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intervento in aula E. Deiana
- Subject: intervento in aula E. Deiana
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Sat, 10 Nov 2001 16:46:43 +0100
Seduta n. 57 di mercoledì 7 novembre 2001 Comunicazioni del Governo sull'impiego di contingenti militari italiani all'estero in relazione alla crisi internazionale in atto (ore 9,08). PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà. ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, vi accingete a compiere una scelta che è insieme grottesca e tragica. Tragica perché è storicamente tragico quello che sta avvenendo in Afghanistan - nell'intera regione - e perché in questo modo il nostro paese si assume in forma diretta la responsabilità di una guerra unilaterale che ha conseguenze devastanti sul piano umanitario e che sempre più ne avrà su quello geopolitico e delle relazioni internazionali. Il voto di guerra che vi accingete a esprimere - come fate a non vedere ciò - avviene proprio nel momento in cui il conflitto ha dato prova lampante di non riuscire a risparmiare la vita dei civili - le parti più indifese delle popolazioni -, donne e bambini, nel momento in cui i cosiddetti danni collaterali sono sotto gli occhi di tutti, anche dei vostri, suppongo. I nostri ragazzi, come dice la retorica guerrafondaia di tutti i tempi, e le nostre ragazze, come impone questa modernizzazione barbarica che uccide l'aspirazione femminile alla libertà e all'autodeterminazione, imprigionandola nello scimmiottamento di tutto quello che di peggio ha prodotto la cultura maschile, i nostri ragazzi e le nostre ragazze - ripeto - andranno ad esercitare la loro vocazione militare contro un paese poverissimo, già torturato da 20 anni di guerra contro villaggi, quartieri civili, agenzie di sminamento, ospedali civili e militari. C'è un documento - vi suggerisco di leggerlo - che non è stato scritto dal gruppo di Rifondazione comunista ma da Pax Christi. Si intitola «Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la pace» e vi è scritto che l'operazione militare che gli USA stanno conducendo in Afghanistan non è altro che un'altra forma di terrorismo - questo è anche il nostro giudizio! - un terrorismo che alimenta, in maniera esponenziale, il terrorismo dei gruppi politici del fondamentalismo islamista, che non bonifica ma moltiplica quelli che l'onorevole D'Alema ama chiamare i giacimenti dell'odio. I fiumi di dollari che si stanno spendendo nell'attuale campagna contro l'Afghanistan sarebbero sufficienti da soli a bonificare subito uno di quei giacimenti, eliminando, se indirizzati ad una strategia di convivenze e pace tra i popoli, la fame e la miseria dell'intera zona. Partecipare alla guerra è una scelta tragica - dicevo prima - ma insieme grottesca perché nulla e nessuno imponeva al nostro paese di passare dalla già disastrosa scelta di appoggio politico all'operazione «Libertà duratura» a quella del coinvolgimento diretto in azioni di guerra. Non vi è stata nessuna richiesta americana, ma soltanto l'insistenza grottesca fino al ridicolo, se non si trattasse di guerra, dell'offerta italiana, del pietire del Governo e anche di esponenti del centrosinistra di partecipare, in forma diretta, alle azioni militari in Afghanistan, di far sventolare la bandiera italiana tra le macerie di quel paese. Dietro al ridicolo delle forme c'è però l'idea, l'illusione, la volontà di far parte attiva, ancorché in posizione di attori di seconda o terza fila, di quel gruppo di paesi che, con la guerra, sta disegnando le nuove coordinate del potere economico, politico e militare nel mondo, di sedersi insomma al tavolo dei vincitori, semmai vi saranno, con Bush e Blair per poter dire: c'ero anch'io! Un déjà-vu che fa parte di una storia del nostro paese che noi proprio non amiamo e che ha portato più volte l'Italia ad avventure belliche disastrose, tanto più disastrose in questa occasione perché le dinamiche che si sono aperte con l'operazione «Libertà duratura» sono tutt'altro che chiare e definibili, al di là del martellamento militare continuo, dei bombardamenti metro per metro, della propaganda bellica. Abbiamo detto più volte - e oggi lo ribadiamo - che «Libertà duratura» non è una operazione contro il terrorismo, che il terrorismo non si combatte in questa maniera, che in questa maniera si alimentano e si estendono soltanto l'area e la legittimazione del terrorismo. L'operazione «Libertà duratura» è un'occasione colta dagli Stati Uniti e dalla NATO per intervenire in armi a ridefinire, attraverso la guerra, il protettorato, la presenza diretta in quelle zone, i rapporti di forza in un'area del mondo che - basta leggere la stampa degli Stati Uniti e di tutti gli osservatori attenti alle questioni geopolitiche - è strategica da tutti i punti di vista. Ma se le ragioni strategiche sono chiare e definite - in merito a ciò dovrebbe essere aperta la discussione in Parlamento, non sugli aspetti tecnici militari di cui ci ha informato il ministro Martino - non sono affatto chiare le sorti di questa guerra. Il Parlamento dovrebbe essere messo nelle condizioni di discutere dell'andamento della guerra. Il voto è a occhi chiusi. Come può non interessarci sapere che, dopo mesi di bombardamento incessante, non vi è nessun segno di successo, né politico né militare, nella dichiarata offensiva contro il regime dei taliban? Che Bin Laden, lungi dall'essere stato catturato o dall'essere in procinto di essere catturato, diventa ogni giorno di più il punto di riferimento di vaste aree dei paesi arabi e che rischia di essere l'eroe di un'intera generazione di giovani maschi musulmani, sempre più schiacciati dagli avvenimenti di questo periodo su un'identità islamista che annienta tutte le differenze culturali, che pure sono grandissime tra quei paesi, e tutte le differenze sociali? Come ignorare che la destabilizzazione dell'area, a cominciare dal Pakistan, così duramente investito nelle responsabilità militari dell'azione « Libertà duratura » comporta rischi di una gravità inaudita per tutto il mondo, considerato che la guerra avviene in un contesto circondato da paesi cosiddetti emergenti e dotati dell'arma atomica? Votiamo la guerra, assumiamo il ruolo di reggicoda degli Stati Uniti d'America, mentre potremmo fare grande il nostro paese, mettendo all'opera la grande vocazione di pace che esso manifesta e che si è evidenziata nella straordinaria partecipazione popolare alla marcia Perugia-Assisi, vocazione di pace che torna, in tutti i sondaggi investigativi, nella volontà della nostra gente di partecipare o meno alla guerra. Potremmo fare grande il nostro paese elaborando e proponendo adeguate strategie internazionali contro il terrorismo, con un'azione pressante per risolvere i punti di crisi che lo alimentano, a partire dalla questione palestinese che continua ad essere nel fuoco di una situazione drammatica che appare irrisolvibile; potremmo adoperarci per promuovere un'azione autonoma dell'Europa e un suo ruolo quale mediatrice dei conflitti per rilanciare, ripensare e riqualificare il ruolo delle Nazioni Unite che oggi sono ridotte a paravento subalterno delle decisioni della NATO. Il Presidente della Repubblica Ciampi ha augurato che un tricolore sia presente in ogni famiglia. Ci dispiace che il Presidente della Repubblica abbia usato questa espressione tipica del patriottismo bellico. Ne siamo distanti anni luce e faremo di tutto perché il minor numero di tricolori di guerra sventoli tra di noi. Se il tricolore, come deve essere, rappresenta il nostro paese, deve rappresentare l'Italia repubblicana, democratica e fondata su una Costituzione che ha nel suo DNA costitutivo il ripudio della guerra e la ricerca della pace. Il voto di oggi fa piazza pulita di quel fondamento, distrugge le basi della convivenza internazionale, favorisce l'instaurazione della legge del più forte, eliminando ogni garanzia del diritto. Vi accingete a scrivere un'altra pagina nera della nostra storia. Per quello che è nelle nostre mani, faremo di tutto per sollevare contro la vostra decisione clamori di popolo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista). Forum delle donne di Rifondazione comunista Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma Tel. 06/44182204 Fax 06/44239490
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