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La nonviolenza e' in cammino. 326
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 326
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 30 Dec 2001 11:23:12 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 326 del 29 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Simone de Beauvoir, contro l'infelicita' 2. Tre raccomandazioni su formazione alla difesa nonviolenta, obiezione alle spese militari ed istituzione dei Caschi Bianchi accolte dalla Camera dei Deputati nel 1998 3. Jeremy Brecher, la folle corsa alla guerra globale 4. Stefano Levi Della Torre ed altri: un appello per la ripresa del negoziato per la pace fra israeliani e palestinesi 5. Una breve storia delle donne in nero 6. Umberto Santino, Stati-mafia 7. Un appello di alcuni insegnanti italiani per un dialogo di pace con le scuole dei vicini paesi arabi e islamici 8. Letture: Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli 9. Riletture: Carmela Baffioni, Storia della filosofia islamica 10. Riletture: Giulio Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza 11. Riletture: Olivier Carre', L'Islam laico 12. Riletture: Henry Corbin, Storia della filosofia islamica 13. Riletture: Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto pubblico 14. Riletture: Khalida Messaoudi, Una donna in piedi 15. Riletture: Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo 16. Riletture: Taslima Nasreen, Vergogna 17. Riletture: Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell'Islam 18. Riletture: Giuliana Sgrena (a cura di), La schiavitu' del velo 19. La "Carta" del Movimento Nonviolento 20. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: CONTRO L'INFELICITA' [Da Simone de Beauvoir, A conti fatti, Einaudi, Torino 1973, 1980, pp. 447-448] E' proprio perche' odio l'infelicita' e sono poco incline a prevederla, che quando la incontro essa m'indigna e mi sconvolge; e provo il bisogno di comunicare la mia emozione. Per combatterla, bisogna prima rivelarla, e pertanto dissipare le mistificazioni dietro le quali la si nasconde per evitare di pensarci. E' proprio perche' rifiuto le evasioni e le menzogne, che mi si accusa di pessimismo; ma questo rifiuto implica una speranza: che la verita' puo' esser utile; e' un atteggiamento piu' ottimistico che non scegliere l'indifferenza, l'ignoranza, le false apparenze. Dissipare le mistificazioni, dire la verita', e' uno dei fini che ho piu' ostinatamente perseguiti attraverso i miei libri. 2. DOCUMENTAZIONE. TRE RACCOMANDAZIONI SU FORMAZIONE ALLA DIFESA NONVIOLENTA, OBIEZIONE ALLE SPESE MILITARI E ISTITUZIONE DEI CASCHI BIANCHI ACCOLTE DALLA CAMERA DEI DEPUTATI NEL 1998 [Nel 1998 fu discussa ed approvata la nuova legge sull'obiezione di coscienza al servizio militare e sul servizio civile alternativo. La Camera dei Deputati in quella circostanza accolse come raccomandazioni tre ordini del giorno, il cui testo di seguito riportiamo. Come e' noto le successive vicende legislative e parlamentari, ed alcuni terribili eventi internazionali, hanno profondamente modificato il contesto, ma le proposte contenute in quelle raccomandazioni restano valide ed anzi per molti versi sono oggi piu' necessarie ed urgenti di allora. Le riproponiamo all'attenzione dei nostri interlocutori, ringraziando Alessandro Marescotti per aver nuovamente richiamato l'attenzione su questi documenti con una sua segnalazione nel sito www.peacelink.it che di seguito riproduciamo] Il 14 aprile 1998 la Camera ha votato a larga maggioranza il nuovo testo della legge sull'obiezione di coscienza, approvata in via definitiva nel luglio dello stesso anno. Collegati alla legge sono stati accolti come raccomandazione anche tre ordini del giorno (sull'obiezione alle spese militari, sulla costituzione dei caschi bianchi e sulla formazione alla difesa nonviolenta) che per noi costituiscono un importante passo in avanti. Ne riportiamo integralmente il testo. * Sulla formazione alla difesa nonviolenta Ordine del giorno accolto come raccomandazione La Camera, premesso che: l'articolo 8, punto 2, comma e), incarica l'Agenzia per il servizio civile a predisporre forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta; impegna il Governo a costituire entro 6 mesi dall'entrata in vigore della nuova legge sull'obiezione di coscienza un organismo di consulenza avvalendosi anche della collaborazione dei principali Istituti di Ricerca sulla pace (Peace research) italiani ed europei (quali L'UNIP di Rovereto, l'IPRI di Torino, il Centro studi di formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli di Padova, il BEOC di Bruxelles, L'IRNC francese, l'Austrian Study Center for peace and conflict resolution di Vienna); ad avviare la formazione dei formatori di obiettori di coscienza utilizzando le esperienze gia' in atto degli Enti per il Servizio Civile e delle associazioni di obiettori, per la pace ed i diritti umani (Lega Obiettori di Coscienza, Movimento Internazionale Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Caritas, Associazione Papa Giovanni XXIII, ecc.); ad istituire un "Centro Studi nazionale sulla difesa civile nonviolenta" in collaborazione con le Universita', gli Istituti di ricerca sulla pace ed i Centri studi e documentazione dei movimenti nonviolenti italiani gia' riconosciuti dagli enti locali (Torino, Brescia, Verona, Padova, Perugia, Roma); a convocare almeno ogni due anni un Convegno nazionale sullo stato della ricerca scientifica e sulle esperienze concrete europee ed internazionali di difesa nonviolenta, peacekeeping, peacemaking, peacebuilding; a proporre in sede UE la creazione di un Corpo Civile Europeo di Pace da utilizzare in ambito ONU per la prevenzione dei conflitti armati, cosi come gia' contenuto nell'Agenda per la Pace di Boutros Ghali. * Sull'obiezione alle spese militari Ordine del giorno accolto come raccomandazione La Camera, premesso che: la nuova normativa prevede per i cittadini che debbano assolvere all'obbligo della difesa della patria il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza quando per motivi personali non intendano collaborare a una difesa armata; la nuova normativa prevede, accanto alla leva armata, l'istituzione di un servizio civile per gli obiettori di coscienza, l'istituzione di una Agenzia per il Servizio Civile e la possibilita' per gli obiettori di coscienza di partecipare a missioni di Pace all'estero; la nuova normativa pone sullo stesso piano giuridico la difesa armata e la difesa nonviolenta; gia' dal 1982 alcune migliata di cittadini che per motivi personali non intendono collaborare attraverso la propria contribuzione fiscale alla difesa armata, reclamano il rispetto della personale scelta di coscienza; fin dalla X legislatura sono state presentate alla Camera e al Senato proposte di legge per rendere possibile l'opzione fiscale da parte di quei cittadini che intendono fare obiezione alle spese militari; rispondendo all'interrogazione a prima firma Valpiana e in un successivo incontro con i rappresentanti della Campagna per l'obiezione fiscale alle spese militari, il Ministro delle Finanze si e' detto disponibile a studiare forme che permettano al contribuente nell'ambito della dichiarazione annuale dei redditi di esercitare obiezione di coscienza alle spese militari; la legge n. 2/97 sul finanziamento dei partiti conferma il sistema dell'opzione, gia' introdotto nel nostro ordinamento in relazione al finanziamento delle confessioni religiose, dalla n. 222/85 alla n. 637/96, garantendo il diritto del cittadino di finanziare, attraverso il vincolo di una parte del gettito IRPEF, alcune rilevanti formazioni sociali; la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Roma "La Sapienza" ha tenuto nel mese di marzo '98 un seminario di studi dal titolo "Dall'obiezione fiscale all'opzione del contribuente" proprio in ragione dei fondamenti costituzionali dell'opzione fiscale e sulle ipotesi di una sua previsione nella normativa; impegna il Governo a studiare forme per rendere possibile ai cittadini contribuenti, analogamente a quanto previsto per i cittadini sottoposti all'obbligo di leva, il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza, prevedendo forme di finanziamento al servizio civile e alla difesa non armata e nonviolenta previste dalla nuova legge sull'obiezione di coscienza. * Sull'istituzione dei Caschi Bianchi Ordine del giorno accolto come raccomandazione La Camera, premesso che: i recenti fatti nella regione del Kossovo hanno evidenziato ancora una volta la necessita' che le organizzazioni intemazionali intervengano nelle situazioni di crisi in funzione umanitaria a difesa dei piu' deboli con contingenti civili adeguatamente formati; l'invio di contingenti civili di volontari in funzione umanitaria oltre a dare un aiuto concreto, assume un valore simbolico positivo e puo' contribuire a creare le condizioni piu' idonee al dialogo ed alla gestione pacifica del conflitto; l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato negli ultimi anni diverse risoluzioni sull'impiego nelle situazioni di crisi di un particolare tipo di contingente denominato "Caschi Bianchi", con funzioni di peacemaking, peacebuilding e peacekeeping, tra cui la risoluzione A/491139 B del 20 dicembre 1994 e il rapporto del Segretario Generale dell'ONU all'Assemblea Generale ed al Consiglio Economico e Sociale del 27 giugno 1995; i Caschi Bianchi istituiti da alcuni Paesi, tra cui Spagna, Austria ed Argentina sono stati impiegati in diverse regioni del mondo, quali Angola, Armenia, Gaza, Haiti e Rwanda; l'Italia ha aderito, con altri ventuno Paesi, al progetto Caschi Bianchi impegnandosi a costituire un contingente nazionale che potrebbe essere attivato in tempi rapidi con organizzazioni non governative ed associazioni di volontariato per la pace, la solidarieta' ed i diritti umani; tali contingenti possono quindi essere un elemento importante sia per il mantenimento che per la costruzione della pace ma anche per il monitoraggio del rispetto dei diritti umani nelle aree di crisi; sarebbe, quindi opportuno anche in Italia costituire al piu' presto un contingente di Caschi Bianchi da mettere a disposizione dell'ONU o dell'Unione Europea per essere impiegato nelle aree di crisi; tale contingente potrebbe essere costituito anche da obiettori che lo richiedano, ai sensi dell'articolo 9, commi 7, 8 e 9 della proposta di legge in esame; impegna il Governo a studiare forme atte alla creazione ed alla formazione operativa di un contingente italiano di Caschi Bianchi. 3. RIFLESSIONE. JEREMY BRECHER: LA FOLLE CORSA ALLA GUERRA GLOBALE [Questo articolo di Jeremy Brecher e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 28 dicembre, che presenta l'autore con la seguente nota: "Jeremy Brecher e' uno storico del movimento operaio americano. Suo e' il volume Strike (recentemente ripubblicato dalla casa editrice DeriveApprodi), un'appassionata analisi della formazione della classe operaia americana dalla fine dell'Ottocento agli anni d'oro dell'era fordista. Impegnato nei sindacati di base, ha scritto assieme a Tim Costello il volume Contro il capitale globale (Feltrinelli), dove ha gettato le basi di quella che in seguito e' stata chiamata la strategia lillipuziana, cioe' la costituzione di una rete transnazionale di associazioni e gruppi di base per contrastare le politiche neoliberiste. Con lo stesso Costello e Brendan Smith ha poi scritto Come farsi un movimento globale (DeriveApprodi), un "manifesto" a favore di una globalizzazione dal basso"] L' amministrazione Bush sta conducendo gli Usa verso una conflagrazione globale. Attualmente non c'e' alcuna forza - movimento sociale, esponente o partito politico, gruppo di pressione - all'interno degli Stati Uniti che possa fermarla. Tocca al resto del mondo, e specialmente agli amici e agli alleati dell'America - sia i governi che i loro cittadini - porre un freno alla sua corsa al disastro. I suoi alleati europei e arabi, e i suoi amici in tutto il mondo, hanno chiesto all'amministrazione Bush di evitare: - Una lunga campagna di bombardamenti in Afghanistan con perdite significative tra i civili. - La presa di Kabul da parte dell'Alleanza del Nord. - Il bombardamento dell'Afghanistan durante il Ramadan. - Il mancato ripristino del processo di pace israeliano-palestinese. - Il ritiro dal trattato sui missili anti-balistici. Tali consigli sono state ignorati dal primo all'ultimo. E il risultato derivante da queste e simili scelte dell'amministrazione Bush e' una vasta destabilizzazione globale la cui portata travalica di molto le risposte all'11 settembre. Come riferisce il New York Times, "nuovi campi di battaglia" si sono aperti "dai territori palestinesi fino al Kashmir" (David E. Sanger, "On a Roll, But Where?", 7/12/01). Che la guerra in Afghanistan fosse o no giustificata, il punto non e' piu' la distruzione di Al Qaeda o la rimozione del repressivo regime Taliban, e neppure se gli Usa attaccheranno l'Iraq. Il punto e' ora l'emergere di una crisi mondiale provocata dall'amministrazione di una superpotenza che agisce senza prendere in considerazione razionalmente le conseguenze delle sue azioni. Il numero di guerre, civili e internazionali, che questa puo' ulteriormente provocare e' semplicemente incalcolabile - e certamente l'amministrazione Bush non ne sta tenendo conto razionalmente. Quello attuale e' un livello ulteriore di verifica su cosa significhi essere l'unica superpotenza al mondo. Come ha sostenuto un funzionario tedesco in un articolo del New York Times, in passato Washington perseguiva i suoi interessi nazionali modellando istituzioni, comportamenti e regole internazionali. "Adesso sembra che Washington voglia perseguire il suo interesse nazionale in modo piu' strettamente definito, facendo cio' che vuole e costringendo gli altri ad adattarsi". (Steven Erlanger, "Bush's Move on ABM Pact Gives Pause To Europeans", 13/12/01). L'amministrazione Bush ha un elenco con dozzine di paesi in cui potrebbe intervenire, e attualmente sta valutando quale sara' il prossimo. "I funzionari del Pentagono hanno apertamente ventilato la possibilita' di fare fuori [Saddam] Hussein... Recentemente una delegazione americana del Dipartimento di Stato e' stata nel nord dell'Iraq, dove ha discusso con i leader kurdi iniziative in quella parte dell'Iraq... Alcuni funzionari dell'amministrazione riferiscono che potrebbe essere il Pakistan il luogo in cui dovra' dispiegarsi la prossima fase della guerra" (New York Times, 7/12/01). Somalia, Sudan, Filippine... la lista della spesa potrebbe continuare a lungo. La destabilizzazione globale attuata dall'amministrazione Bush non si limita alla guerra al terrorismo. Il ritiro degli Usa dal trattato sui missili anti-balistici sta avviando una nuova corsa alle armi nucleari. Joseph Biden Jr., presidente della commissione per le relazioni internazionali del Senato Usa, cita le conclusioni, ampiamente riportate dai media, dell'intelligence americana secondo cui "ritirarsi dal trattato sui missili anti-balistici spingerebbe i cinesi a decuplicare il loro arsenale nucleare, al di la' della modernizzazione prevista comunque... E quando lo faranno loro, gli indiani faranno altrettanto, e quando lo faranno gli indiani, altrettanto faranno i pakistani. E per che cosa? Per un sistema del cui funzionamento nessuno e' convinto". ("U.S. Offers China Talks on Arms as It Pulls Out of ABM Pact", The New York Times, 14/12/01). Credere che gli Usa controllino in qualunque modo gli eventi significa illudersi. Si consideri il processo di pace in Medio Oriente. Proprio mentre Bush e Powell annunciavano un'importante iniziativa di pace, questa veniva sabotata dall'effetto combinato dei partiti della guerra in Israele e in Palestina. Gli Usa hanno poi assurdamente appoggiato le stesse forze presenti in Israele che avevano sabotato la loro iniziativa. L'attacco al parlamento indiano - che la nostra nuova amica, l'India, ritiene sia stato organizzato con la connivenza del nostro vecchio amico, il Pakistan - minaccia di provocare una guerra in mezzo alla quale ora si troveranno gli Usa. La giustificazione scelta dagli Stati Uniti per il loro attacco all'Afghanistan, cioe' l'accusa di "dare ospitalita' ai terroristi", e' stata ripresa quasi parola per parola da India, Israele, Russia e Cina per i loro obiettivi di politica interna e estera. Il ricorso al "diritto all'autodifesa" per giustificare la decisione unilaterale di attaccare qualunque paese accusato di ospitare terroristi fornisce un pretesto a cui qualunque leader nazionale puo' ora ricorrere per fare la guerra contro chiunque voglia, nel piu' completo disprezzo del diritto internazionale. C'e' qualcosa che i popoli e i governi in tutto il mondo devono capire: attualmente non ci sono limitazioni interne efficaci a cio' che l'amministrazione Bush puo' fare. In seguito alla risposta popolare agli attacchi dell'11 settembre, l'amministrazione sente - correttamente, almeno per il momento - di poter fare qualsiasi cosa senza dover temere il dissenso o l'opposizione di una parte consistente degli americani. Gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato sui missili anti-balistici senza quasi un fiato da parte dell'opinione pubblica. Il loro avallo agli attacchi di Sharon contro l'Autorita' palestinese ha ottenuto il sostegno schiacciante del Congresso. Prospettare apertamente l'attacco e l'occupazione militare dell'Iraq non fa battere ciglio a quasi nessun intellettuale, esponente politico o religioso. Il movimento pacifista, che e' critico nei confronti delle politiche dell'amministrazione Bush, potrebbe diventare in futuro un freno significativo alla politica estera e interna statunitense, ma attualmente non lo e'. Ne' vi e' neppure un qualche tipo di contrappeso istituzionale. Il Congresso Usa ha concesso quasi all'unanimita' all'amministrazione una delega in bianco che le consente di condurre qualunque operazione militare essa voglia. Le preoccupazioni pratiche di alti ufficiali del Pentagono, a quanto pare, sono ignorate dal ministro della difesa Donald Rumsfeld e dai suoi onnipresenti sostenitori. Il segretario di stato Colin Powell, considerato da molti ragionevole e moderato, non e' riuscito a fare in modo che l'amministrazione tenesse conto di alcuna delle raccomandazioni sopra elencate. Difficile individuare dunque una qualche forma di strategia alternativa a quella dell'amministrazione Bush proveniente da una "istituzione" che metta un limite all'esplosione della potenza Usa. La cosa piu' grave e' la mancanza di una valutazione razionale delle conseguenze a lungo termine delle scelte fin qui fatte dal presidente Bush. Come ha detto recentemente un "esuberante aiutante di campo alto in grado", l'amministrazione Bush "va a gonfie vele"; la sua "piu' grande preoccupazione" e' "come utilizzare al massimo il vantaggio militare e diplomatico che si e' costruita all'estero e il capitale politico che ha accumulato nel paese". (The New York Times, 7/12/01) Come recita un articolo apparso su The Guardian del 17/12/01, intitolato "Washington hawks get power boost: Rumsfeld is winning the debate", "Per il momento almeno, a Washington c'e' poco che possa impedire a Rumsfeld di dare la caccia ai nemici dell'America fino a Baghdad". Nell'era della guerra fredda, se non altro, gli Usa dichiaravano di voler proteggere i loro alleati. Ma oggi che gli Stati Uniti esprimono la loro potenza militare senza incontrare contrasti significativi, i loro amici e alleati sono quelli che hanno le maggiori probabilita' di subire il contraccolpo della destabilizzazione sotto forma di terrorismo, profughi, recessione e guerra. Dipende dai governi e dalla societa' civile esterni agli Usa imporre dei limiti a cio' che questi fanno: per il loro bene e per il bene dell'America. Durante la crisi di Suez del 1956, gli eserciti di Gran Bretagna, Francia e Israele invasero l'Egitto e cominciarono ad avanzare sul Canale di Suez. Gli Usa, sotto la presidenza Eisenhower, intervennero non per sostenere gli invasori ma per contenerli. E' tempo che il mondo restituisca il favore. Ad esempio: - Una formula attraverso cui gli Usa dettano legge e' una "coalizione" in cui il Golia americano stringe un accordo separato con ciascun "partner della coalizione". Prima di promettere qualunque sostegno, i partner della coalizione devono pretendere che gli Usa dichiarino apertamente le loro intenzioni in modo che il mondo possa discuterle. - I partner della coalizione con gli Usa, con poche eccezioni, si oppongono agli attacchi Usa contro l'Iraq, la Somalia, il Sudan o qualunque altro paese. Tuttavia non e' un segreto che a Washington la pianificazione di tali attacchi e' in corso. I partner della coalizione devono smettere di lamentarsi in privato e costituire un fronte unito, pubblico, concertato contro tali azioni. - Le Nazioni Unite possono fungere da arena di discussione sulla supremazia della superpotenza e fornire alternative ad essa. Come minimo, gli Usa possono essere costretti a isolarsi ponendo il veto a risoluzioni che vanno contro il loro unilateralismo. (Il Consiglio di sicurezza recentemente ha votato per 12 a 1, con l'astensione di Gran Bretagna e Norvegia, a favore di una risoluzione che chiede una forza di interposizione [international monitors] nel conflitto israeliano-palestinese. Gli Usa hanno posto il veto alla risoluzione, isolandosi cosi' da molti dei loro stessi "partner della coalizione"). A questo punto un appoggio forte, unito, pubblico alla campagna del segretario generale Kofi Annan contro un eventuale attacco all'Iraq avrebbe un grosso impatto negli Stati Uniti. - I media negli Usa hanno ampiamente riferito che le persone che all'estero erano critiche verso la guerra in Afghanistan sarebbero giunte alla conclusione di essersi sbagliate perche' la guerra e' stata breve e ha liberato l'Afghanistan, in particolare le donne, dalla tirannia dei Taliban. A Washington si sta usando questa argomentazione per dimostrare che l'opinione pubblica all'estero non va considerata un impedimento per ulteriori attacchi in altri paesi. E' necessario che a Washington arrivi il messaggio chiaro che cosi' non e'. - Ci sono modi concreti in cui la gente e i governi possono cominciare a mettere un freno a Washington. Il rifiuto dei paesi europei di estradare i sospetti che possono essere soggetti ai tribunali militari o alla pena di morte costituisce un esempio eccellente. Questa sara' una battaglia lunga, che riguarda non una singola politica, ma una tendenza storica fondamentale dell'unica superpotenza mondiale. E' triste ma vero che a breve termine il resto del mondo puo' non avere la forza sufficiente per impedire agli Usa di attaccare qualunque paese questi decidano di prendere di mira. Ma e' tempo di cominciare a gettare le basi per una strategia di contenimento a lungo termine. Tale pressione internazionale puo' servire come deterrente per le azioni piu' folli che l'amministrazione Bush sta considerando. Per esempio, secondo alcuni articoli apparsi sulla stampa, l'opposizione della Russia, dell'Europa e dei paesi arabi potrebbe almeno spingere i consiglieri di Bush a rimandare l'attacco all'Iraq con la motivazione che "l'appoggio internazionale e' insufficiente". (Warren P. Strobel, "The Next Phase: Iraqi leader may be spared from U.S. campaign", Detroit Free Press, 19/12/01. Vedi anche Thomas L. Friedman, "U.S. may be alone if next aim is Iraq", Detroit Free Press, 20/12/01). Se gli amici e i partner degli Stati Uniti nella coalizione faranno suonare il campanello d'allarme, questo comincera' a provocare risposte diverse da parte del Congresso, del Pentagono, delle elite finanziarie, e anche dell'opinione pubblica americana, specialmente mentre diventano visibili le conseguenze nefaste del meccanismo messo in moto dall'amministrazione Bush. Senza una spinta dall'esterno, attualmente queste forze sono pronte a gettarsi nell'abisso, con la mente vuota e in stato di trance. Mettere un freno all'amministrazione Bush e' tutto meno che antiamericano. E' la cosa migliore che gli amici dell'America possono fare per noi in questo momento. Qui abbiamo un proverbio: "gli amici non permettono agli amici di guidare ubriachi". Per favore: gli amici dell'America portino via le chiavi della macchina finche' a questa superpotenza ubriaca di potere non sara' passata la sbornia. 4. DOCUMENTI. STEFANO LEVI DELLA TORRE ED ALTRI: UN APPELLO PER LA RIPRESA DEL NEGOZIATO PER LA PACE FRA ISRAELIANI E PALESTINESI [Questo appello, sottoscritto da illustri personalita', e' stato pubblicato da "La Repubblica", noi lo abbiamo ripreso dalla utilissima "Newsletter di Critica Liberale"] Siamo solidali con il popolo israeliano cosi' duramente colpito dal terrorismo palestinese, che punta all'eliminazione dello Stato di Israele. Siamo solidali con il popolo palestinese che da decenni soffre sotto occupazione israeliana e aspira al riconoscimento dei propri diritti, all'indipendenza, alla terra, alla dignita'. Noi pensiamo che la dirigenza palestinese, rompendo le trattative nell'inverno 2000-2001 e ricorrendo all'intifada, abbia distrutto nella maggioranza degli israeliani la speranza nel processo di pace, e abbia favorito l'ascesa di Sharon, propenso a liquidare l'autonomia palestinese. Noi pensiamo che l'ininterrotta politica israeliana di espansione degli insediamenti nei territori occupati abbia minato tra i palestinesi la speranza nel processo di pace come via per la propria indipendenza territoriale e statuale. Le rappresaglie e il blocco militare dei territori hanno, con alto prezzo di vite umane, costretto Arafat a intervenire finalmente contro il terrorismo. Ma questo risultato rischia di vanificarsi senza una svolta da entrambi i lati: da parte palestinese l'impegno nei fatti per sconfiggere il terrorismo, da parte israeliana il blocco degli insediamenti in vista della loro evacuazione ci sembrano le condizioni per ricostruire la fiducia nel negoziato. Ora le forze della pace in Israele e tra i Palestinesi sono in terribile difficolta'. Tanto piu' riteniamo necessario appoggiarle: non c'e' alternativa a che due popoli e due stati convivano nella sicurezza e nella dignita'. Ci riconosciamo nell'azione coraggiosa di esponenti politici come Iossi Beilin, Iossi Sarid, Yael Dayan da parte israeliana, Yasser Rabbo, Ziyad Abu Ziyad, Hannan Ashrawi da parte palestinese, che hanno riconfermato l'impegno per un'azione comune di pace. Dopo l'11 settembre le ripercussioni globali del conflitto israeliano-palestinese si sono moltiplicate. Ci uniamo a quanti si appellano all'Ue, agli Usa, alla Russia, perche' intervengano con piu' decisione per interporsi alla violenza e per spingere le due parti a riprendere il negoziato. Stefano Levi Della Torre, Giorgio Gomel, Guido Fubini, Lia Montel Tagliacozzo, Pupa Garribba, Giovanni Levi, Silvio Ortona, Paul Ginsborg, Carlo Ginzburg, Marina Morpurgo, Gabriele Nissim, Gavriel Segre, Andrea Ginzburg, Andrea Levi, Aldo Zargani, Gloria Arbib, Sivia Finzi Levi, Stuart Woolf , Emilio Jona, Emanuele Fiano, Lia Pergola, Roberto Bassi, Valerio Fiandra, Bice Fubini 5. ESPERIENZE. UNA BREVE STORIA DELLE DONNE IN NERO [Questo testo abbiamo ripreso dal sito femminista "Iemanja'". Per contatti: www.ecn.org/reds/donne.html] Le donne in nero nascono nel gennaio del 1988 in una piazza di Gerusalemme ovest dall'incontro di sette donne israeliane; manifestano in silenzio per un'ora ogni venerdi con cartelli che dicono "Stop the occupation", basta alla occupazione militare del governo israeliano della Cisgiordania e di Gaza. L'Intifada era appena agli inizi. Da quel momento le donne hanno cominciato tutti i venerdi a manifestare in silenzio, vestite di nero, contro la violenza del loro governo, per chiedere delle soluzioni politiche pacifiche e per testimoniare la speranza della pace. Le iniziative delle donne in nero si sono moltiplicate in altre ventiquattro citta' fra le quali Tel Aviv, Haifa, Londra, Amsterdam, New York, Roma. Nell'estate dell'88 la casa delle donne di Torino, il centro di documentazione di Bologna e le donne dell' Associazione per la Pace organizzano un'iniziativa dal titolo "Visitare i luoghi difficili" a Gerusalemme; scopo del viaggio era "tentare di realizzare qualcosa di concreto, mettere in pratica la solidarieta', lo scambio tra le donne di diverse parti del mondo per tessere una tela di fili invisibili fatta di relazioni umane, riconoscere le disparita' di vita, cominciare ad essere consapevoli di poter costruire una politica internazionale delle donne, superare confini, barriere e nazionalismi pur essendo radicate nella nostra realta'. Una ricerca comune, intendendo con cio' qualcosa di piu' ampio dei semplici luoghi fisici, visitare i luoghi difficili della mente, della coscienza, quello che e' nascosto dalle nostre paure e dai pregiudizi, affrontare i nodi della violenza e della guerra, del dolore e dell'odio, dell'estraneita' e' della passivita', per conoscere e conoscersi, per cambiarsi". Le 68 donne italiane nel mese di agosto '88 hanno manifestato insieme alle donne in nero e si sono incontrate a Gerusalemme e nei territori occupati con centinaia di donne palestinesi ed israeliane per costruire insieme iniziative di pace e solidarieta'. Al ritorno in Italia vari sono stati i progetti realizzati dai gruppi promotori dell'iniziativa o dalle singole per dare continuita' alle relazioni avviate con le donne israeliane e palestinesi. Le donne dell'Associazione per la Pace tra le varie attivita' hanno deciso di dare visibilita' e voce alle donne palestinesi ed israeliane contro l'occupazione militare costituendosi come gruppo di donne in nero in Italia. A partire da venerdi primo settembe 1988 le donne che hanno assunto queste modalita', quindi donne in nero, hanno manifestato nelle varie piazze d'Italia attraverso l'adesione spontanea ai contenuti del pacifismo, della nonviolenza e della ricerca del superamento del conflitto materiale ed emotivo. Le donne sono state presenti con i loro corpi le loro menti ed i loro sentimenti per dare visibilita' alle donne dei luoghi difficili e per una soluzione pacifica dei conflitti fra Israele e Palestina, per i Balcani, per l' Iraq, per l' Algeria, per il Kosovo, a sostegno delle donne in Afghanistan e per le donne Kurde, promuovere una diplomazia dal basso delle donne e per una politica internazionale delle donne come sostenuto a Pechino, insieme alla marcia mondiale delle donne per essere libere da guerra violenza e poverta'. Le donne in nero hanno la modalita' di tessere la rete della solidarieta' e della diplomazia dal basso, quindi di sostenere le donne che vivono nei luoghi difficili entrando in relazione con loro e creando ponti di solidarieta' e di sorellanza attiva. "Il nostro pensiero e' legato al rifiuto della violenza, di ogni nazionalismo e militarismo, contro quella cultura e quel linguaggio bellicista presente nella vita di tutti noi, pacifisti e non; con la volonta' di cercare di capire le ragioni degli uni e degli altri pur assumendo una ferma e chiara posizione contro le guerre" - Luisa Morgantini chiarisce in maniera esplicita la posizione delle donne in nero - "Creare connessioni, relazioni, scambio e solidarieta' per costruire una soggettivita' politica di donne e una identita' radicata nel nostro essere capaci di appartenenze e superamento di queste, visione di un mondo che ha la possibilita' di scegliere di poter e voler cambiare questa societa' fondata sulla sopraffazione e il dominio, sull'ingiustizia economica e sociale. La volonta' di essere protagoniste di questo cambiamento". Il modo di esserci e' sempre lo stesso nel tempo, con la presenza dei corpi, vestite di nero, in silenzio. Il nostro silenzio non e' rassegnazione ed impotenza, ma protesta e riflessione, e' urlo al di la' del suono. Bene ci rappresenta una delle frasi che le donne di Belgrado hanno scelto di scrivere sui loro striscioni, basandosi sul libro "Cassandra" di Crista Wolf, in occasione del quinto anniversario della loro protesta (12 ottobre 1996): "Solo in seguito appresi anche l'arte di tacere. Che utile arma". Il nostro nero e' il colore che aiuta i nostri corpi ad esprimersi. I nostri corpi, la loro presenza, i nostri occhi si muovono, non sfuggiamo gli sguardi delle persone che passano, vogliamo che sappiano perche' siamo li', siamo nelle piazze, partecipiamo alle manifestazioni, informiamo la gente, facciamo appello perche' non si partecipi alle operazioni di guerra, aderiamo e organizziamo la campagna di obiezione alle spese militari. La mano di Fatima, figlia prediletta di Maometto, che fermava gli eserciti e i malintenzionati opponendo la mano davanti ai loro sguardi, come simbolo nella speranza di poter fermare tutte le guerre. Questa mano, utilizzata nella cultura ebraica e palestinese, e' il ponte che unisce le realta' che all'apparenza sembrano divise, ma che sono frutto della stessa radice, la condivisione. Ci siamo, ci siamo state, ci saremo sempre, ancora nelle strade, donne, in silenzio, in nero, in marcia per vivere, fino a che la guerra non sara' fuori dalla storia. 6. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: STATI-MAFIA [Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da un suo piu' ampio scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione. Voci per un glossario", disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro, e' il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it] L'espressione Stati-mafia e' stata impiegata negli ultimi anni per designare alcuni Stati direttamente impegnati in attivita' criminali. Si tratta in particolare di Stati balcanici, come la Serbia e l'Albania, nati dopo la dissoluzione dei regimi socialisti. In questi paesi le organizzazioni mafiose locali, dedite al traffico di droghe e di armi e con un ruolo di primo piano nelle guerre che hanno insanguinato l'area balcanica, si sono annidate ai vertici delle istituzioni, dando vita a regimi criminocratici. Situazioni sostanzialmente omologhe si sono registrate in altri paesi ex socialisti, a cominciare dalla Russia, dove le organizzazioni criminali si sono sviluppate dal seno stesso del Kgb e del Pcus e le borghesie in ascesa sono espressione di gruppi criminali, mentre pratiche illegali e corruzione allignano ai vertici del potere, come nel caso della famiglia Eltsin, coinvolta in operazioni di riciclaggio di capitali attraverso banche di vari paesi. * Narcocrazie e criminocrazie L'espressione Stati-mafia e' nuova ma il fenomeno non lo e' e non si puo' dire che sia limitato ai paesi ex socialisti. Di criminocrazia, piu' esattamente di narcocrazia, si e' parlato per vari paesi, i cui governanti sono risultati direttamente coinvolti nel traffico di droghe, e tra i casi piu' eclatanti si citano la dittatura del generale Garcia Meza in Bolivia, il regime di Noriega a Panama, il regime militare in Birmania. Nella storia della mafia siciliana il rapporto con le istituzioni si puo' considerare un dato costitutivo e si inscrive all'interno dei processi di formazione delle classi dominanti e della concreta configurazione della forma Stato. Nell'esperienza storica italiana il monopolio statale della forza formalmente non e' mai venuto meno, ma di fatto, per quanto riguarda i rapporti con la mafia, si e' dato luogo a una duplice dualita'. Per un verso c'e' la doppiezza della mafia, che e' insieme fuori e contro lo Stato, in quanto non riconosce il monopolio statale della forza, ha un suo codice e un suo sistema di giustizia, ma e' pure dentro e con lo Stato per le sue attivita' legate all'uso del denaro pubblico e la sua partecipazione attiva alla vita pubblica. Anche lo Stato e' doppio, nel senso che esso ha rinunciato parzialmente al monopolio della forza delegando alla mafia compiti repressivi quando il conflitto sociale non era regolabile attraverso le vie legali (si veda in particolare tutta la storia del movimento contadino) e legittimando la violenza mafiosa attraverso l'impunita', e quando ha dovuto rispondere all'incremento della delittuosita' mafiosa che colpiva anche uomini delle istituzioni, come negli anni '80 e '90, lo ha fatto in un'ottica di emergenza, cioe' di risposta contingente alla sfida mafiosa, ripristinando ben presto condizioni di convivenza. Il discorso non va limitato alla mafia. All'interno dello Stato italiano si sono verificati processi di criminalizzazione del potere e si sono formate delle vere e proprie istituzioni criminali. Tali possono essere considerati i cosiddetti "poteri occulti" (come i servizi segreti "deviati" , i cui dirigenti erano iscritti alla loggia massonica P2) che hanno avuto un ruolo nelle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, in collaborazione con gruppi neofascisti e altri soggetti interessati a respingere con ogni mezzo partiti e movimenti che mettevano in forse l'assetto di potere. Anche in paesi come gli Stati Uniti ci sono stati fenomeni di criminalita' del potere, come nel caso dell'assassinio del presidente Kennedy, volutamente non chiarito in sede giudiziaria. Gli Stati-mafia, pertanto, non sono soltanto nei Balcani o in paesi dittatoriali (dalla Grecia dei colonnelli all'America Latina) ma l'espressione puo' essere usata per rappresentare un duplice fenomeno: le connessioni tra organizzazioni criminali e istituzioni, spesso rappresentate da uomini incriminati per corruzione o per mafia, come in Turchia, dove sono al governo uomini della banda politico-criminale dei Lupi grigi, e nell'Italia berlusconiana, e l'uso, continuativo o anche episodico, di pratiche criminali da parte delle istituzioni stesse. * Bibliografia AA.VV., Gli Stati mafia, quaderno speciale di "Limes", maggio 2000. U. Santino, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato, Palermo 1994. 7. PROPOSTE. UN APPELLO DI ALCUNI INSEGNANTI ITALIANI PER UN DIALOGO DI PACE CON LE SCUOLE DEI VICINI PAESI ARABI E ISLAMICI [Nuovamente diffondiamo questo appello che riceviamo da Federico Repetto (e-mail: logos at teleion.it). Per contatti: e-mail: mediatori at didaweb.net, sito: www.didaweb.net/mediatori/] Agli studenti e ai colleghi delle scuole medie inferiori e superiori, alle associazioni di volontariato che si occupano di educazione: aderite all'iniziativa di pace, proposta da un gruppo di insegnanti che collaborano al sito cooperativo www.didaweb.net Intendiamo lanciare un messaggio di pace alle scuole dei paesi arabi e islamici on line (rivolgendosi in primo luogo al mondo arabo e islamico mediterraneo che ci e' piu' affine). La scuola, noi pensiamo, deve essere un veicolo di pace e di rassicurazione reciproca tra le culture. Certo, esiste gia' un dialogo on line tra scuole nostre e loro (piu' i vari gemellaggi, non solo on line e per iscritto, ma con visite e conoscenza diretta); tuttavia ci sembra che questo sia un momento speciale in cui la fiducia reciproca e' scesa ai minimi storici. Dichiarazioni di Bush e Berlusconi (con smentite che sicuramente l'opinione pubblica araba e islamica non si e' bevuta), caccia all'arabo in grande in America, ma in piccolo anche in Europa e in Italia, sono fatti che richiedono una smentita da parte della gente comune, dei giovani in particolare. Dobbiamo rassicurare gli islamici dell'altra sponda del mediterraneo, nonche' dell'Albania e della Bosnia, del fatto che almeno alcuni di noi non ce l'hanno a priori con loro. La lettera dovrebbe essere firmata da classi, da singoli studenti e insegnanti, da associazioni di volontariato che si accupano dei giovani e da associazioni di categoria degli insegnanti e dei genitori. Tutte queste persone e gruppi potranno mandare la loro adesione a mediatori at didaweb.net Le scuole on line probabilmente sono ben poco rappresentative delle societa' cui ci rivolgiamo. Bisognerebbe partire on line, ma poi arrivare a creare il caso e a dargli risonanza, ed arrivare a scrivere a giornali di paesi islamici o a scuole non on line. Insomma, l'iniziativa potrebbe avere due generi di ricadute: far arrivare a molta gente un messaggio di pace (tra l'altro invitando i nostri corrispondenti on line a comunicare in giro la versione araba del nostro messaggio); specificamente, contribuire a promuovere ancora il dialogo interculturale on line tra studenti e classi dell'una e dell'altra "sponda" (in inglese o francese, on line o per posta ordinaria). Il gruppo del didaweb/mediatori * Ecco il testo dell'appello, che abbiamo gia' comunicato a diverse associazioni. Ai fratelli e alle sorelle di religione musulmana impegnati nella scuola come studenti e come insegnanti Noi firmatari, che insegnamo o studiamo in numerose scuole sparse per l'Italia o che apparteniamo ad associazioni che si occupano dei problemi dell'educazione, vogliamo assicurarvi che nutriamo fiducia nel dialogo con voi e vi consideriamo amici e fratelli. Alcuni dei nostri media, dei nostri governanti e dei nostri concittadini italiani o europei, hanno mostrato, dopo l'attentato terroristico delle Torri Gemelle, un atteggiamento di diffidenza - e qualche volta di superiorita' o di ostilita' - nei confronti del mondo musulmano, che noi non condividiamo affatto. Egualmente riteniamo ingiusto e inaccettabile che nella punizione dei colpevoli del fatto criminale siano coinvolti numerosissimi innocenti e che le potenze occidentali abbiano continuato a condurre questa guerra contro gli innocenti nel mese del Ramadan, consacrato alla preghiera e al digiuno per i musulmani. I pregiudizi nei confronti dei musulmani ci sembrano tanto piu' ingiustificati in quanto vengono dall'occidente, che ha conquistato e colonizzato in tempi recenti gran parte dei paesi islamici e del mondo intero. Inoltre non si puo' dimenticare che il Fondo Monetario Internazionale, i governi e le grandi multinazionali dell'occidente da tempo hanno fortemente condizionato i prezzi e i mercati di tutto il mondo. Tuttavia la diffidenza e i pregiudizi della gente comune nei nostri popoli nascono anche dall'ignoranza e dalle esagerazioni o distorsioni dei media. L'uomo comune del nostro paese (e cosi' anche noi che vi scriviamo), non sa veramente come voi pensiate, ne' come voi preghiate Dio, ne' come voi viviate nella vita quotidiana, o come viviate l'esperienza della scuola. Questo messaggio e' quindi un invito al dialogo tra le singole scuole, le singole classi, gli insegnanti e gli studenti, nella convinzione che la conoscenza ci affratelli. Chi vuole entrare nella nostra rete per scambiare notizie, opinioni, immagini, o anche semplici saluti, puo' farlo scrivendo all'indirizzo elettronico mediatori at didaweb.net Ci fara' piacere se ci direte che cosa pensate del nostro messaggio. Eventualmente potrete dirci se siete interessati a proseguire il dialogo con una classe (e di quale eta' e tipo di scuola), o con singoli insegnanti o studenti. Vi suggeriamo, per cominciare, i grandi temi seguenti: 1) opinioni sul problema dei rapporti tra i popoli e le civilta'; 2) vita quotidiana nei rispettivi paesi; 3) la scuola e i suoi problemi; 4) navigazione internet e impiego dell'informatica a scuola; 5) insegnamento delle lingue straniere; 6) altri temi da voi proposti. Vi invitiamo infine a diffondere nelle scuole - e ovunque lo riteniate opportuno - il messaggio che vi inviamo in lingua araba. A quanti volessero entrare in contatto con noi per posta ordinaria in lingua inglese, francese o italiana, potrete dare gli indirizzi postali che sono disponibili in www.didaweb.net/mediatori/. Siamo desolati di non capire l'arabo e di poter offrire solo una corrispondenza nelle lingue occidentali. Tuttavia sappiamo che la grande tradizione culturale araba ha permesso agli europei di leggere non solo i grandi filosofi Ibn Sina e Ibn Rushd, ma perfino il greco Aristotele. Speriamo che in un futuro non lontano tutti conoscano almeno un po' le lingue e le culture di tutti gli altri. Con amicizia, un gruppo di insegnanti, di studenti e di volontari appartenenti a diverse scuole italiane, e ad associazioni non governative. 8. LETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ISLAM SPIEGATO AI NOSTRI FIGLI Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001, pp. 110, lire 12.000. Il grande scrittore, sollecitato dalle domande della figlia e di altri bambini, racconta l'Islam con la chiarezza e la sensibilita' che gli sono proprie. 9. RILETTURE. CARMELA BAFFIONI: STORIA DELLA FILOSOFIA ISLAMICA Camela Baffioni, Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano 1991, pp. 448, lire 16.000. Un lavoro notevole, prezioso anche per i molti brani originali tradotti ed inclusi nella trattazione. 10. RILETTURE. GIULIO BASETTI SANI: L'ISLAM NEL PIANO DELLA SALVEZZA Giulio Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1992, pp. 360, lire 20.000. Un islamologo francescano riflette sull'islam da una prospettiva cristologica, un libro di grande interesse per il dialogo interreligioso. 11. RILETTURE. OLIVIER CARRE': L'ISLAM LAICO Olivier Carre', L'Islam laico, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 136, lire 18.000. Uno studio agile ma ben documentato, utile per una discussione necessaria. 12. RILETTURE. HENRY CORBIN: STORIA DELLA FILOSOFIA ISLAMICA Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1973, 1991, pp. 420, lire 20.000. Una monografia classica, una lettura appassionante. 13. RILETTURE. AUGUSTO ILLUMINATI (A CURA DI), AVERROE' E L'INTELLETTO PUBBLICO Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto pubblico, Manifestolibri, Roma 1996, pp. 224, lire 18.000. Un'antologia degli scritti del grande filosofo sull'anima, quasi tutti per la prima volta qui tradotti in italiano, con un'ampia ed assai interessante introduzione del curatore. 14. RILETTURE. KHALIDA MESSAOUDI: UNA DONNA IN PIEDI Khalida Messaoudi, Una donna in piedi, Mondadori, Milano 1996, 1997, pp. 180, lire 14.000. Intervistata da Elisabeth Schemla, la testimonianza della militante ed intellettuale democratica algerina condannata a morte dai fondamentalisti islamici. 15. RILETTURE. RASHID MIMOUNI: DENTRO L'INTEGRALISMO Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo, Einaudi, Torino 1996, pp. 136, lire 20.000. Un intellettuale algerino, deceduto nel 1995, con grande chiarezza e lucidita' descrive e denuncia l'integralismo islamico. E' un libro che raccomandiamo particolarmente. 16. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996, pp. 250, lire 14.000. Il romanzo che denuncia il fanatismo religioso in Bangladesh; per averlo scritto l'autrice ha subito persecuzioni ed e' stata condannata a morte da un gruppo fondamentalista islamico. 17. RILETTURE. BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI: TOLLERANZA E GUERRA SANTA NELL'ISLAM Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni, Firenze 1974, pp. 128. Un'agile ma rigorosa messa a punto da parte di una delle piu' illustri studiose italiane. 18. RILETTURE. GIULIANA SGRENA (A CURA DI): LA SCHIAVITU' DEL VELO Giuliana Sgrena (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999, pp. 128, lire 12.000. Una raccolta di voci di donne contro l'integralismo islamico. 19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 20. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 326 del 29 dicembre 2001
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