, la maggior parte donne e bambini, sono rimasti sepolti dalle macerie di un villaggio raso al suolo. Questi attacchi indiscriminati hanno indotto anche l'ex presidente sudafricano Nelson Mandela a rivedere il proprio appoggio alla campagna antiterrorismo alla quale, all'inizio, aveva dato un "appoggio incodizionato". "Mi e' stato fatto notare - si legge nel comunicato di Mandela - che un appoggio cosi' incondizionato alla guerra in Afghanistan puo' aver dato l'impressione che io non sia sensibile alle sofferenze patite dal popolo afghano e dal paese". Prese di posizione significative che per ora non hanno pero' indotto il comando americano a ripensamenti. La caccia continua, anche se non si sa dove si trova bin Laden. Ieri duecento marines hanno perlustrato sulle montagne a nord di Kandahar un nascondiglio composto di quattordici strutture dove sarebbero stati nascosti combattenti di al Qaeda e sostenitori taleban. L'operazione doveva servire ad ottenere informazioni su bin Laden e la sua organizzazione. Mentre un computer con gli archivi di al Qaeda rinvenuto, si dice, in una delle sedi bombardate dagli americani nei giorni scorsi, sarebbe finito nelle mani del Wall street journal che l'avrebbe comprato da un commerciante di materiale elettronico al prezzo assolutamente irrisorio, persino sul mercato afghano, di 1.100 dollari (quanto prende un interprete in una settimana). Se il materiale rinvenuto fosse autentico sarebbe veramente inquietante pensare che venga abbandonato alla merce' dei passanti. Ma dopo la diffusione di video e il rinvenimento di quantita' di documenti e schedari - anche da parte nostra quando abbiamo visitato le basi degli "arabi" a Kabul - c'e' anche da interrogarsi sulla loro autenticita' e/o sugli obiettivi del distratto abbandono. Sotto le macerie provocate dai bombardamenti Usa sarebbe stato rinvenuto anche il corpo del capo dei servizi dell'intelligence taleban, Qari Ahmadullah. La morte, secondo Abdullah Tawheedi, vicecapo dell'attuale intelligence, sarebbe avvenuta qualche giorno fa nella provincia di Khost. Il tutto succede mentre nella capitale Kabul da ieri si sono installati, in un ex club sportivo, i primi 25 militari provenienti da dodici nazioni (Germania, Francia, Spagna, Italia, Olanda, Danimarca, Austria, Grecia, Svezia, Norvegia, Finlandia e Romania) che si sono aggiunti ai britannici gia' sul posto e che costituiscono il primo gruppo del contingente che dovrebbe iniziare il pattugliamento della citta'. Intanto un gruppo di ufficiali, arrivati a Kabul ieri, stanno preparando il dispiegamento della International security assistance force (Isaf), che sara' comandata per i primi tre mesi dal generale britannico John McColl, e che dovrebbe garantire la sicurezza della capitale. Ma i compiti dell'Isaf sono tutt'altro che chiari e questo accresce i rischi della missione. Secondo l'accordo di Bonn, per esempio, le forze schierate nella capitale dovrebbero essere disarmate. Ma pare che cosi' non sara'. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: BAMBINI [Giulio Vittorangeli e' una delle persone piu' lucide e generose impegnate nella solidarieta' internazionale. Per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it] Davanti al caos internazionale del nuovo anno (ultimo arrivato il dramma del popolo argentino, ex paese ricchissimo impoverito dalla lunga disuguaglianza della globalizzazione) e dopo gli orrori del 2001, non possiamo non ripartire che dai bambini; cioe' il futuro, la dimora della vita gioiosa. Eppure, come non riconoscere che i molti regali che abbiamo fatto (per Natale, o per riempire la vecchia calza della Befana) sono supeflui; o peggio ancora, li sentiamo privi di un autentico significato di dono. Basta citare la bambola Barbie, l'odiosissima apostola del consumismo infantile. I bambini sono anime semplici, sanno vedere la magia del quotidiano e amano contribuire a crearla; ma questa semplicita' li rende facilmente vittime del consumismo illusorio della nostra moderna societa' del benessere informatizzato. Cosi', puntualmente, ogni anno abbiamo un "personaggio infantile" (per il Natale 2001 Harry Potter) che diventa contemporaneamente un film, uno o piu' libri, un'infinita' di giochi dai semplici manuali, a quelli sofisticati elettronici. Giocattolo consumista che sentiamo cosi' lontano dalle fate e dalle streghe che hanno scosso di stupore e di terrore la nostra infanzia; ad iniziare dalla Befana che e' passata mille volte sui tetti a dipanare i nostri sogni interminabili. Oggi, molti dei giocattoli in commercio, sono tanto sofisticati da diventare oggetto di contemplazione e di utilizzo passivi; ammalati di immobilismo, di silenziosita', di automatismo, di fruizione passiva e solitaria. Assistiamo al prevalere di giocattoli-spettacolo, cioe' giocattoli che sono tanto strutturati da non lasciare spazio alla creativita' e all'intervento attivo dei bambini, piuttosto che gioccatoli-giocabili con cui il bambino puo' relazionarsi e misurare il mondo. Cosi' molti bambini finiscono con l'avere le loro camerette piene di giocattoli da contemplare. Allo stesso tempo percepiamo che, oggi come ieri, i giocattoli sono compagni inseparabili nella vita dei bambini, e vengono caricati di investimenti affettivi spesso di grande importanza. Anche per noi adulti: il giocattolo come incantevole memoria del passato... il sogno di un giocattolo e' il nostro sogno impossibile: far sorridere, saper sorridere, essere unici e irripetibili per noi stessi perche' unici e imprescindibili per gli altri. Sappiamo che, oggi come ieri, la vita di un giocattolo e' il suo uso. E' l'essere toccato, sbattuto, messo in una scatola, gettato sul letto, amato, abbracciato e preferito. Oppure, rompersi, finire dimenticato, sostituito e buttato via; come certi sogni, irriverenti e sorridenti, che prima o poi si infrangono al suolo. Ecco perche' continuiamo a cercare e regalare quei giocattoli che possano dare disposizione sul come continuare a produrre nel tempo la meraviglia per la quale la loro esistenza si giustifica. Giocattoli per la testa, anche per il cuore, nel senso delle emozioni pure. Ma i bambini non sono ne' buoni ne' cattivi. Sono solo quello che hanno la possibilita' di diventare. E per noi, generazione adulta, inevitabilmente il pensiero corre a tutta l'infanzia negata del cosiddetto Terzo Mondo. Alla tragica realta' quotidiana dei bambini di strada dell'America Latina; o a quella di chi popola i "barrios", i quartieri poveri e marginali dell'America Centrale; o peggio ancora alle baraccopoli dell'Africa con le loro discariche dove quel che resta degli esseri umani contende i rifiuti agli animali. E poi, l'assassino dei bambini iracheni, che a causa di un embargo ormai decennale, muoiono a diverse migliaia ogni mese; per finire con lo sfruttamento di una massa crescente di operai bambini, a causa di precisi meccanismi economici e finanziari le cui redini sono in mano all'Occidente. Ricorderete lo scandalo scoppiato alla vigilia del Campionato mondiale di calcio del 1998 in Francia, quando divenne pubblico lo sfruttamento intensivo di minori nella fabbrica di palloni con marchio Coca Cola a Sialkot (Pakistan). Le foto di alcune bambine di 11 anni che incollavano e cucivano i palloni hanno fatto il giro del mondo, riprodotte in decine di quotidiani e riviste di rilevanza internazionale. Ed ancora, Nkosi Johnson, il piccolo sudafricano morto a 12 anni il primo giugno 2001, diventato l'emblema della disperazione africana contro l'Aids, quando inaugurando nel luglio 2000 la conferenza mondiale sull'Aids a Durban, aveva chiesto cure per le donne incinte seriopositive. Nell'Africa a sud del Sahara una donna incinta su tre e' sieropositiva. Non bastasse questo, ci sono le drammatiche cifre dell'ultimo rapporto Onu sull'infanzia: 11 milioni di bambini ogni anno muoiono per malnutrizione o malattie che in altri paesi sarebbero facilmente curabili. Sono sfruttati nel lavoro 250 milioni (a tempo pieno 120 milioni, part-time 130 milioni). Di questi 153 milioni sono in Asia, 80 milioni in Africa, 17 milioni in America Latina. 113 milioni di bambini non sono mai andati a scuola e 330 mila sono i bambini che vengono mandati a combattere nelle guerre. Cosi' ci torna in mente quella "Lettera ai bambini" scritta, anni fa, dal grande Gianni Rodari: "E' difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi". 5. RIFLESSIONE. STEFANO CATUCCI: LA COSTRUZIONE DEL NEMICO [Stefano Catucci, saggista, ha recentemente pubblicato una Introduzione a Foucault, Laterza, Roma-Bari 2000. Questo articolo che recensisce due recenti libri dello scrittore statunitense Gore Vidal e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio col titolo L'America ha il nemico nel cuore] A cosa serve un nemico? Nelle teorie classiche, l'esistenza del nemico definisce in negativo l'identita' di un gruppo sociale, di una nazione, di una comunita', disegnando il bordo che la delimita sia contro i pericoli che la minacciano dall'interno, sia contro quelli che premono dall'esterno. Il nemico interno viene escluso o perche' si e' macchiato di un crimine, e deve percio' essere perseguito, oppure perche' e' portatore di conflitti il cui potenziale politico deve essere disinnescato. Contro il nemico esterno, invece, la comunita' serra le fila e fa muro, mettendo fra parentesi ogni differenza politica per proteggere la sua sopravvivenza e integrita'. Gia' all'alba del XX secolo, questa relazione funzionale fra il nemico e l'identita' comunitaria era stata messa in crisi dall'emergere di nuovi scenari di conflitto. Sebbene la propaganda insistesse nel dipingere i nemici come barbari o come animali, riattualizzando archetipi duri a morire, durante la Grande Guerra si era diffusa sotto tutte le bandiere la percezione della comune appartenenza a un sistema impersonale, dominato da leggi anonime e internazionali come quelle dell'economia e dell'industria. Sul campo, la figura del nemico diventava cosi' una variabile astratta, un "numero", essendo la vita degli operai di trincea uguale su entrambi i fronti. A definire il nemico, percio', non era la differenza delle divise, ma la dimensione trasversale della lotta di classe, nella quale discriminanti non erano le frontiere nazionali, ma le condizioni del lavoro e dello sfruttamento. "Le guerre cominciano e non finiscono mai", scriveva Celine, perche' lo scontro vero e' quello nel quale i nemici hanno sempre la stessa divisa: da ufficiali nell'esercito, da capitani d'industria nella vita civile. Negli anni successivi, quando torno' prepontemente d'attualita', la figura del nemico non era piu' solo il margine di un'identita', ma l'impalcatura di un preciso sistema di potere. L'odio contro i nemici nazionali e di razza divenne allora oggetto di un vero e proprio processo di mitologizzazione: il pensiero di un nemico piu' mostruoso e piu' diffuso che mai, infatti, metteva a tacere le dinamiche interne della lotta di classe e assicurava la stabilita' di governi basati su pratiche di controllo sempre piu' pervasive. Anche dopo la Seconda Guerra, la mitologizzazione del nemico e' diventata d'appoggio alla politica, al punto che la difesa da nemici reali o immaginari e' stata spesso invocata "a posteriori", all'interno dei regimi democratici, per giustificare un insieme di pratiche illegali compiute nel nome di un principio di civilta'. Gli esempi non mancano, specie in Italia, ed e' penoso constatare come l'abitudine al "mea culpa" della sinistra abbia finito per conferire un'apparenza di legittimita' a chiunque confessi di aver violato le leggi dello stato pur di difenderlo dalla "minaccia comunista". Ad affermazioni come queste si reagisce per lo piu' con fatalismo: eravamo la periferia di un impero, si dice, ed e' normale che una periferia goda solo di una sovranita' limitata sul proprio territorio. Ma se cosi' e' stato in periferia, cos'e' accaduto al centro? Cos'ha voluto dire, per gli Stati Uniti, vivere per quasi mezzo secolo proiettati contro un nemico? Cosa ha significato averlo perduto e cosa, oggi, averlo ritrovato? Dopo il crollo del sistema sovietico e la fine del bipolarismo, la logica dell'impero si e' ulteriormente trasformata. E' diventata, come scrivono Michael Hardt e Toni Negri, una "macchina mondiale" del controllo che si regge sul commercio e sulla comunicazione, sulla produzione del consenso e sull'idea che la forza sia al servizio della pace, del diritto, della sicurezza. Che senso ha, in questo contesto, rinnovare l'investimento mitologico sulla figura del nemico, quali le analogie e le differenze rispetto al passato? Domande come queste suscita la lettura di un romanzo recente di Gore Vidal, L'eta' dell'oro (Fazi, pp. 534, lire 35.000), pubblicizzato come il racconto della "vera storia" dell'attacco giapponese a Pearl Harbour. I parallelismi che i media hanno proposto, nelle scorse settimane, fra i due grandi attacchi al cuore dell'America, fra il 7 dicembre 1941 di Pearl Harbour e l'11 settembre 2001 di New York, basterebbero da soli a giustificare l'interesse per il libro. La realta', tuttavia, e' diversa. Non solo perche' il parallelismo e' improprio, perche' la guerra fra due stati non e' paragonabile a un attacco terroristico, ma soprattutto perche' il libro racconta un'altra storia: non la "verita'" su Pearl Harbour, sulla quale gli storici si interrogheranno ancora a lungo, ma la nascita di una democrazia limitata, ovvero il processo che negli Stati Uniti, fra il 1939 e il 1954, ha trasformato realmente lo stato d'eccezione in una regola e ha fatto del nemico la condizione necessaria per la progressiva riduzione dell'esercizio effettivo della sovranita' popolare. "L'eta' dell'oro" del titolo e' gia' sul punto di finire quando il libro comincia, sta tutta "prima" dell'epoca inaugurata dalla terza rielezione di Franklin D. Roosevelt, a sua volta coincidente con l'inizio della guerra e con la fine del New Deal. L'eta' dell'oro e' il tempo della grande aristocrazia finanziaria americana, ricchissima ma illuminata, fedele ai valori democratici che avevano dato vita alla nazione e all'American Idea. La politica, in senso stretto, non ha molto rilievo da questo punto di vista. Non importa, cioe', se i politici protagonisti di una stagione appartengano al Partito Democratico o a quello Repubblicano. La distinzione e' inessenziale e risponde piu' a logiche immediate di potere che non a posizioni realmente rilevanti circa il futuro di una democrazia. Per questo, all'inizio del romanzo, quando Roosevelt sostiene l'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli inglesi, contro Hitler, le parole piu' preoccupate sono quelle di vecchi conservatori come Herbert Hoover, presidente nel quadriennio 1928-1932. "Vedo qualcosa di peggio della guerra all'orizzonte", dice Hoover, "sono certo che la prossima guerra ci trasformera' completamente. Le grandi corporazioni avranno piu' potere. Il Governo avra' piu' potere. Il popolo ne avra' meno. Ecco quel che temo. Perche' una volta che inizia, questo processo e' inarrestabile. Non si puo' estendere il dominio del Governo sulla vita quotidiana di un popolo senza renderlo padrone dei pensieri e dell'anima della gente, esattamente nel modo in cui hanno fatto i fascisti e i bolscevichi". Gli Stati Uniti sulla strada del totalitarismo? A pensarla cosi' non e' solo Hoover, ma tutti quei personaggi che, nel libro, vivono come una tragedia personale la scelta sul "che fare". Roosevelt opta per la strada piu' rapida, ma anche piu' rischiosa e autocratica, per decidere quel che andava fatto: combattere Hitler in Europa. Di fronte al dilagare dei nazisti, il fronte politico americano era diviso non solo fra interventisti e isolazionisti, ma anche fra chi pensava che il nemico principale fosse Hitler e chi, invece, il comunismo di "Joe" Stalin. Roosvelt avverte, dunque, la necessita' di forzare la situazione: in campagna elettorale aveva promesso che l'America sarebbe entrata in guerra solo se fosse stata attaccata. Ora, attraverso un'abilissima politica fatta di provocazioni diplomatiche, embarghi economici e campagne di stampa, spinge i giapponesi a prendere l'iniziativa di un attacco che avrebbe dovuto essere clamoroso, proprio per rendere unita la nazione e "necessaria" la decisione dell'intervento. Gli avversari politici del presidente lo denunciano: Pearl Harbour, dicono, e' stata un'invenzione di Roosevelt, il quale non ha avuto scrupoli nel sacrificare vite americane pur di accentrare su di se' il potere di decidere. Resteranno inascoltati. Dopo la Prima Guerra Mondiale, ha scritto Paul Valery, "le civilta' hanno scoperto di essere mortali". Dopo Pearl Harbour, le democrazie moderne sanno di non essere innocenti. Le conseguenze della manovra di Roosevelt vengono misurate da Gore Vidal su due piani distinti. Da un lato la pratica di governo, che obbedisce ad automatismi tali da imporre a chiunque scelte molto simili, determinate dalle leggi di un mercato che si regge strutturalmente su un sistema di menzogne. Dall'altro l'organizzazione sociale, sempre piu' legata a una logica di dominio mondiale che fa della menzogna il suo principio di funzionamento regolare. E' dopo Roosevelt, pero', alla fine della guerra, nel momento in cui il nuovo Presidente, Harry Truman, decide di sganciare una "inutile" bomba atomica su Hiroshima solo per ristabilire un vantaggioso rapporto di forze nel confronto con l'Unione Sovietica, che la menzogna si stabilizza nel sistema e da' origine a una nuova mitologia del nemico. Che una societa' democratica debba vivere confrontandosi continuamente con avversari politici trasformati in apocalittici nemici e' la bugia che ora giustifica cio' a cui Roosevelt, secondo Gore Vidal, non sarebbe mai arrivato: la demonizzazione dell'Unione Sovietica e del comunismo, la fine della convivenza pacifica e l'inizio di una lunga escalation militare. Il grigio Truman tira fuori le unghie e proclama la sua Dottrina: "io credo che la politica degli Stati Uniti debba consistere nel sostenere i popoli liberi che resistono ai tentativi di assoggettamento da parte di minoranze armate e pressioni esterne". Eppure, commenta uno dei personaggi, "anche gli Stati Uniti erano sia armati sia esterni alla Grecia e alla Turchia". Come giustificare questa menzogna? Nessuna risposta da Truman, solo un'aggiunta: "credo che dobbiamo aiutare i popoli liberi a decidere della loro sorte nel modo che desiderano". Vidal si chiede allora cosa sia un popolo libero. "Gli americani erano forse mai stati liberi da una classe dominante che spesso agiva contro la volonta' della maggioranza, da cui avrebbe invece dovuto trarre la sua legittimazione politica?". Il nuovo inganno di Truman era il coronamento di un sistema di potere che aveva da sempre considerato la volonta' della maggioranza un lussuoso intralcio. La bomba all'idrogeno assicurava il predominio degli Stati Uniti sul mondo, avrebbe avviato l'Unione Sovietica verso una corsa alle armi insostenibile, avrebbe reso l'America piu' ricca che mai, ma al tempo stesso avrebbe dato avvio alla "militarizzazione piu' vasta e dispendiosa della storia", finanziata da quegli stessi cittadini americani ai quali, di fatto, il perenne pericolo del nemico non consentiva alternativa alcuna. "Quello che il 'popolo di Truman' ha imparato in tempo di guerra dall'atto necessario di Roosevelt e' come usare, durante la pace, gli stessi metodi per finanziare un apparato federale sempre in espansione, che ci salvi da un avversario selvaggio, che ci vuole distruggere. Tengono la nazione per le palle, ed e' questo il motivo per cui sono grati alle furie dementi di McCarthy". L'invenzione di un nemico esterno ha come ricaduta la restrizione delle liberta' civili sul fronte interno: questo il corollario che discende dalla logica della menzogna e che trasforma la democrazia in una favola. Percio', portati alle estreme conseguenze, comunismo e capitalismo sono equivalenti: "laddove lo stato socialista ideale del comunismo userebbe la ricchezza nazionale per il bene dei cittadini, con una rigida regolamentazione, va da se', imposta da un governo centralizzato, noi, per difenderci da un nemico satanico e senza Dio (e' un punto molto importante questo 'senza Dio', quando si appioppano tasse cosi' alte a dei semplici americani di profonda fede religiosa), stiamo creando uno stato sociale militarizzato" che ignora piccole inezie come l'effettivo benessere del popolo e i principi democratici a cui deve la sua esistenza. Il sogno di una societa' giusta, ha scritto Michel Foucault, si e' scontrato nella modernita' con il sogno militare di una societa' intesa come una macchina perfettamente funzionale i cui ingranaggi dovevano essere accuratamente subordinati e il cui principio non era la democrazia dei diritti, ma la garanzia della sicurezza contro un nemico. Militare e' anche la nuova dimensione di un'America che, al momento di risvegliarsi dai suoi sogni, scopre di avere in mano il campo del potere mondiale. "Il merciaio Truman, l'avvocato Acheson e il militare Marshall stanno creando un'economia e uno stato militarizzati che fanno mangiare la polvere a quei due poveracci di Stalin e Mao". Per far funzionare il gioco basta un'unica regola: continuare a mentire e a circondarsi di nuovi nemici. Ecco un altro significato dello slogan "siamo tutti americani", in nome del quale sono sfilati in molti anche in Italia: "siamo tutti militari". L'immagine del nemico necessario, e' facile constatarlo, conserva anche oggi un'efficacia innegabile, ma che forse non e' piu' quella dell'epoca della guerra fredda e ha bisogno di essere ristudiata nel contesto della nuova logica imperiale. Resta il fatto che la mitologia di un nemico dai tratti ricorrenti - satanico, distruttivo, senza Dio o con un Dio "altro", nemico della civilta', prima che di una politica determinata - e' il mezzo attraverso il quale le liberta' civili vengono limitate e i diritti dei cittadini confiscati. La politica delle destre si alimenta della presenza del nemico, che diventa per lei un fortissimo strumento di consenso. Funzionali a questo sistema, a loro volta, coloro che incarnano la parte del nemico ricavano potere, legittimazione politica e forza economica da una posizione che non intendono abbandonare. Per questo il loro interesse non e' risolvere i conflitti, ma renderli endemici, come avviene con Hamas in Palestina, l'altra faccia del gioco politico di Sharon. Quale sia il prezzo da pagare alla logica del nemico e' molto chiaro, come suggerisce ancora Gore Vidal in un altro libro portato a termine poco dopo l'11 settembre: La fine della liberta' (Fazi, pp. 121, lire 25.000). "Lo spaventoso danno fisico che Osama e compagnia ci hanno provocato durante il Martedi delle Tenebre - scrive Vidal - non e' nulla in confronto al doppio colpo da KO inflitto alle nostre liberta' in via d'estinzione". La guerra contro il nemico, infatti, ha giustificato negli Usa provvedimenti come l'Anti-Terrorism Act del 1991, una legge speciale che sospende "l'habeas corpus, il cuore della liberta' anglo-americana", o come la recente richiesta al Congresso di poteri supplementari che comprendono, fra l'altro l'autorizzazione di intercettazioni telefoniche e di arresti senza mandato giudiziario. La minaccia del nemico si traduce cosi' in una serie di leggi speciali che riducono gli spazi di liberta' e danno vita a un vero e proprio "stato di polizia", versione "neo-imperiale" del vecchio apparato militare messo in piedi all'epoca della Seconda Guerra. Ma e' necessario assecondare una politica che si sostiene sull'immagine del nemico? Allinearsi a una simile strategia non equivale forse, per l'opposizione, a revocarsi il diritto di parola, rinunciando a ogni forma di antagonismo sociale? Come scriveva Gilles Deleuze, che sia al governo o all'opposizione, la sinistra ha sempre il dovere di "scoprire il tipo di problemi che la destra vuole nascondere a ogni costo". Denunciare la mistificazione del nemico, smascherare la menzogna che porta consenso alla riduzione delle conquiste democratiche, e' forse un passo necessario per ricostruire una cultura critica che non si lasci ingannare dalla fine, solo apparente, dei "pensieri forti" e delle ideologie. 6. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Riportiamo qui l'indirizzario degli organi eletti al XIX Congresso del Movimento Nonviolento svoltosi a Pisa il 29 ottobre - primo novembre 1999. Questa scheda abbiamo ripreso dal sito www.nonviolenti.org cui rinviamo per ogni ulteriore informazione. Per contatti via e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Presidente: - Sandro Canestrini, via Paoli 33, 38068 Rovereto (TN), tel. 0464436688 Segreteria: - Angela Dogliotti Marasso, via Tommaso Gulli 27, 10147 Torino, tel. 011253740 - Daniele Lugli, via Mortara 287, 44100 Ferrara, tel. 0532750869 - Luciano Capitini, via Molini 75, 61020 Monteciccardo (PS) tel. 072132926 Comitato di coordinamento: - Stefano Benini, via Monte Suello 115, 25015 Desenzano del Garda (BS), tel. 0309914838 - Marco Brandini, via Merano 5, 37135 Verona, tel. 045585037 - Giovanni Mandorino, via Carneluti 18, 56100 Pisa, tel. 0508006748 - Alfredo Mori, via Ontini 44, 25135 Brescia, tel. 030362195 - Massimiliano Pilati, via Napoli 10, 40139 Bologna, tel. 051454757 - Rocco Pompeo, via Ernesto Rossi 62, 57125 Livorno, tel. 0586899312 - Paolo Predieri, via Capriolo 21, 25122 Brescia, tel. 0303773571 - Pasquale Pugliese, viale IV Novembre 7, 42100 Reggio Emilia, tel. 0522434767 - Piercarlo Racca, via Venaria 85/8, 10148 Torino, tel. 011 2264077 - Flavia Rizzi, via Monte Grappa 215, 20099 Sesto San Giovanni (MI), tel. 0222474900 - Matteo Soccio, via Anguissola 15, 36100 Vicenza, tel. 0444500457 Direttore di "Azione nonviolenta": - Mao Valpiana, via Tonale 18, 37123 Verona, tel. 045918081 Comitato editoriale: - Sergio Albesano, Strada di Lanzo 155, 10148 Torino, tel. 0112262403 - Claudio Cardelli, via Boccaccio 15, 40026 Imola (BO), tel. 054229323 Comitato scientifico: - Rocco Altieri, Largo Duca D'Aosta, 56123 Pisa tel. 050551380 - Grazia Honegger Fresco, via Dandolo 2, 21053 Castellanza (VA), tel. 0331503951 - Alberto L'Abate, via Mordini 3, 50136 Firenze, tel. 055690838 - Nanni Salio, via Po 3, 10124 Torino, tel. 0118120850 - Gianni Tamino, via Busiago 33, 35010 Vigodarzare (PD), tel. 049767041 Sedi: - Brescia: via Milano 65, 25126 BS, tel. 030317474, fax 030318558 - Torino: via Garibaldi 13, 10122 TO, tel. 011532824, fax 0115158000 - Verona: via Spagna 8, 37123 VR (sede nazionale), tel. 0458009803, fax 0458009212 7. RILETTURE. BRUNO BETTELHEIM: UN GENITORE QUASI PERFETTO Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 456. Tra i pochi libri che effettivamente aiutano i genitori e' uno dei piu' belli. 8. RILETTURE. HOWARD GARDNER: FORMAE MENTIS Howard Gardner, Formae mentis, Feltrinelli, Milano 1987, 1991, pp. 464, lire 65.000. Il giustamente celebre "saggio sulla pluralita' dell'intelligenza" che costituisce un'utile lettura per tutti. 9. RILETTURE. MARVIN HARRIS: L'EVOLUZIONE DEL PENSIERO ANTROPOLOGICO Marvin Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna 1971, 1994, pp. 1.108, lire 65.000. Una storia critica del pensiero antropologico scritta dal grande studioso autore di Cannibali e re. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 332 del 4 gennaio 2002
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