Afghanistan, il governo dei kalashnikov



Al di là delle immagini e dei comunicati ufficiali rassicuranti, ecco un articolo che rende l'idea di cosa sia oggi in realtà il nuovo Afghanistan. E' di qualche giorno fa ma fotografa una realtà destinata a non essere riordinata in poche settimane, anzi.
Alessandro Marescotti
---

Cinque etnie, quattro comandanti, dodici tribù si contendono un Paese stremato. E’ già scontro tra le due “capitali” Kabul e Kandahar

Afghanistan, il governo dei kalashnikov

In fuga 50 mila talebani: impossibile disarmarli. A molti non resta che il banditismo. Intanto le donne si tengono il burqa mentre gli uomini rinviano il taglio della barba

L'esercito dei talebani non ha mai conosciuto gradi e non ha mai portato divise. Tutti avevano in testa il turbante, i sandali ai piedi e le armi si riducevano ai kalashnikov e ai lanciarazzi. Quest'armata colorata, pittoresca e brutale, che arruolava solo uomini barbuti, più vicina alle orde mongole o alle milizie tribali che a un esercito dell'epoca elettronica, consegna adesso le armi ad un esercito anche questo senza gradi e senza divise.  In uno scenario confuso e agitato, dove si mescola la resa, la ritirata, la fuga, il saccheggio e la vendetta.  Dove le leggi di guerra sono quelle dettate dagli umori dei vari comandanti. L'armata del rnullah Omar ancora poche settimane fa, secondo le stime degli americani, poteva contare su cinquantamila uomini.  Disarmare cinquantamila uomini oggi in Afghanistan è un'impresa impossibile.  Perché le forze dei vincitori, quelle dell'Alleanza del Nord e quelle che hanno assediato Kandahar, sono numericamente inferiori. Ci sono più mani che devono deporre i fucili di quante mani possano fisicamente raccoglierli, chiuderli nei depositi, vigilare che non vengano portati via, venduti.
E in ogni caso nessun afghano cede mai con rassegnazione la sua arma.  Meno che mai un guerrigliero delle tribù pastun, dalle quali provengono tutti gli studenti islamici.  Disarmare i talebani è impossibile prima di tutto per ragioni tecniche, militari. Ma poi ci sono ragioni più profonde, di orgoglio e di pura sopravvivenza.  Questa fanteria sconfitta e sbandata non ha prospettive di lavoro, di guadagno, forse può avere salva la vita ma l'unica via di sostentamento obbligata che si trova davanti è il banditismo, la delinquenza spicciola, il saccheggio individuale.  Con un kalashnikov in mano un brigante lavora meglio.  Già nelle scorse settimane, mentre il mullah Omar insisteva con i proclami oltranzisti, i suoi uomini si dedicavano. più concretamente alle ruberie dentro i vari magazzini delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie. Prendevano quello che trovavano: auto, computer, telefoni satellitari, sacchi di farina, coperte, medicinali.
Nessuna autorità ha la forza per disarmare la fanteria dei talebani, nessuna autorità ha i mezzi economici per integrarla nella vita civile.
Raccontano i camionisti che arrivano a Kabul dal confine iraniano che incontrano già decine di posti di blocco, che ad ogni sosta devono pagare un pedaggio, che tra una città e l'altra comandano solo i banditi.  Appunto perché i vincitori dei talebani controllano le città ma non hanno un numero sufficiente di soldati per controllare le strade. 1 talebani arrivarono al potere proprio,per mettere fine all'anarchia che governava il Paese e se ne vanno lasciando la stessa eredità.  Anche i bambini afghani hanno imparato il gioco del brigante, del posto di blocco, con pezzi di spago e mozziconi di filo elettrico tirati in mezzo alla strada per fermare le auto e chiedere-soldi.
In una mappa approssimativa del potere alcune città, tra cui Kabul, sono controllate dall'Alleanza del Nord, e altre città, tra cui Kandahar, sono controllate dai pastun moderati.  C'erano due capita.li durante il regime degli studenti islamici, ci sono due capitali oggi che i seguaci delle scuole coraniche sono stati sconfitti.  Anzi in qualche modo il contrasto tra le due città oggi è più visibile. 1 tagiki che hanno preso Kabul il 12 novembre hanno fatto un'azione dimostrativa, di forza, ma non avranno mai il consenso degli abitanti della città perché loro vengono dal nord, e rappresentano il venti per cento dell'intera popolazione del Paese.  I nuovi padroni di Kandahar appartengono invece alla maggioranza dei pastun, rappresentano , la metà dell'intera popolazione, e si considerano inoltre i veri candidati al governo della capitale.
La Conferenza di Bonn ha dato un'immagine di diplomazia convenzionale, di soluzione politica bene avviata, quando invece in questo momento il Paese è completamente frantumato.  Le strade sono abbandonate ai banditi e alle rapine dei talebani in fuga, le frontiere sono praticamente senza controllo.  Karzai diventerà primo ministro temporaneamente ma il suo gruppo, appunto i pastun moderati, ha un altro punto di dissenso con l'alleanza del Nord.  Fin dall'inizio della crisi hanno sempre detto che non volevano nuovi morti, nuove battaglie, e che volevano un passaggio di poteri senza violenza.  Ma non volevano nemmeno che la conquista di Kabui avvenisse ad opera di un solo gruppo e meno ancora ad opera di un solo comandante, come invece è avvenuto.  Sono i tagiki che hanno preso il controllo di Kabul, ma sono i pastun che hanno ottenuto la resa, la ritirata, il disarmo dei talebani di Kandabar. Sono loro che formalmente hanno messo fine al regime del mullah Omar. Nel gioco delle parti, nella rivendicazione dei rispettivi meriti e successi, sono i pastun che ricorderanno di avere messo fine alla guerra.
Ma anche questo è un primato incerto.  Quattro settimane dopo la fuga da Kabul dei talebani gli abitanti della città ancora non si decidono a tagliare la barba, tutti rinviano con il pretesto del ramadan.  Anche la schiavitù del burqa continua ad opprimere le donne, che rinviano ugualmente alla fine del ramadan.  Il regime dei talebani si era imposto con la repressione, con gli arresti arbitrari, con i suoi decreti oscurantisti.  Il regime crolla senza gloria e senza eroismo, ma resta nel Paese una profonda incertezza.  Il gruppo che ha conquistato Kabul dovrà accordarsi con il gruppo che ha conquistato Kandahar.  Almeno cinque etnie, quattro comandanti militari importanti, una dozzina di tribù potenti e insoddisfatte devono fare tornare i conti tra di loro.  In mezzo la fanteria in disarmo e sbandata dei talebani, che dilagherà nel Paese ingovernabile come la sabbia sollevata dal vento, disegnando nuvole e mulinelli che nessuno prevede.

Valerio Pellizzari, Il Messaggero, 8 dicembre 2001