[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 318
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 318
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 21 Dec 2001 01:09:15 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 318 del 20 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Hannah Arendt, non sono nati per per morire 2. Hannah Arendt, il miracolo 3. Hannah Arendt, la nascita 4. Giulio Vittorangeli, il nostro Natale 5. Enrique Dussel: modernita', globalizzazione ed esclusione (parte prima) 6. Dall'universita' per la difesa dello stato di diritto 7. Severino Vardacampi, una sottovalutazione 8. Giobbe Santabarbara, alcuni equivoci 9. Letture: Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica 10. Letture: Sara Ongaro, Le donne e la globalizzazione 11. Letture: Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene 12. Riletture: AA. VV., La cultura del 900 13. Riletture: Ernst Fraenkel, Il doppio Stato 14. Riletture: Claudio Pavone, Una guerra civile 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: NON SONO NATI PER MORIRE [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1988, 1994, p. 182] Il corso della vita umana diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facolta' di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facolta' che e' inerente all'azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare. 2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IL MIRACOLO [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1988, 1994, nella stessa pagina] L'azione e' in effetti l'unica facolta' dell'uomo capace di operare miracoli, come Gesu' di Nazareth - la cui comprensione di questa facolta' puo' essere paragonata per la sua originalita' senza precedenti alla comprensione socratica delle possibilita' del pensiero - doveva sapere benissimo, quando paragonava il potere di perdonare al potere piu' generale di far miracoli, ponendoli allo stesso livello e alla portata dell'uomo. 3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA NASCITA [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1988, 1994, nella stessa pagina] Il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, "naturale" rovina e' in definitiva il fatto della natalita', in cui e' ontologicamente radicata la facolta' di agire. E', in altre parole, la nascita di nuovi umani e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sono capaci in virtu' dell'esser nati. Solo la piena esperienza di questa facolta' puo' conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell'esperienza umana che l'antichita' greca ignoro' completamente. E' questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua piu' gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo annuncio' la "lieta novella" dell'avvento: "Un bambino e' nato fra noi". 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL NOSTRO NATALE [Giulio Vittorangeli e' una delle figure piu' vigili e vive della solidarieta' internazionale. per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it] Vorrei fare gli auguri di Natale, semplici e mesti vista la situazione drammatica che stiamo vivendo. Auguri a chi scrive su questo foglio; e a chi lo legge. Auguri ai disperati, impoveriti del Sud del mondo... ma poi cosa si puo' augurare ai milioni (centinaia di milioni) di diseredati del terzo mondo saccheggiato dalle multinazionali Usa, in buona compagnia di quelle europee e nipponiche. Forse possiamo augurare e augurarci la pace. Ma senza il superamento delle tensioni provocate dall'esclusione e dall'emarginazione delle grandi maggioranze; senza l'impegno concertato e sincero per diminuire le disuguaglianze internazionali, per eliminare la fame, il razzismo, la discriminazione e i danni ambientali, difficilmente saranno garantite condizioni per una pace duratura. Certamene possiamo e dobbiamo augurarci un Natale il meno consumista possibile, recuperando il vero senso francescano. * "Dal sole dell'artico scende, generoso ed anziano, un buon amico dei bambini. Questo accade in Svezia, dove i luterani credono in Dio e praticano i suoi comandamenti. In Svezia il Natale e' bianco e non per la neve, ma per la purezza dei cuori. Nel secolo XVI Babbo Natale entro' nel cristianesimo ed ogni anno scende dai soli polari carico di giocattoli per i bimbi scandinavi. Senza dubbio questo vecchio barbuto ha sangue vikingo. Negli U.S.A., l'anima commerciante dei gringos, si approprio' della nobile figura dell'anziano per metterlo nel Natale per aumentare le loro vendite. E l'unificata campagna pubblicitaria gli ha cancellato l'anima del donatore gentile, per farlo diventare un freddo distributore, venditore. Se non hai soldi, non bussa alla tua porta Babbo Natale e nemmeno ti pulisce la canna fumaria del tuo povero camino. E mentre Babbo Natale continua a percorrere i cieli scandinavi con il suo enorme cuore di luci per illuminare l'anima dei bimbi, il Babbo Natale yankee vuole arrivare fino alla nostra America Latina per vendere calzette che i nostri bimbi metteranno alla finestra per obbligarci a riempirle con la nostra ultima goccia di miseria. Da Babbo Natale non possono sperare niente i bimbi senza calzette. Meno male che in Nicaragua viene solo il bimbo Gesu'. Nei nostri paesi e citta' i bimbi scrivono lettere al "nino dios"; e' l'abitudine francescana che ci deriva da San Francesco, creatore dei "Nacimientos". Quando ero bambino, mettevo nelle mie lettere i miei innocenti desideri. Davanti a me mia madre bruciava i fogli sulle braci della cucina ed accendeva un po' d'incenso il cui fumo bianco e profumato, si alzava nel cielo. Questo fumo si mescolava con il fumo delle nubi che, raccolto dagli angeli, era portato tra le mani di Dio. E il Bambino Gesu', che tutto sapeva, soppesava il mio comportamento e mi mandava quello che meritavo. I bimbi del Nicaragua devono sapere che, questo uomo dalla barba falsa di cotone, non ha un'anima generosa: non ha anima. E' un impiegato pagato dal Commercio e il Commercio non regala: vende. Ed i papa' che non hanno lavoro o guadagnano uno stipendio da fame... non potranno commerciare con Babbo Natale. Pero' scrivi la tua letterina, bambino! Scrivi a Gesu' Bambino affinche' ti sorrida e ti metta sotto il cuscino, almeno un pezzo di pane. E che il Babbo Natale straniero se ne torni nei suoi angoli di Wall Street con i suoi sporchi tesori del colera e dell'aids". (Julio C. Sandoval, da "Amanecer Cultural", Managua, Nicaragua). * Tre piccoli regali possiamo fare da subito per questo Natale: informarsi, tesserasi, sottoscrivere. Informarsi, vuole dire regalarsi e regalare un abbonamento alle numerose riviste che trattano i problemi Nord-Sud del mondo. E' importante per non ricadere (anche noi) nell'uso stereotipato delle "formulette" per spiegare questo squilibrio mondiale che affama la grande maggioranza dell'umanita'. Tesserarsi alle associazioni e a tutte quelle piccole organizzazioni che da tempo sono impegnate nella solidarieta' concreta con i popoli del cosiddetto Terzo Mondo. Una tessera e' certamente poca cosa davanti alle tragedie del mondo, ma rappresenta una scelta che conta molto qui da noi, nel Primo Mondo. Vuol dire far vivere tutte quelle organizzazioni impegnate nel portare un germe di speranza laddove la fame, la miseria e le guerre la soffocano. Speranza di: vivere, nutrirsi, istruirsi, essere curati dignitosamente, ecc. Sottoscrivere in favore di quei progetti che nascono direttamente dai popoli del Sud del mondo, dalle loro strutture territoriali, che hanno come referenti associazioni e organizzazioni popolari con la prospettiva di lavorare dal "basso" e per uno sviluppo "altro" della societa'. 5. RIFLESSIONE. ENRIQUE DUSSEL: MODERNITA', GLOBALIZZAZIONE ED ESCLUSIONE (PARTE PRIMA) [Enrique Dussel e' uno dei più importanti e lucidi pensatori contemporanei: un pensatore del sud del mondo, dove si pensano concretamente cose decisive per tutti; un pensatore del sud del mondo, quindi un militante antifascista in senso forte - globale, verrebbe da dire; un pensatore del sud del mondo, ed in particolare il pensatore che ha elaborato con maggior profondita' ed impegno la "filosofia della liberazione". Il testo seguente, che nuovamente proponiamo, e' quello della relazione tenuta a un convegno svoltosi a Citta' del Messico nel novembre 1995, ed e' apparso nel volume di autori vari, curato da Heinz Dieterich, su Globalización, exclusión y democracia en América Latina, Editorial Joaquín Mortiz, México 1997; la traduzione italiana e' apparsa presso La PiccolaEditrice di Celleno (VT) nel 1999 col titolo Globalizzazione, esclusione e democrazia in America Latina (e ci permettiamo di raccomandarne la lettura anche per altri saggi ed interventi che il volume contiene). Per contattare la Piccola Editrice: via Roma 5, 01022 Celleno (VT), tel. e fax 0761/912591. Enrique Dussel e' nato in Argentina nel 1934, ha studiato a Madrid, Parigi, Friburgo, Magonza. Dottore in filosofia e teologia, e' docente all'Universita' Nazionale Autonoma del Messico. Impegnato per i diritti umani e dei popoli, nel 1975 in Argentina e' sfuggito miracolosamente ad un attentato. Tra le opere di Enrique Dussel segnaliamo particolarmente Etica comunitaria, Cittadella, Assisi 1988; (a cura di), La Chiesa in America Latina, Cittadella, Assisi 1992; Storia della Chiesa in America Latina (1492-1992), Queriniana, Brescia 1992; Filosofia della liberazione, Queriniana, Brescia 1992; L'occultamento dell'«altro», La Piccola, Celleno 1993; Un Marx sconosciuto, Manifestolibri, Roma 1999] In questa relazione (1) intendiamo esaminare la questione della Modernità. Effettivamente ci sono due paradigmi della Modernità. a) Il primo, in un orizzonte eurocentrico, propone che il fenomeno della Modernità sia esclusivamente europeo, e che si vada sviluppando dal Medioevo e si diffonda successivamente in tutto il mondo (2). Weber pone il "problema della storia mondiale" con il quesito enunciato così: "Quale concatenamento di circostanze ha condotto al fatto che sul suolo dell 'Occidente (3) e solo qui, si producessero fenomeni culturali che -almeno così come noi (4) siamo soliti rappresentarceli- si sono trovati in una direzione evolutiva di significato e validità universali?" (5). L'Europa avrebbe avuto, secondo questo paradigma, caratteristiche eccezionali interne, che le hanno permesso di superare essenzialmente per la sua razionalità tutte le altre culture. Filosoficamente, nessuno come Hegel espone questa tesi sulla Modernità: "Lo Spirito Germanico è lo Spirito del Nuovo Mondo, il cui fine è la realizzazione della Verità assoluta (der absoluten Warheit), come autodeterminazione (Selbstbestimmung) infinita della libertà, che ha per contenuto la sua propria forma assoluta (ihre absolute Form selbst)" (6). Ciò che richiama l'attenzione è che lo Spirito dell'Europa (germanico) è la Verità assoluta che si determina o realizza da se stessa senza dover nulla a nessuno. Questa tesi, che chiamerò il "paradigma eurocentrico" (in opposizione al "paradigma mondiale"), è quella che si è imposta non solo in Europa o negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo intellettuale, anche della periferia mondiale. Come abbiamo detto, la divisione pseudoscientifica della storia in Età Antica (come antecedente), Medioevo (epoca preparatoria) ed Età Moderna (Europa) è una organizzazione ideologica e deformante della storia. La filosofia, l'etica, ha bisogno di rompere con questo orizzonte riduttivo per poter aprire la riflessione all'ambito "mondiale", planetario; questo è ormai un problema etico di rispetto per le altre culture. La cronologia ha la sua geopolitica. La soggettività moderna si sarebbe sviluppata spazialmente, secondo il paradigma eurocentrico, dall'Italia del Rinascimento alla Germania della Riforma e dell'Illuminismo, verso la Francia della Rivoluzione francese (7). Si tratterebbe dell'Europa centrale. b) Il secondo paradigma, in un orizzonte mondiale, concepisce la Modernità come la cultura del centro del "sistema-mondo" (8), del primo sistema-mondo -attraverso l'incorporazione dell'Amerindia (9)-, e come risultato della gestione (management) della suddetta centralità. Ovvero, la Modernità europea non è un sistema indipendente autopoietico, autoreferenziale, bensì una parte del sistema-mondo, il suo centro. La Modernità, allora, è mondiale; comincia dalla costituzione simultanea della Spagna con riferimento alla sua "periferia" (la prima di tutte, propriamente parlando, è l'Amerindia: il Caribe, il Messico e il Perù). Simultaneamente, l'Europa (con una diacronia che ha un antecedente pre-moderno: le città italiane del Rinascimento e il Portogallo) andrà costituendosi in "centro" (con un potere super-egemonico che dalla spagna passa all'Olanda, all' Inghilterra e alla Francia.) su una periferia crescente (l'Amerindia, il Brasile e le coste africane degli schiavi, la Polonia nel secolo XVI (10); il consolidamento dell'America Latina, l'America del Nord, il Caribe e le coste dell'Africa, l'Europa orientale nel XVII secolo (11); l'Impero ottomano, la Russia, alcuni regni dell'India, il Sud-est asiatico e la prima penetrazione nell'Africa continentale verso la prima metà del XIX secolo (12) ). La Mondernità, allora, sarebbe per questo paradigma mondiale un fenomeno proprio del "sistema" che combina centro e periferia; non è un fenomeno di un'Europa come sistema indipendente, ma di un'Europa come centro. Questa semplice ipotesi cambia assolutamente il concetto di Modernità, della sua origine, del suo sviluppo e la sua crisi attuale; e con ciò anche il contenuto della tarda-modernità o postmodernità. Inoltre sosteniamo una tesi che condiziona la precedente: la centralità dell 'Europa nel sistema-mondo non è frutto solo di ua superiorità interna accumulata nel Medioevo europeo rispetto alle altre culture, ma anche l' effetto del semplice fatto della scoperta, conquista, colonizzazione e integrazione (sussunzione) dell'Amerindia (fondamentalmente), che darà all' Europa il vantaggio relativo determinante sul mondo ottomano-musulmano, l' India o la Cina. La Modernità è il frutto e non la causa di questo evento. Successivamente, la gestione (management) della centralità del sistema-mondo permetterà all'Europa di trasformarsi in qualcosa come l'"autocoscienza" (la filosofia moderna) della storia mondiale, e molti valori, invenzioni, scoperte, tecnologie, istituzioni politiche, etc., che attribuisce a se stessa come sua produzione esclusiva, sono in realtà effetto della ridislocazione dell'antico centro dello stadio III del sistema interregionale verso l'Europa (seguendo la via diacronica dal Rinascimento al Portogallo come antecedente, verso la Spagna, e successivamente verso le Fiandre, l'Inghilterra.). Anche il capitalismo è il frutto, e non la causa, di questa congiuntura di mondializzazione e centralità europea nel sistema-mondo. L'esperienza umana di 4500 anni di relazioni politiche, economiche, tecnologiche, culturali del "sistema interregionale", sarà allora egemonizzata dall'Europa -che mai era stata centro, e che nei suoi tempi migliori arrivò solo ad essere periferia-. Lo slittamento si svolge dall'Asia centrale verso il Mediterraneo orientale, e dall'Italia, più precisamente da Genova, verso l'Atlantico. Con l'antecedente del Portogallo, si inizia propriamente con la Spagna, dinanzi all'impossibilità che la Cina possa tentare di giungere attraverso l'Oriente (il Pacifico) verso l'Europa, e integrare così l'Amerindia come sua periferia. Vediamo le premesse dell'argomentazione. 1. Dispiegamento del sistema-mondo. La Spagna "moderna" del XVI secolo Consideriamo lo svolgimento della storia mondiale a partire dalla rottura, per la presenza turco-ottomana, dello stadio III del sistema interregionale, che nella sua epoca classica aveva avuto Bagdad come centro (dal 762 al 1258 d.C. come abbiamo visto), e la trasformazione del sistema interregionale nel primo sistema-mondo, il cui centro si situerà fino ad oggi nel Nordatlantico. Questo cambio di centro del sistema avrà la sua preistoria dal XIII al XV secolo d.C., e prima del crollo dello stadio III del sistema interregionale, ma il nuovo stadio IV o sistema-mondo si originerà propriamente a partire dal 1492. Tutto quanto accaduto anteriormente in Europa era pur sempre un momento di un altro stadio del sistema interregionale. Quale stato originò il dispiegamento del sistema-mondo? La nostra risposta è: quello che poté annettersi l'Amerindia, e con essa come trampolino o "vantaggio relativo", andar accumulando una superiorità inesistente sul finire del XV secolo. a) Perché non la Cina? La ragione è molto semplice, e vogliamo definirla fin dall'inizio. Alla Cina (13) fu impossibile scoprire l'Amerindia (impossibilità non tecnologica, ovvero di fattibilità empirica, bensì storica e geopolitica): non poteva interessarle tentare di andare verso l' Europa via est, perché il "centro" del sistema interregionale (nel suo stadio III) si trovava ad ovest, nell'Asia centrale ovvero in India. Andare verso un'Europa completamente periferica? Non poteva essere un obiettivo del commercio estero cinese. In effetti, Cheng Ho, tra il 1405 e il 1433 effettuò con successo sette viaggi al centro del sistema (giunse in Sri Lanka, in India, e sino in Africa orientale (14) ). Nel 1479 Wang Chin cercò di fare lo stesso, ma gli furono negati anche gli archivi del suo predecessore. La Cina si chiuse entro i suoi confini e non cercò di fare quel che, in quello stesso momento, realizzava il Portogallo. La sua politica interna -forse per la rivalità dei mandarini nei confronti del nuovo potere degli eunuchi commercianti (15) - impedì la sua espansione commerciale estera, ma essa per essere realizzata avrebbe dovuto essere diretta verso ovest per raggiungere il centro del sistema. I cinesi si diressero verso est, giunsero fino all'Alaska, e pare fino alla California o ancora più a sud, ma non trovando nulla che potesse interessare i loro mercanti, e allontanandosi sempre più dal centro del sistema interregionale, abbandonarono definitivamente l'impresa. La Cina non è stata la Spagna, per ragioni geopolitiche. Tuttavia dobbiamo farci ancora una domanda per confutare l'"evidenza" antica, che si è rinforzata dopo Weber: la Cina era inferiore culturalmente all'Europa nel secolo XV? Secondo gli studiosi (16) non era inferiore né tecnologicamente (17), né politicamente (18), né dal punto di vista del mercato e dell'economia, e tantomeno per il suo umanesimo (19). C'è un certo riflesso condizionato in questa domanda. Le storie delle scienze e tecnologie occidentali non prendono attentamente in considerazione il fatto che il "salto", il boom tecnologico europeo, comincia a relaizzarsi nel XVI secolo, ma solo nel XVII mostra i suoi effetti moltiplicatori. Si confonde la formulazione del nuovo paradigma teorico moderno (XVII secolo) con l' origine della Modernità, senza lasciare il tempo per la crisi del modello medioevale. Non si coglie che la rivoluzione scientifica -per dirla con Kuhn- parte già da una Modernità iniziata, anteriore, come frutto di un "paradigma moderno" (20). Pertanto, nel secolo XV (se non consideriamo quindi le invenzioni europee posteriori) l'Europa non ha alcuna superiorità rispetto alla Cina. Lo stesso Needham si lascia trascinare dal riflesso condizionato quando scrive: "Il fatto è che lo sviluppo spontaneo autoctono della società cinese non produsse alcun cambiamento drastico analogo al Rinascimento e alla rivoluzione scientifica dell'Occidente" (21). Definire il Rinascimento e la rivoluzione scientifica (22) come se fossero un medesimo avvenimento (mentre l'uno inizia nel XIV secolo, e l'altro propriamente solo nel XVII secolo) dimostra la distorsione di cui abbiamo parlato. Il Rinascimento è in effetti un avvenimento europeo di una cultura periferica dello stadio III del sistema interregionale. La "rivoluzione scientifica" è il frutto della formulazione del paradigma moderno, che ebbe bisogno di più di un secolo di Modernità per la sua apparizione. Pierre Chaunu scrive: "Alla fine del XV secolo, nella misura in cui la letteratura storica ci permette di comprenderlo, il Lontano Oriente come entità comparabile al Mediterraneo [.] non risulta sotto nessun aspetto inferiore, almeno superficialmente, rispetto al Lontano Occidente del continente euroasiatico" (23). Ripetiamo: perché non la Cina? Perché si trovava nell'Estremo Oriente del sistema interregionale, e mirava verso il centro: verso l'India ad Occidente. b) Perché non il Portogallo? Per la stessa ragione. Cioè perché si trovava nell'Estremo Occidente dello stesso sistema interregionale, e perché mirava ancora e sempre verso il centro: verso l'India ad Oriente. La proposta di Colombo (tentar di raggiungere il centro passando a Occidente) per il re del Portogallo era tanto stravagante, come stravagante era per Colombo proporsi di scoprire un nuovo continente (giacché tentò sempre e solo, e non poté concepire altra ipotesi, di andare verso il centro dello stadio III del sistema interregionale (24) ). Come abbiamo visto, le città rinascimentali italiane sono l'estremo occidentale (periferico) del sistema interregionale, che misero nuovamente in relazione dopo le Crociate (che fallirono nel 1291) l'Europa continentale con il Mediterraneo. Le Crociate devono essere considerate come un tentativo frustrato di collegarsi con il centro del sistema, contatto che i turchi hanno interrotto. Le città italiane, specialmente Genova (che era rivale di Venezia che era presente nel Mediterraneo orientale), tentavano di aprire il Mediterraneo occidentale all'Atlantico, per giungere nuovamente al centro del sistema passando a sud dell'Africa. I genovesi misero tutta la loro esperienza nella navigazione e il potere economico della loro ricchezza per aprirsi quel cammino. Furono i genovesi che occuparono le Canarie nel 1312 (25), sono loro che investono in Portogallo e lo appoggiano nella costruzione della sua potenza navale. Fallite le Crociate, non potendo contare sull'espansione della Russia attraverso la tundra (i russi avanzando tra i boschi ghiacciati del nord giungeranno nel XVII secolo al Pacifico e all'Alaska) (26), l'Atlantico era l'unica porta europea per giungere al centro del sistema. Il Portogallo, la prima naziona europea già unificata nell'XI secolo, trasforma la Reconquista (27) contro i musulmani nell'inizio di un processo di espansione mercantile atlantica. Nel 1419 scoprono l'arcipelago di Madera, nel 1431 le Azzorre, lo Zaire nel 1482, nel 1498 Vasco de Gama arriva in India (il centro del sistema interregionale). Nel 1415 occupano la Ceuta africano-musulmana, nel 1448 El-Ksar-es-Seghir, nel 1471 Arzila. Ma tutto questo è la continuazione del sistema interregionale la cui connessione sono le città italiane: "Nel XIII secolo i genovesi ed i pisani appaiono per la prima volta in Catalogna: nel XIII secolo, quando arrivano per la prima volta in Portogallo, gli italiani si sforzano di attrarre i popoli iberici nel commercio internazionale [.] Nel 1317 la città e il porto di Lisbona sono già un grande centro del commercio genovese" (28). Un Portogallo con contatti con il mondo isalmico, con numerosi marinai (agricoltori espulsi da un'agricoltura estensiva), con un'economia monetaria, in "connessione" con l'Italia, aprì nuovamente l'Europa periferica al sistema interregionale. Non cessò per questo di essere periferia, né i portoghesi poterono ottenere di uscire da quella situazione, giacché il Portogallo poté cercare di dominare lo scambio commerciale nel mare degli Arabi (l'oceano Indiano) (29), ma mai poté pretendere di produrre le mercanzie dell'Oriente (le tele di seta, i prodotti tropicali, l'oro a sud del Sahara, etc.). Cioè era una potenza intermediaria e sempre periferica dell'India, la Cina o il mondo musulmano. Con il Portogallo siamo nell'anticamera, ma non ancora nella Modernità, né nel sistema-mondo (il IV stadio del sistema che si originò, perlomeno, tra l 'Egitto e la Mesopotamia). c) Perché è la Spagna che inizia il sistema-mondo, e con esso la Modernità? Per la stessa ragione che lo impediva alla Cina e al Portogallo. Poiché la Spagna non poteva andare verso il centro del sistema interregionale che si trovava in Asia centrale, ovvero in India, attraverso l'Oriente (giacché i portoghesi l'avevano anticipata e detenevano diritti di monopolio), né attraverso l'Atlantico a sud (lungo le coste dell'Africa occidentale, fino al Capo di Buona Speranza scoperto nel 1487), ebbene, restava alla Spagna una sola opportunità: andare verso il centro, verso l'India, attraverso l' Occidente, passando da ovest, attraversando l'Oceano Atlantico (30). Pertanto la Spagna "si imbatte" nell'Amerindia, la trova senza averla cercata, e con ciò entra in crisi tutto il "paradigma medioevale" europeo (che è il paradigma di una cultura periferica, l'estremo occidente dello stadio III del sistema interregionale), e si inaugura, lentamente ma irreversibilmente, la prima egemonia mondiale, dell'unico sistema-mondo che si è dato nella storia planetaria, che è il sistema moderno, europeo nel suo centro, capitalista nella sua economia. Questa Etica della Liberazione [il libro di Dussel di cui il presente saggio costituisce un capitolo, nonché la proposta che con esso l'autore formula -ndt-] mira a situarsi esplicitamente (sarà forse la prima filosofia pratica che lo tenta esplicitamente?) nell'orizzonte di questo sistema-mondo moderno, tenendo in considerazione non solo il centro (come esclusivamente ha fatto la filosofia moderna da Descartes ad Habermas, filosofia che pertanto ha avuto una visione parziale, provinciale, regionale dello svolgimento etico-storico), ma anche la sua periferia (e pertanto si ottiene una visione planetaria della vicenda umana). Tale questione storica non è aneddotica o meramente informativa, ma ha un significato filosofico strictu sensu. Abbiamo già trattato il tema inizialmente in un'altra opera (31). In essa mostravamo l'impossibilità esistenziale di Colombo, un genovese del Rinascimento, di convincersi che ciò che aveva scoperto non era l'India. Nel suo immaginario navigava sempre lungo le coste della Quarta Penisola asiatica (quella che Heinrich aveva disegnato cartograficamente a Roma nel 1489 (32) ), sempre vicino al "Sinus Magnus" (il Gran Golfo dei greci, mare territoriale della Cina) mentre -in realtà- attraversava i Caraibi. Colombo morì nel 1506 senza aver superato l'orizzonte dello stadio III del sistema interregionale (33), che non poté mai oltrepassare. Non poté superare soggettivamente il sistema interregionale -con una storia di 4500 anni di trasformazioni, a partire dall'Egitto e dalla Mesopotamia- e aprirsi al nuovo stadio del sistema-mondo. Il primo che sospettò un nuovo (l'ultimo nuovo) continente, fu Amerigo Vespucci nel 1503, ed a causa di ciò egli è stato, esistenzialmente e soggettivamente, il primo "moderno", il primo che dispiegò l'orizzonte del "sistema asiatico-afro-mediterraneo" come sistema-mondo, che includeva per la prima volta l'Amerindia (34). Questa "rivoluzione" della visione del mondo [Weltanschauung], dell'orizzonte culturale, scientifico, tecnologico, politico, ecologico ed economico, è l' origine della Modernità, a partire da un paradigma mondiale e non meramente eurocentrico. Nel sistema-mondo l'accumulazione nel centro è per la prima volta accumulazione su scala mondiale (35). Nel nuovo momento del sistema tutto cambia qualitativamente e radicalmente, e si modifica anche all' interno dello stesso "sottosistema periferico" europeo medioevale. L' avvenimento fondativo fu la scoperta dell'Amerindia (36) nel 1492. La Spagna è preparata per essere il primo stato moderno (37), attraverso la scoperta comincia ad essere il centro della sua prima periferia (Amerindia), organizzando così l'inizio del lento spostamento del centro dell'antico stadio III del sistema interregionale (la Bagdad del XIII secolo) cominciato col collegamento prima con il Portogallo e adesso con la Spagna, più esattamente con Siviglia. Immediatamente si rovescia a Siviglia la ricchezza genovese e italiana. L'"esperienza" del Mediterraneo orientale rinascimentale (e attraverso essa quella del mondo musulmano, dell'India e perfino della Cina) si collega così con la Spagna imperiale di Carlo V (che giunge fino all'Europa centrale dei banchieri di Asburgo, fino alle Fiandre di Anversa e poi di Amsterdam, con la Boemia, l'Ungheria, l'Austria e Milano, e specialmente con il Regno delle due Sicilie (38), del sud dell' Italia, fino alla Sicilia, la Sardegna, le Baleari e le numerose isole del Mediterraneo). Per il fallimento economico del progetto politico dell' "Impero-mondo" l'imperatore Carlo V abdica nel 1557; avrà quindi luogo il sistema-mondo del capitalismo mercantile, industriale ed attualmente transnazionale. Prendiamo come esempio un livello di analisi, tra i molti che potrebbero essere presi in considerazione -non vorremmo esser criticati dagli economisti per l'esempio adottato-. Non è casuale che venticinque anni dopo la scoperta delle miniere d'Argento del Potosí nell'Alto Perù e di Zacatecas in Messico (1546) -da cui arriveranno in Spagna un totale di 18.000 tonnellate d'argento dal 1503 al 1660 (39)-, e grazie alle prime rimesse di quel metallo prezioso, la Spagna potesse pagare, tra altre campagne dell' Impero, la grande armata che sconfisse i turchi nel 1571 a Lepanto, e con ciò dominasse il Mediterraneo come connessione con il centro dell'antico stadio del sistema. Tuttavia, il Mediterraneo era morto come cammino dal centro verso la periferia occidentale, perché l'Atlantico stava trasformandosi nel centro del nuovo sistema-mondo (40). Scrive Wallerstein: "L'oro e l'argento erano cercati come oggetti preziosi, per il loro consumo in Europa e ancor più per il commercio con l'Asia, ma erano anche una necessità per l'espansione dell'economia europea" (41). Abbiamo letto, tra molte carte e lettere inedite dell'Archivio Generale delle Indie a Siviglia, questo testo del primo luglio 1550, scritto e firmato in Bolivia da Domingo de Santo Tomás: "Saranno quattro anni che, per finire di perdere questa terra, si scoprì una bocca dell'inferno (42) attraverso la quale ogni anno si immola una gran quantità di gente, che la cupidigia degli spagnoli sacrifica al suo dio che è l'oro (43), ed è una miniera d'argento che si chiama Potosí" (44). Il resto è fin troppo noto. La colonia spagnola delle Fiandre sostituirà la Spagna come potenza egemonica del centro del recente sistema-mondo -si libera dalla Spagna nel 1610-. Siviglia, il primo porto moderno (in collegamento con Anversa), dopo più di un secolo di splendore, cederà il posto ad Amsterdam (45) (città in cui Descartes nel 1636 scriverà il Discorso sul metodo [Le Discours de la Méthode], ed in cui vivrà Spinoza (46) ), potenza navale, della pesca, artigiana, dove fluisce l'esportazione agricola, di grande perizia nei più diversi rami produttivi; città che finisce, tra altri aspetti, per superare Venezia (47). Dopo più di un secolo la Modernità mostrava ormai in questa città una definitiva fisionomia propria: il suo porto, i canali che come vie commerciali giungevano alle case dei borghesi, commercianti che usavano i loro terzi e quarti piani delle loro abitazioni come magazzini, da cui tramite gru imbarcavano direttamente le merci nelle navi; mille dettagli di una città capitalistica (48). Dal 1689 l'Inghilterra disputerà l'egemonia all'Olanda, e finirà per imporre la sua -e tuttavia dovrà sempre condividerla con la Francia almeno fino al 1763- (49). L'Amerindia, frattanto, costituisce la struttura fondamentale della prima Modernità. Dal 1492 al 1500 si colonizzano circa 50.000 kmq (nei Caraibi e sulla terra ferma, dal Venezuela a Panama) (50). Nel 1515 si giunge a 300.000 kmq con circa 3 milioni di amerindi dominati. Verso il 1550 più di 2 milioni di kmq (che è un'estensione maggiore di tutta l'Europa centro del sistema), e più di 25 milioni (facendo una valutazione bassa) di indigeni (51), molti dei quali sono integrati a sistemi di lavoro (con l'encomienda, la mita, le fattorie, etc.) che producono valore (nel senso stretto del termine, usato da Marx) per l'Europa centro del sistema. Dal 1520 bisognerà aggiungere gli schiavi delle piantagioni provenienti dall'Africa (circa 14 milioni fino all'epoca finale dello schiavismo nel XIX secolo, includendo Brasile, Cuba e Stati Uniti). Questo enorme spazio e relativa popolazione darà all'Europa, centro del sistema-mondo, il vantaggio relativo e definitivo rispetto al mondo musulmano, all'India e alla Cina. Pertanto nel XVI secolo: "La periferia (Europa orientale ed America spagnola) utilizzava lavoro forzato (schiavitù e lavoro obbligatorio [degli indios] in coltivazioni per il mercato [mondiale]. Il centro utilizzava, sempre di più, mano d'opera libera" (52). Ai fini di quest'opera filosofica ci interessa indicare soltanto che è all' interno del sistema-mondo che nacquero le "formazioni sociali periferiche" (53): "La forma delle formazioni periferiche dipenderà, infine, ad un tempo dalla natura delle formazioni precapitalistiche aggredite e dalle forme dell 'aggressione esterna" (54). Esse saranno,alla fine del XX secolo, le formazioni periferiche latinoamericane (55), quelle dell'Africa bantu, quelle del mondo musulmano, dell'India, del sudest asiatico (56) e della Cina; a cui si dovrebbe aggiungere parte dell'Europa orientale prima del crollo del socialismo reale. (Si veda lo schema 1 [In questa riedizione lo schema è riprodotto in calce al testo, prima delle note - ndr -]). (CONTINUA) 6. APPELLI. DALL'UNIVERSITA' PER LA DIFESA DELLO STATO DI DIRITTO [Il seguente appello e' stato sottoscritto da numerosissimi docenti universitari di dicipline giuridiche] I sottoscritti professori universitari di diritto, consapevoli della loro responsabilita' di fronte agli studenti e di fronte al dovere di rispettare i principi basilari delle discipline giuridiche, ritengono di non poter tacere su un evento mai verificatosi nella storia parlamentare dell'Italia unita, che mette a repentaglio le stesse fondamenta dello stato costituzionale. Il Senato della Repubblica, con la mozione approvata a maggioranza il 5 dicembre 2001, ha sottoposto a violente critiche alcuni provvedimenti giudiziari relativi a processi penali in corso, qualificandoli come errati nel merito, eversivi del corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali e lesivi delle prerogative del legislatore; il tutto nel quadro di gravissime accuse rivolte a singoli magistrati che avrebbero tentato, e tenterebbero tuttora, "di usare l'alto mandato, con le relative prerogative previste dalla Costituzione, a fini di lotta politica, fino ad interferire nella vita politica del Paese utilizzando in maniera strumentale i piu' svariati capi di accusa di sapore chiaramente illiberale". Questo intervento costituisce un grave atto di intimidazione, perche' contiene un giudizio di merito su provvedimenti giurisdizionali ancora sottoposti agli ordinari mezzi di impugnazione, e, come tale, attenta alla liberta' di valutazione dei giudici negli attuali e successivi gradi dei processi: al punto da creare il presupposto di un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in ordine alle funzioni interpretative che necessariamente ineriscono all'esercizio della giurisdizione. Si deve poi rilevare che e' falsa l'affermazione secondo cui "recenti provvedimenti giudiziari" - le due ordinanze (17 e 21 novembre 2001) pronunciate dal Tribunale di Milano in processi penali a carico dell'on. Previti e altri - "hanno disatteso una sentenza della Corte costituzionale, per di piu' risolutiva di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato" (la sentenza n. 225/2001, che annulla alcuni provvedimenti emessi dal giudice dell'udienza preliminare nei suddetti processi). In realta', le ordinanze del Tribunale di Milano non disattendono la sentenza costituzionale. Nel prendere doverosamente atto dell'annullamento deliberato dalla Corte, esse affrontano il delicato problema dell'influenza esercitata dai provvedimenti annullati sul seguito del processo; e, nel contesto di un'ampia argomentazione, escludono la necessita' del ritorno alla fase dell'udienza preliminare, sollecitato dalla difesa. Da tale conclusione, che pare ai sottoscritti plausibile alla luce del diritto vigente, si puo' naturalmente dissentire sulla base di una diversa lettura della legge processuale, la cui corretta interpretazione e' dalla stessa sentenza costituzionale demandata ai "competenti organi della giurisdizione". Ma si deve comunque fermamente ribadire che, in presenza di provvedimenti ancora sottoposti agli ordinari mezzi d'impugnazione, la critica puo' essere svolta con atti di esercizio della liberta' di manifestazione del pensiero e non con atti di indirizzo politico, come e' una mozione parlamentare. Con cio' si e' violato il principio plurisecolare - molto piu' antico della vigente Costituzione - che vieta al Parlamento di interferire nel merito dei singoli processi: divieto cosi' forte da, addirittura, impedire alla legge di modificare le sentenze definitive. I sottoscritti non possono fare a meno di rilevare che la mozione del Senato s'inserisce in un quadro generale di violento attacco politico contro la magistratura italiana, accompagnato da iniziative segnate da un conflitto d'interessi che inquina la vita politica del Paese e i suoi rapporti con la comunita' internazionale. Nell'esprimere, in questo delicato frangente, piena solidarieta' alla magistratura, i sottoscritti ricordano che uno dei padri della Costituzione, Piero Calamandrei, nella prefazione all'Elogio dei giudici scritto da un avvocato, particolarmente elogiava Aurelio Sansoni, giudice in Toscana nel ventennio, scrivendo: "Qualcuno, nei primi tempi del fascismo, lo chiamava anche "il pretore rosso"; e non era in realta' ne' rosso ne' bigio: era soltanto una coscienza tranquillamente fiera, non disposta a rinnegare la giustizia per fare la volonta' degli squadristi che invadevano le aule. Era semplicemente un giudice giusto: e per questo lo chiamavano "rosso" (perche' sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi e' anche quella di sentirsi accusare, quando non e' disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)". 7. DIBATTITO. SEVERINO VARDACAMPI: UNA SOTTOVALUTAZIONE [Severino Vardacampi e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Mi sembra inquietante la diffusa sottovalutazione odierna nell'area pacifista (tra i maschi dell'area pacifista, che vi esercitano un ruolo sovente autoritario ed indicibilmente oppressivo e distruttivo) della gravita' del pericolo costituito dal fondamentalismo islamico; il non rendersi conto che questo e' un fenomeno totalitario in formidabile espansione rispetto a cui ridurre la nostra analisi al considerarlo un mero portato reattivo della globalizzazione ad essa sussumibile quasi fosse privo di autonomia e peculiarita', ebbene, significa fare un'operazione ideologica razzista di riduzionismo economicistico semplicemente insensata e sciagurata. Offro alla discussione i pensieri seguenti: sensazioni, impressioni, piu' che compiuti ed articolati ragionamenti; ma sensazioni vivide ed impressioni profonde. Vorrei ne discutessimo davvero. Mi pare che ci si trovi oggi qui nella situazione che Tertulliano descriveva nel De spectaculis: una grandiosa civilta' (uso il termine sapendo quale immane groviglio di problemi esso evochi, ma non me la sono sentita di scrivere qui Kultur) che agonizza e trascina il mondo nella distruzione (e dico la nostra civilta': quella capitalistica, occidentale - inclusiva delle esperienze del movimento operaio, del marxismo e delle societa' e dei regimi del cosiddetto socialismo reale -, cristiana o piu' precisamente postcristiana e piu' che secolarizzata crescentemente nichilistica, della ragione strumentale e della societa' amministrata) e l'emergere su scala planetaria di un'alternativa forte (ideologicamente e demograficamente): che non e' tanto quella islamica, ma specificamente e preponderantemente quella fondamentalista di un islam disumanato perche' non storicizzato (in cui il grande lievito della prima e maggiore delle religioni del libro - la coscienza storica che e' una delle grandi conquiste dell'ebraismo rispetto alle visioni fissiste ed essenzialiste dominanti nella tradizione indoeuropea antica, e massime nella cultura greca - non ha ancora agito in profondita') ed in cui lottano per l'egemonia i settori piu' radicali e militanti e fascisti (fascisti perche' maschilisti e sessuofobici, fascisti perche' incapaci dell'incontro con l'altro e con la vita come infinita diversita', fascisti perche' fissati psicoticamente nell'assenza di una "ristorificazione della crisi" per usare la formula di Franco Basaglia - forse il piu' grande pensatore italiano della liberazione del XX secolo): quelli che chiamiamo fondamentalisti o islamisti in mancanza fin qui di una definizione piu' precisa e comprensiva ad un tempo. Siamo di fronte ad un'alternativa il cui totalitarismo su entrambi i versanti (il corno neoliberista, il corno islamista) tutti vediamo, ma che non sappiamo ne' dire ne' contrastare adeguatamente sul piano teoretico ed assiologico (che vengono prima del piano meramente pragmatico) perche' non riusciamo - per nostra esitazione - ad essere all'altezza (a collocarci all'altitudine, visibile e veggente) di proporre a nostra volta un'alternativa forte alla crisi che ci divora tutti. Ma quest'alternativa forte esiste: ed e' la nonviolenza; e' l'esperienza storica del movimento delle donne, del pensiero e delle lotte delle donne, che costituisce la piu' grande esperienza di rivoluzione nonviolenta del secolo appena concluso; e' la Resistenza come rottura della complicita' con l'oppressione, quella Resistenza che quantunque breve e tardiva fu decisiva nella sconfitta del nazifascismo innanzitutto a livello antropologico; quella Resistenza che e' stata, nella sua quasi totalita', rigorosamente nonarmata e nonviolenta. O abbiamo la chiarezza e la forza di proporre ed agire la nonviolenza, oppure la nostra critica ed opposizione alla globalizzazione neoliberista resta subalterna ed ininfluente; cosi' come la nostra opposizione al terrorismo fondamentalista (islamico oggi, come in epoche passate fu cristiano, come nel secolo scorso fu razzista e messianico in Hitler, o storicistico e teleologico in Stalin, e tecnolatra pressoche' ovunque) resta insipiente e inascoltata; ed in definitiva la nostra resistenza alla barbarie che sta inabissando il mondo verra' travolta. Ma so che ho evocato qui temi molto complessi che richiederebbero sviluppi analitici ed ermeneutici altrettanto complessi. Basti qui aver fatto cenno ad alcuni elementi soltanto. 8. DIBATTITO. GIOBBE SANTABARBARA: ALCUNI EQUIVOCI [Anche Giobbe Santabarbara e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Di molti appelli pacifisti che circolano in questi giorni vorrei dire qui alcune cose che non mi persuadono. Primo: non mi persuade il riduzionismo secondo cui tutti i mali del mondo sarebbero provocati dall'imperialismo americano o dalla globalizzazione neoliberista, che pure ovviamente hanno responsabilita' mostruose e che vanno contrastati in nome della dignita' umana, dei diritti umani, della difesa della biosfera. Sono un vecchio militante della sinistra critica non pentito, e so che certe semplificazioni ideologiche (la contraddizione principale, le leggi bronzee, il movimento storico, e cosi' via monisticamente dogmatizzando e sclerotizzando e scotomizzando) provocano catastrofi pratiche. * Secondo: non mi persuade la poca serieta' e l'evidente strumentalita' con cui sovente si parla della festa cristiana del Natale e si propongono iniziative ad essa sovrapposte; un atteggiamento che mi sembra inconsciamente subalterno all'ideologia dominante che la festa del Natale riduce alla sua sola dimensione consumistica (che pure ovviamente c'e'). Ho una visione del mondo materialista, da vecchio leopardiano, e proprio per questo non sottovaluto affatto la dimensione del sacro, il valore delle religioni, e l'importanza dei riti e delle feste, delle liturgie e dei simboli: sono cose grandi e terribili, radicate in strati profondi dell'animo umano e delle culture. Cosicche' ogni volta che si propone (ed accade sovente) di appiccicare in modo posticcio iniziative altre a ricorrenze religiose provo un sentimento di confusione, di poca chiarezza. Che un cristiano mediti sul Natale ed in occasione del Natale s'impegni ancor piu' in un sentire e un agire coerente col messaggio di Gesu' di Nazareth cosi' come lo conosciamo mi pare buona anzi ottima cosa; che altre persone di altre culture in quella data convochino e realizzino iniziative che possono essere fraintese, davvero, non mi persuade. Vorrei che ci si riflettesse: mi pare si rischi un consumismo al quadrato e una duplice malafede; vorrei che ci si riflettesse: non per non fare, ma per fare con piu' consapevolezza e piu' ampia e nitida decifrabilita' ed interlocuzione. * Terzo: sull'Onu non condivido l'analisi ipersemplificata e il giudizio ipostatizzante che da piu' parti vengono proposti, analisi e giudizio che cooperano a ridicolizzarla ed annichilirla (che e' proprio quello che vogliono il governo americano e le transnazionali). Condivido tutte le critiche di fatto, ma credo che resti hic et nunc l'esigenza di una Organizzazione delle Nazioni Unite che adeguatamente riformata e potenziata possa essere un luogo di confronto e cooperazione internazionale, di manifestazione civile e composizione pacifica dei conflitti tra stati, di garanzia e di promozione del diritto e dei diritti delle persone e dei popoli. E mi limito qui a rinviare alle riflessioni e alle proposte del professor Papisca, al lavoro di escavo e di formulazione svolto dalle assemblee dell'Onu dei popoli promosse dalla Tavola della Pace a Perugia negli ultimi anni, e ad esperienze concrete che con tutti i loro limiti e difetti sono attualmente insostituibili (un esempio per tutti: il lavoro dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifiugiati). Tenendo aperta la discussione, ma senza buttare il bambino con l'acqua sporca. * Quarto: credo che sia sintomo di un autoinganno grave e di una subalternita' profonda il promuovere iniziative puntando a comparire sui media. I mass-media dominanti sono l'arsenale ideologico e lo strumento di manipolazione principe del potere dominante. Credo che dobbiamo piuttosto lavorare a modalita' di comunicazione altre, a costruirci nostri strumenti e luoghi di conoscenza e di riflessione (questo stesso notiziario diffuso attraverso la rete telematica e' un piccolo contributo ad una ricerca in tal direzione) ed a riprendere forme vecchie ma che sono sempre le migliori: ne cito alcune in un elenco senza pretesa ne' di ordine ne' di esaustivita': la partecipazione politica, la comunicazione dialogica, le pubbliche assemblee, la scrittura vigile, l'informazione rigorosa, la formazione alla responsabilita', l'ascolto nel silenzio, l'attenzione all'altro, la condivisione, il tempo richiesto dalla scrittura e dalla lettura di un libro vero; tutte cose che con la televisione commerciale (ed anche la Rai ne e' goffa e corrotta imitatrice, tradendo oscenamente la funzione di servizio pubblico - sottolineo servizio, e sottolineo pubblico), o con i quotidiani ed i settimanali spacciatori di gadget e di sadismo e di linguaggi sempre piu' volgari e menzogneri e narcotici, ebbene, sono semplicemente incompatibili. * Quinto: negli appelli che circolano in questi giorni nel movimento pacifista quasi mai si fa riferimento alla scelta della nonviolenza come elemento decisivo, ed e' una dimenticanza che pesa. Pesa perche' a parere della redazione di questo foglio e' su questo che si gioca l'essenziale dell'impegno per la pace, per la difesa della biosfera, per i diritti delle persone e dei popoli e delle generazioni future. E su questo non si puo' continuare ad essere ambigui. Una cosa credo che ci abbia insegnato in modo definitivo l'esperienza storica del XX secolo: che non basta dire di essere contro la guerra, e' necessario l'impegno diretto a costruire la pace; e per questo occorre fare la scelta della nonviolenza. E tutto il resto viene dopo. 9. LETTURE. ERNESTO FERRERO (A CURA DI), PRIMO LEVI: UN'ANTOLOGIA DELLA CRITICA Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997, pp. 442, lire 28.000. Un'utilissima raccolta di saggi sul grande testimone della dignita' umana. 10. LETTURE. SARA ONGARO: LE DONNE E LA GLOBALIZZAZIONE Sara Ongaro, Le donne e la globalizzazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, pp. 106, lire 12.000. L'autrice pone "domande di genere all'economia globale della ri-produzione" come recita il sottotitolo, e lo fa con lucidita', rigore e finezza; un libro da leggere e discutere, con prefazione di Renate Siebert. 11. LETTURE. TZVETAN TODOROV: MEMORIA DEL MALE, TENTAZIONE DEL BENE Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001, pp. 406, lire 38.000. La riflessione di Todorov sugli orrori del Novecento e' tra le piu' profonde; un libro che occorre leggere. 12. RILETTURE. AA. VV.: LA CULTURA DEL 900 AA. VV., La cultura del 900, Mondadori, Milano 1981-1982, tre volumi per complessive 1.754 pagine. Una ricognizione delle discipline umanistiche della cultura novecentesca che resta tra le cose migliori in questo ambito di pubblicazioni. 13. RILETTURE. ERNST FRAENKEL: IL DOPPIO STATO Ernst Fraenkel, Il doppio Stato, Einaudi, Torino 1983, pp. 298. Una classica analisi dello stato nazista, da meditare in considerazione dei nostri compiti oggi. 14. RILETTURE. CLAUDIO PAVONE: UNA GUERRA CIVILE Claudio Pavone, Una guerra civile, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 840. Questo "saggio storico sulla moralita' nella Resistenza" e' uno dei libri piu' lucidi e belli sull'argomento. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 318 del 20 dicembre 2001
- Prev by Date: a Natale regaliamo una bandiera della pace
- Next by Date: osservatori internazionali in palestina?
- Previous by thread: a Natale regaliamo una bandiera della pace
- Next by thread: osservatori internazionali in palestina?
- Indice: