Afghanistan: indirizzi umanitari



Come si dice società civile a Kabul?

di Emanuela Citterio (redazione at vita.it)

10/12/2001

L'altra faccia dell'Afghanistan. Il primo rapporto sulle ong afghane. Indirizzi utili per saperne di più

Peshawar, Pakistan. Una donna arriva a piedi con un bambino per mano. Racconta di essere fuggita dai bombardamenti su Kabul. Racconta di aver perso il suo bambino e di averlo ritrovato nascosto in un armadio. Si teneva le mani sulla testa e perdeva sangue dalle orecchie, perché il rumore delle bombe gli aveva sfondato i timpani. Ad accogliere e ad ascoltare il racconto della donna c'è Orzala Ashraf, "un'afghana di appena 26 anni, che si sta consumando, lavorando 24 ore su 24, per le centinaia di donne e bambini che ogni giorno vengono ad aggiungersi ai profughi che vivono nei campi in Pakistan", racconta Luca Lo Presti di Amnesty international, di ritorno da Peshawar.
Orzala è la testimonianza che la società civile afghana esiste, o meglio resiste. Che si è organizzata, nonostante decenni di oppressione e guerra civile e nonostante un regime che ha impedito ogni forma di partecipazione democratica. Orzala è afghana e laureata. Fino all'età di 15 anni ha studiato in un Afghanistan dove le ragazze potevano ancora andare a scuola. È riuscita a laurearsi, da profuga, in Pakistan. Sua madre, docente universitaria, ha dovuto lasciare in fretta e furia un appartamento a Kabul nell'89, per ritrovarsi a vivere con il resto della famiglia in una tenda del campo profughi di Peshawar.
Appena ventiquattrenne, Orzala ha fondato Hawca, un'organizzazione non governativa che assiste le donne e i bambini afghani nei campi. Hawca - Humanitarian assistance for women and children of Afghanistan durante il regime dei Talebani ha lavorato clandestinamente anche in Afghanistan, per dare assistenza sanitaria e istruzione alle donne private della libertà di migliorare se stesse e le condizioni di vita delle proprie famiglie. Lo stesso hanno fatto altre associazioni come Hawca, nate in tutti i Paesi che confinano con l'Afghanistan. Soprattutto in Pakistan, ma anche in Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e persino in Iran. Secondo molti osservatori queste organizzazioni, nate dalla diaspora afghana, potrebbero rappresentare una risorsa importante per ricostruire il tessuto sociale, culturale e politico del Paese.
Ma come sono nate e come sono strutturate le associazioni di questa società civile semiclandestina? Hawca, l'organizzazione fondata da Orzala, è una di quelle associazioni nate direttamente dall'iniziativa dei profughi afghani, quelli di “vecchia data” in particolare, che a un certo punto hanno deciso di organizzarsi per assistere gli altri profughi che man mano li raggiungevano nei campi. Organizzazioni come queste, dichiaratamente a scopo umanitario, sono state riconosciute dai Paesi che le ospitano, mentre in Afghanistan hanno dovuto agire clandestinamente.
Le associazioni portatrici di una rivendicazione di tipo politico sono state invece assolutamente bandite dall'Afghanistan ed erano perseguitate già prima del regime dei Talebani. La più famosa è Rawa - Revolutionary association of the women of Afghanistan, nata per iniziativa di un gruppo di intellettuali guidati dalla poetessa Meena, uccisa nel 1987 da agenti afghani del Kgb. Rawa è costretta ad agire in semiclandestinità anche in Pakistan. Una maggiore libertà d'azione in questi anni l'hanno avuta invece le organizzazioni non governative registrate presso il ministero della Pianificazione dell'ex governo di Kabul. Una delle più importanti è IbnSina, con cui collabora da sei anni anche la Caritas olandese. Così, pur avendo, come le altre ong, la sede ufficiale in Pakistan, queste organizzazioni hanno potuto aprire uffici anche in Afghanistan.
Poi ci sono le sigle nate su impulso delle organizzazioni internazionali. Tra queste c'è Rraa - Rural rehabilitation association for Afghanistan, creata da un consorzio di ong, che ha messo insieme il personale afghano formato nelle diverse esperienze di cooperazione all'interno del Paese. "Nonostante la presenza di una decina di associazioni locali credibili, non si può ancora parlare di società civile per un Paese come l'Afghanistan", precisa Davide Martina che coordina i progetti in Asia per l'ong italiana Coopi. "Fino a ieri qualsiasi forma di rappresentanza e di partecipazione era impedita. Ora bisognerà vedere in che misura le diverse fazioni che costituiranno il nuovo assetto politico di Kabul permetteranno forme di rappresentanza non istituzionali".
Secondo Sivio Tessari, coordinatore dei progetti in Asia per la Caritas, la vera risorsa sono gli afghani della diaspora, quelli che hanno potuto studiare e formarsi all'estero. "Fra i profughi di vecchia data, quelli che hanno lasciato il Paese già ai tempi dell'occupazione sovietica, c'è una élite culturale che può rappresentare un elemento fondamentale per la ricostruzione e la democratizzazione del Paese", sottolinea Tessari. Ma l'aspetto più caratteristico e paradossale della società civile nata da questa diaspora è il ruolo svolto dalle donne. "Determinate e coraggiose", le descrive Alessandra Radaelli del Cesvi, che si trova in Tagikistan per un progetto con una ong formata da 250 donne afghane. "Si sono trovate da sole con i figli in un paese straniero e hanno dovuto organizzarsi per sopravvivere e per mantenere la propria famiglia. Molte di loro sono istruite, perché sono emigrate una decina di anni fa quando a Kabul si poteva ancora studiare". Anche nei campi profughi in Pakistan sono state le donne a mostrare capacità organizzative, allestendo le sei classi necessarie a formare una scuola elementare, o a inventare progetti per autosostenersi economicamente. "Le donne afghane sono riuscite a sviluppare una capacità organizzativa e gestionale sorprendente", racconta la responsabile del progetto del Cesvi. "In molti villaggi tutti gli uomini sono stati uccisi o sono partiti per combattere. Sono rimaste le donne a dare continuità alla vita nella famiglia e nella società. All'estero hanno avuto più possibilità di movimento e hanno deciso di far fronte al conflitto organizzandosi. Per questo ora potrebbero rappresentare un elemento fondamentale per ricostruire il tessuto sociale".
Infine c'è un'ultima categoria: le organizzazioni della società civile vicine ai Talebani e finite nella lista degli enti che sostengono il terrorismo diffusa in tutto il mondo dal presidente Bush. Sono l'Al Rashid trust, ong con sede a Karachi, che in Afghanistan si occupa di costruire forni per la distribuzione del pane alle famiglie povere, e la Makhtab al-khiamay/al kifa, da cui, secondo gli Stati Uniti sarebbe addirittura nata l'organizzazione terroristica Al Qaeda. Se siano colpevoli oppure no, per ora è difficile dirlo. Mohammed Abdullah, portavoce dell'Al Rashid Trust, si difende sostenendo che, contrariamente a quanto sostiene Bush, la sua organizzazione non possiede conti correnti negli Stati Uniti. "Tutti i nostri depositi sono in Pakistan e per il momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione relativa al congelamento dei fondi".
LE ARMI MIGLIORI DEL PAESE
Donne rivoluzionarie Rawa
Rischiano la vita per affermare i diritti. E vogliono partecipare al governo che verrà
Per chi fa parte dell'organizzazione è prevista la pena di morte. Fondata nel 1977 a Kabul dalla poetessa Meena, Rawa è forse l'organizzazione afghana più nota all'estero. Messa al bando sin dai tempi dell'occupazione sovietica, continua a lavorare clandestinamente in Afghanistan per fornire istruzione e assistenza sanitaria alle donne e ai bambini.
Vi aderiscono 2mila donne. Ha fondato scuole e orfanotrofi nei campi profughi in Pakistan e una rete di 65 scuole clandestine per donne presso case private in Afghanistan. Opera per l'alfabetizzazione e la formazione culturale delle donne. Rawa ha svolto un ruolo importante anche nell'informazione. Il suo sito Internet ha fornito le uniche informazioni non autorizzate sulle condizioni del Paese, da quando ai giornalisti è stato vietato l'ingresso in Afghanistan.
Rawa è un'associazione impegnata politicamente per la democrazia, si è schierata contro il regime dei Talebani ma è contraria anche all'Alleanza del Nord. Propone il ritorno del re Zahir Shah, che fu deposto nel 1973, e il ripristino dell'“antico consiglio dei notabili”, con la presenza questa volta anche delle donne. Rawa punta ad aver voce in capitolo nel nuovo governo del dopo Talebani.
www.rawa.org
tel. 0092.300.8551638
email: rawa at rawa.org
Dal Tagikistan. Aprawc Scuola e lavoro per riagguantare
un futuro
Organizzazione attiva in Tagikistan, fondata nel 1998 da alcune donne afghane rifugiate, Aprawc si prefigge di promuovere i diritti delle donne afghane, mantenendo vivo il legame tra i profughi e la loro terra d'origine, oltre a fornire servizi d'assistenza per le donne che entrano in Tagikistan. Attraverso la pubblicazione del mensile Voice of the Women, Aprawc ha ampliato la sua capacità operativa e, di conseguenza, il numero dei suoi assistiti, anche grazie al contributo di agenzie internazionali come il Pam - Programma alimentare mondiale e l'Acnur - Alto commissariato per i rifugiati delle Nazione Unite.
Aprawc ha aperto un laboratorio artigianale che occupa 87 donne rifugiate e ha organizzato corsi di lingua inglese e un ambulatorio gratuito per la salute delle donne e dei bambini gestito da una équipe di 5 dottori. L'associazione fornisce anche, due volte alla settimana, supporto psicologico alle donne fortemente provate dalle condizioni di isolamento sociale e dalle difficoltà finanziarie.
Insieme all'ong italiana Cesvi sta formando 120 donne in previsione del rientro in Afghanistan. Alle donne profughe vengono trasmesse le conoscenze di base in assistenza sanitaria, supporto psicologico alle altre donne, ostretricia e ginecologia. Una volta rientrate nel loro paese, dovrebbero aprire piccoli centri sanitari con l'aiuto dell'Acnur per l'assistenza sanitaria di base alle donne e ai bambini.
Riferimento in Italia, Cesvi, tel.035.260940
email: donatori at cesvi.org
Da sempre sul campo - IbnSina
Tollerata dai Talebani, stimata dall'Unione europea
Più di quattrocento operatori coinvolti in progetti sanitari, fra cui 73 donne, per la maggior parte afghani. IbnSina è una delle due organizzazioni cui si appoggerà la Caritas italiana per l'assistenza umanitaria in Afghanistan. È una delle poche organizzazioni presente sul territorio afghano, perché ufficialmente registrata presso l'ex governo dei Talebani. Pur avendo la sede centrale in Pakistan, a Peshawar, ha un ufficio di collegamento più quattro uffici regionali all'interno dell'Afghanistan. Fornisce assistenza sanitaria di base alla popolazione in undici province dell'Afghanistan, soprattutto nella zona centro-meridionale, dove è presente con 32 centri sanitari e due centri per la maternità.
La sua affidabilità è stata garantita dalla Caritas olandese, con cui collabora da sei anni e da cui è stata sostenuta per lo sviluppo di progetti in ambito sanitario per la popolazione nel sud dell'Afghanistan.
I suoi finanziamenti provengono anche dall'Unione Europea , dall'Unicef e da organizzazioni non governative di ispirazione cristiana belghe e olandesi.
I programmi di intervento sanitario di IbnSina vanno dalla costruzione di centri sanitari e dalla fornitura di attrezzature per l'assistenza sanitaria di base, alla distribuzione di medicinali, all'educazione sanitaria nelle comunità locali in Afghanistan.
Gli interventi sono indirizzate in particolare a donne e bambini, le categorie più vulnerabili della popolazione, attraverso servizi di ostetricia e ginecologia, vaccinazioni e assistenza nutrizionale.
www.pcpafg.org/Organizations/ibnsina/
tel. 0092.9.14163292-91-84-3663
email: Ibph at brain.net.pk
Nelle tendopoli pakistane - Hawca
Un gruppo di auto aiuto nato tra le tende dei rifugiati
È un'organizzazione con base a Peshawar, in Pakistan, che lavora fra gli afghani dei campi profughi fornendo assistenza in particolare alle donne e ai bambini. La particolarità di questa organizzazione è quella di essere nata dall'esperienza di un gruppo di volontari, profughi anch'essi ma di “vecchia data”, che dagli anni 80 si danno da fare per aiutare gli altri profughi che man mano giungono in Pakistan.
La necessità di coordinare gli sforzi dei volontari e di articolare progetti a più lungo termine ha portato alla nascita di Hawcha, fondata nel 1999 grazie alla testardaggine di Orzala Ashraf, una donna afghana allora appena ventiquattrenne, laureata, profuga da dieci anni in Pakistan.
L'organizzazione, non governativa e apolitica, lavora in cinque settori: istruzione, sanità, assistenza medica di base, microcredito, e assitenza psicologica.
È un'organizzazione piccola ma capillarmente diffusa nei campi profughi in Pakistan dove affronta l'emergenza dell'arrivo di nuovi profughi, donne e bambini in particolare, assistendoli nei bisogni materiali e psicologici più urgenti. È attiva anche in Afghanistan, soprattutto nell'assistenza agli sfollati interni.
Oltre ad affrontare le emergenze, Hawca è riuscita a creare piccole scuole nei campi profughi e strutture (acqua, case, strade) che hanno reso i campi più abitabili. Ha organizzato corsi di alfabetizzazione per le donne e attività di artigianato per generare reddito.
Il principio guida di Hawca è quello di lavorare con i profughi fra i profughi alla pari. È sostenuta finanziariamente solo da piccole donazioni private e da associazioni simpatizzanti all'estero (in Italia è sostenuta da Donne in nero e da Amnesty international).
Hawcha è composta sia da donne che da uomini, lavora per la promozione della donna e rifiuta qualsiasi discriminazione etnica, di genere, politica o religiosa.
P.O. Box 646
G.P.O. Peshawar - Pakistan tel. 092.91.82459
email: hawca at hawca.org
www.hawca.org
FONTE: www.vita.it