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Le alternative
- Subject: Le alternative
- From: "Enrico Peyretti" <peyretti at tiscalinet.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Mon, 19 Nov 2001 17:15:49 +0100
Invece della guerra [dal libro di Enrico Peyretti, "Per perdere la guerra", ed. Beppe Grande, Torino 1999, pp. 89-94 ] Questa guerra Nato-Serbia ci ha lacerato, più che mai. Ha lacerato dialoghi, rapporti, anche amicizie, persino famiglie. Alcuni hanno visto che si poteva e si doveva evitare, altri hanno valutato che non c'era altro da fare contro l'oppressione del Kossovo. Ora, cercando di placare il dolore, proviamo a riflettere tanto su questa particolare guerra, quanto sul fenomeno generale della guerra contemporanea, chiedendoci: che cosa si può fare, invece della guerra, in presenza di un conflitto acuto riguardante i diritti umani? A - Prima della guerra: - un conflitto non è una guerra, fino a quando non lo si pensa risolvibile soltanto con la distruzione o sottomissione dell'avversario. - i negoziati devono essere condotti senza ultimatum e senza minacce (l'art. 52 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati vieta la minaccia o l'uso della forza nel corso delle trattative e dichiara nullo ogni accordo sottoscritto a seguito di tale costrizione) - i negoziati hanno bisogno della partecipazione continua di mediatori civili imparziali, esperti e colti sulla storia, tradizioni, valori, diritti, attese delle diverse parti in conflitto - nelle zone di conflitto la comunità internazionale deve inviare e fornire di mezzi adeguati (sempre meno costosi della guerra) un numero grande, abbondante di osservatori civili, conoscitori di quelle realtà umane, a fare da testimoni, moderatori, e possibili mediatori - ogni stato abbia un ministro della pace, e, nel caso di una tensione o conflitto, nomini un "avvocato dell'avversario", come si fa entro ogni ordinamento civile, col compito di cercare, ascoltare, difendere le ragioni dell'avversario e accusato (questo è lo sviluppo di una proposta di Aldo Capitini nel 1948 e di Tullio Vinay nel 1977; cfr E. Peyretti, La politica è pace, Cittadella, Assisi 1998, pp. 46-49). - l'Europa non si affidi solo alla difesa militare, ma realizzi il Corpo di Pace Civile Europeo, proposto a suo tempo da Alex Langer, secondo la raccomandazione votata il 10 febbraio 1999 dal Parlamento Europeo (v. Azione Nonviolenta, marzo 1999, pp. 10-13). - L'Italia non si affidi solo alla difesa militare, ma attui l'art. 8, punto 2, comma e), della legge 8 luglio 1998, n. 230, 230, Nuove norme in materia di obiezione di coscienza, per il quale l'Ufficio nazionale per il servizio civile ha il compito di "predisporre (...) forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta". Il 14 aprile 1998 la Camera impegnava il Governo con una raccomandazione (v. Azione Nonviolenta, giugno 1998, p. 14) a costituire, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, le strutture per l'attuazione di detto articolo. - preventivamente, è utile "mescolare" il più possibile le parti potenzialmente "nemiche": p. es. praticare e incoraggiare il turismo in terra "nemica", non ritirare il personale diplomatico né evacuare i concittadini da tali territori; ciò non lascia configurare quella terra come bersaglio vivente, con i suoi abitanti, e costringe a prolungare i negoziati invece di passare alle armi. - nel dibattito sul conflitto l'informazione di ogni parte deve sottrarsi alla funzione di propaganda, che è la prima azione bellica, quella contro la verità e l'obiettività; p. es. deve anche denunciare e criticare i torti della propria parte e dare spazio alle ragioni portate dalla parte avversaria. La discussione deve essere centrata sull'oggetto e non sui soggetti. - acquisire nella cultura politica e nell'opinione pubblica che la guerra è illegittima per la suprema legge internazionale, la Carta dell'Onu, che contiene come prima volontà e impegno fondativo delle Nazioni Unite la "decisione" di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra", la quale è dunque fuori legge, sicché decidere una controversia con la guerra è reato internazionale; inoltre, per l'Italia, la guerra è incontrovertibilmente illegittima per l'art. 11 della Costituzione che impegna a ricercare alternative non belliche anche alla guerra di difesa. La Carta dell'Onu, art. 51, (e la nostra Costituzione in tale quadro) consente soltanto la difesa militare immediata e provvisoria da un attacco armato diretto, con l'obbligo di deferire immediatamente la questione al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. - gli stati hanno il dovere giuridico e morale di rendere autorevole ed efficace la funzione dell'Onu contro le minacce alla pace, anche mettendo ad immediata disposizione i contingenti necessari all'azione coercitiva internazionale (art. 45). Questa azione di polizia dell'Onu è un'azione diversa dalla guerra nella sostanza, nei fini e nell'etica: deve usare il minimo di forza necessaria, deve far calare la violenza, deve operare nei limiti della legge, mentre la guerra usa una forza crescente ed una violenza maggiore, eleva il tasso di violenza complessiva, opera fatalmente fuori dalla legge. - diffondere la consapevolezza che quando la politica include la guerra, cioè il dare in modo organizzato e premeditato la morte artificiale ad esseri umani, e il distruggere le loro condizioni di vita, essa contraddice l'idea stessa di politica, che è l'arte del convivere componendo e non sopprimendo le diverse esigenze vitali e i diritti umani. Oggi la "polis", lo spazio della politica umana, è l'intera famiglia umana. B - Dentro la guerra - avere il coraggio di uscirne, che è superiore e più nobile del coraggio di entrarvi. - non umiliare l'avversario, perché ciò è stoltezza arrogante e disastrosa; perché la vittoria punitiva (Versailles 1919) non fonda né assicura la pace, ma la schiaccia insieme al vinto; perché l'umiliazione coltiva il revanscismo. - de-costruire l'immagine del nemico: questa operazione di propaganda e di condizionamento psicologico, che sempre sta all'inizio di una guerra, configura il nemico come sub-umano per autorizzarne e incitarne l'uccisione come unico colpevole, indegno di vivere. L'operazione informativa e culturale contraria, resituendo umanità al "nemico" col mostrarne le relative ragioni e pregi, smonta le basi interiori della guerra. - rispettare rigorosamente, anche unilateralmente, lo jus in bello, cioè i limiti alle azioni di guerra stabiliti nelle convenzioni internazionali e dettati dalla ragione morale. Kant dichiara questo principio (cui fa seguire alcuni esempi): "Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi degli atti di ostilità tali da rendere impossibile, al ritorno della pace, la confidenza reciproca" ed aggiunge: "altrimenti non sarebbe più possibile concludere nessuna pace e l'ostilità degenererebbe in una guerra di sterminio" (Per la pace perpetua, sesto articolo preliminare, trad. di Alberto Bosi, Ed. Cultura della Pace). Cioè, se la guerra uccide del tutto la pace, quindi la fiducia e la lealtà, non può rivendicare la minima razionalità politica. - tenere aperta e praticare largamente e abbondantemente la comunicazione con il nemico, in tutte le forme possibili e con tutti i mezzi, da parte di quanti più soggetti è possibile, violando intensamente la separazione bellica, per la stessa ragione ora detta: perché la comunicazione in parole umane tiene il conflitto in termini vitali e costruttivi, che sono radicalmente alternativi alla guerra, anche quando sono tesi. Fin quando si parla non si spara. L'arma espelle la parola, cioè la forma umana, e la parola espelle l'arma. Quando la guerra è scoppiata, non sono cadute le alternative ad essa, ma è proprio quella l'ora di costruire e ricostruire accanitamente le alternative più opposte alla guerra. - non cercare né prospettare un risultato a somma zero, cioè con tutto il guadagno da una parte e tutta la perdita dall'altra (in ciò sta il concetto nefasto di vittoria, che impone o di cedere nella resa senza condizioni o di subire la distruzione), bensì un risultato a somma inferiore per ciascuno, ma positiva per entrambi, che dà la maggiore probabilità di uscita dallo spirito dissociato e distruttivo della guerra. - distinguere chiaramente nel campo avverso i falchi dalle colombe, e cercare lealmente e apertamente contatti costruttivi con le colombe, per sostituire un rapporto dialogico e politico al rapporto bellico. - dare riconoscimento e tutela giuridica ai disertori dalla guerra, tanto i propri come gli altrui, onorando il loro diritto inviolabile di sottrarsi all'omicidio bellico in nome della comune universale umanità. E' la coscienza personale, e non l'autorità politica, che decide moralmente se la guerra è giusta. Se ciò scardina il calcolo politico, non importa; anzi, è molto importante per il progresso umano. Il Parlamento Europeo, con la risoluzione 7 febbraio 1983, riconosceva il principio dell'obiezione di coscienza anche durante il servizio militare. Rodolfo Venditti commentava: "Ogni uomo è una coscienza in continuo cammino, in continua crescita" (Le ragioni dell'obiezione di coscienza, Ed. Gruppo Abele 1986, p. 102; dello stesso Autore, L'obiezione di coscienza al servizio militare, 2ª edizione, Giuffré 1994, p. 29-30). La nuova legge italiana, migliorando nettamente la precedente, stabilisce che, in caso di guerra, gli obiettori in servizio "sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce rossa". Ma per il principio di cui sopra, essi potrebbero rifiutare questa collaborazione indiretta alla guerra, secondo l'esortazione di don Milani. I disertori stranieri sono tutelati in Italia dall'art. 20 della legge sull'immigrazione e dall'art. 2bis della legge 390/92 per i profughi dell'ex-Jugoslavia, ma l'applicazione alla frontiera è stata spesso manchevole. - fare l'elogio del "disfattismo" e praticarlo civilmente. Questo atteggiamento, criminalizzato dal minaccioso culto della guerra, consiste nel meritorio "disfare" o inceppare il tremendo meccanismo psicologico e tecnologico che arma gli uomini e li usa come strumenti in una contrapposizione mortale. - individuare e celebrare il comportamento esemplare di quei militari, capaci di restare o tornare ad essere più uomini che soldati, i quali difendono e proteggono, contro gli ordini, la popolazione "nemica" (si veda in il foglio n. 262, settembre 1999, La pace dentro la guerra, sul caso esemplare della medaglia d'oro commendatore Josef Schiffer, nel 1943-45). C - A chi tocca ? Tutti questi e simili atteggiamenti ed azioni sono doveri contro la guerra spettanti tanto alle pubbliche autorità, quanto, in ogni caso, ai singoli cittadini. Enrico Peyretti ---------------------------- DOCUMENTO DI RIFLESSIONE: CONTRO IL TERRORISMO SENZA GUERRA Ci sono molti buoni motivi per dire no alla guerra: 1. Non è una guerra di legittima difesa; le vittime di questa guerra sono - come sempre ormai - quasi tutti civili innocenti (come quelli morti l'11 settembre!): è una vendetta! 2. Stiamo assistendo all'accanimento dell'esercito più forte del mondo contro uno dei paesi più poveri, mentre gli straricchi mandanti della strage di New York, che hanno mandato dei disperati a morire uccidendo, restano indenni: è un conflitto fra ricchi e forti che si combattono uccidendo e mandando a morire i poveri e i disperati. 3. Violenza chiama violenza: la guerra contro l'Afganistan sta scatenando violente reazioni contro "l'occidente" in molti altri paesi: se si continua a rispondere nello stesso modo c'è il rischio di avviarsi ad un conflitto generalizzato, dagli sviluppi inimmaginabili. 4. La difficoltà oggettiva di vincere questa guerra richiede l'aumento di intensità degli attacchi; c'è il rischio reale di passare all'uso di armi nucleari, che è già stato ipotizzato anche ad alti livelli: un conflitto nucleare generalizzato sembra un prezzo ragionevole da pagare per fermare i terroristi? 5. Il fondamentalismo islamico, sentendosi attaccato, si sta compattando e quindi si rafforza e diventa più minaccioso; per reazione si fortificano spinte integraliste anche nell'occidente. C'è il rischio di una pericolosa contrapposizione fra religioni. 6. Sembra che i terroristi siano presenti e ben protetti in molti paesi del mondo (compreso il nostro, e gli USA): una guerra non può sconfiggere un fenomeno così diffuso e nascosto. 7. Fin dall'inizio dei bombardamenti è stato detto che molti fatti sarebbero rimasti segreti o comunicati in modo distorto. Tuttora non sono state rese note le "prove" della colpevolezza dell'Afganistan che viene bombardato. Un'opinione pubblica democratica e laica non può sostenere una guerra semplicemente "per fede". 8. Per fare la guerra occorre demonizzare l'avversario: ci stiamo condannando a non conoscere, a non capire, a odiare una gran parte dell'umanità (e in essa noi stessi e l'umanità intera). MA DI FRONTE AD UN ATTACCO BRUTALE COME QUELLO DELL'11 SETTEMBRE BISOGNA REAGIRE SUBITO! E' VERO: ma la guerra è l'unico strumento che abbiamo? No, per fortuna ci sono molti modi per lottare contro il terrorismo impegnando in modo alternativo le enormi risorse umane ed economiche oggi assorbite dalla guerra 1. Ratificare tutti immediatamente la convenzione per un tribunale internazionale che persegua e giudichi i responsabili di crimini terroristici e contro l'umanità. E renderlo operativo con la collaborazione delle forze di polizia di tutti i paesi. 2. Applicare con coraggio e rigore le leggi esistenti, per combattere in modo democratico le varie mafie, che sono i principali fiancheggiatori del terrorismo. 3. Limitare drasticamente la vendita di armi (pesanti e leggere) sia agli stati che ai privati, applicando la legge 185 e impedendo traffici illeciti; e riconvertire l'industria bellica. 4. Abolire subito il segreto bancario e i "paradisi fiscali" per individuare e "congelare" tutte le risorse economiche delle mafie e dei terroristi. 5. Impegnarsi per l'abolizione dei servizi segreti, per i legami storici con varie forme di terrorismo e totalitarismo: una vera democrazia è del tutto trasparente. 6. Ricordiamo che ogni giorno 35000 bambini muoiono di fame: dall'11 settembre sono più di due milioni! Occorre togliere al terrorismo il pretesto di lottare per la giustizia e il consenso di popolazioni disperate. Per far questo si può agire, nei paesi che "favoriscono il terrorismo", in vari modi: - smettere di sostenere e riverire le classi dirigenti corrotte ed ultraricche, legate agli interessi della grande economia mondiale; - favorire l'alfabetizzazione e la coscientizzazione dei poveri - sostenere le organizzazioni umanitarie locali, le lotte di liberazione delle donne, i partiti democratici sovente perseguitati (anche dando rifugio politico ai loro leader) - finanziare progetti di sviluppo locali, decentrati, con forti ricadute sociali, creando a questo scopo un fondo costituito attraverso la tassazione di tutte le transazioni e speculazioni finanziarie. - smettere le politiche di embargo che si ritorcono drammaticamente sulle popolazioni. 7. Impegnarsi per la soluzione del conflitto arabo-israeliano, fonte di profonde umiliazioni e disperazione, terreno di coltura di fanatismo e terrorismo 8. Far funzionare l'ONU, riformandola in modo da sottrarla al ricatto delle nazioni più forti e dotandola di effettive forze di polizia internazionale. 9. Promuovere scambi culturali, dialogo, conoscenza, nel rispetto delle differenze. Alba, 5 novembre 2001 Documento in fase di discussione nel "Coordinamento Gruppi per una Giustizia Solidale" c/o Cooperativa Quetzal, Corso Langhe 17 ------------------------------- NANNI SALIO: TERRORISMO O GUERRA? CI SONO ALTERNATIVE [Nanni Salio e' tra i piu' importanti peace-researcher italiani, ed una delle figure piu' vivide della nonviolenza. Per contatti: Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13; 10122 Torino, tel. 011532824, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, web: www.arpnet.it/regis] E dopo il 9 novembre 1989 (caduta del muro di Berlino) venne l'11 settembre 2001: inaspettato per i piu', ma previsto saggiamente da alcuni. Date epocali? Forse, ma non necessariamente. Nei poco piu' di dieci anni che separano questi due eventi, l'umanita' ha perso una formidabile occasione, una "finestra di opportunita'", per porre definitivamente la guerra fuori dalla storia e vi e' ripiombata a capofitto. Perche' ci vogliono cosi' male, si chiedono gli americani. Perche' tanto odio? Cosa possiamo fare? Esaminiamo innanzi tutto tre principali interpretazioni. La prima e' la teoria del "blowback", o del "contraccolpo", che e' esposta con grande preveggenza e dovizia di dati da Chalmers Johnson in un testo quasi profetico, Gli ultimi giorni dell'impero americano (Garzanti, Milano 2001). La politica estera ed economica americana ha prodotto talmente tanti guasti e seminato tanto odio da ritorcersi contro, anche se i cittadini americani non ne sono consapevoli (ma questo non vale per i loro leader). E' ormai noto a tutti che personaggi come Saddam Hussein, Noriega, Bin Laden e tanti altri sono creature degli USA, che come tanti "Frankenstein" si ribellano e si rivoltano contro il loro creatore. In altri termini, la dottrina militare, le teorie strategiche e il modello di difesa elaborati dal complesso militare-industriale-scientifico statunitense si sono rivelati profondamente errati e pericolosi e invece di creare sicurezza hanno generato uno stato generale, su scala mondiale, di insicurezza, paura, terrore, rischio mortale. Siamo di fronte a uno dei piu' incredibili errori concettuali e di progettazione, finanziato con centinaia di miliardi di dollari all'anno, e le popolazioni civili di tutto il mondo stanno pagando un prezzo altissimo. Se il Pentagono e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti utilizzassero gli stessi criteri di efficienza di un'azienda privata, i dirigenti di queste due istituzioni dovrebbero essere licenziati in tronco. Invece, ci ripropongono la stessa ricetta: altri bombardamenti. La seconda interpretazione e' la vecchia, ma sempre attuale, "teoria del petrolio". Tutte le principali guerre di questi anni sono state combattute dagli USA per assicurarsi il controllo delle riserve strategiche di petrolio e gas naturale. Intorno al 2005 verra' raggiunto il picco di produzione geofisica del pianeta, e verso il 2030 comincera' la vera e propria crisi generale. La transizione puo' essere indolore solo se progettata per tempo, ma non sembra essere questa la direzione verso la quale ci stiamo muovendo (si veda: www.dieoff.com). La terza interpretazione e' quella che Giulietto Chiesa propone affermando: "Cercate la cupola, non solo Bin Laden". In altre parole, e' assai improbabile che gli attentati dell'11 settembre siano stati attuati da una singola organizzazione senza una vasta rete di complicita', anche all'interno degli stessi Stati Uniti. E' noto che da sempre il terrorismo convive in simbiosi con i servizi segreti, come insegnano tante vicende del passato, compresa quella dello stragismo in Italia. Queste tre interpretazioni non si escludono a vicenda, anzi si corroborano tra loro e ci mettono in guardia da facili spiegazioni e da ancor piu' semplicistiche soluzioni che, nell'immediato, non esistono. Siamo di fronte al trionfo dell'"impermanenza", della societa' del rischio, dell'angoscia e del terrore che giorno per giorno abbiamo ottusamente contribuito a costruire. * Dopo la parte di analisi in negativo, proviamo a formulare alcune proposte in positivo. 1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei mandanti, e' compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l'umanita': cambieranno idea dopo l'11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l'umanita' e non un atto di guerra, e come tali devono essere affrontati. 2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti e' la non demonizzazione dell'avversario e l'analisi corretta delle sue richieste. Che cosa hanno chiesto le parti che si sentono interpretate dal terrorismo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma che da tempo avrebbero dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell'embargo e dei bombardamenti sull'Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime dell'11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita. 3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita', la giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da ong e gruppi di base, sulla falsariga di quella promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali. 4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti di donne come quello afghano Rawa. 5. Dialogo, educazione, cultura: e' il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un'autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo l'articolo di Umberto Eco, "Le guerre sante: passione e ragione" ("La Repubblica", 8 ottobre 2001, www.repubblica.it/online/mondo/idee/eco/eco.html). 6. Movimento internazionale per la pace: cosi' come negli anni '80 una grandiosa mobilitazione riusci' a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle societa' civili di ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell'agenda delle priorita' politiche sui temi globali: pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta. 7. Uscire dall'economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione e di minaccia ambientale planetaria, e' diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre. E' indispensabile avviare prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, decentrate, a piccola potenza. 8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e' pieno di "Bin Ladren" come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attivita' mafiose per costruire paradisi fiscali e potentati economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dei "Bin Ladren" nostrani, che stanno varando leggi scandalose e offensive del piu' comune buon senso morale. 9. Zone libere dall'odio: e' la proposta lanciata dalla ong americana "Global exchange" che richiama quella delle zone denuclearizzate degli anni '80. Dichiariamo le nostre scuole e i nostri quartieri "zone libere dall'odio", con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e capacita' costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti. 10. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani se la piu' potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto in quelli piu' potenti, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi e distruttivi con forme di difesa popolare nonviolenta. -------------------------------------- Comunicato Stampa 13 ottobre 2001 NOI, rappresentanti delle CONGREGAZIONI MISSIONARIE INTERNAZIONALI PARTECIPIANO ALLA MARCIA PERUGIA ASSISI CON QUESTO SPIRITO: Siamo perfettamente in sintonia con lo spirito della Marcia nel credere, lavorare e cercare di creare condizioni più giuste e dignitose per i popoli impoveriti dallo sfruttamento Siamo contro ogni tipo di guerra, la nostra esperienza di missionari nel Sud del mondo ci insegna che le guerre non hanno mai creato le condizioni per una vera pace e sviluppo ma hanno creato divisioni e odi incolmabili, razzismi esasperati e terrorismo. Siamo convinti che il terrorismo si debba e si possa confrontare ed eliminare non con le armi ma con strategie nuove e più definitive come: · il congelamento vero, concreto severissimo di tutte le risorse economiche delle mafie e dei terroristi, almeno quelli noti. · Organizzare subito a livello internazionale la tassazione obbligatoria di tutte le transazioni e speculazioni finanziarie, tenendo conto dei suggerimenti della Tobin Tax. · Risolvere la questione Palestinese Israeliana creando con l'aiuto delle Nazioni Unite territori sicuri e autonomi per i due popoli. · Ricercare, con modi legali, i responsabili degli attentati e attacchi terroristici e sottoporli a giusti processi · Incrementare lo sviluppo economico, sanitario educativo dei paesi impoveriti dallo sfruttamento riconoscendo che le loro immense risorse devono prima di tutto essere a beneficio dei loro paesi. · Sviluppare uno scambio culturale (scuole e università) e sociale di rispetto e conoscenza reciproca tra la cultura occidentale e le culture che si rifanno alle religioni e culture mussulmana, indù, buddista. Partecipiamo alla Marcia Perugina Assisi sperando che sia luogo e spazio di incontro tra idee e posizioni diverse ma nello spirito e nella prassi della nonviolenza e rispetto reciproco compresi linguaggi e atteggiamenti. Speriamo che questa moltitudine pacifica e solidale che chiede pace e giustizia camminando verso Francesco diventi motivo di riflessione per la nostra Classe Politica e la nostra Chiesa. Speriamo che le forze politiche e i loro Leaders partecipando alla Marcia non la strumentalizzino per i loro scopi e per una volta siano capaci di vera solidarietà. sr.patrizia pasini Coordinatrice AEFJN Antenna Italiana Africa Europe Faith Justice Network (AEFJN) Antenna Italiana Via Piero Foscari 00139 Roma, Italy Tel. 06 88641494 Fax 06 88641492 e.mail delc.mc at pcn.net ----------------------------- -----------------------------
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