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La nonviolenza e' in cammino. 315
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 315
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 17 Dec 2001 01:42:40 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 315 del 16 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Marianella Sclavi, dal 27 dicembre al 3 gennaio a Gerusalemme a fare interposizione nonviolenta 2. Umberto Santino, modello mafioso e globalizzazione (parte seconda) 3. Anna Picciolini, la terza assemblea della Convenzione permanente di donne contro la guerra 4. Il documento finale della terza assemblea della Convenzione permanente di donne contro la guerra 5. Marina Forti, la scuola delle bambine a Kandahar 6. Amelia Alberti, quell'immagine mostruosa 7. Yukari Saito, una lettera a Babbo Natale 8. Norma Bertullacelli, cosa succede nella scuola elementare 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. MARIANELLA SCLAVI: DAL 27 DICEMBRE AL 3 GENNAIO A GERUSALEMME A FARE INTERPOSIZIONE NONVIOLENTA [Marianella Sclavi e' una illustre intellettuale di forte impegno civile, che tanto ha contribuito a promuovere la cultura e la pratica della gestione nonviolenta dei conflitti. Da una sua lettera, di cui le siamo assai grati, riportiamo questo brano. Per contatti: msclavi at libero.it] Tu affermi la necessita': "di fare uno sforzo ulteriore per ideare e promuovere azioni dirette nonviolente che realmente contrastino la partecipazione italiana alla guerra". Aggiungi: " So bene che non e' facile, io stesso mi ci arrovello da mesi senza esito, ma occorre cercare ancora". Una delle iniziative piu' efficaci ed importanti in corso e' quella di andare dal 27 dicembre al 3 gennaio a Gerusalemme a fare una serie di manifestazioni in qualita' di corpi di interposizione nonviolenta fra le due parti in conflitto. Arafat chiede da anni che vengano mandati osservatori internazionali, adesso questo e' stato ribadito dal papa e dal presidente Ciampi. Ma i governi europei e statunitense non osano prendere una decisione del genere. Sono pavidi. Ebbene: che sia una decisione assunta dalle societa' civili di questi Paesi. Quest'anno a Gerusalemme ci saranno persone di tutte le nazioni europee e anche dagli Stati Uniti. Possiamo andare in tanti e chiedere che chi rimane faccia nelle nostre citta' manifestazioni di solidarieta' con questa presenza nonviolenta, e chiedere che tutte queste manifestazioni siano trasmesse e commentate dai mezzi di comunicazione di massa? Secondo me si'. 2. MATERIALI DI STUDIO. UMBERTO SANTINO: MODELLO MAFIOSO E GLOBALIZZAZIONE (PARTE SECONDA) [Umberto Santino, fondatore e presidente del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo e' il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento antimafia. Il testo seguente (di cui oggi proponiamo la seconda parte) e' basato sulla sua relazione al seminario internazionale "I crimini della globalizzazione" svoltosi a Palermo dal 13 al 15 dicembre 2000, in parallelo con la Conferenza delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale; lo ringraziamo per avercelo messo a disposizione; puo' essere letto altresi', insieme a molti altri materiali, nel sito del Centro Impastato, che invitiamo caldamente a visitare. Per contatti: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it] * Globalizzazione e criminogenesi Per anni gli studi sui processi di causazione del crimine sono stati dominati dal paradigma del deficit. La mafia siciliana e le forme di crimine organizzato venivano spiegate come il prodotto di una carenza: del vuoto dello Stato (Lombroso), della carenza di controllo (Durkheim) o di opportunita' per le classi inferiori (Merton), della disorganizzazione sociale (scuola di Chicago) e come espressioni di subcultura. Solo negli ultimi anni si e' fatta strada una visione che lega la nascita e lo sviluppo delle varie forme di crimine organizzato alle opportunita' che esso offre e che le societa' offrono ai professionisti del crimine. A mio avviso non c'e' un'alternativa deficit o ipertrofia delle opportunita', nel senso che possono operare entrambi: "le opportunita' per i criminali organizzati nascono tanto sul terreno delle economie periferiche, in crisi e destinate a ulteriore sottosviluppo, che su quello delle aree centrali pienamente sviluppate" (Santino 1995, p. 132). L'eziologia del deficit e' stata riproposta dalle Nazioni Unite nel corso della conferenza ministeriale mondiale svoltasi a Napoli nel novembre del 1994. In quell'occasione l'allora segretario dell'Onu avanzo' una spiegazione che si puo' cosi' sintetizzare: i paesi capitalistici si reggono su due pilastri: il mercato e il diritto. Oggi, con la mondializzazione dell'economia capitalistica, in molti paesi si e' formato un mercato senza Stato e senza regole, un capitalismo primitivo, sregolato, dominato dall'accumulazione illegale, una sorta di giungla. Quindi alla base del crimine ci sono Stati deboli e mercati senza regole (Santino 1999, pp. 168 sg.). Risposte diverse arrivano dagli studiosi che cercano di ricostruire i contesti criminogeni guardando al modo di produzione e utilizzando le categorie analitiche del "fordismo" e del "postfordismo", inteso come "quel processo di globalizzazione e profonda ristrutturazione dell'economia che ha posto profondamente in questione l'ordine socioeconomico che era emerso all'indomani della seconda guerra mondiale. Il trasferimento del centro strategico della produzione da quello industriale a quello dei servizi, la perdita della centralita' della vecchia produzione "di fabbrica" a favore del tipo di produzione basato sull'informazione elettronica, assai piu' leggero, decentrato e flessibile, si sono accompagnati alla progressiva marginalizzazione di una classe operaia di fabbrica maschia e sindacalizzata a favore dell'emergere di una nuova classe operaia profondamente divisa, piu' giovane, povera e femminile. La conseguente "disorganizzazione morale" della "vecchia" classe operaia e' andata di pari passo con l'emergere di strati sociali di ricchezza crescente, avidi di consumo sia lecito che illecito. La campagna ideologica, e le opportunita' pratiche, per una nuova imprenditoria hanno quindi ridiretto l'impegno di molti, tra cui molti immigrati, verso la fornitura di sostanze e servizi legati al mercato informale e anche di natura illecita. E' facile quindi avanzare l'ipotesi che le principali figure di devianza legate all'immigrazione - il traffico di droga, la prostituzione, i vari mercati dell'economia informale - abbiano trovato le loro radici all'interno della situazione sopra descritta, in cui sia la domanda di tali servizi sia l'opportunita' di offrirli sono ampiamente aumentati" (Melossi 1999, pp. 45 sg.). La globalizzazione si presenta come una regolazione criminale: "L'attuale rapporto di forze conduce al tentativo di eliminare i modi di regolazione imposti dai rapporti sociali ormai superati, per sostituirli non con la deregulation, la competizione, la concorrenza sui mercati, con tutto il repertorio insomma del discorso liberista, ma piuttosto con la regolazione segreta, clandestina, degli oligopoli, delle multinazionali, del capitale dominante, una regolazione criminale, dotata di trasparenza analoga a quella del Politburo della Corea del Nord o delle riunioni della mafia, un progetto utopistico, capace solo di generare il caos" (Amin 1998, p. 10). L'economia della globalizzazione sarebbe di per se' criminale, poiche' si regge sui cinque crimini maggiori contro l'umanita': 1) le transazioni finanziarie, alla cui base c'e' il riciclo di tutte le altre forme di criminalita'; 2) il commercio di armi e di materiali nocivi; 3) il commercio di organi umani, viventi e sezionati; 4) il commercio della droga; 5) il saccheggio della natura (Amoroso 1999, p. 50). Si ripropone il problema del rapporto tra capitalismo e mafia e piu' in generale il crimine organizzato. In altra sede mi sono posto questo problema pervenendo alla seguente conclusione. Sarebbe scorretto identificare capitalismo e mafia, dato che fenomeni di tipo mafioso non si sono registrati dovunque si e' imposto il modo di produzione capitalistico. La mafia nei suoi primi sviluppi e' assimilabile alle forme dell'accumulazione primitiva, ma non tutte le forme di accumulazione originaria hanno prodotto mafie. Decisiva a mio avviso e' stata l'affermazione della forma Stato come monopolista della forza. In Inghilterra e' documentata fino agli inizi del XIX secolo la presenza dei Volunteer, squadre a cavallo a servizio dei proprietari terrieri, che operavano in maniera molto simile a quella degli antenati dei mafiosi siciliani. Solo che dei Volunteer in seguito non si trova traccia mentre i mafiosi siciliani avranno un avvenire assicurato. Non mi pare che ci sia nessun mistero: in Inghilterra la violenza necessaria per portare avanti i processi di espropriazione viene assunta direttamente dallo Stato, mentre in Sicilia vige un oligopolio della violenza che offre ampio spazio all'azione violenta privata (Santino 2000a, pp. 86 sgg.). Nell'evoluzione del rapporto tra capitalismo e mafia-mafie possiamo distinguere tre fasi: 1) nella transizione dal feudalesimo al capitalismo si formano organizzazioni criminali di tipo mafioso dove non si afferma il monopolio statale della forza (mafia in Sicilia, triadi in Cina, yakusa in Giappone); 2) nei paesi a capitalismo maturo troviamo organizzazioni di tipo mafioso in presenza di determinate condizioni: immigrazione, che non significa che tutti gli immigrati sono criminali, ma che tra gli ultimi arrivati ci sono soggetti che usano il crimine come accumulazione primitiva; mercati neri originati dai proibizionismi, dall'immigrazione clandestina al proibizionismo degli alcolici prima e delle droghe dopo; 3) nel capitalismo globalizzato la diffusione di organizzazioni criminali di tipo mafioso si spiega con le grandi opportunita' offerte da un sistema in cui operano come fattori criminogeni dati strutturali come l'aggravamento degli squilibri territoriali e dei divari sociali e i processi di finanziarizzazione (Santino 1999, pp. 172 sg.). Oggi piu' che mai deficit e ipertrofia delle opportunita' invece che scontrarsi si danno la mano. Siamo passati da societa' mafiogene locali e circoscritte a un villaggio globale mafiogeno, esteso dai centri alle periferie. Abbiamo gia' detto che la globalizzazione piu' che un sistema di omologazione e di inclusione e' un sistema di esclusione che acuisce squilibri e divari, con il risultato che per molte aree del pianeta (l'Africa, l'America Latina, gran parte dell'Asia, gli ex paesi socialisti) l'accumulazione illegale e' l'unica economia possibile. Su questo fronte possiamo dire che il paradigma del deficit possa essere utilmente impiegato, ma il crimine non si sviluppa solo nelle periferie emarginate ma pure nei centri del capitale finanziario (e qui le opportunita' per il crimine organizzato sono decisamente ipertrofiche). La crescita dell'economia finanziaria non viene considerata solo come un effetto della globalizzazione ma si identifica con essa (Gallino 2000, p. 112). Bastera' qualche dato: nel 1998 c'e' stato un movimento giornaliero di capitali di 2.000 miliardi di dollari, di cui una frazione minima (tra un cinquantesimo e un centesimo della cifra totale) riguarda l'economia reale, produttrice di beni e servizi. Negli ultimi trent'anni gli scambi finanziari hanno avuto un aumento vertiginoso: nel 1970 erano 10-20 miliardi di dollari, nel 1980 sono passati a 80 miliardi, nel 1990 sono arrivati a 500 miliardi. Il sistema bancario-finanziario e' diventato un vero e proprio casino', per cui si e' parlato di "finanza barbara" (Millman 1996) o di "denaro impazzito" (Strange 1999). Sono ulteriormente proliferate le innovazioni finanziarie3 e sono comparsi nuovi operatori. Il mercato dei derivati ha avuto un incremento spettacolare: si calcola che il valore complessivo dei contratti relativi a derivati in circolazione in ventisei paesi nel 1995 equivaleva al doppio della produzione economica mondiale, cioe' a circa 47,5 trilioni di dollari (Strange 1999, p. 45). Accanto agli intermediari finanziari (brokers) agiscono gli operatori valutari, professionisti delle speculazioni piu' ardite e piu' rovinose per le economie piu' deboli (va sotto il nome di ramping la speculazione che consiste nel concentrare somme rilevanti in mercati di valute poco trattate, manovrandone l'ascesa o il crollo a seconda delle convenienze). Per quanto riguarda i paradisi fiscali, i paesi e i territori che offrono particolari facilitazioni per attirare i capitali, sarebbero tra 60 e 90. Una lista nera pubblicata dall'Ocse nel giugno 2001 comprende 35 paesi. Da un recente studio del "Financial Times" limitato a 37 Stati risulta che la loro attivita' negli ultimi anni e' cresciuta. Nel 1997 nelle isole Vergini britanniche sono state costituite 50 mila nuove societa' (nelle isole operano piu' di 260 mila societa'), nelle isole Cayman ne sono state costituite piu' di 42 mila, a Cipro piu' di 34 mila. I depositi in denaro hanno raggiunto 241 miliardi di dollari nelle Bahamas e oltre 500 miliardi di dollari nelle isole Cayman, con un incremento del 27,4% nelle isole Vergini britanniche (Santino 2000b). Anche se ubicati in isole offshore i paradisi fiscali si raggruppano nelle vicinanze dell'Europa e degli Stati Uniti, cioe' delle grandi centrali finanziarie e obbediscono alle esigenze di frazioni crescenti del capitale di sfuggire ai controlli e cercare sbocchi speculativi piu' remunerativi degli investimenti produttivi. Non tutto il capitale finanziario e' di provenienza illegale ma, data l'opacita' del sistema finanziario, e' difficile se non impossibile distinguere i vari flussi di capitale. In questo contesto si sviluppano le varie attivita' criminali, dai traffici di droghe, di armi e di materiali nucleari al saccheggio del territorio, con le deforestazioni, l'abusivismo edilizio, lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi, all'immigrazione clandestina e alla mercificazione degli esseri umani, che va dallo sfruttamento del lavoro in forme schiavistiche alla prostituzione di donne e di minori, al commercio di organi. Spesso queste attivita' sono condotte senza soluzione di continuita' con attivita' legali e i soggetti criminali operano in perfetta sintonia con imprenditori e istituzioni. Si formano cosi' gruppi dominanti che ricordano da vicino la borghesia mafiosa siciliana e si sviluppano collegamenti di soggetti criminali con rappresentanti di organizzazioni internazionali. Al processo di internazionalizzazione dei colletti bianchi si affianca l'internazionalizzazione delle attivita' dei gruppi criminali interessati a sfruttare le opportunita' offerte dalle ingenti risorse in dotazione delle varie istituzioni: il crimine transnazionale spesso e' il frutto di queste interazioni, a cominciare dalle frodi comunitarie nell'ambito dell'Unione europea e dagli appalti di opere pubbliche. Sulla base della difficolta' se non impossibilita' di distinguere legale e illegale (Isenburg 2000), si parla di una nuova fase nella storia del crimine organizzato: esso sarebbe stato dapprima predatorio, poi parassitario e ora simbiotico (Ruggiero 1992). Le attivita' criminali, dai traffici di droghe, di armi, di esseri umani, ai reati ambientali, sono segmenti di percorsi condivisi con altri soggetti, imprenditoriali e istituzionali, ognuno dei quali ha la sua convenienza e percepisce la sua quota di proventi. In realta' non si tratta soltanto di casi di collusione, gravi ma tutto sommato circoscritti, ma di qualcosa che rimanda alla struttura stessa dell'economia e del mercato, gia' prima della fase di globalizzazione: studiando l'impresa mafiosa ho proposto di utilizzare l'ipotesi teorica dell'"economia polimorfa" e del "mercato multidimensionale", in cui economia legale, sommersa e illegale si configurano come scomparti di un unico mercato, dando vita a scenari complessi, che vanno dall'intreccio e complicita' alla convivenza e al conflitto (Santino-La Fiura 1990, pp. 93 sg.). La simbiosi e' alimentata anche dalla condivisione di un codice culturale. All'interno di quello che e' stato definito il "pensiero unico", il dogma della competitivita' accomuna soggetti illegali e legali. Del resto che il crimine sia una forma di competitivita' lo sapevamo gia' (rituale il riferimento a Merton) e che il capitale non esiti a cogliere tutte le occasioni, comprese quelle criminali, di massimizzazione del profitto lo ricordava gia' nel XIX secolo Dunning, a cui fa riferimento Marx nel primo libro del Capitale. E l'auto-normativita' del mercato reca ancora piu' marcati i segni gia' inventariati da Weber: tutto viene ridotto a cosa e a merce e l'etica del profitto ricrea comportamenti e relazioni a sua immagine e somiglianza. Al vertice di questa scalata criminale si potrebbero collocare quelli che sono stati definiti gli "Stati-mafia". L'espressione e' stata impiegata negli ultimi anni per designare alcuni Stati direttamente impegnati in attivita' criminali. Si tratta in particolare di Stati balcanici, come la Serbia e l'Albania, nati dopo la dissoluzione dei regimi socialisti. In questi paesi le organizzazioni mafiose locali, dedite al traffico di droghe e di armi e con un ruolo di primo piano nelle guerre che hanno insanguinato l'area balcanica, si sono annidate ai vertici delle istituzioni, dando vita a regimi criminocratici ("Quaderni speciali di Limes" 2000). Situazioni sostanzialmente omologhe si sono registrate in altri paesi ex socialisti, a cominciare dalla Russia, dove le organizzazioni criminali si sono sviluppate dal seno stesso del Kgb e del Pcus e le borghesie in ascesa sono espressione di gruppi criminali, mentre pratiche illegali e corruzione allignano ai vertici del potere, come nel caso della famiglia Eltsin, coinvolta in operazioni di riciclaggio di capitali attraverso banche di vari paesi. L'espressione e' nuova ma il fenomeno non lo e' e non si puo' dire che sia limitato ai paesi ex socialisti. Di criminocrazia, piu' esattamente di narcocrazia, si e' parlato per vari paesi, i cui governanti sono risultati direttamente coinvolti nel traffico di droghe, e tra i casi piu' eclatanti si citano la dittatura del generale Garcia Meza in Bolivia, il regime di Noriega a Panama, il regime militare in Birmania. Nella storia della mafia siciliana il rapporto con le istituzioni si puo' considerare un dato costitutivo e si inscrive all'interno dei processi di formazione delle classi dominanti e della concreta configurazione della forma Stato. Il discorso non va limitato alla mafia. All'interno dello Stato italiano si sono verificati processi di criminalizzazione del potere e si sono formate delle vere e proprie istituzioni criminali. Tali possono essere considerati i cosiddetti "poteri occulti" (come i servizi segreti "deviati", i cui dirigenti erano iscritti alla loggia massonica P2) che hanno avuto un ruolo nelle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, in collaborazione con gruppi neofascisti e altri soggetti impegnati a respingere con ogni mezzo l'avanzata di partiti e movimenti che mettevano in forse l'assetto di potere. Anche in paesi come gli Stati Uniti ci sono stati fenomeni di criminalita' del potere, come nel caso dell'assassinio del presidente Kennedy, volutamente non chiarito in sede giudiziaria. Gli Stati-mafia, pertanto, non sono soltanto nei Balcani o in paesi dittatoriali (dalla Grecia dei colonnelli all'America Latina) ma l'espressione puo' essere usata per rappresentare un duplice fenomeno: le connessioni tra organizzazioni criminali e istituzioni, spesso rappresentate da personaggi incriminati per corruzione o per mafia, come in Turchia, dove sono al governo uomini della banda politico-criminale dei Lupi grigi, o nell'Italia berlusconiana, dove sono stati candidati ed eletti uomini condannati o sotto processo, e l'uso, continuativo o anche episodico, di pratiche criminali da parte delle istituzioni stesse. Tirando le somme, possiamo parlare di "crimini della globalizzazione" dando all'espressione questo significato: i gruppi criminali proliferano e le attivita' criminali si sviluppano in un contesto che e' criminogeno per i suoi caratteri strutturali e che da piu' parti viene definito criminale per le modalita' dell'accumulazione e della regolazione. * Le risposte istituzionali E' possibile governare la globalizzazione? L'Onu ha tentato di porsi il problema e nel corso degli anni '90 si e' formata una Commission on Global Governance, formata da 28 membri di 26 paesi. La global governance dovrebbe configurarsi come un insieme di regole, introdotte attraverso accordi bilaterali e multilaterali, per controllare i flussi economici mondiali (Gallino 2000, p. 106). I soggetti dovrebbero essere i governi, le istituzioni intergovernative, le Ong, i movimenti di cittadini, le corporazioni transnazionali, le universita', i mass media. La Commissione ha proposto l'istituzione di un Consiglio per la sicurezza economica che dovrebbe avere i seguenti compiti: monitorare lo stato dell'economia mondiale, elaborare politiche strategiche al fine di promuovere uno sviluppo stabile, equilibrato, sostenibile; assicurare la coerenza nell'azione delle organizzazioni internazionali, assicurare una leadership politica. Il progetto e' rimasto sulla carta per l'incapacita' dell'Onu di avere una qualche influenza sul Fmi, sulla Bm, sull'Omc e di contrastare l'affermazione del G8, che si presentano come i detentori del superpotere globale. Sul piano delle politiche anticrimine le Nazioni Unite hanno cercato di avere un loro ruolo, cominciando a porsi il problema degli sviluppi internazionali della criminalita' organizzata fin dal 1975, gettando le basi per la preparazione di una convenzione internazionale con una serie di iniziative, fino ad arrivare alla conferenza di Palermo del dicembre 2000 per la firma della convenzione sul crimine transnazionale. Per la Convenzione un reato e' di natura transnazionale se e' commesso in piu' di uno Stato; se e' commesso in un solo Stato ma la sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo ha luogo in un altro Stato; se e' commesso in un solo Stato ma coinvolge un gruppo criminale che svolge attivita' criminali in piu' di uno Stato, o e' commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato (art. 3). La Convenzione mira a introdurre negli ordinamenti dei paesi firmatari una figura di reato che richiama l'associazione a delinquere di tipo mafioso della legislazione italiana (art. 5), norme contro il riciclaggio (artt. 6-7), contro la corruzione (artt. 8-9), per la confisca dei beni derivanti da attivita' illecita (artt. 12-14), disponendo che gli Stati non possono opporre il segreto bancario (art. 12), per l'assistenza giudiziaria reciproca (art. 18) e per l'assistenza alle vittime (art. 25). Non c'e' nessun accenno ai crimini ambientali. Due protocolli aggiuntivi riguardano la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, e il traffico di migranti. La firma di un terzo protocollo contro la produzione illecita e il traffico di armi da fuoco e' stata rimandata. La Convenzione rappresenta il tentativo di creare un diritto penale internazionale a partire dal tema dell'internazionalizzazione del crimine organizzato, ma, a parte l'affidabilita' di vari Stati firmatari direttamente o indirettamente coinvolti in attivita' criminali, non puo' affrontare il problema della eziologia del crimine. L'art. 30 prevede misure imprecisate tendenti all'attuazione ottimale della Convenzione per mezzo della cooperazione internazionale e parla di "sforzi concreti" degli Stati-parte "per accrescere la loro cooperazione a vari livelli con i paesi in via di sviluppo, in modo da rafforzare la capacita' di questi ultimi di prevenire e di combattere la criminalita' organizzata transnazionale", disponendo che gli Stati versino dei contributi volontari. Ma, ammesso che problemi di cosi' vasta portata possano affrontarsi in questo modo, bisognera' vedere se queste indicazioni troveranno applicazioni. Per quanto riguarda le norme sul riciclaggio, la produzione legislativa ha assunto ormai una certa consistenza. Oltre alle norme adottate da vari paesi ci sono le direttive europee e la Convenzione interviene su un terreno gia' arato, ma il sistema finanziario ha come regole fondamentali l'efficienza, la sicurezza e la riservatezza, e la competizione si gioca nell'intreccio di questi tre termini, il che significa che il segreto bancario continua ad essere in vigore e lo sviluppo della new economy via rete telematica invece di rendere il mercato piu' trasparente incoraggia l'anonimato delle transazioni, con le convenienze prevedibili per gli operatori illegali. La proposta del premio Nobel per l'economia Tobin di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, avanzata nel 1972, finora non e' stata introdotta per la refrattarieta' del capitale finanziario a qualsiasi forma di controllo. In Italia, dove con la legge 197 del 1991 e' stata introdotta la legislazione antiriciclaggio, le segnalazioni di transazioni anomale sono molto poche. Nel periodo 1991-1996 a fronte di 2 miliardi e 100 milioni di transazioni bancarie, le banche hanno segnalato 7134 operazioni anomale, di cui solo 13 hanno portato ad identificare operazioni di riciclaggio (Masciandaro - Pansa 2000, p. 185). Assieme alla innovazione tecnologica dell'informazione (Internet) e alla globalizzazione dei mercati finanziari senza un'armonizzazione degli ordinamenti, per cui proliferano i paradisi fiscali, l'integrazione monetaria europea con l'introduzione dell'euro puo' offrire opportunita' al riciclaggio del denaro sporco innescando un meccanismo di riduzione dei costi di transazione, e questo vale sia per l'economia legale che per quella illegale. (CONTINUA) 3. INCONTRI. ANNA PICCIOLINI: LA TERZA ASSEMBLEA DELLA CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE [Questo resoconto dell'incontro svoltosi a Lodi il 18 novembre abbiamo ripreso dal sito de "Il paese delle donne"; per contatti: www.womenews.net] Domenica 18 novembre, Lodi. E' la terza assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le guerre. Terza dopo quella di Bologna, nella tarda primavera del 1999 e quella di Genova, nel novembre dello stesso anno. Per parlarne a chi non c'era in modo comprensibile serve fare un passo indietro, una specie di flashback fino a due anni prima. * La nascita della Convenzione La riunione di Bologna segno' l'avvio del processo della Convenzione come momento aggregante delle donne, o meglio delle femministe, singole e associate, che avevano preso posizione contro la guerra del Kosovo, e che cercavano forme politiche piu' efficaci di quelle in uso. La riunione di Genova, confermando la scelta, articolo' la Convenzione in gruppi di lavoro, fra cui si sarebbero dovuti mantenere i legami necessari per far circolare materiali e per coordinare le iniziative, su cui le aderenti potevano "convenire" di volta in volta. Nessuna struttura nazionale, anche se si era prospettata, come tappa successiva, la nomina di coordinatrici dei gruppi di lavoro con il ruolo di facilitare il processo di comunicazione e, appunto, di coordinamento. Nei due anni che intercorrono fra le riunioni di Genova e Lodi, la Convenzione e' stata, come forma politica originale, assai poco visibile. Sono state certamente visibili, presenti nelle vicende cruciali di questo periodo, le donne, le femministe, singole o associate, che avevano contribuito alla sua nascita, ma hanno usato altre forme, altre denominazioni. Dei gruppi di lavoro della Convenzione indicati a Genova, solo due hanno funzionato, quello sfociato nella costituzione di una Fondazione, poi Associazione Rosa Luxemburg, e quello finalizzato a mettere a fuoco i nessi fra guerra, economia e diritto. Inesistenti sia il gruppo che doveva curare le iniziative di comunicazione/formazione, che (ahime') quello costituito per reperire risorse finanziarie. * Marcia e Convenzione Fra le altre forme politiche nate in questo periodo quella piu' visibile e' stata senz'altro la Marcia mondiale delle donne, che, sia per il suo carattere internazionale che per i suoi espliciti riferimenti a quel grande evento collettivo che era stato Pechino '95, ha raccolto su una piattaforma unificante, contro la poverta' e la violenza, donne e gruppi di donne di molti Paesi. Merito delle partecipanti italiane, l'aver inserito nella piattaforma, a livello nazionale, una dichiarazione esplicita "contro le guerre", che mancava nei documenti internazionali. Anche per questo, forse, mentre le iniziative della Marcia si estendevano oltre il periodo inizialmente previsto, collegandosi al nascente movimento "contro la globalizzazione capitalista", le iniziative della Convenzione erano scarse, e quelle poche, scarsamente partecipate. Se alle molte donne aderenti ad entrambe le "strutture" fosse stato chiesto di scegliere, avrebbero giustamente fatto notare che si trattava di "forme politiche diverse" con obiettivi diversi, percorsi diversi. Ma, nei fatti, la Convenzione ha finito per vivacchiare, arrivando fino al punto di "aderire" alla Marcia! Alle iniziative prima e durante il G8, a Genova, la presenza femminista e' avvenuta sotto l'egida della Marcia, o di altre "forme", il Forum delle donne del Prc, la rivista Marea. La Convenzione, nello stesso periodo (a Torino all'inizio di giugno) e, in parte, per iniziativa delle stesse donne, si dotava di un Comitato che doveva preparare una nuova Assemblea nazionale, dopo l'estate. * Una guerra, ancora Quest'anno non siamo potute andare in vacanza. A Genova, alla fine di luglio, sono accaduti i fatti che, piu' o meno, tutte conosciamo. Senza voler sottovalutare l'eccezionale gravita' del comportamento delle forze dell'ordine e delle istituzioni, quei fatti hanno comunque messo a tema con urgenza anche il rapporto fra femminismo, pacifismo e movimento "contro la globalizzazione", il nesso fra obiettivi e mezzi, fra forma e sostanza della politica. All'inizio di settembre, gli attacchi terroristici a New York e Washington, e l'immediata minaccia di una guerra di ritorsione. Quando, alla fine di settembre, si sono incontrate a Firenze, in due giorni successivi, sia l'Associazione Rosa Luxemburg, che il coordinamento italiano della Marcia mondiale delle donne, la guerra, nel suo aspetto di elemento costituente di un nuovo ordine mondiale, era all'ordine del giorno. In quei due giorni, un dibattito serrato porto' a riaffermare l'utilita' di entrambe le forme politiche, la Marcia come rete mondiale di donne contro poverta', violenze e guerre, la Convenzione come momento di aggregazione del movimento femminista, ed esplicitamente finalizzata alla costruzione di una cultura politica che, senza negare l'esistenza dei conflitti, escluda la guerra come strumento di soluzione di essi. Per rilanciare la Convenzione, la cui necessita' nel presente e nel futuro appariva inversamente proporzionale alla sua efficacia politica e alla sua visibilita' nel passato, si decise di convocare la terza assemblea nazionale per il 18 di novembre, accettando la proposta ospitale delle compagne di Lodi. * L'Assemblea di Lodi Nello scambio di messaggi che hanno accompagnato la preparazione dell'assemblea, era chiara la necessita' di fare un bilancio per poter pensare ad un rilancio (non si tratta di un gioco di parole). Erano previste infatti le relazioni dei gruppi di lavoro, oltre a contributi nuovi. Poi questo duplice aspetto si e' perduto: il programma definitivo della giornata prevedeva che del futuro della Convenzione si parlasse solo in relazione all'approvazione dello Statuto (tempo disponibile due ore). Del passato, mai. Il presente: una sala confortevole, affollata, con una presenza significativa, maggioritaria, di donne di Lodi e della Lombardia, e con significative assenze, non tutte dovute alla lontananza o a problemi contingenti. Come da programma, gli interventi della prima parte della mattina erano sostanzialmente "a tema". Le ospiti, Danila Baldo per il gruppo Diade, e Giuliana Cominetti, assessora alle Pari Opportunita' del Comune di Lodi, hanno aperto i lavori. Laura Sobanska, del Comitato per la Pace e lo studio dei conflitti, di Lodi, ha parlato del lavoro politico quotidiano in una piccola citta' di provincia; Rajin Felat, dell'Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, ha detto che le donne sono "alla testa della resistenza popolare kurda"; Mercedes Frias, dell'Associazione Nosotras di Firenze, ha messo a nudo le contraddizioni del (rimosso) passato coloniale italiano, leggendo un brano scritto nel 1884, dal suono tragicamente attuale. Nicoletta Pirrotta, di Ora!, ha parlato del lavoro del gruppo della Convenzione su guerra ed economia, in particolare sulle spese militari. Rosita Viola, dell'Ics, ha raccontato di anni di lavoro nei Balcani, affermando che per mettere la guerra "fuori dalla storia" occorre concretizzare linee alternative in un mondo dove sono "aperti" ben 79 conflitti armati. * Lo statuto Il dibattito sullo Statuto aperto da Lidia Menapace, sulla proposta diffusa in rete prima dell'assemblea, si e' polarizzato su un aspetto: la necessita' di avere una forma leggera, adeguata alla novita' della forma politica Convenzione, ma nello stesso tempo sufficientemente strutturata per consentire a questa, come ad altre forme politiche del movimento delle donne, di poter accedere a finanziamenti (derivanti da una quota del gettito fiscale, nella proposta avanzata dalla stessa Lidia). A qualcuna (Picciolini, Capelli) il termine Statuto appare "datato": il termine Convenzione puo' indicare sia la forma politica, sia il patto, la carta, su cui si conviene. Carta d'intenti (ricorda Menapace) e' cio' che nell'Udi sostitui' uno statuto tutt'altro che leggero. Per Monica Lanfranco, da qui riparte la Convenzione "messa in riposo in quest'ultimo anno". Imma Barbarossa (che preferisce comunque il termine statuto), Giovanna Capelli, e Patrizia Arnaboldi propongono alcuni emendamenti, perlopiu' integrativi, di articolazione del testo. Gabriella Grasso vede nello statuto la mancanza di uno sguardo "fuori", e nella Convenzione la mancanza di un progetto che ci porti, anche fisicamente, "dove le donne stanno peggio di noi". Lo statuto, alla fine, viene approvato nel testo proposto da Lidia, con gli emendamenti, giudicati tutti piu' o meno "componibili" fra di loro, e il testo definitivo verra' redatto dalle portavoce (nominate alla fine dell'assemblea). * Il dibattito successivo Il pomeriggio si apre con altri interventi "a tema": Maria Anita D'Antonio, Donna in nero di Padova, racconta l'esperienza degli incontri di Novi Sad; Thanaa Suleiman, irachena (Un ponte per Baghdad) che e' in Italia da quattro anni per curare un figlio malato, dice che "in Italia la vita e' bella e facile"; Laura Quaiolo parla delle donne afgane in Pakistan, di Rawa e Awca, e illustra la campagna promossa a loro favore dalle Donne in nero. Il dibattito della/sulla Convenzione riprende con l'obiettivo di arrivare a un documento conclusivo, di cui viene letta una bozza. Prima che se ne discuta, l'intervento di Nadia De Mond riporta l'accento sulla Marcia mondiale, come originale "forma" della politica. Dichiara di "tenere poco al tipo di cappello che si da' alle occasioni in cui le donne sviluppano le loro riflessioni". Della Marcia sottolinea la tenuta nel tempo, per una struttura che non era nata come permanente: quasi 100 coordinamenti internazionali ancora esistenti anche se solo 36 presenti all'ultima riunione in Canada. Di questi ben 26 rappresentativi di Paesi del Sud del mondo. Da qui la Marcia intende darsi le strutture e le risorse per continuare a lavorare, verso un nuovo appuntamento mondiale, su tre assi: garantire una rete di emergenza per convogliare le energie nei luoghi piu' caldi; portare nel movimento antiglobalizzazione, particolarmente carente nell'analisi del ruolo del patriarcato, un punto di vista femminista; continuare il lavoro di monitoraggio del lavoro dell'Onu, dopo Pechino, per intervenire su di esso. Sul tema del rapporto fra movimento delle donne, o meglio fra movimento femminista e movimento antiglobalizzazione, si e' aperto un breve, ma intenso dibattito. Anche, ma non solo, sullo specifico della partecipazione, delle modalita' della partecipazione ai Social Forum che nascono ovunque in Italia. A questa partecipazione si e' spesso detta contraria Lidia Menapace, convinta che una aggregazione di movimenti sociali rischia di lasciare il "politico" altrove, delegandolo ai partiti, mentre il movimento femminista e', vuole essere, soggetto politico. Questo vale sicuramente per strutture come la Convenzione, ma, sostiene Imma Barbarossa, e' necessaria comunque la partecipazione delle femministe ai Social Forum, perche' la soggettivita' politica femminista deve attraversare un movimento oggi ancora dominato da culture e pratiche patriarcali. Lucidamente pragmatica, come sempre, Lidia Cirillo: "Le cose accadono quando sono mature. la Marcia mondiale e' importante per cio' che puo' diventare, oggi e' qualcosa di poco omogeneo, ma con un arco amplissimo di donne soprattutto del Sud del mondo. Ogni passo avanti, ogni accordo con una realta' del genere e' una conquista preziosa. Le discriminanti si pongono quando serve: oggi sulla guerra, mentre il dibattito sul lesbismo procede a fatica. Anche la partecipazione ai Social Forum, meglio, al movimento di Porto Alegre, e' una possibilita' che c'e', contro la dominanza della cultura mostruosa che porta alla guerra". La discussione e' andata avanti sulle prospettive di lavoro della Convenzione. Per Giovanna Capelli si deve fare un'operazione culturale difficile, "esaminare cosa vuol dire fare la guerra, anche nei casi, passati, in cui ci sembra ci siano state guerre giuste". Laura Coti propone di mettere a tema anche l'immigrazione, in vista della prevedibile approvazione di una nuova legge. Giovanna Corsi pone l'accento sull'informazione, che, dominata a livello mondiale da due agenzie, ci mostra un mondo che non c'e'. Ceci Damiani, raccontando la sua esperienza, da Pechino in poi, di lavoro con donne straniere, sottolinea come la guerra e' entrata nel nostro mondo, rovinando tutto un tessuto di relazioni fra diversi, fra diverse, che si stava costruendo. Anche nelle relazioni fra donne, la ricchezza viene dall'incontro di differenze, la ricerca dell'omogeneita' ci fa crescere poco. Cristina Papa racconta la partecipazione delle donne alla manifestazione del 10 dicembre (e al Forum dei giorni precedenti). Un'esperienza significativa di come si puo' costruire autorita' femminile nel movimento, proponendosi come garanti del corteo, chiedendone l'apertura come portatrici di pratiche di pace e di competenze che gli uomini non hanno. Delle cose "importanti", Cristina ha gia' detto tutto nell'articolo sullo scorso numero del "Foglio del paese delle donne". A Lodi ha raccontato di come lei e le altre compagne che si erano assunte la responsabilita' dell'apertura del corteo, hanno "convinto" ad andarsene un cellulare della polizia, che contro ogni norma e logica, stava in mezzo alla parte iniziale del corteo. Fin troppo facile pensare a cosa avrebbero fatto un gruppo di militanti da "servizio d'ordine". Gli interventi conclusivi, di Danila Baldo, Valeria Savoca, Lidia Menapace, esprimono la soddisfazione per la giornata, il lavoro fatto. I documenti saranno inviati alla stampa (intanto li pubblichiamo sul "Foglio del paese delle donne", anche se molte delle donne presenti ne ignoravano l'esistenza), le portavoce si riuniranno per riscrivere lo statuto (o la carta d'intenti), con gli emendamenti. Nuovi gruppi sono stati formati e le donne presenti si sono iscritte. Data la composizione dell'assemblea, fortemente "lombardocentrica", e' necessario che si trovi un modo per non far accadere adesso quello che e' accaduto dopo Genova: che i gruppi cioe' stentino a collegarsi, se non addirittura a decollare. La prossima assemblea, fra un anno, si terra' nel Sud, Napoli, Bari o Messina. 4. MATERIALI. IL DOCUMENTO FINALE DELLA TERZA ASSEMBLEA DELLA CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LA GUERRA [Riportiamo il documento finale dell'assemblea nazionale svoltasi a Lodi il 18 novembre, riprendendolo dall'utilissimo sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net)] Domenica 18 novembre, Lodi. E' la terza assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le guerre. Terza dopo quella di Bologna, nella tarda primavera del 1999 e quella di Genova, nel novembre dello stesso anno. La Convenzione permanente di Donne contro le guerre denuncia e condanna l'uso ormai continuo della guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali, comportamento per l'Italia incostituzionale, e illegittimo per qualsiasi stato faccia parte delle Nazioni Unite, la cui carta fondativa dichiara che la guerra e' sempre "un crimine". Per questo chiede urgentemente la costruzione del Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanita'. La Convenzione ritiene che guerre e terrorismi siano parimenti crimini contro l'umanita' e quindi non tra loro antagonisti, bensi' sinergici. Credere di sconfiggere i terrorismi con le guerre e' immorale illegale e inutile. Chiede l'immediato cessate il fuoco, l'apertura di canali sicuri per l'invio di aiuti umanitari alle popolazioni dell'Afghanistan duramente colpite per decenni da guerre terrore bombardamenti; appoggia le richieste delle donne afgane dell'Associazione Rawa, il cui documento qui allegato sostiene e approva: non sara' possibile miglioramento alcuno nella situazione afgana se non vi saranno donne significative per storia e numero nel futuro governo del paese; chiede altresi' il ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati e la costituzione di due stati per due popoli, con Gerusalemme capitale, come avvio di una pur sempre difficile risoluzione di pace e futura convivenza tra le popolazioni israeliana e palestinese; chiede la fine immediata dell'embargo contro la popolazione irakena, che sopporta danni terribili per mancanza di medicinali viveri risorse fondamentali, soprattutto a carico dei bambini e delle bambine dell'Irak; chiede una radicale riforma della legislazione sull'immigrazione in senso democratico, rispettosa dei diritti umani, incluso quello della libera circolazione sui territori del pianeta e il riconoscimento dello status di rifugiato/a politico/a a tutti quelli e quelle che fuggono da regimi autoritari o terroristici, come i Curdi e le Curde. Protesta per i risibili, ma indegni, tentativi di intimidazione e di restringimento della liberta' di critica nei confronti del governo, come da segnalazioni venute da piu' parti e delle quali si allegano testimonianze documentate. Invia una sentita approvazione e solidarieta' a tutti e tutte i e le parlamentari delle due camere che in vario modo hanno espresso il loro dissenso e rifiuto di legittimare la guerra: verso di loro la Convenzione intende praticare un rapporto preferenziale e una offerta di collaborazione quando le mete risultino comuni o componibili. La Convenzione lancia una campagna per un'Europa neutrale o non allineata che si contrapponga alla proposta dell'esercito europeo o della partecipazione alla Nato, convinta che la costituzione di un'Europa di pace sia anche la migliore premessa per la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e un buon terreno di incontro con le varie forme associative (ong) che da anni lottano per una democrazia di base, una assemblea dei popoli, una diplomazia popolare, tutte azioni nelle quali le donne giustamente pretendono una presenza significativa, per solito non riconosciuta. La Convenzione - certa che l'accesso a risorse pubbliche sia un diritto di cittadinanza cui le donne troppo poco attingono - avvia la proposta di una legge di iniziativa popolare per una quota del gettito fiscale (otto per mille) per l'associazionismo politico delle donne. La Convenzione approva l'attivita' precedentemente svolta dall'Associazione "Rosa Luxemburg", dai gruppi di lavoro su guerra economia diritto, dal gruppo Donne contro i G8 fino alla sua conclusione, dal Teatro di pace di Napoli. Approva altresi' all'unanimita' lo Statuto presentato all'inizio dei lavori, discusso e con gli emendamenti che sono stati approvati. La sua stesura e' demandata a un gremium di donne "portavoce della Convenzione". Si e' deciso di confermare e allargare i gruppi di lavoro politico, come di seguito elencati e che si riuniranno per definire struttura, luogo e scadenze: Associazione Rosa Luxemburg; gruppo Guerra-economia; gruppo Guerra-diritto; gruppo Guerra-ambiente; gruppo Guerra-cultura-scuola-formazione; gruppo Internazionale. Le donne che si sono autoproposte per le varie attivita' saranno raggiunte dai documenti e da richieste di segnalare i propri programmi. 5. RESISTENZE. MARINA FORTI: LA SCUOLA DELLE BAMBINE A KANDAHAR [Marina Forti e' inviata a Kandahar del quotidiano "Il manifesto", su cui il 14 dicembre e' apparso questo articolo] Il bel signore dai capelli bianchi ci guida nel vicoletto di terra battuta tra alti muri intonacati di fango. Un cancello si apre su un cortile inondato di sole. Le bambine siedono su piccole stuoie, un libro aperto davanti a se', leggono pronunciando bene ogni sillaba. E' un passaggio del Corano. Siamo in casa del signor Ahmad Shah Ahmadi: lui, la moglie e la figlia hanno trasformato la loro casa in una scuola elementare: insegnano pashto, dari, matematica e un po' di scritture islamiche alle bimbe del vicinato. Una scuola clandestina: insegnare a leggere e scrivere alle bambine e' stato uno dei piu' diffusi gesti di resistenza ai taleban, che l'avevano vietata alle ragazze. Per la verita', i taleban avevano condannato un'intera generazione di piccoli afghani all'ignoranza gia' solo vietando alle donne di insegnare: erano il 70% degli insegnanti. L'analfabetismo era diffuso nell'Afghanistan rurale ben prima che il mullah Omar instaurasse il suo regime (il 90% delle bambine e il 60% dei bambini non hanno mai potuto imparare a leggere e scrivere). Ma con i taleban le cose sono peggiorate. Decine di scuole hanno chiuso. Anche nelle citta', ai piccoli afghani erano rimaste poche alternative alle madrasse dove insegnano solo il Corano e i detti del profeta... Ora ogni persona un po' istruita confida che in questi anni ha insegnato a leggere e scrivere ai propri figli, e soprattutto alle figlie: ce lo dice l'infermiere capo all'ospedale, lo ripete il direttore dell'ufficio postale. Le famiglie che ne hanno avuto la possibilita' si sono trasferite in Pakistan semplicemente per poter mandare a scuola i bambini. Fortunate dunque le bambine che hanno potuto frequentare il cortile del signor Ahmadi, all'ombra di un arancio e di un grande cespuglio di basilico dai fiori viola. Le sue alunne, spiega, sono bimbe del vicinato. Sono un'ottantina, tra 6 e 13 anni: vengono a lezione tutti i giorni, due turni, dalle 7,15 alle 12 e dalle 3 alle 4,30. E' tutto basato sul volontariato, non chiediamo soldi, spiega il signore dai capelli bianchi e lo sguardo spiritato, intenso. Prima di improvvisarsi insegnante lavorava in una fabbrica tessile, era controllore capo, poi negli anni '80 lo stabilimento ha chiuso per la guerra. Lui e' del nord, di lingua dari, non pashtun. Si', ha avuto problemi con i taleban: "Ma ho continuato a insegnare, perche' sono un liberale e credo che bisogna istruire bambine e bambini". Questione di principio. Quando le bambine hanno cominciato a varcare ogni mattina il cancelletto del signor Ahmadi, la polizia talebana ha iniziato a indagare. L'hanno convocato: "Non mi hanno arrestato, ma per un certo periodo ho dovuto presentarmi ogni giorno al commissariato. Poi hanno cominciato a venire loro, regolarmente, a controllare a casa". Un'angheria continua. "Fermavano le bambine per controllare i loro libri. Le sgridavano se non avevano il velo". Gia', per le strade ci sono bambine di 7 o 8 anni gia' con il foulard. Nel cortile con il basilico sembrano attutite le tensioni di questa citta' che fatica a tornare alla normalita', gli spari ogni tanto (ma non dovevano disarmare le milizie?), le voci su combattimenti nei villaggi dei dintorni, o sui marines che si avvicinano, sul mullah Omar che si allontana. Entra una vicina di casa: la signora Sofya Malek Mohammad era la preside della scuola "Sargunanah", prima che i taleban la lasciassero senza lavoro. E' tajika. Ne' lei ne' le signore Ahmadi usavano portare il burqa prima che fosse un obbligo, bastava una sciarpa sui capelli. Ora Malek e' raggiante: ieri la radio ha fatto appello a tutti gli insegnanti a riprendere il lavoro, la settimana prossima dovrebbero riaprire le scuole. Indica le bambine, che ci guardano esterrefatte mentre riavvolgono i loro libri in un fazzoletto: torneranno a scuola, inshallah, se la pace dura. 6. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: QUELL'IMMAGINE MOSTRUOSA [Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente e di pace tenace costruttrice. Per contatti: lambient at tiscalinet.it] Leggo e rileggo le tristissime parole di Peppe Sini (L'esercizio del silenzio, La scelta di Gobetti), che fanno eco alla mia tristezza da "fine della speranza" (disperazione?). Caro Peppe, hai ragione, abbiamo paura. Il nemico improvvisamente ci e' apparso in tutto il suo sconfinato splendore, circonfuso di armi invincibili e di beni dolcissimi. Mezzo secolo di assenza di guerra, di parvenza di democrazia, di benessere crescente e dilagante (a spese di altrui penuria, cio' e' ovvio) ci hanno ridotti cosi', come drogati: il solo pensiero di perdere un bene materiale (il mio libro, il mio computer, la mia auto, il viaggio tanto atteso), ci toglie ogni forma di coraggio individuale e, privi di dignita', imploriamo una proroga, a qualunque prezzo. A natale ci scambieremo auguri di ogni bene e doni, senza dimenticare il versamento per un'opera pia. Il cappone e il panettone troneggiano gia' nei nostri pensieri, pronti a cancellare quell'immagine mostruosa che da giorni mi accompagna accoccolata in un angolino di ogni mio pensiero, del cane che raccoglie e inghiotte un misero resto di un ragazzo palestinese, esploso insieme con la sua disperata e folle carica di tritolo (Sciuscia', Rai 2, 13 dicembre). 7. RIFLESSIONE. YUKARI SAITO: UNA LETTERA A BABBO NATALE [Yukari Saito e' una prestigiosa giornalista e saggista giapponese, impegnata per la pace e la nonviolenza, che vive e lavora in Italia. Per contatti: yukaris at tiscalinet.it] Caro Babbo Natale, questa e' la prima lettera che ti scrivo in vita mia. Da bambina ho fatto sempre sfuggire l'occasione un po' per la titubanza che avevo nell'esprimere liberamente un mio desiderio con uno sconosciuto, un po' per il fatto che, siccome il mio compleanno cadeva poche settimane prima di Natale, tutti - salvo la mia famiglia - mi davano un regalo per il compleanno augurandomi anche buon Natale. Ma ora che ho 42 anni penso ormai di poter mandare al diavolo la titubanza. E poiche' adesso ho una cosa che davvero desidero, ho deciso di scriverti (spero che non ci sia un limite di eta' per poterti scrivere). Caro Babbo Natale, per quest'anno, vorrei chiederti il ripristino dell'articolo 11 della Costituzione italiana. In realta', si tratta di una cosa che avevamo, ma purtroppo l'abbiamo persa gradualmente negli ultimi due o tre anni. Anzi, ci tengo a precisare che alcuni uomini senza scrupoli l'hanno sottratta a noi, adulti e bambini. Io la rivoglio indietro, lo desidero cosi' intensamente che non so a che cosa non rinuncerei per riaverla. Bada bene, non te la sto chiedendo soltanto per me, ma per tutti quelli a cui apparteneva, e soprattutto per i bambini e i ragazzi a te cosi' cari. Nel caso che tu non conoscessi di che si tratta, ti lascero' il testo accanto al camino, insieme a un fiasco di vino e qualche fetta di pane. Vorrei aggiungere che, se la cosa poi ti piacesse, sei libero di regalarla a chiunque nel mondo (perche', per fortuna, ancora nessuno ne ha reclamato la proprieta' intellettuale). Spero con tutto il cuore che tu, generosissimo Babbo Natale, sappia esaudirmi questo desiderio. Un augurio sincero a te e alle tue renne. 8. DIRITTO ALLO STUDIO. NORMA BERTULLACELLI: COSA SUCCEDE NELLA SCUOLA ELEMENTARE [Norma Bertullacelli, insegnante nella scuola elementare, e' impegnata nell'educazione alla pace, nell'azione nonviolenta, nell'esperienza della rete controG8 di Genova. Per contatti: norma.b at libero.it] Gli studenti e le studentesse sono tornati a riempire le piazze per difendere il diritto di imparare e la scuola pubblica; e questa e' gia' una buona notizia. Ma i bambini e le bambine della scuola elementare non possono farlo; quindi forse e' utile che qualcuno racconti che cosa succede ai "piani bassi" dell'istruzione italiana. * Il ritorno dei voti E' finita la stagione in cui si relazionava alle famiglie sui progressi, l'impegno e l'inserimento del bambino scrivendo un testo articolato e argomentato. Si e' passati prima ai voti in lettere: A , B, C, D, E; poi all'odierna gamma di valutazioni: ottimo, distinto, buono, sufficiente, insufficiente. Piu' uno spazietto miserello in fondo alla scheda di valutazione per argomentare qualcosa. Ma nessuno lo guarda piu': sono tutti occupati a domandarsi "quanti ottimi? quanti sufficienti?". Non e' solo una questione tecnica: alcuni bambini meriterebbero ottimo anche con risultati pessimi, per l'impegno profuso, o per le condizioni di partenza, o per mille altri motivi, ma come si fa? La valutazione nella scuola del cavaliere (ma anche prima, nella scuola del centrosinistra) deve essere "oggettiva", e poche storie. Don Milani scriveva: Non c'e' niente di piu' ingiusto che fare le parti uguali tra disuguali": ma don Milani va bene per le citazioni, mica come educatore! * L'organizzazione "per moduli" Il peggio della scuola media trasferito nella scuola elementare. Tre insegnanti si dividono gli ambiti (leggi: le materie), spesso senza avere le competenze necessarie, o per lo meno avendo le stesse competenze di cui disponevano quando erano "insegnanti unici". Gli insegnanti del team trascorrono di solito il mese di settembre a far quadrare gli orari. Quando le lezioni iniziano, si vedono bambini di classe prima che informano i genitori che lunedi c'e' italiano, storia e musica; martedi matematica, scienze e ginnastica. E cosi' via. Pazienza se nel momento in cui Pierino di prima sta scrivendo faticosamente un pensiero la "maestra di italiano" deve traslocare rapidamente in terza; pazienza se il maestro di musica e' irrimediabilmente stonato; pazienza se da tutto questo i bambini traggono la conclusione che il sapere puo' essere fatto a fette e somministrato in pillole. L'importante era poter dire, quando la riforma e' stata trionfalmente presentata in televisione: "Dove prima c'era un insegnante, oggi ce ne sono tre!". E il tempo pieno? Chiedera' qualcuno di buona memoria. "Congelato": nel senso che per aprire una nuova sezione di tempo pieno e' necessario che un'altra se ne chiuda. E se i genitori hanno bisogno di un orario scolastico piu' lungo, per le proprie esigenze lavorative, sempre piu' pressanti dal punto di vista orario, che si paghino una baby sitter. Per i compiti a casa, inutili nel tempo pieno, ma inevitabili nell'organizzazione per moduli, non c'e' ancora il CEPU-elementari; ma di certo qualcuno ci stara' pensando. * I nuovi insegnanti Con l'ultimo contratto di lavoro sono state introdotte nella scuola nuove figure: le "funzioni obiettivo", che con i collaboratori del dirigente formano lo "staff organizzativo". Che fanno costoro? Di tutto: tengono i rapporti con l'esterno e con gli sponsor (!) di cui ogni scuola si sta dotando; organizzano l'aggiornamento proprio e dei colleghi; sostituiscono il dirigente; organizzano la promozione all'esterno dell'immagine della scuola, in quella sana logica di concorrenza che oggi va per la maggiore. Qualunque persona di buon senso penserebbe che per questi compiti, utili o inutili che siano, queste persone abbiano bisogno di tempo, e debbano rinunciare alla conduzione della classe. Invece il bello sta proprio qui: si tratta di attivita' aggiuntive al normale insegnamento, retribuite a parte, apprezzatissime dai dirigenti, ma che non danno diritto all'esenzione dall'attivita' di cattedra. Risultato: il lavoro in classe dell'insegnante e' sempre piu' svalutato, immiserito e sottopagato. Chi desidera arrotondare il proprio stipendio deve buttarsi a capofitto in queste attivita', e pazienza se le energie disponibili per il lavoro in classe rimangono pochine. "Perfido governo Berlusconi!" pensera' qualcuno. Perfido, certo; ma il governo di destra sta solo dando gli ultimi colpi di piccone ad un edificio che gli ultimi governi di centrosinistra avevano abbondantemente minato, in nome della stessa logica dell'efficienza, del risparmio e del profitto che anima le scelte del cavaliere. E' notizia di oggi che la nuova finanziaria impedira' la nomina di supplenti se l'assenza dei titolari sara' di durata inferiore ai quindici giorni; pero' la costruzione della seconda portaerei italiana, del costo di quattromila miliardi, procede speditamente nei cantieri di Riva Trigoso. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 315 del 16 dicembre 2001
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