La nonviolenza e' in cammino. 326



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 326 del 29 dicembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Simone de Beauvoir, contro l'infelicita'
2. Tre raccomandazioni su formazione alla difesa nonviolenta, obiezione alle
spese militari ed istituzione dei Caschi Bianchi accolte dalla Camera dei
Deputati nel 1998
3. Jeremy Brecher, la folle corsa alla guerra globale
4. Stefano Levi Della Torre ed altri: un appello per la ripresa del
negoziato per la pace fra israeliani e palestinesi
5. Una breve storia delle donne in nero
6. Umberto Santino, Stati-mafia
7. Un appello di alcuni insegnanti italiani per un dialogo di pace con le
scuole dei vicini paesi arabi e islamici
8. Letture: Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli
9. Riletture: Carmela Baffioni, Storia della filosofia islamica
10. Riletture: Giulio Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza
11. Riletture: Olivier Carre', L'Islam laico
12. Riletture: Henry Corbin, Storia della filosofia islamica
13. Riletture: Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto
pubblico
14. Riletture: Khalida Messaoudi, Una donna in piedi
15. Riletture: Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo
16. Riletture: Taslima Nasreen, Vergogna
17. Riletture: Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa
nell'Islam
18. Riletture: Giuliana Sgrena (a cura di), La schiavitu' del velo
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: CONTRO L'INFELICITA'
[Da Simone de Beauvoir, A conti fatti, Einaudi, Torino 1973, 1980, pp.
447-448]
E' proprio perche' odio l'infelicita' e sono poco incline a prevederla, che
quando la incontro essa m'indigna e mi sconvolge; e provo il bisogno di
comunicare la mia emozione. Per combatterla, bisogna prima rivelarla, e
pertanto dissipare le mistificazioni dietro le quali la si nasconde per
evitare di pensarci. E' proprio perche' rifiuto le evasioni e le menzogne,
che mi si accusa di pessimismo; ma questo rifiuto implica una speranza: che
la verita' puo' esser utile; e' un atteggiamento piu' ottimistico che non
scegliere l'indifferenza, l'ignoranza, le false apparenze.
Dissipare le mistificazioni, dire la verita', e' uno dei fini che ho piu'
ostinatamente perseguiti attraverso i miei libri.

2. DOCUMENTAZIONE. TRE RACCOMANDAZIONI SU FORMAZIONE ALLA DIFESA
NONVIOLENTA, OBIEZIONE ALLE SPESE MILITARI E ISTITUZIONE DEI CASCHI BIANCHI
ACCOLTE DALLA CAMERA DEI DEPUTATI NEL 1998
[Nel 1998 fu discussa ed approvata la nuova legge sull'obiezione di
coscienza al servizio militare e sul servizio civile alternativo. La Camera
dei Deputati in quella circostanza accolse come raccomandazioni tre ordini
del giorno, il cui testo di seguito riportiamo. Come e' noto le successive
vicende legislative e parlamentari, ed alcuni terribili eventi
internazionali, hanno profondamente modificato il contesto, ma le proposte
contenute in quelle raccomandazioni restano valide ed anzi per molti versi
sono oggi piu' necessarie ed urgenti di allora. Le riproponiamo
all'attenzione dei nostri interlocutori, ringraziando Alessandro Marescotti
per aver nuovamente richiamato l'attenzione su questi documenti con una sua
segnalazione nel sito www.peacelink.it che di seguito riproduciamo]
Il 14 aprile 1998 la Camera ha votato a larga maggioranza il nuovo testo
della legge sull'obiezione di coscienza, approvata in via definitiva nel
luglio dello stesso anno.
Collegati alla legge sono stati accolti come raccomandazione anche tre
ordini del giorno (sull'obiezione alle spese militari, sulla costituzione
dei caschi bianchi e sulla formazione alla difesa nonviolenta) che per noi
costituiscono un importante passo in avanti. Ne riportiamo integralmente il
testo.
* Sulla formazione alla difesa nonviolenta
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, punto 2, comma e), incarica l'Agenzia per il servizio civile a
predisporre forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non
armata e nonviolenta;
impegna il Governo
a costituire entro 6 mesi dall'entrata in vigore della nuova legge
sull'obiezione di coscienza un organismo di consulenza avvalendosi anche
della collaborazione dei principali Istituti di Ricerca sulla pace (Peace
research) italiani ed europei (quali L'UNIP di Rovereto, l'IPRI di Torino,
il Centro studi di formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli di Padova,
il BEOC di Bruxelles, L'IRNC francese, l'Austrian Study Center for peace and
conflict resolution di Vienna);
ad avviare la formazione dei formatori di obiettori di coscienza utilizzando
le esperienze gia' in atto degli Enti per il Servizio Civile e delle
associazioni di obiettori, per la pace ed i diritti umani (Lega Obiettori di
Coscienza, Movimento Internazionale Riconciliazione, Movimento Nonviolento,
Caritas, Associazione Papa Giovanni XXIII, ecc.);
ad istituire un "Centro Studi nazionale sulla difesa civile nonviolenta" in
collaborazione con le Universita', gli Istituti di ricerca sulla pace ed i
Centri studi e documentazione dei movimenti nonviolenti italiani gia'
riconosciuti dagli enti locali (Torino, Brescia, Verona, Padova, Perugia,
Roma);
a convocare almeno ogni due anni un Convegno nazionale sullo stato della
ricerca scientifica e sulle esperienze concrete europee ed internazionali di
difesa nonviolenta, peacekeeping, peacemaking, peacebuilding;
a proporre in sede UE la creazione di un Corpo Civile Europeo di Pace da
utilizzare in ambito ONU per la prevenzione dei conflitti armati, cosi come
gia' contenuto nell'Agenda per la Pace di Boutros Ghali.
* Sull'obiezione alle spese militari
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
la nuova normativa prevede per i cittadini che debbano assolvere all'obbligo
della difesa della patria il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza
quando per motivi personali non intendano collaborare a una difesa armata;
la nuova normativa prevede, accanto alla leva armata, l'istituzione di un
servizio civile per gli obiettori di coscienza, l'istituzione di una Agenzia
per il Servizio Civile e la possibilita' per gli obiettori di coscienza di
partecipare a missioni di Pace all'estero;
la nuova normativa pone sullo stesso piano giuridico la difesa armata e la
difesa nonviolenta;
gia' dal 1982 alcune migliata di cittadini che per motivi personali non
intendono collaborare attraverso la propria contribuzione fiscale alla
difesa armata, reclamano il rispetto della personale scelta di coscienza;
fin dalla X legislatura sono state presentate alla Camera e al Senato
proposte di legge per rendere possibile l'opzione fiscale da parte di quei
cittadini che intendono fare obiezione alle spese militari;
rispondendo all'interrogazione a prima firma Valpiana e in un successivo
incontro con i rappresentanti della Campagna per l'obiezione fiscale alle
spese militari, il Ministro delle Finanze si e' detto disponibile a studiare
forme che permettano al contribuente nell'ambito della dichiarazione annuale
dei redditi di esercitare obiezione di coscienza alle spese militari;
la legge n. 2/97 sul finanziamento dei partiti conferma il sistema
dell'opzione, gia' introdotto nel nostro ordinamento in relazione al
finanziamento delle confessioni religiose, dalla n. 222/85 alla n. 637/96,
garantendo il diritto del cittadino di finanziare, attraverso il vincolo di
una parte del gettito IRPEF, alcune rilevanti formazioni sociali;
la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Roma "La Sapienza" ha
tenuto nel mese di marzo '98 un seminario di studi dal titolo
"Dall'obiezione fiscale all'opzione del contribuente" proprio in ragione dei
fondamenti costituzionali dell'opzione fiscale e sulle ipotesi di una sua
previsione nella normativa;
impegna il Governo
a studiare forme per rendere possibile ai cittadini contribuenti,
analogamente a quanto previsto per i cittadini sottoposti all'obbligo di
leva, il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza, prevedendo forme di
finanziamento al servizio civile e alla difesa non armata e nonviolenta
previste dalla nuova legge sull'obiezione di coscienza.
* Sull'istituzione dei Caschi Bianchi
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
i recenti fatti nella regione del Kossovo hanno evidenziato ancora una volta
la necessita' che le organizzazioni intemazionali intervengano nelle
situazioni di crisi in funzione umanitaria a difesa dei piu' deboli con
contingenti civili adeguatamente formati;
l'invio di contingenti civili di volontari in funzione umanitaria oltre a
dare un aiuto concreto, assume un valore simbolico positivo e puo'
contribuire a creare le condizioni piu' idonee al dialogo ed alla gestione
pacifica del conflitto;
l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato negli ultimi anni
diverse risoluzioni sull'impiego nelle situazioni di crisi di un particolare
tipo di contingente denominato "Caschi Bianchi", con funzioni di
peacemaking, peacebuilding e peacekeeping, tra cui la risoluzione A/491139 B
del 20 dicembre 1994 e il rapporto del Segretario Generale dell'ONU
all'Assemblea Generale ed al Consiglio Economico e Sociale del 27 giugno
1995;
i Caschi Bianchi istituiti da alcuni Paesi, tra cui Spagna, Austria ed
Argentina sono stati impiegati in diverse regioni del mondo, quali Angola,
Armenia, Gaza, Haiti e Rwanda;
l'Italia ha aderito, con altri ventuno Paesi, al progetto Caschi Bianchi
impegnandosi a costituire un contingente nazionale che potrebbe essere
attivato in tempi rapidi con organizzazioni non governative ed associazioni
di volontariato per la pace, la solidarieta' ed i diritti umani;
tali contingenti possono quindi essere un elemento importante sia per il
mantenimento che per la costruzione della pace ma anche per il monitoraggio
del rispetto dei diritti umani nelle aree di crisi;
sarebbe, quindi opportuno anche in Italia costituire al piu' presto un
contingente di Caschi Bianchi da mettere a disposizione dell'ONU o
dell'Unione Europea per essere impiegato nelle aree di crisi;
tale contingente potrebbe essere costituito anche da obiettori che lo
richiedano, ai sensi dell'articolo 9, commi 7, 8 e 9 della proposta di legge
in esame;
impegna il Governo
a studiare forme atte alla creazione ed alla formazione operativa di un
contingente italiano di Caschi Bianchi.

3. RIFLESSIONE. JEREMY BRECHER: LA FOLLE CORSA ALLA GUERRA GLOBALE
[Questo articolo di Jeremy Brecher e' apparso sul quotidiano "Il manifesto"
del 28 dicembre, che presenta l'autore con la seguente nota:  "Jeremy
Brecher e' uno storico del movimento operaio americano. Suo e' il volume
Strike (recentemente ripubblicato dalla casa editrice DeriveApprodi),
un'appassionata analisi della formazione della classe operaia americana
dalla fine dell'Ottocento agli anni d'oro dell'era fordista. Impegnato nei
sindacati di base, ha scritto assieme a Tim Costello il volume Contro il
capitale globale (Feltrinelli), dove ha gettato le basi di quella che in
seguito e' stata chiamata la strategia lillipuziana, cioe' la costituzione
di una rete transnazionale di associazioni e gruppi di base per contrastare
le politiche neoliberiste. Con lo stesso Costello e Brendan Smith ha poi
scritto Come farsi un movimento globale (DeriveApprodi), un "manifesto" a
favore di una globalizzazione dal basso"]
L' amministrazione Bush sta conducendo gli Usa verso una conflagrazione
globale. Attualmente non c'e' alcuna forza - movimento sociale, esponente o
partito politico, gruppo di pressione - all'interno degli Stati Uniti che
possa fermarla.
Tocca al resto del mondo, e specialmente agli amici e agli alleati
dell'America - sia i governi che i loro cittadini - porre un freno alla sua
corsa al disastro.
I suoi alleati europei e arabi, e i suoi amici in tutto il mondo, hanno
chiesto all'amministrazione Bush di evitare:
- Una lunga campagna di bombardamenti in Afghanistan con perdite
significative tra i civili.
- La presa di Kabul da parte dell'Alleanza del Nord.
- Il bombardamento dell'Afghanistan durante il Ramadan.
- Il mancato ripristino del processo di pace israeliano-palestinese.
- Il ritiro dal trattato sui missili anti-balistici.
Tali consigli sono state ignorati dal primo all'ultimo. E il risultato
derivante da queste e simili scelte dell'amministrazione Bush e' una vasta
destabilizzazione globale la cui portata travalica di molto le risposte
all'11 settembre. Come riferisce il New York Times, "nuovi campi di
battaglia" si sono aperti "dai territori palestinesi fino al Kashmir" (David
E. Sanger, "On a Roll, But Where?", 7/12/01).
Che la guerra in Afghanistan fosse o no giustificata, il punto non e' piu'
la distruzione di Al Qaeda o la rimozione del repressivo regime Taliban, e
neppure se gli Usa attaccheranno l'Iraq. Il punto e' ora l'emergere di una
crisi mondiale provocata dall'amministrazione di una superpotenza che agisce
senza prendere in considerazione razionalmente le conseguenze delle sue
azioni. Il numero di guerre, civili e internazionali, che questa puo'
ulteriormente provocare e' semplicemente incalcolabile - e certamente
l'amministrazione Bush non ne sta tenendo conto razionalmente.
Quello attuale e' un livello ulteriore di verifica su cosa significhi essere
l'unica superpotenza al mondo. Come ha sostenuto un funzionario tedesco in
un articolo del New York Times, in passato Washington perseguiva i suoi
interessi nazionali modellando istituzioni, comportamenti e regole
internazionali. "Adesso sembra che Washington voglia perseguire il suo
interesse nazionale in modo piu' strettamente definito, facendo cio' che
vuole e costringendo gli altri ad adattarsi". (Steven Erlanger, "Bush's Move
on ABM Pact Gives Pause To Europeans", 13/12/01).
L'amministrazione Bush ha un elenco con dozzine di paesi in cui potrebbe
intervenire, e attualmente sta valutando quale sara' il prossimo. "I
funzionari del Pentagono hanno apertamente ventilato la possibilita' di fare
fuori [Saddam] Hussein... Recentemente una delegazione americana del
Dipartimento di Stato e' stata nel nord dell'Iraq, dove ha discusso con i
leader kurdi iniziative in quella parte dell'Iraq... Alcuni funzionari
dell'amministrazione riferiscono che potrebbe essere il Pakistan il luogo in
cui dovra' dispiegarsi la prossima fase della guerra" (New York Times,
7/12/01). Somalia, Sudan, Filippine... la lista della spesa potrebbe
continuare a lungo.
La destabilizzazione globale attuata dall'amministrazione Bush non si limita
alla guerra al terrorismo. Il ritiro degli Usa dal trattato sui missili
anti-balistici sta avviando una nuova corsa alle armi nucleari. Joseph Biden
Jr., presidente della commissione per le relazioni internazionali del Senato
Usa, cita le conclusioni, ampiamente riportate dai media, dell'intelligence
americana secondo cui "ritirarsi dal trattato sui missili anti-balistici
spingerebbe i cinesi a decuplicare il loro arsenale nucleare, al di la'
della modernizzazione prevista comunque... E quando lo faranno loro, gli
indiani faranno altrettanto, e quando lo faranno gli indiani, altrettanto
faranno i pakistani. E per che cosa? Per un sistema del cui funzionamento
nessuno e' convinto". ("U.S. Offers China Talks on Arms as It Pulls Out of
ABM Pact", The New York Times, 14/12/01).
Credere che gli Usa controllino in qualunque modo gli eventi significa
illudersi. Si consideri il processo di pace in Medio Oriente. Proprio mentre
Bush e Powell annunciavano un'importante iniziativa di pace, questa veniva
sabotata dall'effetto combinato dei partiti della guerra in Israele e in
Palestina. Gli Usa hanno poi assurdamente appoggiato le stesse forze
presenti in Israele che avevano sabotato la loro iniziativa. L'attacco al
parlamento indiano - che la nostra nuova amica, l'India, ritiene sia stato
organizzato con la connivenza del nostro vecchio amico, il Pakistan -
minaccia di provocare una guerra in mezzo alla quale ora si troveranno gli
Usa.
La giustificazione scelta dagli Stati Uniti per il loro attacco
all'Afghanistan, cioe' l'accusa di "dare ospitalita' ai terroristi", e'
stata ripresa quasi parola per parola da India, Israele, Russia e Cina per i
loro obiettivi di politica interna e estera. Il ricorso al "diritto
all'autodifesa" per giustificare la decisione unilaterale di attaccare
qualunque paese accusato di ospitare terroristi fornisce un pretesto a cui
qualunque leader nazionale puo' ora ricorrere per fare la guerra contro
chiunque voglia, nel piu' completo disprezzo del diritto internazionale.
C'e' qualcosa che i popoli e i governi in tutto il mondo devono capire:
attualmente non ci sono limitazioni interne efficaci a cio' che
l'amministrazione Bush puo' fare. In seguito alla risposta popolare agli
attacchi dell'11 settembre, l'amministrazione sente - correttamente, almeno
per il momento - di poter fare qualsiasi cosa senza dover temere il dissenso
o l'opposizione di una parte consistente degli americani. Gli Stati Uniti si
sono ritirati dal trattato sui missili anti-balistici senza quasi un fiato
da parte dell'opinione pubblica. Il loro avallo agli attacchi di Sharon
contro l'Autorita' palestinese ha ottenuto il sostegno schiacciante del
Congresso. Prospettare apertamente l'attacco e l'occupazione militare
dell'Iraq non fa battere ciglio a quasi nessun intellettuale, esponente
politico o religioso. Il movimento pacifista, che e' critico nei confronti
delle politiche dell'amministrazione Bush, potrebbe diventare in futuro un
freno significativo alla politica estera e interna statunitense, ma
attualmente non lo e'.
Ne' vi e' neppure un qualche tipo di contrappeso istituzionale. Il Congresso
Usa ha concesso quasi all'unanimita' all'amministrazione una delega in
bianco che le consente di condurre qualunque operazione militare essa
voglia. Le preoccupazioni pratiche di alti ufficiali del Pentagono, a quanto
pare, sono ignorate dal ministro della difesa Donald Rumsfeld e dai suoi
onnipresenti sostenitori. Il segretario di stato Colin Powell, considerato
da molti ragionevole e moderato, non e' riuscito a fare in modo che
l'amministrazione tenesse conto di alcuna delle raccomandazioni sopra
elencate.
Difficile individuare dunque una qualche forma di strategia alternativa a
quella dell'amministrazione Bush proveniente da una "istituzione" che metta
un limite all'esplosione della potenza Usa.
La cosa piu' grave e' la mancanza di una valutazione razionale delle
conseguenze a lungo termine delle scelte fin qui fatte dal presidente Bush.
Come ha detto recentemente un "esuberante aiutante di campo alto in grado",
l'amministrazione Bush "va a gonfie vele"; la sua "piu' grande
preoccupazione" e' "come utilizzare al massimo il vantaggio militare e
diplomatico che si e' costruita all'estero e il capitale politico che ha
accumulato nel paese". (The New York Times, 7/12/01) Come recita un articolo
apparso su The Guardian del 17/12/01, intitolato "Washington hawks get power
boost: Rumsfeld is winning the debate", "Per il momento almeno, a Washington
c'e' poco che possa impedire a Rumsfeld di dare la caccia ai nemici
dell'America fino a Baghdad".
Nell'era della guerra fredda, se non altro, gli Usa dichiaravano di voler
proteggere i loro alleati. Ma oggi che gli Stati Uniti esprimono la loro
potenza militare senza incontrare contrasti significativi, i loro amici e
alleati sono quelli che hanno le maggiori probabilita' di subire il
contraccolpo della destabilizzazione sotto forma di terrorismo, profughi,
recessione e guerra. Dipende dai governi e dalla societa' civile esterni
agli Usa imporre dei limiti a cio' che questi fanno: per il loro bene e per
il bene dell'America.
Durante la crisi di Suez del 1956, gli eserciti di Gran Bretagna, Francia e
Israele invasero l'Egitto e cominciarono ad avanzare sul Canale di Suez. Gli
Usa, sotto la presidenza Eisenhower, intervennero non per sostenere gli
invasori ma per contenerli. E' tempo che il mondo restituisca il favore. Ad
esempio:
- Una formula attraverso cui gli Usa dettano legge e' una "coalizione" in
cui il Golia americano stringe un accordo separato con ciascun "partner
della coalizione". Prima di promettere qualunque sostegno, i partner della
coalizione devono pretendere che gli Usa dichiarino apertamente le loro
intenzioni in modo che il mondo possa discuterle.
- I partner della coalizione con gli Usa, con poche eccezioni, si oppongono
agli attacchi Usa contro l'Iraq, la Somalia, il Sudan o qualunque altro
paese. Tuttavia non e' un segreto che a Washington la pianificazione di tali
attacchi e' in corso. I partner della coalizione devono smettere di
lamentarsi in privato e costituire un fronte unito, pubblico, concertato
contro tali azioni.
- Le Nazioni Unite possono fungere da arena di discussione sulla supremazia
della superpotenza e fornire alternative ad essa. Come minimo, gli Usa
possono essere costretti a isolarsi ponendo il veto a risoluzioni che vanno
contro il loro unilateralismo. (Il Consiglio di sicurezza recentemente ha
votato per 12 a 1, con l'astensione di Gran Bretagna e Norvegia, a favore di
una risoluzione che chiede una forza di interposizione [international
monitors] nel conflitto israeliano-palestinese. Gli Usa hanno posto il veto
alla risoluzione, isolandosi cosi' da molti dei loro stessi "partner della
coalizione"). A questo punto un appoggio forte, unito, pubblico alla
campagna del segretario generale Kofi Annan contro un eventuale attacco
all'Iraq avrebbe un grosso impatto negli Stati Uniti.
- I media negli Usa hanno ampiamente riferito che le persone che all'estero
erano critiche verso la guerra in Afghanistan sarebbero giunte alla
conclusione di essersi sbagliate perche' la guerra e' stata breve e ha
liberato l'Afghanistan, in particolare le donne, dalla tirannia dei Taliban.
A Washington si sta usando questa argomentazione per dimostrare che
l'opinione pubblica all'estero non va considerata un impedimento per
ulteriori attacchi in altri paesi. E' necessario che a Washington arrivi il
messaggio chiaro che cosi' non e'.
- Ci sono modi concreti in cui la gente e i governi possono cominciare a
mettere un freno a Washington. Il rifiuto dei paesi europei di estradare i
sospetti che possono essere soggetti ai tribunali militari o alla pena di
morte costituisce un esempio eccellente.
Questa sara' una battaglia lunga, che riguarda non una singola politica, ma
una tendenza storica fondamentale dell'unica superpotenza mondiale. E'
triste ma vero che a breve termine il resto del mondo puo' non avere la
forza sufficiente per impedire agli Usa di attaccare qualunque paese questi
decidano di prendere di mira. Ma e' tempo di cominciare a gettare le basi
per una strategia di contenimento a lungo termine.
Tale pressione internazionale puo' servire come deterrente per le azioni
piu' folli che l'amministrazione Bush sta considerando. Per esempio, secondo
alcuni articoli apparsi sulla stampa, l'opposizione della Russia,
dell'Europa e dei paesi arabi potrebbe almeno spingere i consiglieri di Bush
a rimandare l'attacco all'Iraq con la motivazione che "l'appoggio
internazionale e' insufficiente". (Warren P. Strobel, "The Next Phase: Iraqi
leader may be spared from U.S. campaign", Detroit Free Press, 19/12/01. Vedi
anche Thomas L. Friedman, "U.S. may be alone if next aim is Iraq", Detroit
Free Press, 20/12/01).
Se gli amici e i partner degli Stati Uniti nella coalizione faranno suonare
il campanello d'allarme, questo comincera' a provocare risposte diverse da
parte del Congresso, del Pentagono, delle elite finanziarie, e anche
dell'opinione pubblica americana, specialmente mentre diventano visibili le
conseguenze nefaste del meccanismo messo in moto dall'amministrazione Bush.
Senza una spinta dall'esterno, attualmente queste forze sono pronte a
gettarsi nell'abisso, con la mente vuota e in stato di trance.
Mettere un freno all'amministrazione Bush e' tutto meno che antiamericano.
E' la cosa migliore che gli amici dell'America possono fare per noi in
questo momento.
Qui abbiamo un proverbio: "gli amici non permettono agli amici di guidare
ubriachi". Per favore: gli amici dell'America portino via le chiavi della
macchina finche' a questa superpotenza ubriaca di potere non sara' passata
la sbornia.

4. DOCUMENTI. STEFANO LEVI DELLA TORRE ED ALTRI: UN APPELLO PER LA RIPRESA
DEL NEGOZIATO PER LA PACE FRA ISRAELIANI E PALESTINESI
[Questo appello, sottoscritto da illustri personalita', e' stato pubblicato
da "La Repubblica", noi lo abbiamo ripreso dalla utilissima "Newsletter di
Critica Liberale"]
Siamo solidali con il popolo israeliano cosi' duramente colpito dal
terrorismo palestinese, che punta all'eliminazione dello Stato di Israele.
Siamo solidali con il popolo palestinese che da decenni soffre sotto
occupazione israeliana e aspira al riconoscimento dei propri diritti,
all'indipendenza, alla terra, alla dignita'.
Noi pensiamo che la dirigenza palestinese, rompendo le trattative
nell'inverno 2000-2001 e ricorrendo all'intifada, abbia distrutto nella
maggioranza degli israeliani la speranza nel processo di pace, e abbia
favorito l'ascesa di Sharon, propenso a liquidare l'autonomia palestinese.
Noi pensiamo che l'ininterrotta politica israeliana di espansione degli
insediamenti nei territori occupati abbia minato tra i palestinesi la
speranza nel processo di pace come via per la propria indipendenza
territoriale e statuale.
Le rappresaglie e il blocco militare dei territori hanno, con alto prezzo di
vite umane, costretto Arafat a intervenire finalmente contro il terrorismo.
Ma questo risultato rischia di vanificarsi senza una svolta da entrambi i
lati: da parte palestinese l'impegno nei fatti per sconfiggere il
terrorismo, da parte israeliana il blocco degli insediamenti in vista della
loro evacuazione ci sembrano le condizioni per ricostruire la fiducia nel
negoziato.
Ora le forze della pace in Israele e tra i Palestinesi sono in terribile
difficolta'. Tanto piu' riteniamo necessario appoggiarle: non c'e'
alternativa a che due popoli e due stati convivano nella sicurezza e nella
dignita'. Ci riconosciamo nell'azione coraggiosa di esponenti politici come
Iossi Beilin, Iossi Sarid, Yael Dayan da parte israeliana, Yasser Rabbo,
Ziyad Abu Ziyad, Hannan Ashrawi da parte palestinese, che hanno riconfermato
l'impegno per un'azione comune di pace. Dopo l'11 settembre le ripercussioni
globali del conflitto israeliano-palestinese si sono moltiplicate. Ci uniamo
a quanti si appellano all'Ue, agli Usa, alla Russia, perche' intervengano
con piu' decisione per interporsi alla violenza e per spingere le due parti
a riprendere il negoziato.
Stefano Levi Della Torre, Giorgio Gomel, Guido Fubini, Lia Montel
Tagliacozzo, Pupa Garribba, Giovanni Levi, Silvio Ortona, Paul Ginsborg,
Carlo Ginzburg, Marina Morpurgo, Gabriele Nissim, Gavriel Segre, Andrea
Ginzburg, Andrea Levi, Aldo Zargani, Gloria Arbib, Sivia Finzi Levi, Stuart
Woolf , Emilio Jona, Emanuele Fiano, Lia Pergola, Roberto Bassi, Valerio
Fiandra, Bice Fubini

5. ESPERIENZE. UNA BREVE STORIA DELLE DONNE IN NERO
[Questo testo abbiamo ripreso dal sito femminista "Iemanja'". Per contatti:
www.ecn.org/reds/donne.html]
Le donne in nero nascono nel gennaio del 1988 in una piazza di Gerusalemme
ovest dall'incontro di sette donne israeliane; manifestano in silenzio per
un'ora ogni venerdi con cartelli che dicono "Stop the occupation", basta
alla occupazione militare del governo israeliano della Cisgiordania e di
Gaza.
L'Intifada era appena agli inizi. Da quel momento le donne hanno cominciato
tutti i venerdi a manifestare in silenzio, vestite di nero, contro la
violenza del loro governo, per chiedere delle soluzioni politiche pacifiche
e per testimoniare la speranza della pace. Le iniziative delle donne in nero
si sono moltiplicate in altre ventiquattro citta' fra le quali Tel Aviv,
Haifa, Londra, Amsterdam, New York, Roma.
Nell'estate dell'88 la casa delle donne di Torino, il centro di
documentazione di Bologna e le donne dell' Associazione per la Pace
organizzano un'iniziativa dal titolo "Visitare i luoghi difficili" a
Gerusalemme; scopo del viaggio era "tentare di realizzare qualcosa di
concreto, mettere in pratica la solidarieta', lo scambio tra le donne di
diverse parti del mondo per tessere una tela di fili invisibili fatta di
relazioni umane, riconoscere le disparita' di vita, cominciare ad essere
consapevoli di poter costruire una politica internazionale delle donne,
superare confini, barriere e nazionalismi pur essendo radicate nella nostra
realta'. Una ricerca comune, intendendo con cio' qualcosa di piu' ampio dei
semplici luoghi fisici, visitare i luoghi difficili della mente, della
coscienza, quello che e' nascosto dalle nostre paure e dai pregiudizi,
affrontare i nodi della violenza e della guerra, del dolore e dell'odio,
dell'estraneita' e' della passivita', per conoscere e conoscersi, per
cambiarsi".
Le 68 donne italiane nel mese di agosto '88 hanno manifestato insieme alle
donne in nero e si sono incontrate a Gerusalemme e nei territori occupati
con centinaia di donne palestinesi ed israeliane per costruire insieme
iniziative di pace e solidarieta'.
Al ritorno in Italia vari sono stati i progetti realizzati dai gruppi
promotori dell'iniziativa o dalle singole per dare continuita' alle
relazioni avviate con le donne israeliane e palestinesi.
Le donne dell'Associazione per la Pace tra le varie attivita' hanno deciso
di dare visibilita' e voce alle donne palestinesi ed israeliane contro
l'occupazione militare costituendosi come gruppo di donne in nero in Italia.
A partire da venerdi primo settembe 1988 le donne che hanno assunto queste
modalita', quindi donne in nero, hanno manifestato nelle varie piazze
d'Italia attraverso l'adesione spontanea ai contenuti del pacifismo, della
nonviolenza e della ricerca del superamento del conflitto materiale ed
emotivo.
Le donne sono state presenti con i loro corpi le loro menti ed i loro
sentimenti per dare visibilita' alle donne dei luoghi difficili e per una
soluzione pacifica dei conflitti fra Israele e Palestina, per i Balcani, per
l' Iraq, per l' Algeria, per il Kosovo, a sostegno delle donne in
Afghanistan e per le donne Kurde, promuovere una diplomazia dal basso delle
donne e per una politica internazionale delle donne come sostenuto a
Pechino, insieme alla marcia mondiale delle donne per essere libere da
guerra violenza e poverta'.
Le donne in nero hanno la modalita' di tessere la rete della solidarieta' e
della diplomazia dal basso, quindi di sostenere le donne che vivono nei
luoghi difficili entrando in relazione con loro e creando ponti di
solidarieta' e di sorellanza attiva.
"Il nostro pensiero e' legato al rifiuto della violenza, di ogni
nazionalismo e militarismo, contro quella cultura e quel linguaggio
bellicista presente nella vita di tutti noi, pacifisti e non; con la
volonta' di cercare di capire le ragioni degli uni e degli altri pur
assumendo una ferma e chiara posizione contro le guerre" - Luisa Morgantini
chiarisce in maniera esplicita la posizione delle donne in nero - "Creare
connessioni, relazioni, scambio e solidarieta' per costruire una
soggettivita' politica di donne e una identita' radicata nel nostro essere
capaci di appartenenze e superamento di queste, visione di un mondo che ha
la possibilita' di scegliere di poter e voler cambiare questa societa'
fondata sulla sopraffazione e il dominio, sull'ingiustizia economica e
sociale. La volonta' di essere protagoniste di questo cambiamento".
Il modo di esserci e' sempre lo stesso nel tempo, con la presenza dei corpi,
vestite di nero, in silenzio.
Il nostro silenzio non e' rassegnazione ed impotenza, ma protesta e
riflessione, e' urlo al di la' del suono.
Bene ci rappresenta una delle frasi che le donne di Belgrado hanno scelto di
scrivere sui loro striscioni, basandosi sul libro "Cassandra" di Crista
Wolf, in occasione del quinto anniversario della loro protesta (12 ottobre
1996): "Solo in seguito appresi anche l'arte di tacere. Che utile arma".
Il nostro nero e' il colore che aiuta i nostri corpi ad esprimersi.
I nostri corpi, la loro presenza, i nostri occhi si muovono, non sfuggiamo
gli sguardi delle persone che passano, vogliamo che sappiano perche' siamo
li', siamo nelle piazze, partecipiamo alle manifestazioni, informiamo la
gente, facciamo appello perche' non si partecipi alle operazioni di guerra,
aderiamo e organizziamo la campagna di obiezione alle spese militari.
La mano di Fatima, figlia prediletta di Maometto, che fermava gli eserciti e
i malintenzionati opponendo la mano davanti ai loro sguardi, come simbolo
nella speranza di poter fermare tutte le guerre. Questa mano, utilizzata
nella cultura ebraica e palestinese, e' il ponte che unisce le realta' che
all'apparenza sembrano divise, ma che sono frutto della stessa radice, la
condivisione.
Ci siamo, ci siamo state, ci saremo sempre, ancora nelle strade, donne, in
silenzio, in nero, in marcia per vivere, fino a che la guerra non sara'
fuori dalla storia.

6. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: STATI-MAFIA
[Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da un suo piu' ampio
scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione. Voci per un glossario",
disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro, e'
il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di
riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
L'espressione Stati-mafia e' stata impiegata negli ultimi anni per designare
alcuni Stati direttamente impegnati in attivita' criminali. Si tratta in
particolare di Stati balcanici, come la Serbia e l'Albania, nati dopo la
dissoluzione dei regimi socialisti. In questi paesi le organizzazioni
mafiose locali, dedite al traffico di droghe e di armi e con un ruolo di
primo piano nelle guerre che hanno insanguinato l'area balcanica, si sono
annidate ai vertici delle istituzioni, dando vita a regimi criminocratici.
Situazioni sostanzialmente omologhe si sono registrate in altri paesi ex
socialisti, a cominciare dalla Russia, dove le organizzazioni criminali si
sono sviluppate dal seno stesso del Kgb e del Pcus e le borghesie in ascesa
sono espressione di gruppi criminali, mentre pratiche illegali e corruzione
allignano ai vertici del potere, come nel caso della famiglia Eltsin,
coinvolta in operazioni di riciclaggio di capitali attraverso banche di vari
paesi.
* Narcocrazie e criminocrazie
L'espressione Stati-mafia e' nuova ma il fenomeno non lo e' e non si puo'
dire che sia limitato ai paesi ex socialisti. Di criminocrazia, piu'
esattamente di narcocrazia, si e' parlato per vari paesi, i cui governanti
sono risultati direttamente coinvolti nel traffico di droghe, e tra i casi
piu' eclatanti si citano la dittatura del generale Garcia Meza in Bolivia,
il regime di Noriega a Panama, il regime militare in Birmania.
Nella storia della mafia siciliana il rapporto con le istituzioni si puo'
considerare un dato costitutivo e si inscrive all'interno dei processi di
formazione delle classi dominanti e della concreta configurazione della
forma Stato. Nell'esperienza storica italiana il monopolio statale della
forza formalmente non e' mai venuto meno, ma di fatto, per quanto riguarda i
rapporti con la mafia, si e' dato luogo a una duplice dualita'. Per un verso
c'e' la doppiezza della mafia, che e' insieme fuori e contro lo Stato, in
quanto non riconosce il monopolio statale della forza, ha un suo codice e un
suo sistema di giustizia, ma e' pure dentro e con lo Stato per le sue
attivita' legate all'uso del denaro pubblico e la sua partecipazione attiva
alla vita pubblica.
Anche lo Stato e' doppio, nel senso che esso ha rinunciato parzialmente al
monopolio della forza delegando alla mafia compiti repressivi quando il
conflitto sociale non era regolabile attraverso le vie legali (si veda in
particolare tutta la storia del movimento contadino) e legittimando la
violenza mafiosa attraverso l'impunita', e quando ha dovuto rispondere
all'incremento della delittuosita' mafiosa che colpiva anche uomini delle
istituzioni, come negli anni '80 e '90, lo ha fatto in un'ottica di
emergenza, cioe' di risposta contingente alla sfida mafiosa, ripristinando
ben presto condizioni di convivenza.
Il discorso non va limitato alla mafia. All'interno dello Stato italiano si
sono verificati processi di criminalizzazione del potere e si sono formate
delle vere e proprie istituzioni criminali. Tali possono essere considerati
i cosiddetti "poteri occulti" (come i servizi segreti "deviati" , i cui
dirigenti erano iscritti alla loggia massonica P2) che hanno avuto un ruolo
nelle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, in collaborazione
con gruppi neofascisti e altri soggetti interessati a respingere con ogni
mezzo partiti e movimenti che mettevano in forse l'assetto di potere.
Anche in paesi come gli Stati Uniti ci sono stati fenomeni di criminalita'
del potere, come nel caso dell'assassinio del presidente Kennedy,
volutamente non chiarito in sede giudiziaria.
Gli Stati-mafia, pertanto, non sono soltanto nei Balcani o in paesi
dittatoriali (dalla Grecia dei colonnelli all'America Latina) ma
l'espressione puo' essere usata per rappresentare un duplice fenomeno: le
connessioni tra organizzazioni criminali e istituzioni, spesso rappresentate
da uomini incriminati per corruzione o per mafia, come in Turchia, dove sono
al governo uomini della banda politico-criminale dei Lupi grigi, e
nell'Italia berlusconiana, e l'uso, continuativo o anche episodico, di
pratiche criminali da parte delle istituzioni stesse.
* Bibliografia
AA.VV., Gli Stati mafia, quaderno speciale di "Limes", maggio 2000.
U. Santino, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato, Palermo 1994.

7. PROPOSTE. UN APPELLO DI ALCUNI INSEGNANTI ITALIANI PER UN DIALOGO DI PACE
CON LE SCUOLE DEI VICINI PAESI ARABI E ISLAMICI
[Nuovamente diffondiamo questo appello che riceviamo da Federico Repetto
(e-mail: logos at teleion.it). Per contatti: e-mail: mediatori at didaweb.net,
sito: www.didaweb.net/mediatori/]
Agli  studenti e ai colleghi delle scuole medie inferiori e superiori, alle
associazioni di volontariato che si occupano di educazione: aderite
all'iniziativa di pace, proposta da un gruppo di insegnanti che collaborano
al sito cooperativo www.didaweb.net
Intendiamo lanciare un messaggio di pace alle scuole dei paesi arabi e
islamici on line (rivolgendosi in primo luogo al mondo arabo e islamico
mediterraneo che ci e' piu' affine).
La scuola, noi pensiamo, deve essere un veicolo di pace e di rassicurazione
reciproca tra le culture. Certo, esiste gia' un dialogo on line tra scuole
nostre e loro (piu' i vari gemellaggi, non solo on line e per iscritto, ma
con visite e conoscenza diretta); tuttavia ci sembra che questo sia un
momento speciale in cui la fiducia reciproca e' scesa ai minimi storici.
Dichiarazioni di Bush e Berlusconi (con smentite che sicuramente l'opinione
pubblica araba e islamica non si e' bevuta), caccia all'arabo in grande in
America, ma in piccolo anche in Europa e in Italia, sono fatti che
richiedono una smentita da parte della gente comune, dei giovani in
particolare. Dobbiamo rassicurare gli islamici dell'altra sponda del
mediterraneo, nonche' dell'Albania e della Bosnia, del fatto che almeno
alcuni di noi non ce l'hanno a priori con loro. La lettera dovrebbe essere
firmata da classi, da singoli studenti e insegnanti, da associazioni di
volontariato che si accupano dei giovani e da associazioni di categoria
degli insegnanti e dei genitori. Tutte queste persone e gruppi potranno
mandare la loro adesione a mediatori at didaweb.net
Le scuole on line probabilmente sono ben poco rappresentative delle societa'
cui ci rivolgiamo. Bisognerebbe partire on line, ma poi arrivare a creare il
caso e a dargli risonanza, ed arrivare a scrivere a giornali di paesi
islamici o a scuole non on line. Insomma, l'iniziativa potrebbe avere due
generi di ricadute: far arrivare a molta gente un messaggio di pace (tra
l'altro invitando i nostri corrispondenti on line a comunicare in giro la
versione araba del nostro messaggio); specificamente, contribuire a
promuovere ancora il dialogo interculturale on line tra studenti e classi
dell'una e dell'altra "sponda" (in inglese o francese, on line o per posta
ordinaria).
Il gruppo del didaweb/mediatori
*
Ecco il testo dell'appello, che abbiamo gia' comunicato a diverse
associazioni.
Ai fratelli e alle sorelle di religione musulmana impegnati nella scuola
come studenti e come insegnanti
Noi firmatari, che insegnamo o studiamo in numerose scuole sparse per
l'Italia o che apparteniamo ad associazioni che si occupano dei problemi
dell'educazione, vogliamo assicurarvi che nutriamo fiducia nel dialogo con
voi e vi consideriamo amici e fratelli. Alcuni dei nostri media, dei nostri
governanti e dei nostri concittadini italiani o europei, hanno mostrato,
dopo l'attentato terroristico delle Torri Gemelle, un atteggiamento di
diffidenza - e qualche volta di superiorita' o di ostilita' -  nei confronti
del mondo musulmano, che noi non condividiamo affatto. Egualmente riteniamo
ingiusto e inaccettabile che nella punizione dei colpevoli  del fatto
criminale siano coinvolti numerosissimi innocenti e che le potenze
occidentali abbiano continuato a condurre questa guerra contro gli innocenti
nel mese del Ramadan, consacrato alla preghiera e al digiuno per i
musulmani.
I pregiudizi nei confronti dei musulmani ci sembrano tanto piu'
ingiustificati in quanto vengono dall'occidente, che ha conquistato e
colonizzato in tempi recenti gran parte dei paesi islamici e del mondo
intero. Inoltre non si puo' dimenticare che il Fondo Monetario
Internazionale, i governi e le grandi multinazionali dell'occidente da tempo
hanno fortemente condizionato i prezzi e i mercati di tutto il mondo.
Tuttavia la diffidenza e i pregiudizi della gente comune nei nostri popoli
nascono anche dall'ignoranza e dalle esagerazioni o distorsioni dei media.
L'uomo comune del nostro paese (e cosi' anche noi che vi scriviamo), non sa
veramente come voi pensiate, ne' come voi preghiate Dio, ne' come voi
viviate nella vita quotidiana, o come viviate l'esperienza della scuola.
Questo messaggio e' quindi un invito al dialogo tra le singole scuole, le
singole classi, gli insegnanti e gli studenti, nella convinzione che la
conoscenza ci affratelli.
Chi vuole entrare nella nostra rete per scambiare notizie, opinioni,
immagini, o anche semplici saluti, puo' farlo scrivendo all'indirizzo
elettronico mediatori at didaweb.net
Ci fara' piacere se ci direte che cosa pensate del nostro messaggio.
Eventualmente potrete dirci se siete interessati a proseguire il dialogo con
una classe (e di quale eta' e tipo di scuola), o con singoli insegnanti o
studenti. Vi suggeriamo, per cominciare, i grandi temi seguenti:
1) opinioni sul problema dei rapporti tra i popoli e le civilta';
2) vita quotidiana nei rispettivi paesi;
3) la scuola e i suoi problemi;
4) navigazione internet e impiego dell'informatica a scuola;
5) insegnamento delle lingue straniere;
6) altri temi da voi proposti.
Vi invitiamo infine a diffondere nelle scuole - e ovunque lo riteniate
opportuno - il messaggio che vi inviamo in lingua araba. A quanti volessero
entrare in contatto con noi per posta ordinaria in lingua inglese, francese
o italiana, potrete dare gli indirizzi postali che sono disponibili in
www.didaweb.net/mediatori/. Siamo desolati di non capire l'arabo e di poter
offrire solo una corrispondenza nelle lingue occidentali. Tuttavia sappiamo
che la grande tradizione culturale araba  ha permesso agli europei di
leggere non solo i grandi filosofi Ibn Sina e Ibn Rushd, ma perfino il greco
Aristotele. Speriamo che in un futuro non lontano tutti conoscano almeno un
po' le lingue e le culture di tutti gli altri.
Con amicizia,
un gruppo di insegnanti, di studenti e di volontari appartenenti a diverse
scuole italiane, e ad associazioni non governative.

8. LETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ISLAM SPIEGATO AI NOSTRI FIGLI
Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001,
pp. 110, lire 12.000. Il grande scrittore, sollecitato dalle domande della
figlia e di altri bambini, racconta l'Islam con la chiarezza e la
sensibilita' che gli sono proprie.

9. RILETTURE. CARMELA BAFFIONI: STORIA DELLA FILOSOFIA ISLAMICA
Camela Baffioni, Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano 1991,
pp. 448, lire 16.000. Un lavoro notevole, prezioso anche per i molti brani
originali tradotti ed inclusi nella trattazione.

10. RILETTURE. GIULIO BASETTI SANI: L'ISLAM NEL PIANO DELLA SALVEZZA
Giulio Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza, Edizioni cultura
della pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1992, pp. 360, lire 20.000. Un
islamologo francescano riflette sull'islam da una prospettiva cristologica,
un libro di grande interesse per il dialogo interreligioso.

11. RILETTURE. OLIVIER CARRE': L'ISLAM LAICO
Olivier Carre', L'Islam laico, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 136, lire
18.000. Uno studio agile ma ben documentato, utile per una discussione
necessaria.

12. RILETTURE. HENRY CORBIN: STORIA DELLA FILOSOFIA ISLAMICA
Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1973, 1991,
pp. 420, lire 20.000. Una monografia classica, una lettura appassionante.

13. RILETTURE. AUGUSTO ILLUMINATI (A CURA DI), AVERROE' E L'INTELLETTO
PUBBLICO
Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto pubblico,
Manifestolibri, Roma 1996, pp. 224, lire 18.000. Un'antologia degli scritti
del grande filosofo sull'anima, quasi tutti per la prima volta qui tradotti
in italiano, con un'ampia ed assai interessante introduzione del curatore.

14. RILETTURE. KHALIDA MESSAOUDI: UNA DONNA IN PIEDI
Khalida Messaoudi, Una donna in piedi, Mondadori, Milano 1996, 1997, pp.
180, lire 14.000. Intervistata da Elisabeth Schemla, la testimonianza della
militante ed intellettuale democratica algerina condannata a morte dai
fondamentalisti islamici.

15. RILETTURE. RASHID MIMOUNI: DENTRO L'INTEGRALISMO
Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo, Einaudi, Torino 1996, pp. 136, lire
20.000. Un intellettuale algerino, deceduto nel 1995, con grande chiarezza e
lucidita' descrive e denuncia l'integralismo islamico. E' un libro che
raccomandiamo particolarmente.

16. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA
Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996, pp. 250, lire
14.000. Il romanzo che denuncia il fanatismo religioso in Bangladesh; per
averlo scritto l'autrice ha subito persecuzioni ed e' stata condannata a
morte da un gruppo fondamentalista islamico.

17. RILETTURE. BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI: TOLLERANZA E GUERRA SANTA
NELL'ISLAM
Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni,
Firenze 1974, pp. 128. Un'agile ma rigorosa messa a punto da parte di una
delle piu' illustri studiose italiane.

18. RILETTURE. GIULIANA SGRENA (A CURA DI): LA SCHIAVITU' DEL VELO
Giuliana Sgrena (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma
1995, 1999, pp. 128, lire 12.000. Una raccolta di voci di donne contro
l'integralismo islamico.

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 326 del 29 dicembre 2001