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La nonviolenza e' in cammino. 304
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 304
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 30 Nov 2001 00:01:51 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 304 del 30 novembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti, il no alla guerra e' la base del si' alla pace 2. Edgar Morin, contro il terrore c'e' solo la saggezza 3. Giuliana Sgrena, gli orfanatrofi di Kabul 4. Giulio Vittorangeli, il linguaggio della giustizia e della tenerezza 5. Amelia Alberti, la seconda fase 6. Letture: Domenico Canciani, Maria Ida Gaeta (a cura di), Album Simone Weil 7. Letture: Angela Putino, Simone Weil e la passione di Dio 8. Riletture: Rosa Luxemburg, Scritti scelti 9. Riletture: Rosa Luxemburg, Scritti politici 10. Da tradurre: Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt 11. Da tradurre: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt 12. Alcune iniziative di pace da oggi a domenica 2 dicembre 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL NO ALLA GUERRA E' LA BASE DEL SI' ALLA PACE [Enrico Peyretti e' una delle voci piu' nitide della cultura della pace. Per contatti: peyretti at tiscalinet.it] Certamente bisogna proclamare e mostrare che alternative alla guerra c'erano e ci sono. I nonviolenti le hanno subito indicate. Io posso inviarne alcune raccolte. Ma anche e' essenziale restare e insistere sulla critica fortissima della guerra. Vedo in sintesi due grandi ragioni, una di principio (e' un crimine), una di fatto (e' una follia): 1) la politica e' l'arte del vivere insieme, non puo' usare la morte come uno dei suoi mezzi d'azione. Se usa la morte uccide se stessa. Infatti, la guerra non e' continuazione, ma soppressione della politica. E' la guerra il massimo fondamentalismo assoluto, idolo che esige sacrifici umani. Religioni e laicismi insieme devono lavorare per liberarcene. La guerra e' il massimo crimine. 2) Kant disse perfettamente: "La guerra e' un male perche' fa piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo". Fa piu' malvagi nel campo avverso e anche nel nostro. Come diceva un saggissimo bambino bosniaco a Luisa Morgantini: "Questa guerra ci ha fatto tutti piu' cattivi". La guerra e' il fallimento degli scopi per cui si dice di volerla, con cui si vorrebbe giustificarla. Non fa alcuna giustizia, ma moltiplica e accresce l'ingiustizia. O almeno la prosegue e la affina. Cio' si puo' sostenere persino della seconda guerra mondiale contro Hitler, come aveva predetto Gandhi. La guerra e' inganno e autoinganno. La guerra e' la massima follia. 3) Allora, perche' c'e' la guerra? Perche' siamo primitivi, lenti ad evolvere. E poi perche' c'e' l'apparato militar-industriale che le guerre le provoca e le alimenta per far consumare i suoi prodotti: e' un apparato potentissimo che campa e cresce sulle stragi. E' un mostro che odia l'umanita', ma e' servito da politici asserviti. Se i popoli ne prendono chiara coscienza lo potranno col tempo smantellare. "La guerra e' necessaria ai fabbricanti di armi come l'inverno ai fabbricanti di cappotti" (Eduardo Galeano). C'e' chi le guerre le alimenta. Detto cio', bisogna effettivamente indicare le alternative, mentre normalmente gli stati e le politiche primitive vigenti hanno pensato e preparato soltanto la guerra, e poi nel caso di crisi acuta dicono che la guerra e' inevitabile. Ma la guerra non e' mai fatale; e' il risultato dell'imprevidenza e della mancanza di vera volonta' di pace, del lavoro che pone condizioni di pace e toglie condizioni di guerra. L'imprevidenza e' il fallimento della politica. La volonta' di pace e' il cuore della politica umana. Il lavoro preventivo per la soluzione nonviolenta dei conflitti e' la migliore realizzazione della politica. Intanto, propongo di leggere e diffondere l'articolo molto saggio di Edgar Morin su "La Stampa" di domenica 25 novembre "Contro il terrore c'e' solo la saggezza". E' uno degli scritti piu' equilibrati, franchi, consapevoli della catastrofe possibile, propositivi per uscirne vivi e decenti, che sia dato di leggere in questo periodo. 2. RIFLESSIONE. EDGAR MORIN: CONTRO IL TERRORE C'E' SOLO LA SAGGEZZA [Edgar Morin e' uno dei principali pensatori e studiosi di scienze umane viventi. Questo intervento e' apparso su "Le Monde" e su "La stampa" (nell'edizione del 25 novembre, da cui lo abbiamo ripreso)] Il contrario della violenza non e' la dolcezza. E' il pensiero" (Etienne Baulieu, scrittore). Innanzitutto, una questione di vocabolario: Terrorismo. La nozione di terrorismo vale per l'internazionale jihadista Al Qaeda, che agisce attraverso attentati e massacri di popolazioni civili, ma e' riduttiva quando si applica alle forme violente di resistenza nazionale, private dei mezzi democratici per esprimersi. Il termine utilizzato dai nazisti per gli uomini della Resistenza europea era riduttivo, cosi' come Putin l'ha applicato alla resistenza cecena, che comporta evidentemente un braccio terrorista, ma non si riduce a quello. La violenza di Stato che colpisce un popolo insieme a quanti si ribellano e' essa stessa una violenza di terrore. Al Qaeda costituisce uno stadio nuovo del terrorismo. La globalizzazione tecno-economica ha permesso una globalizzazione terrorista, e con questa globalizzazione si e' trasformata in minaccia mondiale. Islamista. Il termine e' ricco di malintesi. Poiche' in origine designava qualunque credente nell'Islam, "islamista" e' diventato per molti occidentali sinonimo di fanatico. Troppo vicino a islamico (termine che designa cio' che concerne l'Islam), rischia di contaminarsi in fanatismo e terrorismo. Di fatto l'islamismo, quando comporta il ritorno al Corano e l'applicazione della sharia, implica un rifiuto della civilta' occidentale, ivi compresi il liberalismo politico e la democrazia. Non implica pero' di per se' guerra santa e terrorismo, benche' si possa scivolare dall'islamismo allo jihaddismo. Una contaminazione analoga colpisce il termine fondamentalista (che di per se' non e' aggressivo). Quanto all'internazionale jihaddista di Al Qaeda, si tratta di una devianza religiosa allucinata, alla quale non puo' essere ridotto l'Islam. Il termine islamista, cosi' com'e' usualmente impiegato nei media occidentali, riduce pero' qualunque islamico a islamista e qualunque islamista a potenziale terrorista, il che impedisce di vedere il volto complesso dell'Islam. Qualunque errore di pensiero conduce a errori di azione che possono aggravare i pericoli che si vogliono combattere. Occorre pensare nella loro complessita' non solo l'Islam ma anche gli Stati Uniti, Israele, la globalizzazione stessa, riconoscendo le contraddizioni incluse in ciascuno dei termini. Gli Stati Uniti, la piu' antica democrazia del globo, sono una societa' aperta e per questo ormai vulnerabile. Hanno salvato l'Europa occidentale dal nazismo, l'hanno protetta dall'Urss che era ben lungi dall'essere una tigre di carta. Hanno soccorso le popolazioni islamiche in Bosnia e in Kosovo. Gli Stati Uniti non sono responsabili della micidiale guerra Iran-Iraq, del terrore in Algeria, di tutti i conflitti inter-arabi. La loro cultura non si riduce ai McDonald's ne' alla Coca-Cola, ma si e' mostrata creativa nella scienza, nella letteratura, nel cinema, nel jazz, nel rock. E l'America si europeizza tanto quanto l'Europa si americanizza. Gli Stati Uniti sono una potenza imperialista che domina attraverso le armi e l'economia. La sua democrazia non le impedisce affatto di appoggiare i dittatori, quando lo esige il suo interesse. Il suo umanesimo comporta un compito cieco di inumanita': hanno praticato bombardamenti spaventosi sulle citta' tedesche, le ecatombi di Hiroshima e Nagasaki. I bombardamenti continui dell'Afghanistan rivelano un altro terrorismo, che colpisce popolazioni civili vittime non solo delle bombe o dei missili sganciati da troppo alto o da troppo lontano, ma della paura e della carestia che le costringe all'esodo. Sensibili alla sofferenza delle quattromila vittime del World Trade Center, gli americani sono insensibili ai disastri umani che i loro bombardamenti infliggono alle popolazioni afghane. Non hanno consapevolezza della contraddizione che comporta il terrore dei loro bombardamenti antiterroristi. Le due torri orgogliose erano iper-reali e al tempo stesso iper-simboliche; erano l'incarnazione e il simbolo della ricchezza, della potenza americana, del suo capitalismo e della sua democrazia, del suo dominio e della sua apertura; la statua della Liberta' era diventata un'allegoria ancillare. Il loro crollo ha aperto un buco nero incommensurabile nella nostra visione non solo di Manhattan ma anche del mondo. Per alcuni, e' una ferita inflitta all'imperialismo americano e al capitalismo, per altri e' una breccia aperta nella democrazia e nella civilta': due verita' antagoniste, ma complementari. Certo, gli Stati Uniti suscitano aspirazioni nel mondo dei miseri, compresa quella a emigrare in casa loro, e innumerevoli desideri di entrare nella loro civilta'; ispirano rispetto e obbedienza ai loro vassalli, e il senso di solidarieta' occidentale resta potente in Europa. Al tempo stesso pero' - in questo mondo dei miseri - la contemplazione della loro ricchezza e della loro prosperita', della propria mancanza e della propria miseria, suscita una frustrazione immensa. Il loro dominio provoca infinite umiliazioni, un complesso d'inferiorita' tecnico (Sud del mondo), un complesso di superiorita' culturale (Europa), che risvegliano l'animosita'. Il mal-sviluppo di cui hanno sofferto tanti Paesi e' attribuito all'iper-sviluppo economico americano. L'estrema indigenza alimentare, medica, alla quale sono ridotte immense popolazioni disarmate di fronte alle epidemie e all'Aids nutrono risentimenti verso le popolazioni ipernutrite, ipercurate dell'Occidente, e soprattutto degli Stati Uniti. La' dove c'erano antiche e gloriose civilta' che oggi si sentono sminuite o minacciate, il mondo americano suscita allergie, inimicizie, aggressivita'. Le conseguenze nefaste della liberalizzazione del mercato mondiale, l'aumento delle ineguaglianze, le crisi economiche multiple aggravano il rancore. Negli spiriti su cui ha regnato o ancora regna la vulgata marxista-leninista, il modello del socialismo "reale" e' certamente crollato, ma la convinzione che il capitalismo e l'imperialismo americano sono il male assoluto resta. Hanno conservato la demonizzazione dell'America, faro del capitalismo e dell'imperialismo, ignorando che il comunismo sovietico fece peggio del capitalismo, ignorando le virtu' della democrazia e i vizi del totalitarismo, ignorando che l'imperialismo americano e' meno atroce degli imperialismi passati, soprattutto di quello sovietico. Cosi' l'insieme dei risentimenti nati nelle parti piu' diverse del pianeta suscita un odio fantastico e a volte fantasmatico per gli Stati Uniti, colpevoli di tutti i mali del pianeta. Signori del mondo (cosa che non sono particolarmente), sono considerati responsabili dei mali del mondo (cosa che sono ancora piu' parzialmente). Anzi, il male supremo di questo Occidente che si e' scatenato sul pianeta a partire dal XVI secolo, l'ha conquistato, colonizzato, sfruttato e ha sterminato intere popolazioni. Pero', anche qui, e' necessario tenere insieme due verita' opposte. Se e' vero che la dominazione dell'Occidente e' stata la peggiore della storia dell'uomo per durata ed estensione planetaria, occorre anche dire che tutte le componenti dell'emancipazione degli asserviti sono nate e si sono sviluppate in seno all'Occidente. E hanno permesso l'emancipazione dei colonizzati, quando costoro si sono impadroniti dei valori umanisti dell'Europa occidentale: diritti dell'uomo, diritti dei popoli, diritto a una nazione, democrazia, diritti delle donne. Si puo' anche dire che il ritardo di una gran parte del mondo a integrare la democrazia, i diritti umani, il rispetto dei diritti delle donne, sia una delle cause dello stato periglioso del mondo attuale. Neppure l'Islam puo' essere ridotto a una visione unilaterale. La storia ci ha insegnato chiaramente che la tolleranza religiosa e' stata dell'Islam verso i cristiani e gli ebrei tanto in Andalusia quanto nell'impero ottomano. L'Islam diede vita alla piu' grande civilta' del mondo al tempo del califfato di Baghdad. La nostalgia del passato glorioso in un presente sfortunato, sotto il peso di dittature corrotte poliziesche o militari, dopo il fallimento dello sviluppismo, del socialismo, del comunismo, l'assenza di speranza nel progresso e in un futuro occidentalizzato, tutto questo induce un ritorno alle radici religiose dell'identita'. In piu', la frustrazione si gonfia di umiliazione e rabbia davanti all'umiliazione e alla repressione quotidianamente sopportate dai palestinesi, all'ingiustizia subita (due pesi e due misure in Israele-Palestina) nell'impotenza degli Stati arabi, vassalli o no. L'appoggio incondizionato accordato dagli Stati Uniti a Israele porta a considerare Israele come lo strumento dell'America e a fare dell'America lo strumento di Israele e, in senso piu' lato, degli ebrei. Questa identificazione aggravato dallo "sharonismo" e' fatale sia all'America che a Israele. Nella situazione attuale la frustrazione, il risentimento, la nostalgia di una grande civilta' passata risuscitano il sogno dell'Umma, la grande comunita' islamica transnazionale, e fanno di un miliardo di musulmani un vivaio mondiale dove si possono reclutare i guerrieri della Jihad. Per tutta una gioventu', dal Maghreb al Pakistan, Bin Laden e' un superman della fede che ha decapitato le torri di una Babele che era anche Sodoma e Gomorra: e' un annunciatore della redenzione dell'Islam, della resurrezione dell'Umma, del ritorno del califfato. E' nato un nuovo messianismo, di cui non si possono ancora misurare gli sviluppi. All'inverso, ci sono anche le aspirazioni verso il meglio della civilta' occidentale contemporanea: le autonomie individuali, le liberta' politiche, il diritto alla critica, l'emancipazione della donna. La vera battaglia si combatte nello spirito di un gran numero d'islamici, molti dei quali vogliono salvaguardare la loro identita', il rispetto delle loro tradizioni e l'accesso alle possibilita' e ai diritti di cui godono gli occidentali. La vittoria andra' a chi sapra' fare la sintesi tra l'identita' culturale e la cittadinanza planetaria. Nazione-rifugio, emancipatrice di ebrei ma spoliatrice di palestinesi, minacciata di sterminio alla sua nascita dai vicini arabi ma diventata militarmente piu' potente di loro, sempre incerta della sua sopravvivenza ma sempre piu' crudelmente oppressiva del popolo palestinese, Israele tende a legare la sua esistenza a una dominazione che esacerba l'odio arabo; esita a impegnarsi nella via aleatoria che le permetterebbe un inserimento nel Medio-Oriente, riconoscendo uno Stato palestinese con le frontiere del 1967. Soprattutto nel corso dell'ultima Intifada. gli eredi degli ebrei, che hanno subito duemila anni di umiliazioni e persecuzioni, sono diventati persecutori capaci di ghettizzare i palestinesi, di esercitare la responsabilita' collettiva su famiglie e civili, in breve di fare dei palestinesi degli umiliati e offesi come lo erano stati i loro antenati. La questione israelo-palestinese e' diventata il cancro non solo del Medio Oriente, ma delle relazioni Islam-Occidente, e le sue metastasi si diffondono molto rapidamente in tutto il pianeta. L'intervento internazionale per garantire la nascita, l'esistenza e la vitalita' di uno Stato palestinese e' diventato di urgenza vitale per l'umanita'. Nel corso dell'ultimo decennio, una societa'-mondo e' emersa a meta'; ha la sua rete di comunicazioni (aereo, telefono, fax, Internet) gia' ramificata ovunque; ha la sua economia di fatto mondializzata, ma senza i controlli di una societa' organizzata; ha la sua criminalita' (mafia, soprattutto della droga e della prostituzione); ha ormai il suo terrorismo. Non dispone pero' di un'organizzazione, del diritto, dell'istanza di potere ne' di regole per l'economia, la politica, la polizia, la biosfera. Non c'e' ancora la coscienza comune di una cittadinanza planetaria. La mondializzazione del terrorismo costituisce uno stadio di realizzazione della societa'-mondo, perche' Al Qaeda non ha ne' centro statale ne' territorio nazionale, ignora le frontiere, trasgredisce gli Stati e si ramifica in tutto il globo; la sua potenza finanziaria e la sua forza armata sono transnazionali. Dispone, meglio che di uno Stato, di un centro occulto mobile e nomade. La sua organizzazione utilizza tutte le reti gia' posate della societa'-mondo. La sua mondialita' e' perfetta. La sua guerra religiosa e' una guerra civile in seno alla societa'-mondo. Questa macchina del terrore senza frontiere, ramificata nel mondo intero, nutrita di frustrazioni e disperazioni immense, animata da una fede allucinata, improvvisamente ha rivelato un potere devastante, la' dove la violenza omicida di una barbarie fanatica ha potuto utilizzare i progressi piu' raffinati della barbarie tecnica. La lotta contro Al Qaeda non e' competenza della guerra (sempre tra nazioni) ma di una polizia e di una politica. Bombardando l'Afghanistan, una metafora di guerra e' trasformata in realta' di guerra (Max Pages), si fanno le vittime di una guerra, e questo a detrimento di un'azione adeguata alla lotta contro un nemico planetario ramificato, che necessita di un'azione planetaria comune ben piu' complessa. Lasciata a se stessa, la dinamica nata dall'11 settembre moltiplica e aggrava i rischi. Rischio economico. L'interdipendenza propria del mercato globale determina una fragilita' aggravata dall'assenza di un vero sistema di regolazione; un'eventuale crisi generalizzata sarebbe il brodo di coltura di nuove dittature, o di totalitarismi, come lo fu la crisi del 1929. In senso piu' lato, l'interdipendenza di tutto cio' che costituisce l'era planetaria fragilizza il destino stesso del pianeta. Rischio isterico. La minaccia permanente e multiforme sugli Stati Uniti, lo scatenamento dell'anti-americanismo, non possono che favorire sovreccitazioni isteriche che esacerbano i manicheismi e le demonizzazioni reciproche. Il cancro israelo-palestinese si aggrava: le sue metastasi saranno irrimediabili, se non c'e' soluzione rapida al conflitto. L'onda anti-israeliana, diventata antisemita e antiamericana, risuscita le visioni medievali europee degli ebrei bevitori di sangue di bambino, inquinatori degli spiriti e dei corpi (untori dell'Aids), che agiscono perfidamente per dominare il mondo. La condotta di Sharon non e' soltanto cattiva, ma porta Israele al suicidio, magari accompagnato dai fuochi d'artificio di duecento testate nucleari israeliane che distruggerebbero gran parte dell'umanita' araba. L'incapacita' degli Stati Uniti, delle nazioni europee, delle Nazioni Unite, di imporre ai combattenti un intervento militare internazionale, separando i due territori secondo le frontiere del 1967, porterebbe a una catastrofe storica di un'ampiezza mai vista. Sotto l'effetto dell'onda di choc binladenista, si puo' immaginare il disfacimento a catena degli attuali regimi islamici, a beneficio non della democrazia ma del fanatismo religioso. Infine, quel rischio nucleare, batteriologico, chimico, che planava altissimo sopra il pianeta, ora e' diventato visibile, pressante, urgente. Il XX secolo ha visto saldarsi l'alleanza tra due barbarie, quella di distruzioni e massacri venuti dal fondo delle eta' storiche e quella interna alla nostra civilta', venuta dal regno anonimo e gelato della tecnica, di un pensiero che ignora tutto cio' che non e' calcolo e profitto. Il binladenismo costituisce una nuova alleanza tra le due barbarie. Cio' detto, non dobbiamo nasconderci che esiste una barbarie insita nella nostra civilta', che questa civilta' produce delle forze di decomposizione e di morte, e che al nostro iper-sviluppo scientifico e tecnico corrisponde un sotto-sviluppo mentale e morale. Eppure questa civilta' dispone ancora di due virtu' insostituibili: laicita' e democrazia, ancorche' atrofizzata. Gli Stati Uniti, e in senso lato l'Occidente, oscillano tra due vie: quella della follia, che prima o poi porta alla catastrofe, e quella della saggezza, difficile e aleatoria. La via della follia e' la via della crociata, della demonizzazione, del manicheismo cieco (perche' c'e' del male nel bene ma anche del bene nel male) e, amplificando l'isteria di guerra, e' la via dei massacri di massa da una parte e dall'altra. Invece la consapevolezza dei pericoli puo' essere un colpo di frusta per andare lungo la via della saggezza. Questa via comporta la presa di coscienza decisiva della solidarieta' tra uomini e della comunione del destino planetario. Piu' che "siamo tutti americani", siamo tutti figli e cittadini della Terra. E dagli Stati Uniti dovrebbe alzarsi il grido "non siamo solo americani". La via della saggezza comporta la consapevolezza che non solo, come ricordava Paul Valery dopo la prima guerra mondiale, le civilta' sono mortali, ma che la stessa umanita planetaria e' mortale e che oggi la sola alternativa alla democrazia e' l'odio. Perche' nient'altro se non l'odio puo' trionfare nella distruzione della democrazia. La via della saggezza comporta il riconoscimento di questo principio etico minimo: non avremo mai un mondo nobile attraverso mezzi ignobili. La via della saggezza comporta la consapevolezza che la costruzione di una societa'-mondo e' diventata vitale; solo una societa'-mondo puo' rispondere a un terrore-mondo. Di qui la necessita' di andare oltre l'ideologia economicista che da' al mercato mondiale la missione di regolare la societa'-mondo, mentre e' la societa'-mondo che deve regolare il mercato mondiale. Il nuovo tipo di guerra rende necessario un nuovo tipo di pace. Comporta la necessita' di dichiarare la pace all'Islam dichiarando la guerra al terrorismo, al fine di separare radicalmente i fanatici allucinati dall'insieme degli islamici, il che richiede l'instaurazione di una pace equa in Medio Oriente. Una politica confederale planetaria deve sostituirsi a un politica imperialista. E' importante che nascano grandi insiemi confederali, le grandi province del pianeta - soprattutto un grande insieme arabo-islamico che si riallacci al califfato in termini contemporanei. Una politica della civilta' e' la sola risposta alla guerra delle civilta'. Concretamente, un piano Marshall per le zone piu' disastrate della societa'-mondo; una mobilitazione massiccia della gioventu' dei Paesi ricchi per aiutare sul posto i Paesi diseredati; un'agenzia mondiale della sanita' per le popolazione incapaci di far fronte alle spese mediche. Infine, il nuovo tipo di guerra necessita un centro mondiale di lotta contro-terrorista adeguatamente ramificata. La politica americana ha cominciato zigzagando tra follia e saggezza, tra guerra imperialista e guerra confederale, tra regressione di coscienza e presa di coscienza. L'intervento pesante e continuo in Afghanistan va pero' nella cattiva direzione, anche se e' ancora aperta la seconda via. E' venuto il tempo di rispondere alla sfida della complessita' planetaria, di riconoscere le relazioni e le retroazioni tra il tutto e le parti. Siamo tutti invitati a una grande lotta spirituale. Lo spirito umano porta in se' i mali peggiori - l'incomprensione la cecita', l'illusione, la follia - ma anche la possibilita' della razionalita', della lucidita', della comprensione, della compassione. Forse dovremo avanzare ancora verso l'abisso perche' ci sia un autentico soprassalto di salvezza, perche' la societa'-mondo si trasformi in societa' delle nazioni e delle culture unite contro la morte. Purche' non si sprofondi, la catastrofe diventa l'ultima opportunita'. 3. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: GLI ORFANATROFI DI KABUL [Giuliana Sgrena, giornalista e saggista, impegnata da sempre per i diritti umani, delle donne, dei popoli, e' attualmente a Kabul. Questo articolo e' comparso sul quotidiano "Il manifesto" del 29 novembre] Abdul Ghafar, 65 anni, barba bianca e un berretto di lana in testa per ripararsi dal freddo, ricorda quando, nel 1960, era stato in Italia per le Olimpiadi. Allora era un atleta: "a Roma ho corso i 100 metri in 10,2 secondi", racconta con nostalgia. Ha lasciato l'atletica quando si e' laureato in medicina, ma non ha abbandonato lo sport: e' andato a Leningrado - "per me e' sempre Leningrado, anche se adesso si chiama San Pietroburgo", dice - a specializzarsi in medicina sportiva. Fino a dieci anni fa ha fatto l'allenatore al Politecnico di Kabul, poi con l'eta' e i tempi che correvano se n'e' andato in Pakistan, a Peshawar. Ma dopo un anno e' tornato in Afghanistan per mettere su' una clinica, "non a Kabul, dove non c'era pace, ma nella regione di Paktia". La clinica serviva anche per dare aiuto ai piu' bisognosi e agli handicappati. Comincia cosi' l'attivita' umanitaria di Abdul Ghafar che dal 1994 e' tornato a Kabul per costruire l'orfanotrofio "Care". Nel centro della citta', in due stanzette, ospita una sessantina di bambini, la maggior parte orfani, che vengono qui per frequentare la scuola alla quale altrimenti non potrebbero accedere. Appartengono tutti a famiglie molto bisognose, dice, mentre ci mostra un dossier che contiene le schede dei bambini, fotografati con la loro famiglia o i parenti. Il numero dei bambini - di cui il 60% sono maschi e il 40% femmine - che frequentano "Care", in classi miste, sono diminuiti durante i bombardamenti, ma ora stanno tornando, racconta il medico. Non avete mai avuto problemi con i taleban, vista la presenza delle bambine? "Molti, a volte venivano a chiedere informazioni, altre minacciavano di chiudere la sede, noi sostenevamo che si trattava di bambine di eta' inferiore agli otto anni e che quindi potevano frequentare la scuola e che comunque si trattava di orfani senza assistenza anche da parte del governo dei taleban, e qualcuno doveva pur pensarci", risponde Abdul Ghafar. Qui i bambini hanno anche un pasto, oltre ai corsi di matematica, dari, farsi e qualche insegnamento basilare di religione - ma niente Corano e soprattutto niente arabo, "sono contrario", dice Abdul. E chi finanzia? Tutte donazioni individuali che provengono da afghani emigrati, soprattutto negli Stati Uniti. Ora, su nove insegnanti di "Care" sei sono donne, ma hanno cominciato a lavorare solo una settimana fa, dopo la fuga de taleban, come Safia, una ragazza di 27 anni, che durante gli anni bui ha insegnato nelle scuole clandestine. I tempi stanno cambiando dunque, Abdul Ghafar ha fiducia nel cambiamento? "Non ho fiducia negli uomini armati", risponde. La conferenza di Bonn puo' portare a qualche risultato? "Solo se le pressioni dell'Onu indurranno gli anziani ad accettare le decisioni. La situazione e' difficile: i paesi vicini, l'Iran e la Russia, non vogliono la pace perche' in competizione con l'argentina Bridas per la costruzione dei gasdotti che dovrebbero convogliare il gas dell'Asia centrale". Allora quale puo' essere la strada da seguire per trovare la pace? "Innanzitutto bisogna disarmare tutti i gruppi armati, poi indire una Loya Jirga (l'assemblea, secondo la tradizione dell'Afghanistan) che porti alle elezioni a cui possano partecipare tutti gli afghani. Ma dopo il disarmo, perche' chi ha le armi non accetta la volonta' popolare". Tra le foto mostrateci da Abdul abbiamo visto anche la moglie, anche lei medico, che ha contribuito a molte delle sue attivita' umanitarie, ma ora si trova in Turkmenistan per permettere alle due figlie di studiare. Una famiglia moderna che mal si concilia con l'Afghanistan di questi tempi. E comunque nella Loya Jirga, auspicata da Abdul Ghafar, non hanno mai partecipato le donne. L'assenza delle donne nei momenti decisionali non pregiudicherebbe il futuro?, gli chiedo. "Le donne fanno parte della nostra societa' e devono partecipare alle decisioni, a partire dalla conferenza di Bonn", risponde convinto l'ex-medico sportivo. Lasciamo "Care" dopo aver visto anche i ragazzi che dopo la scuola fanno tappeti su un balcone gelido per guadagnare qualche soldo: per ogni metro quadrato vengono pagati 300.000 afghani, meno di dieci dollari, e per farlo occorrono circa 20 giorni. La condizione dei bambini e' drammatica in Afghanistan, anche se non esistono cifre di riferimento perche' i taleban non ne fornivano ed e' obiettivamente difficile fare statistiche in un paese dilaniato da 23 anni di guerra e continuamente attraversato da ondate di profughi. Un dato approssimativo parla di circa 50.000 vedove solo a Kabul, sugli orfani non ci sono nemmeno stime ma non c'e' dubbio che questo e' uno dei drammi di questo paese. I bambini, come in tutti i paesi poveri, si arrabattano per recuperare qualche spicciolo: molti fanno i lustrascarpe, altri fanno lavoretti al bazar, altri ancora vanno a rovistare nell'immondizia per recuperare carta o plastica. E in genere non vanno a scuola. Tranne quelli che sono stati recuperati da Aschiana, una organizzazione non governativa pakistana che ha allestito cinque centri a Kabul, dove assiste circa 1.700 "bambini di strada", molti dei quali sono figli di profughi. Prima erano tutti maschi, dice Wali, uno degli operatori sociali, ma da quando i taleban se ne sono andati abbiamo accolto anche le bambine. Oltre alla scuola ricevono anche un pasto, ma ora che e' Ramadan non si cucina e quindi i bambini si portano a casa una razione di riso per la famiglia. Il riso e' anche l'unico alimento ancora a disposizione nell'orfanotrofio Daruleitan, nella zona sud di Kabul, quella completamente distrutta, proprio di fronte all'ex ambasciata sovietica. Ma la riserva e' sufficiente solo per una settimana, dopo di che "saremo costretti a chiudere se non ci arriveranno aiuti", dice rassegnato Amirden, uno dei responsabili. Fino a tre mesi fa, prima degli attacchi alle torri di New York e al ritiro degli occidentali dall'Afghanistan, l'orfanotrofio era sostenuto dalla ong britannica Children in crises e dalla Canadian relief foudation. Dalla loro partenza non si sono piu' sentiti, i contatti si sono interrotti: da allora non c'e' stata piu' carne e ora manca persino il pane. Sono 450 i bambini che frequentano quella che nell'era dei taleban era una madrasa (scuola coranica), dove c'erano anche 100 bambine completamente recluse dietro un recinto ricoperto da lastre di ferro. Anche questi bambini tornano a casa la sera, tranne sedici di loro che da un mese e mezzo vivono nell'orfanotrofio perche' non hanno dove andare. I bambini sono in fila per una manciata di riso in un piatto di latta dove non restera' nemmeno un chicco. Anche il personale, 64 insegnanti, di cui 33 donne, da quattro mesi non ricevono piu' lo stipendio di 1.200.000 afghani (circa 75.000 lire). Stiamo abbandonando la desolazione dell'orfanotrofio quando arriva un camion di pasta. Forse si e' trovata una soluzione all'italiana. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL LINGUAGGIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA TENEREZZA [Giulio Vittorangeli e' impegnato da sempre nella solidarieta' internazionale; e' uno dei principali collaboratori di questo notiziario. Per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it] La riconquista di gran parte dell'Afghanistan da parte dell'Alleanza del Nord non sembra mettere fine alla guerra; si combatte con la ferocia di "non fare prigionieri", pensiamo al massacro alla periferia di Mazar-i-Sharif, oltre 600 morti nel carcere-fortezza di Qalai Janchi, in maggioranza prigionieri talebani in rivolta (catturati dopo la presa di Kunduz). Il paese e' precipitato nella guerra per bande,di cui probabilmente sono stati vittime, pochi giorni fa, i quattro giornalisti: Maria Grazia Cutuli (del "Corriere della Sera"), Julio Fuentes, Harry Burton e Azizullah Haidari; e resta sempre la prospettiva di una guerriglia endemica da parte dei talebani. Intanto l'Alleanza del Nord (cocktail di tajiki, uzbeki, hazari, ostili ai pashtun, il gruppo etnico maggioritario, quasi il 40% della popolazione, predominante tra i talebani) ha proclamato il suo nuovo governo, con a capo Burhanuddin Rabbani, sfidando l'Onu e gli Stati Uniti; sostituirlo pacificamente sara' piuttosto complicato. Non solo, sempre l'Alleanza del Nord ha dichiarato di essere in grado di mantenere la sicurezza e di non aver bisogno della forza di pace delle Nazioni Unite e tanto meno di gradire la presenza di truppe straniere sul proprio territorio. Non sembra facile il compito dell'inviato Onu, Francesc Vendrell, di garantire la creazione di un governo di unita' nazionale e di transizione, destinato a restare in carica due anni. Anche la conferenza promossa dall'Onu che si sta svolgendo a Bonn tra tutte le etnie afghane per accordarsi sul futuro del paese, incontra non poche difficolta'. L'Afghanistan e' di nuovo spartito tra i "signori della guerra", che non sapranno certo garantire pace e democrazia. Non solo perche' i mujaheddin hanno gia' fallito in passato, quando alla fine degli anni '80 (esaltati come "combattenti della liberta'" e sostenuti dall'occidente in nome dell'anticomunismo) dopo aver cacciato i sovietici, hanno ripiombato il paese in una guerra feroce e devastante; quanto perche' crediamo che solo una presenza delle associazioni delle donne afghane, nel futuro governo, possa garantire una democrazia reale e una pace stabile. Ha dichiarato Luisa Morgantini, europarlamentare, di ritorno da Peshawar: "Le donne afghane che si sono opposte ad ogni fondamentalismo devono essere chiamate a far parte del governo di transizione... non basta avere un corpo di donna per costruire la democrazia, per questo non si chiede che siano "le donne" a far parte dei negoziati e della direzione del paese, ma che siano quelle donne che non si sono fatte dividere dall'appartenenza etnica e sono state attive nella clandestinita', con il rischio della loro vita. Donne che hanno continuato ad insegnare a leggere e a scrivere a ragazze e ragazzi, hanno costruito cliniche, si sono prese cura dell'accoglienza ai profughi, agli orfani e lavorato con quegli uomini "consapevoli" che hanno rifiutato il ruolo maschile imposto da una societa' feudale, patriarcale e crudele". Oggi, ipocriticamente, tutti parlano dei diritti delle donne afghane, persino lady Bush, riscoprono il bourqa (come se prima non se ne sapesse nulla) come l'emblema della malvagita' dei terroristi talebani. L'occidente (ad iniziare dai suoi mass-media) si fa paladino di una causa che non lo ha mai interessato veramente (non hanno mai fatto notizie le iniziative di donne iraniane, algerine, afghane contro i fondamentalismi che si sono tenute nel corso dell'ultimo decennio in Italia) e, nei discorsi di chi giustifica la guerra, spesso si sentono nominare i diritti negati delle donne afghane. In realta', se ne fa un uso strumentale e non si ascolta ancora la loro voce. Per esempio, la principale organizzazione anti-talebana delle donne afghane, Rawa (Revolutionary association of the women of Afghanistan) ha messo in guardia contro i mujaheddin dell'Alleanza del Nord, definiti "stupratori e saccheggiatori... che non renderanno migliore la vita degli afghani e delle afghane perche' aumenteranno i conflitti tra le diverse etnie". (Si veda anche l'appello di Rawa all'Onu, pubblicato il 16 novembre sul n. 290 di questo notiziario). Del resto, ancor prima dei talebani, le donne erano state epurate dai media dagli stessi mujaheddin che ora sono le colonne dell'Alleanza del Nord. Ha scritto Giancarla Codrignani: "I corpi vengono mortificati da burqa e chador, ma le vesti sono simboli di una condizione che non si annulla con i soli cambiamenti esteriori. La violenza e' nella struttura che tratta le donne come oggetti e che si esalta nelle guerre" ("Il foglio del paese delle donne", n. 35/36 del 2001). La nostra solidarieta' non puo' che andare a tutte quelle donne che da anni lottano e resistono per il diritto ad una vita degna per tutte e tutti in Afghanistan, alle loro associazioni, in particolare a Rawa (risale al 1987, quando la sua fondatrice Meena - poi uccisa dai mujaheddin - si batteva per i diritti delle donne e l'indipendenza del paese), e ad Hawca (Humanitarin Assistance of Women of Afghanistan), che agiscono clandestinamente in Afghanistan (rischiando la vita) e anche nei campi profughi afghani in Pakistan per dare assistenza sanitaria di base, istruzione di base, controinformazione, insomma far sopravvivere la gente e aiutarla a pensare e a reagire. Una conferma di come le donne riescono, certamente molte volte meglio degli uomini, a parlare il linguaggio della giustizia e della tenerezza anche nei momenti peggiori. Ricordiamo infine, che le Donne in Nero in collaborazione con le due associazioni Rawa e Hawca hanno promosso una campagna di raccolta di fondi di emergenza per l'accoglienza di profughe e profughi afghani in Pakistan. Si puo' contribuire: - tramite bonifico bancario n. c/c 103344 Banca Popolare Etica, Padova, Abi 5018 Cab 12100; - tramite versamento sul c/c postale n. 12182317 intestato a Banca Etica; in entrambi i casi specificare nella causale "Donne in Nero con Hawca & Rawa". 5. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: LA SECONDA FASE [Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente. Per contatti: lambient at tiscalinet.it] "La seconda fase studiata da Washington e Londra ha due obiettivi: colpire quei Paesi che producono o nascondono armi di distruzione di massa che potrebbero finire ai terroristi; fare terra bruciata ovunque Osama bin Laden ed Al Qaeda potrebbero trovare rifugio." Cosi' M. Molinari su "La Stampa". Sara' ben difficile che Osama bin Laden venga trovato, se il suo ritrovamente farebbe cessare i motivi di Washington e di Londra per intervenire militarmente, ovunque e senza ostacoli, con il ricatto infame di bollare come amico dei terroristi chiunque tenti di ragionare e di far ragionare sull'opportunita' della guerra di sterminio come strumento per debellare il terrorismo. 6. LETTURE. DOMENICO CANCIANI, MARIA IDA GAETA (A CURA DI), ALBUM SIMONE WEIL Domenico Canciani, Maria Ida Gaeta (a cura di), Album Simone Weil, Edizioni Lavoro, Roma 1997, pp. 96, lire 15.000. E' il catalogo della mostra omonima allestita nella biblioteca "A. Rispoli" di Roma nel 1997. 7. LETTURE. ANGELA PUTINO: SIMONE WEIL E LA PASSIONE DI DIO Angela Putino, Simone Weil e la passione di Dio, Edizioni Dehoniane, Bologna 1997, pp. 80, lire 10.000. Nella bella collana dei "Quaderni di Camaldoli" una finissima, intensa meditazione. 8. RILETTURE. ROSA LUXEMBURG: SCRITTI SCELTI Rosa Luxemburg, Scritti scelti, Edizioni Avanti, 1963, edizione riveduta e ampliata, Einaudi, Torino 1975, 1976, pp. 868. A cura di Luciano Amodio, una delle migliori raccolte italiane di scritti della grande pensatrice, militante e martire. 9. RILETTURE. ROSA LUXEMBURG: SCRITTI POLITICI Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, pp. 708. Altra fondamentale antologia disponibile in italiano di scritti luxemburghiani, con un'ampia e profonda introduzione del curatore, l'indimenticabile Lelio Basso (sicuramente il piu' grande studioso italiano di Rosa Luxemburg). 10. DA TRADURRE. INGEBORG GLEICHAUF: HANNAH ARENDT Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, DTV, Muenchen 2000, pp. 158. Una biografia agile ed introduttiva ma meditata e accurata, ricca di illustrazioni, come e' tipico della benemerita collana in cui appare (dvt portrait). Dispiace che in Italia non vi siano oggi collane analoghe. 11. DA TRADURRE. WOLFGANG HEUER: HANNAH ARENDT Wolfgang Heuer, Hanna Arendt, Rowohlt, Hamburg 1987, 1999, pp. 160. Agile monografia, taglio divulgativo, molte illustrazioni. In italiano - dove pure la Arendt viene studiata con notevole impegno - manca ancora sulla grande pensatrice una adeguata saggistica divulgativa ma puntuale di questo tipo, rivolta ad un pubblico ampio (ci sono naturalmente alcuni lavori che oltre ad essere rigorosi sono altresi' agili ed utilmente introduttivi: dal libro di Friedmann a quello di Flores d'Arcais, ad esempio - e naturalmente qui non diciamo di molte altre opere assai interessanti ma se magre centrate su singoli temi, o se complessive poderose per mole); manca ancora, ci pare, un lavoro di quelli che potrebbero utilmente apparire nelle collane laterziane de "I filosofi" o dei "Maestri del Novecento". 12. ALCUNE INIZIATIVE DI PACE DA OGGI A DOMENICA 2 DICEMBRE [Ovviamente le iniziative di pace di seguito segnalate sono quelle di cui siamo venuti a conoscenza e che ci sembrano caratterizzate da due scelte precise: I. la nonviolenza; e II. la difesa dei diritti umani, del diritto internazionale, della legalita' costituzionale] Venerdi 30 novembre - in tutta la Toscana: iniziative nell'anniversario dell'abolizione della tortura e della pena di morte nel Granducato di Toscana il 30 novembre 1786. - a Baronissi: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a Bologna: presso la sede della associazione culturale Punto Rosso (info: puntorossobologna at libero.it), in Via San Carlo 42, dalle ore 21 alle 23, incontro sul commercio etico e la finanza etica, con Matteo Morozzi. - a Feltre: ad Hangarzone incontro su "'Global war?" con Franco Berardi. - a Genova: al Teatro Carlo Felice serata per la liberta' e la pace dedicata a Fabrizio De Andre', conduce Gianni Mina'. - a Imola: alle ore 20,45 presso i padri cappuccini in via Villa Clelia 16, proiezione del film "Il tempo dei cavalli ubriachi". - a Legnano: sala civica, Palazzo di vetro, via Matteotti, alle ore 20,30, serata per Emergency, interverra' Paola Tosi. - a Orte (VT): al liceo scientifico, con inizio alle ore 14, settimo incontro del corso di educazione alla pace. - a Prato: piazza S. Maria delle Carceri a Prato ospita la tenda di Abramo, presso la quale sosteranno i diciassette digiunatori che aderiscono alla proposta lanciata da Pax Christi e Beati i Costruttori di Pace. - a Ruvo di Puglia: auditorium del liceo Tedone, ore 17,30, incntro con Isidoro Mortellaro e la comunita' palestinese. - a Salerno: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a San Domenico di Fiesole (FI): ore 21, alla Badia Fiesolana: "La nonviolenza non e' un'utopia", mons. Luigi Bettazzi. L'iniziativa e' promossa dal Centro studi economico-sociali di Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. Per informazioni e iscrizioni: tel/fax: 0552374505. - a Torre di pordenone: alla casa del popolo alle ore 20,45 incotnro con Erri De Luca e Alessandro Sabiucciu. - a Verona: Gianni Franceschini mette in scena l'ultimo testo dello psichiatra veronese Vittorino Andreoli: "San Zen che pianze". Al Teatro Camploy di Verona (via Cantarane) alle ore 21. Il 28, 29 e 30 novembre. Posto unico lire 15.000. * Sabato primo dicembre - in varie citta' d'Italia: iniziative per la giornata mondiale contro l'Aids. Info: www.lila.it - ad Alfonsine: inizia e prosegue fino al 9 dicembre un ciclo di iniziative per l'Africa. - a Baronissi: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a Bologna: marcia della dignita' per i migranti: ore 15, piazza XX Settembre (autostazione), corteo fino a piazza del Nettuno sotto la Tenda della Dignita'. Testimonianze delle comunita' dei migranti, immagini, musiche, sapori e al tramonto apertura del Ramadan. - a Bracciano: dibattito sulla pace promosso da "Terra e liberta'". Info: 0699849054. - a Cagliari: all'Alkestis di via Loru due film di Liana Badr, alle ore 20,30. - a Carrara: alle ore 17 al ridotto del Teatro degli Animosi in pizza Cesare Battisti, incontro sul tema: "La liberta' nel pensiero filosofico, economico e politico", con Massimo Bontempelli e Giovanni Mazzetti. Info: tel. 058572193, e-mail: puntorosso.carrara at tin.it - a Firenze: Villa Medicea di Castello, Accademia della Crusca, ore 10-18: presentazione del "Dizionario della liberta'"con numerosi illustri relatori. - a Gemona: alle ore 20,30, al Centro Salcons, incontro sul tema: "Islam, un dialogo (im)possibile?", con Giuliano Zatti, Faten Chabarek, Giorgio Zanin. - a Imola: corso di cucina multietnica alle ore 15 in via Aldrovandi 31. - a Lesa: alla sala Pertini sul lungolago mostra di fotografie di Sebastiao Salgado, il grande fotografo brasiliano rappresenta il nostro presente: una umanita' in cammino spinta dalla miseria, dall'intolleranza, dalla guerra. Sabato: ore 9-12 e 15-18. - a Milano: Palazzo Marino, sala Alessi, ore 9,30-19, presentazione dei risultati della ricerca condotta da Omicron, Osservatorio milanese sulla criminalita' organizzata al nord (omicronweb at tiscalinet.it), per la Commissione europea (programma Falcone). Partecipano: Vittorio Grevi, Simona Peverelli, Giuseppe Muti, Jacques Soppelsa, Fabrice Rizzoli, Ramon Macia Gomez, Salvatore Gurrieri, Nando dalla Chiesa, Gerardo D'Ambrosio, Lorenzo Salazar, Giancarlo Caselli, Michele Saponara, Armando Spataro, Paolo Del Debbio, Maurizio Romanelli, Maurizio Laudi, Michele Dalla Costa, Adolfo Ceretti, Dario Rivolta, Luigi Pagano, Giuliano Pisapia, Federico Stella,Virginio Rognoni, Antonino Caruso, Gianni Barbacetto. - a Modena: seminario sul welfare alla sala Spontini dalle 10 alle 16. - a Modena: alle ore 16, al Foro Boario, Facolta' di Economia e Commercio dell'Universita' degli Studi di Modena, iniziativa promossa dai Giuristi Democratici, con il patrocinio della Provincia. "Diritto alla guerra o guerra al dirittto? L'uso legittimo della forza nel diritto internazionale". Partecipano: Fausto Gianelli, Bruno Desi, Fabio Marcelli, Giuseppe Ugo Rescigno, Simone Scagliarini. Segreteria organizzativa: Giuristi Democratici, Modena, tel. 0536324472, fax 0536325517. - a Monza: in largo Mazzini dalle 14,30 iniziativa per la pace. - a Prato: piazza S. Maria delle Carceri a Prato ospita la tenda di Abramo, presso la quale sosteranno i diciassette digiunatori che aderiscono alla proposta lanciata da Pax Christi e Beati i Costruttori di Pace. - a Quargnento: alle ore 21, Salone della Pro Loco, serata di solidarieta' con le vittime delle guerre, della fame, dell'ingiustizia sociale. Partecipa Ivana Stefani di ritorno dal Pakistan. Proiezione di video, distribuzione di materiale di contro informazione, prodotti della Bottega del commercio equo solidale. A cura di Rete di Lilliput, Associazione Comunicando, Associazione Giovani di Quargnento, Rete Radie' Resch, Pro Loco Quadringentum. Info: Giandomenica Daziano, tel. 0131217397, Cristina Rossi, tel. 0131778449, Maria Teresa Gavazza, tel. 0131219638, e-mail teregav at tin.it - a Roma: giornata di solidarieta' con i rom di via Gordiani, dalle roe 16. Info: tel. 3473701037. - a Rossano Calabro Scalo: alle ore !7 nella sala della Comunita' Montana presentazione del libro di Ettore Masina, Il prevalente passato (edito da Rubbettino, Soveria Mannelli 2001); con Gianni Novello, Piero Fantozzi, Giacomo Paniccia, Tonino Perna, Fulvio Mazza, e naturalmente Clotilde ed Ettore. - a Salerno: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a Santa Maria La Longa: alle ore 9-18 in via don Orione 2, iniziativa per Emergency. - a Sant'Anastasia (NA): manifestazione dedicata alla cultura africana e raccolta fondi per la realizzazione di progetti in Africa. Per contatti: a.tim at inwind.it - a Tavarnuzze (FI): alla "Casa per la Pace", via Quintole per le Rose 131/133, incontro sui diritti minacciati, con L. Bettazzi, U. Allegretti, G. Ghezzi, C. Corsi, C. Pellicano'. L'iniziativa e' promossa dal Centro studi economico-sociali di Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. Per informazioni e iscrizioni: tel/fax: 0552374505. - a Torino: dalle ore 9,30 festa per la nuova bottega equa e solidale in via S. Donato 43. - a Torino: alle ore 15, presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13, conferenza di Carla Ravaioli sul tema "La recessione economica: un'opportunita' per l'ambiente?". info: e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.arpnet.it/regis * Domenica 2 dicembre - a Baronissi: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a Bologna: alle ore 9,30, presso la Cisl Emilia Romagna, in via Milazzo 16, assemblea di "Chiama l'Africa". Per contatti: sito: www.chiamafrica.it, e-mail: info at chiamafrica.it, tel. 065430082. - a Lesa: alla sala Pertini sul lungolago mostra di fotografie di Sebastiao Salgado, il grande fotografo brasiliano rappresenta il nostro presente: una umanita' in cammino spinta dalla miseria, dall'intolleranza, dalla guerra. Domenica: ore 10-12 e 15-18. - a Salerno: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621. - a Santa Maria La Longa: alle ore 9-18 in via don Orione 2, iniziativa per Emergency. - a Sant'Anastasia (NA): si conclude la manifestazione dedicata alla cultura africana e raccolta fondi per la realizzazione di progetti in Africa. Per contatti: a.tim at inwind.it - a Tavarnuzze (FI): alla "Casa per la Pace", a via Quintole per le Rose 131/133, prosegue l'incontro sui diritti minacciati, con G. Codrignani, U. Allegretti. L'iniziativa e' promossa dal Centro studi economico-sociali di Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. Per informazioni e iscrizioni: tel/fax: 0552374505. - a Viterbo: alle ore 16 presso il centro sociale "Valle Faul" consueto incontro di formazione alla nonviolenza. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 304 del 30 novembre 2001
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