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La nonviolenza e' in cammino. 279
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 279
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 5 Nov 2001 16:16:59 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 279 del 5 novembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: il crimine della guerra 2. Enrico Peyretti: lettera al Presidente della Repubblica contro la guerra 3. Edward Said, lo scontro delle ignoranze 4. Carla Ravaioli, l'altra faccia dell'occidente 5. Enzo Bianchi, le apocalissi dell'11 settembre 6. Sabato 17 novembre si riunisce il gruppo di lavoro della Rete di Lilliput sulla nonviolenza 7. La finanza etica a Bologna il 24 novembre 8. Alcune iniziative di pace nel viterbese 9. Progetto per costituire un centro di documentazione e di intervento pacifista 10. Riletture: Henry Corbin, Storia della filosofia islamica 11. Riletture: Pierre-Joseph Proudhon, Che cos'e' la proprieta'? 12. Riletture: Paul Tillich, Teologia sistematica (volume I) 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. IL PUNTO. PEPPE SINI: IL CRIMINE DELLA GUERRA Occorre fermare la guerra, la guerra terroristica voluta dai terroristi e che sta coinvolgendo sempre piu' paesi e popoli, sempre piu' intensamente; che sta provocando sempre piu' vittime innocenti. Qualcuno deve spezzare la spirale della barbarie, riaffermare il primato del diritto, riaffermare il principio del non uccidere. Possa essere il nostro paese a dire una parola di saggezza, a fare un gesto di saggezza. Tragicamente, anche il nostro paese e' coinvolto in questa guerra; tragicamente, governo, parlamento e capo dello stato, tradendo la Costituzione cui pure giurarono fedelta', hanno deciso di approvare la guerra. E' compito di tutti i cittadini intervenire, con la forza del diritto e della nonviolenza, per difendere la legalita' costituzionale, per difendere il diritto internazionale, per difendere le concrete vite umane degli esseri umani bersaglio delle attivita' belliche e terroristiche. Sta a noi, semplici cittadini, rompere la spirale della barbarie omicida, sta a noi ottenere che l'Italia rompa il consenso alla guerra, torni alla legalita', si adoperi per la pace e il diritto. Sta a noi denunciare i massacratori e i loro complici, sta a noi fermare la guerra. Con la nonviolenza, con l'azione diretta nonviolenta. Per difendere l'umanita' dal pericolo apocalittico che incombe su tutti; per difendere le persone che giorno dopo giorno vengono massacrate da una guerra terrorista e stragista; ed anche per difendere la civilta' giuridica, per difendere il nostro ordinamento giuridico, il nostro stato di diritto, la nostra democrazia. La guerra tutto travolge. Occorre opporsi alla guerra: con la nonviolenza, con l'azione diretta nonviolenta, con la disobbedienza civile, con lo sciopero generale. Ed anche denunciando alla magistratura coloro che hanno coinvolto il nostro paese nella guerra, denunciando l'orribile delitto di complicita' con le stragi belliche, di violazione della Costituzione, commesso dal governo, dal parlamento, del capo dello stato. Lo scriviamo con strazio sincero e profondo. Chi tace e' complice. 2. PROPOSTE. ENRICO PEYRETTI: LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CONTRO LA GUERRA [Enrico Peyretti e' uno dei principali punti di riferimento della cultura della pace in Italia; per contatti: peyretti at tiscalinet.it] Propongo di scrivere in tanti, in forma personale, al Presidente della Repubblica on. Carlo Azeglio Ciampi (Palazzo del Quirinale, 00186 Roma; con francobollo da 800 lire, perche' non c'e' piu' la franchigia: oppure presidenza.repubblica at quirinale.it, con firma completa di indirizzo stradale, altrimenti il messaggio viene respinto) questa lettera, che io ho gia' spedita: Signor Presidente della Repubblica, come Le anticipai gia' il 13 settembre, oggi che l'Italia si dichiara in guerra, io non sono con questa Italia. Non e' lecito a me cittadino obbedire a questa decisione che non produce giustizia e sicurezza, ma vendetta indiscriminata e maggiore pericolo. La guerra non realizza la giusta solidarieta' alle vittime dell'11 settembre, ma causa tante nuove vittime innocenti, nuovi immensi dolori e prolunga la dannata catena di odio e vendetta. Il governo non sa vedere le alternative giuste e sagge alla guerra, e cade nella trappola della violenza. La guerra, lungi dallo stroncarlo, imita e favorisce il terrorismo. E' mio primario dovere umano e civile dissociarmi ed oppormi, in tutti i modi nonviolenti possibili, a questa decisione immorale, illegittima e folle. Questa protesta e' un nuovo appello fiducioso a Lei in quanto primo garante della nostra Costituzione giusta e pacifica che obbliga l'Italia, cioe' noi tutti, a "ripudiare la guerra (...) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". 3. RIFLESSIONE. EDWARD SAID: LO SCONTRO DELLE IGNORANZE [Edward Said e' uno dei piu' grandi intellettuali viventi. Questo intervento e' apparso il primo novembre sul quotidiano "La Repubblica". Edward Said e' un prestigioso intellettuale democratico palestinese, docente alla Columbia University. Tra le sue opere: Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino, poi Feltrinelli, Milano; La questione palestinese, Gamberetti, Roma; Cultura e imperialismo, Gamberetti, Roma; Tra guerra e pace, e Dire la verità, ambedue presso Feltrinelli, Milano; cfr. anche la raccolta di articoli, La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma. E' stata recentemente pubblicata in italiano la sua autobiografia, Sempre nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano] L'articolo di Samuel Huntington "The clash of civilizations?" ("Scontro di civilta'?") apparve nella primavera del 1993 su "Foreign Affairs" e subito suscito' una sorprendente quantita' di attenzione e di reazioni. Dato l'intento, fornire agli americani una tesi originale sulla "nuova fase" della politica mondiale dopo la fine della Guerra fredda, i termini del ragionamento di Huntington apparvero irresistibilmente ampi, audaci, addirittura visionari. L'autore aveva ben presenti i rivali tra i ranghi della politica attiva, i teorici come Francis Fukuyama e le sue tesi sulla fine della storia, al pari delle schiere di coloro che avevano inneggiato all'avvento del globalismo, del tribalismo e alla dissoluzione dello stato. Ma essi, concedeva Huntington, avevano compreso solo alcuni aspetti di questo nuovo periodo. Egli si accingeva ad annunciare quello che definiva "l'aspetto cruciale, realmente centrale" di cio' "che la politica globale probabilmente sara' nei prossimi anni". Senza incertezze incalzava: "La mia tesi e' che la fonte prima di conflitto in questo nuovo mondo non sara' ne' essenzialmente ideologica ne' essenzialmente economica. Le grandi divisioni all'interno dell'umanita' e la fonte di conflitto predominante avranno carattere culturale. Gli stati nazione resteranno i protagonisti piu' potenti degli affari mondiali, ma i principali conflitti della politica globale avranno luogo tra nazioni e gruppi di civilta' diverse. Lo scontro di civilta' dominera' la politica mondiale. Le faglie tra civilta' saranno i fronti di battaglia del futuro". Quando Huntington nel '96 pubblico' il libro con lo stesso titolo, cerco' di aggiungere un po' di sottigliezza al suo ragionamento e molte, molte note a pie' di pagina, ma non fece altro che confondersi, dando prova della rozzezza del suo scrivere e dell'ineleganza del suo pensiero. Il paradigma fondamentale dell'Occidente contro tutti (che riformula la contrapposizione della guerra fredda) resto' intatto ed e' cio' che e' rimasto, spesso in maniera insidiosa e implicita, in discussione a partire dai terribili eventi dell'11 settembre: l'orrendo attentato suicida con motivazioni patologiche da parte di un piccolo gruppo di militanti usciti di senno e' stato trasformato in prova della tesi di Huntington. Invece di considerarlo per cio' che e' in realta', l'impossessarsi cioe' di grandi idee (uso il termine in senso generico) da parte di una piccola banda di fanatici impazziti, alcuni luminari internazionali, dall'ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto al primo ministro italiano Silvio Berlusconi, hanno pontificato sui guai dell'Islam e, nel caso di Berlusconi, hanno utilizzato Huntington per farneticare sulla superiorita' occidentale, tipo "noi" abbiamo Mozart e Michelangelo e loro no. C'e' un abuso della retorica churchilliana da parte di sedicenti combattenti nella guerra dell'Occidente e soprattutto dell'America contro chi la odia, i suoi saccheggiatori e distruttori, con scarsa attenzione a vicende complesse che sfidano questi termini riduttivi. E' questo il problema di etichette poco edificanti come Islam e Occidente: sviano e confondono la mente che si sforza di dare un senso a una realta' disordinata che non intende essere archiviata o liquidata con tanta facilita'. Una volta ho interrotto un uomo che si era alzato in piedi tra il pubblico dopo una conferenza che avevo tenuto all'Universita' della Cisgiordania nel '94 e aveva iniziato a scagliarsi contro le mie idee "da occidentale" considerandole opposte a quelle fondamentaliste islamiche da lui esposte. "Perche' porta giacca e cravatta?" fu la prima risposta che mi venne spontanea. "Non sono occidentali anche quelle?". L'uomo torno' a sedersi con un sorriso imbarazzato, ma questo episodio mi e' tornato in mente quando hanno cominciato a circolare le notizie sulle modalita' con cui i terroristi sono riusciti a gestire tutti i dettagli tecnici necessari a realizzare la loro malvagita' omicida sul World Trade Center e al Pentagono. Dove va tracciato il confine tra la tecnologia "occidentale" come ha dichiarato Berlusconi, e l'incapacita' "dell'Islam" di far parte della modernita'? Quanto sono inadeguate le etichette, le generalizzazioni? Una decisione unilaterale di tracciare linee nella sabbia, intraprendere crociate per opporre al loro male il nostro bene, per estirpare il terrorismo e, nel vocabolario nichilista di Paul Wolfowitz, porre interamente fine alle nazioni, non rende affatto piu' facile individuare queste supposte entita', ma piuttosto, esprime quanto sia piu' semplice fare affermazioni bellicose al fine di mobilitare le passioni collettive piuttosto che riflettere, esaminare, cercare di capire che cosa stiamo in realta' affrontando, l'interconnessione di innumerevoli vite, "nostre" quanto "loro". Fu Conrad a comprendere che le distinzioni tra la Londra civilizzata e il "Cuore di tenebra" facevano presto a crollare in situazioni estreme, e che le vette della civilta' europea potevano trasformarsi all'istante nelle pratiche piu' barbare senza preavviso ne' transizione. Sempre Conrad ne "L'agente segreto" (1907) descrisse l'attrazione del terrorismo per astrazioni come la "scienza pura" (e per estensione, per "l'Islam" o "l'Occidente") e il fondamentale degrado morale dei terroristi. Esistono legami piu' stretti tra civilta' apparentemente in guerra tra loro di quanto alla maggior parte di noi piaccia credere e, come hanno dimostrato sia Freud che Nietzsche, il traffico tra confini attentamente salvaguardati, persino presidiati, avviene con una facilita' che spesso spaventa. Ma poi queste idee fluide, piene di ambiguita' e scetticismo riguardo a concetti cui restiamo aggrappati, stentano a fornirci orientamenti appropriati e pratici per affrontare situazioni simili a quella attuale. Da qui gli ordini di battaglia tutto sommato piu' rassicuranti (una crociata, il bene contro il male, la liberta' contro la paura, ecc.) tratti dall'opposizione tra Islam e Occidente teorizzata da Huntington, dalla quale la retorica ufficiale ha derivato nei primi giorni il suo vocabolario. Quella retorica ha notevolmente smorzato i toni da allora, ma a giudicare dalla percentuale consolidata di discorsi e azioni ispirati all'odio, il paradigma resta valido. Un ulteriore motivo per cui resiste e' l'accresciuta presenza di musulmani in tutta Europa e negli Stati Uniti. L'Islam non e' piu' al margine dell'Occidente, ma al suo centro. Ma che c'e' di cosi' minaccioso in questa presenza? Sepolti nella cultura collettiva giacciono i ricordi delle prime grandi conquiste araboislamiche iniziate nel settimo secolo che, come scrisse l'illustre storico belga Henri Pirenne nel suo fondamentale saggio "Maometto e Carlo Magno" (1939), mandarono in frantumi una volta per tutte l'antica unita' del Mediterraneo, distrussero la sintesi cristianoromana e diedero vita ad una nuova civilta', dominata dai poteri nordici (La Gemania e la Francia dei Carolingi) la cui missione, sembra intendere Pirenne, e' di prendere le difese dell'"Occidente" contro i suoi nemici storicoculturali. Cio' che l'autore omette di dire, ahime', e' che nella creazione di questa nuova linea di difesa l'Occidente attinse all'umanesimo, alla scienza alla filosofia alla sociologia e alla storiografia dell'Islam, che si era gia' interposta tra il mondo di Carlomagno e l'antichita' classica. L'Islam e' inserito fin dall'inizio, come anche Dante, grande nemico di Maometto, dovette ammettere quando colloco' il Profeta proprio al centro del suo Inferno. Permane poi l'eredita' del monoteismo stesso, le religioni abramiche, come ben le defini' Louis Massignon. A iniziare dall'Ebraismo e dal Cristianesimo ogni religione e' ossessionata dal fantasma di cio' che la ha preceduta: per i Musulmani l'Islam realizza e conclude la linea della profezia. Non c'e' ancora un adeguato passato di demistificazione della disputa su piu' fronti tra questi tre seguaci del piu' geloso di tutti gli dei, che in nessun caso rappresentano una fazione monolitica, unificata, anche se la moderna sanguinosa convergenza sulla Palestina fornisce un forte esempio secolare delle divergenze che si sono rivelate cosi' tragicamente inconciliabili. Non sorprende quindi che musulmani e cristiani siano pronti a parlare di crociate e di jihad, elidendo la presenza ebraica con noncuranza spesso sublime. Un programma simile, dice Eqbal Ahmad, "risulta molto rassicurante per gli uomini e le donne che si trovano incagliati nel bel mezzo delle acque profonde della tradizione e della modernita'". Ma noi tutti nuotiamo in queste acque, occidentali, musulmani e altri, allo stesso modo. E poiche' le acque fanno parte dell'oceano della storia, cercare di dividerle con barriere e' inutile. Viviamo momenti di tensione ma e' meglio pensare in termini di comunita' che detengono il potere e comunita' che ne sono prive, di secolari politiche di raziocinio e ignoranza, e di principi universali di giustizia e ingiustizia, piuttosto che smarrirsi in astrazioni che possono essere fonte di soddisfazione momentanea ma producono scarsa autoconsapevolezza. La tesi dello "scontro di civilta'" e' una trovata tipo "Guerra dei mondi", piu' adatta a rafforzare un amor proprio diffidente che la conoscenza critica della sorprendente interdipendenza del nostro tempo. 4. RIFLESSIONE. CARLA RAVAIOLI: L'ALTRA FACCIA DELL'OCCIDENTE [Carla Ravaioli, giornalista e saggista, si è occupata principalmente di movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di economia e di ambiente. Tra le sue opere: La donna contro se stessa, Laterza 1969; Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione femminile, 1976; Il quanto e il quale. La cultura del mutamento, Laterza 1982; Tempo da vendere, tempo da usare, Angeli 1986; Bugie, silenzi, grida. La disinformazione ecologica in un' annata di cinque quotidiani (con Enzo Tiezzi), Garzanti 1989; Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta, Isedi 1992. Questo intervento e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre] Tutti scoprono ora il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio stato. Da Bin Laden, che pare non se ne sia mai preoccupato prima, a Bush, a Blair, a Berlusconi. E tutti sembrano convinti che questa sia la strada per porre fine al terrorismo. Ma davvero questa puo' essere la soluzione? Indubbiamente il conflitto Palestina-Israele e' il punto piu' rovente del convulso panorama islamico, e ne e' anche in qualche modo l'emblema. Non a caso e' stata proprio la guerra dei sei giorni, con la sconfitta di Nasser e del panarabismo, a creare i presupposti per la radicalizzazione dei fondamentalismi islamici e per la loro deformazione nella metastasi terroristica. Ma di fronte al moltiplicarsi di manifestazioni antiamericane, con milioni di giovani inneggianti a Bin Laden in Pakistan, Iraq, Egitto, Bangladesh, Filippine, India, Malesia, Indonesia, Sudan, appare evidente che se dare uno stato ai palestinesi e' un improrogabile dovere del mondo, difficilmente puo' portare alla fine di un terrorismo endemicamente diffuso in tutta la "nazione musulmana". Quanto si preoccupa della Palestina un dimostrante di Manila o Giacarta? In realta' i problemi sono molti e diversi, ancorche' tutti segnati da un comune sentire antiamericano. Le ragioni dell'odio, non soltanto dei musulmani, contro l'America sono state oggetto di ampia analisi dopo il massacro delle torri gemelle, provocando qualche inatteso "mea culpa". Giornali di indubbia fede "occidentale", come il Los Angeles Times, il Corriere della Sera, The Nation, il Sole-24 Ore, le hanno con piu' o meno evidenza indicate, quasi con le stesse parole usate da Bin Laden, nella politica estera degli Stati Uniti, oltre che nelle antiche pulsioni antioccidentali seminate dal colonialismo. E hanno elencato il Vietnam, la Guerra del Golfo, gli embarghi all'Iraq e a Cuba, le circa 800 installazioni militari in tutto il mondo, il sostegno a governi corrotti e tirannici, le tresche in difesa dei propri interessi economici con gli stessi fondamentalismi ora criminalizzati e perfino con il "genio del male" Bin Laden. Anche personaggi insospettabili (Mario Monti per fare un esempio) si sono indotti a riflettere sulle crescenti disuguaglianze tra i viventi, e addirittura a esprimere dubbi sulla bonta' della globalizzazione e sul "culto acritico del mercato". Mentre l'Economist arrivava a domandarsi come un qualsiasi no global: chi ha eletto il Wto? Resta tuttavia una domanda alla quale sfruttamenti, iniquita', fame, mostruose miserie, non bastano a dare risposta. Perche' la rivolta contro questa realta' e i suoi responsabili si esprime come fanatismo religioso, dogmatismo coranico, rigorismo puritano, il piu' cupo patriarcato tribale, l'intolleranza culturale ed etnica, il richiamo alla guerra santa? Perche' insomma nascono i fondamentalismi islamici, culla del terrorismo, che all'Occidente della democrazia e dei diritti dell'uomo offrono facile gioco non solo per una critica motivata ma anche per la piu' becera denigrazione tipo Berlusconi e Fallaci? Forse la ragione del fenomeno va cercata nella storia dei movimenti islamisti, di cui Massimo Campanini ha recentemente proposto una sintesi. Dalla quale emerge come - certo in forme molto diverse in rapporto alle diverse situazioni locali - sia il rifiuto della modernita' occidentale la costante che determina o accompagna il sorgere dei fondamentalismi; cioe' il rifiuto di una dimensione ideologica e esistenziale che non solo rappresenta una rottura con il messaggio etico dell'Islam, ma che, a differenza di quel che accade nel mondo industrializzato, nei paesi musulmani si pone in stridente contrasto con le condizioni socioeconomiche. Insomma il processo di secolarizzazione che in Occidente va di pari passo con l'evoluzione culturale e sociale, e ne e' in qualche modo il prodotto, in Oriente giunge viceversa come un'ideologia importata, che si sovrappone a una realta' antropologica del tutto difforme, mettendone a rischio l'identita'. Il ritorno al passato, per popoli che sono stati protagonisti di un'altissima civilta' come quella islamica, si propone come naturale difesa dall'aggressivita' della cultura straniera, per il ritrovamento e la riaffermazione di una identita' propria. Ma, come quasi sempre accade, ritorno al passato non significa valorizzazione dei suoi contenuti piu' alti, ma ripresa di moduli e istanze non importa se buoni o cattivi purche' altri dal modello che si rifiuta, finendo spesso per selezionarne e idealizzarne il peggio. Si produce cosi' in vaste regioni dell'Islam un drastico separatismo culturale (la rivoluzione komeinista e' l'esempio piu' tipico) che comporta da un lato l'esecrazione senza appello dell'Occidente - e dunque il rifiuto anche di tutto il positivo che Occidente significa -, dall'altro la rimessa in opera della piu' bigotta tradizione coranica, che non solo recupera antiche norme senza confrontarle con la realta' contemporanea, ma le radicalizza, le estremizza e le immiserisce nella tetra schematicita' di un'operazione strumentale. Ne e' manifestazione vistosa e drammatica il ritorno a una terrificante misoginia, tanto piu' feroce quanto piu' ritenuta a rischio di contaminazione con le liberta' occidentali, della quale l'Afghanistan dei Talebani e' la realizzazione piu' perfetta (e anche di questo abominio tutti sembrano accorgersi solo adesso, di fronte a un Afghanistan colpevole di ospitare il "nemico"). Fatti come questi, sia nell'assurdita' di costumi e riti ripescati dal medioevo, sia nella ferocia vendicativa del gesto terroristico, parlano di identita' smarrite che solo nell'affidamento al dogma religioso, o magari nel suicidio cercato insieme all'omicidio di massa, vedono il modo di dare signifcato a vite altrimenti inutili. Fatti che in realta', se si prescinde per un momento dalla terribilita' del parossismo terroristico, parlano di cio' che accade nell'intero Sud del pianeta. In qualche modo il mondo islamico funge da rivelatore dell'aspetto forse piu' distruttivo della globalizzazione, cioe' dell'imposizione del modello occidentale, non solo con la sua struttura socioeconomica, e con lo sfruttamento del lavoro e della natura che ne e' condizione, ma con la sua cultura, le sue regole, il suo stesso impianto concettuale ed etico. Con la cancellazione dei modi di produzione tradizionali, l'introduzione forzosa dei propri consumi simbolo dalla Coca Cola ai jeans agli hamburger, lo stravolgimento di ogni realta' sociale incontrata, il suo assoggettamento al mercato, la sua conversione al dozzinale ottimismo consumistico delle promesse pubblicitarie. E' vero, accanto a esistenze che si sentono invase colonizzate sopraffatte, che fuggono nel passato o nella morte, incapaci di omologarsi ai modi vita occidentali, c'e' una quota tutt'altro che trascurabile di persone che a questi modi non si sottraggono si arrendono al potere di seduzione della ricchezza sapientemente coltivato dall'impero massmediatico, e obbedienti si impegnano nella tecnologia, nel mercato, nella finanza, si buttano nella corsa a perdifiato per la conquista del successo, nella sfida della competitivita' giocata allo spasimo in assenza di ogni regola, senza limiti ne' rimorsi. E alcuni ce la fanno. Alcuni. Ma proprio di fronte alle sfacciate fortune di questi pochi, che si associano agli emissari dell' Occidente nello sfruttamento di tutti gli altri e delle risorse spesso ingentissime della loro terra, cresce la frustrazione e si innesca la peggiore forma di rivolta, l'invidia del padrone. "Colpendo i simboli della ricchezza economica e dell'apparato tecnico-militare, i terroristi hanno messo in evidenza quali sono i veri fondamenti dei nostri valori" scriveva su Repubblica Umberto Galimberti in uno dei piu' acuti commenti ai fatti dell'11 settembre. E sottolineando come di questo si tratti, non di una guerra di religione o di civilta', continuava: "Le pratiche economiche che consentono a noi liberta' e democrazia sono le stesse che altrove generano se non fame malattia e morte, certo schiavitu' e ribellione". All'insistita domanda degli americani "Perche' ci odiano tanto?", qualcuno proprio dall'America ha risposto: "Perche' non abbiamo alcuna idea delle ragioni del loro odio". Forse e' cosi'. Forse in questa incapacita' di cognizione del dolore altrui, nella "naturale" convinzione della propria superiorita', nell'"ovvia" pretesa di prescrivere a tutti la sua visione del mondo come un manufatto obbediente alle "leggi" del mercato, sta la colpa peggiore dell'Occidente. 5. RIFLESSIONE. ENZO BIANCHI: LE APOCALISSI DELL' 11 SETTEMBRE [Enzo Bianchi e' priore e animatore dell'esperienza della comunita' di Bose. Questa meditazione abbiamo ripreso dal sito del Movimento Nonviolento, www.nonviolenti.org] Quello che e' avvenuto l'11 settembre scorso si mostra sempre di piu' come una "apocalisse" nel senso etimologico e cristiano del termine: un "alzare il velo", una rivelazione di cio' che e' l'uomo, di quello che l'uomo vuole e, percio', opera. Se e' vero, come dice l'antica sapienza di Israele, che "l'uomo nel benessere non capisce", e' anche vero che nelle crisi c'e' l'occasione propizia al pensare, all'interrogarsi e, quindi, favorevole al confronto con l'altro. Tuttavia si ha l'impressione che oggi sia diventato talmente difficile e faticoso pensare che si preferisce ricorrere a semplificazioni, schierarsi senza aver percorso un autentico cammino di conoscenza e di discernimento, si preferisce cioe' non ascoltare l'altro ma rinsaldare la propria posizione e difenderla a ogni costo. Una delle "rivelazioni" di cui occorre prendere atto riguarda i cristiani o, meglio, i cattolici. Di fronte agli eventi dell'11 settembre hanno reagito e continuano a reagire in modo diverso, perfino contrapposto e, oserei dire, confuso. Non era stato cosi', su queste tematiche, negli ultimi decenni, dopo il magistero sulla pace di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II; oggi invece le voci si contrappongono e gli esponenti dell'uno e dell'altro orientamento affermano di riferirsi al vangelo, allo stesso vangelo. La confusione e' tale che puo' essere letta come un invito a concludere che sui temi piu' profondi ed essenziali della vita anche il vangelo risulta impotente ed inefficace e che ciascuno puo' invocarlo a sostegno della propria posizione. Disagio dunque di molti cristiani, ma anche polemica offensiva e a volte calunniosa da parte di chi non vuole capire che esistono "ragioni cristiane". Una prima tematica conflittuale e' certamente quella che riguarda il rapporto tra cristiani e occidente. Il cristianesimo e' nato in occidente sul ceppo mediterraneo dell'ebraismo e in occidente si e' sviluppato: i popoli dell'occidente portano ancora oggi nella loro cultura e nella loro tradizione le tracce di questo dinamismo originale. Non solo, ma per molte nazioni occidentali c'e' stata un'identificazione tra religione e nazione per cui, ad esempio, la Francia era chiamata "la primogenita della Chiesa", la Spagna vantava il titolo di "Cattolica", fino al caso di alcuni paesi, come la Polonia, in cui l'identita' nazionale e' stata conservata anche grazie alla religione durante gli anni della cattivita' comunista. Tuttavia e' stato osservato che l'occidente per il cristianesimo e' un "accidente" (in senso tomista), cioe' e' stato un luogo di incarnazione ma, essendo il vangelo destinato a ogni uomo di ogni cultura, non si puo' operare un'identificazione tra occidente e cristianesimo. Sarebbe un tradimento della volonta' di Gesu' Cristo e del dinamismo millenario insito nel suo annuncio di salvezza. Di conseguenza, i cristiani che vivono in occidente dovrebbero imparare a discernere le differenze tra messaggio evangelico e cultura che l'ha trasmesso venendone in parte plasmata, dovrebbero vigilare affinche' non avvenga questa identificazione. Non mi pare quindi che si possano bollare simili posizioni come "antioccidentali" ne', tantomeno, come "antiamericane". Ne' si scambi per opposizione agli Stati Uniti, una critica squisitamente cristiana ed evangelica all'attuale modo di vita dominante nell'occidente, a una prosperita' che in quella nazione, prima iperpotenza globale, ha la sua epifania piu' evidente. Affermare, come e' stato fatto da parte occidentale, che l'eccidio di New York e' stato "un'aggressione contro il nostro stile di vita, dovuta al fatto che si detesta la nostra prosperita'" significa proprio identificare il sistema socioeconomico con la popolazione dell'occidente. Ignacio Ramonet su "Le Monde diplomatique" osserva che molti nel mondo pensano che "l'America se lo sia meritato": amara e detestabile constatazione che pero' trova terreno fertile nei sentimenti di quei milioni di persone che pensano alla loro miseria disperata come a una condizione cui non e' estraneo il mondo ricco che, tramite i mass media, entra nelle case dei miseri. Per citare solo una delle recenti, autorevoli prese di posizione, non sospettabili di antioccidentalismo, vorrei ricordare cosa ha scritto il cardinal Ratzinger: "Regna ormai un'ideologia in cui gli uomini abituati alla ricchezza e al benessere non fanno piu' sacrifici per raggiungere un benessere universale, ma promuovono strategie per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell'umanita', affinche' non venga intaccata la pretesa felicita' che i pochi hanno raggiunto". Dove e' incarnata e vissuta questa ideologia? Forse in Etiopia o in Cambogia? La Fao ha dichiarato nei giorni scorsi che ogni giorno nel mondo muoiono di fame 24 mila persone (il che significa quasi 9 milioni in quest'anno di attesa supplementare): questo dramma e' imputabile solo alla loro arretratezza, alla loro situazione storica, alla loro incapacita' cronica a competere con l'occidente? Oppure, come qualcuno ha pensato di fare, bisogna additare nel papa il principale responsabile: "il maggiore colpevole della poverta' e' chi ostacola la contraccezione... nel corso del lungo papato di Wojtyla le bocche da sfamare sono diventate un miliardo in piu'"? » certo che non sono gli Stati Uniti l'origine e la causa di tutti i mali dei poveri, ma e' altrettanto certo che essi, come tutte le nazioni ricche del pianeta, non sono innocenti. Si', e' davvero sbrigativo e fuorviante etichettare come "antiamericanismo" ogni critica al nostro sistema: oggi la cultura e la forma di societa' degli Stati Uniti e' anche la nostra, non e' dunque possibile per noi nutrire sentimenti antiamericani, ma e' possibile restare critici verso il sistema in cui viviamo e del quale ognuno di noi, in forma diversa, e' responsabile. Un'altra "apocalisse", un altro svelamento provocato dalla tragedia dell'11 settembre riguarda l'atteggiamento dei cristiani verso la guerra: e' impressionante notare come da un lato si affermi di rispettare la voce del Papa, la si definisca voce "profetica" (leggi "fuori della storia") che e' opportuno che risuoni come monito (leggi "fervorino"), come affermazione di una "speranza" (leggi "utopia") ma, d'altro canto, un sano realismo impedisce che le si dia ascolto e le si presti obbedienza! Prevalgano dure esigenze concrete di lotta per sconfiggere il terrorismo, dunque il papa continui pure a fare il profeta, ma i cattolici dicano un chiaro si' alle armi cui si affidano i valori piu' nobili: tolleranza, pace, diritti umani... Ma il papa non si era chiesto quale mai puo' essere quella verita' (quel valore) che si serve della violenza per affermarsi? Cosa dedurne? Che la chiesa cattolica parla a piu' voci? Che al suo interno sono presenti fiancheggiatori di Bin Laden? O che ha perso ogni possibilita' di credere nella pace come strumento e prassi di riconciliazione e lascia all'audace ostinazione del papa il solitario compito della voce utopica? Ancora una volta mi pare di poter constatare amaramente che il cristianesimo ha si' dei "nemici", ma essi sono sempre e soltanto al suo interno: sono quelli che vorrebbero declinarlo come "religione civile", identificandolo con l'occidente e chiedendogli di dare fondamento etico (un tempo si sarebbe detto "benedizione") a un potere che non vuole interrogarsi sulle diverse possibilita' di fermare il terrorismo e sulle conseguenze di un intervento armato per le popolazioni civili e nel futuro del mondo. Classificare con disprezzo i cristiani come pacifisti, antioccidentali, succubi di un buonismo melenso e' facile, e oggi appare strategia pagante, ma non e' operazione seria e capace di favorire l'ascolto e di contribuire a un dipanamento della crisi. Certo che chi e' vigilante, non tace di fronte ai massacri dei ceceni (neppure se opportunisticamente legittimati come lotta al terrorismo), ricorda tutti i genocidi commessi e condanna qualsiasi forma di terrorismo: quello dell'Irlanda del Nord, dei Paesi Baschi e della Corsica, divenuto endemico e tristemente "familiare" agli europei, come quello tragicamente cronico in Israele o quello di Bin Laden, assurto a evento mediatico. Si', oggi, ancora una volta, i tempi non sono favorevoli ne' per i poveri, ne' per le vittime della guerra, ne' per quelli che credono nella pace. 6. INCONTRI. SABATO 17 NOVEMBRE SI RIUNISCE IL GRUPPO DI LAVORO SULLA NONVIOLENZA DELLA RETE DI LILLIPUT [Riceviamo e diffondiamo. Ringraziamo Pasquale Pugliese, imprescindibile punto di riferimento per questa iniziativa; per contatti: puglipas at interfree.it] Carissimi, sia il Tavolo Intercampagne sia le assemblee macroregionali dei nodi della Rete Lilliput hanno espresso l'esigenza di promuovere un Gruppo di Lavoro Tematico (GLT) sui temi della pace e della nonviolenza. Ricordiamo che i GLT sono uno degli strumenti che il Tavolo e la Rete si sono dati per occuparsi di temi specifici e, all'interno del percorso di riorganizzazione della Rete stessa, e' indicazione condivisa quella di fare dei GLT (con la loro autonomia gestionale, decisionale e di rappresentanza) uno dei capisaldi della nuova "struttura". Al momento sono attivi i GLT "Impronta ecologica e sociale" e quello "Dignita' del lavoro", mentre e' in preparazione quello sulla formazione. La Rete Lilliput, fin dal suo manifesto, ha dichiarato la sua opzione nonviolenta, ma il dibattito interno ed esterno su questo tema ha continuato a svilupparsi, a partire dalla prima assemblea della Rete, nell'ottobre 2000, per poi attraversare il pre- e post-Genova, l'11 settembre e l'attuale stato di guerra. Oggi ci troviamo a confrontarci con un panorama in cui da una parte l'asserita incapacita' della nonviolenza di proporre soluzioni concrete per contrastare il terrorismo e' stata utilizzata come giustificazione dell'inevitabilita' della guerra, mentre dall'altra parte - e in maniera speculare - l'asserita incapacita' della nonviolenza di proporre soluzioni concrete per fermare la guerra serve a coprire una strategia anti-guerra tutta puntata ad accrescere il conflitto sociale. Noi crediamo fermamente che la nonviolenza sia strumento indispensabile per disinnescare la spirale di violenza nel mondo, ma crediamo anche che questo sia possibile solo se la nonviolenza e' in grado di confrontarsi creativamente con tutte le violenze, non solo quella del terrorismo e della guerra, ma anche quella insita nell'attuale sistema economico. Crediamo che il movimento nonviolento, in Italia e nel mondo, abbia un notevole patrimonio di analisi e di pratiche e al tempo stesso che sia ancora molto il lavoro da fare, per far crescere una cultura popolare della nonviolenza. Per questo, per conto del Tavolo e in base alle intenzioni espresse dalla Rete, Beati i costruttori di pace e Pax Christi si sono offerti di attivare quanto prima un Gruppo di Lavoro che vada al di la' dell'esigenza di dare risposte immediate sull'attuale conflitto in Afghanistan ma che, proprio partendo dall'attuale crisi e senza rinunciare a confrontarsi con essa, si dia strategie e obiettivi piu' generali, puntando a farlo diventare un riferimento per tutti i lillipuziani, e speriamo anche per altri, sui temi della guerra, pace e nonviolenza. Cosi' come gli altri GLT della Rete, pensiamo che anche questo debba sapere coniugare l'analisi e l'approfondimento, con la sperimentazione pratica, attraverso l'individuazione di iniziative, campagne o azioni dirette. Ben consci di non avere alcun monopolio sul tema, vorremmo che questo gruppo di lavoro fosse aperto, oltre che alle campagne ed associazioni promotrici del Tavolo e ai nodi e gruppi della Rete, anche alle altre realta' nonviolente italiane, rafforzando cosi' i contatti e le collaborazioni tra queste realta' e la Rete Lilliput, nell'ottica di apertura e di confronto che ha sempre caratterizzato la rete stessa. E' nostra intenzione convocare un primo incontro di questo GLT per il prossimo 17 novembre per uno scambio di opinioni e per cominciare a definire alcune modalita' organizzative e stabilire insieme i primi obiettivi del GLT. Vi invitiamo percio' a comunicare alla segreteria della Rete (segreteria at retelilliput.org) entro domenica 11 novembre la vostra disponibilita' a partecipare a tale incontro, nonche' vostri eventuali suggerimenti e proposte sul tema, in modo da permetterci - sulla base delle adesioni raccolte - di definire la sede dell'incontro piu' appropriata e l'ordine del giorno della riunione stessa. Per il Tavolo Intercampagne: Pax Christi e Beati i costruttori di pace 7. INCONTRI. LA FINANZA ETICA A BOLOGNA IL 24 NOVEMBRE [Riceviamo e diffondiamo] A Bologna, sabato 24 novembre, al teatro Arena del Sole di via Indipendenza 44 si terra' la prima giornata nazionale della finanza etica e solidale "Scopri il denaro che sostiene l'alternativa". Vieni a chiedere quello che piu' ti interessa ai protagonisti della finanza etica italiana, viene a scoprire le realta' che l'hanno resa famosa in Europa, vieni a partecipare al dibattito tra questa e la finanza socialmente responsabile. Formula le tue domande scrivendo a info at finanza-etica.org oppure visita il sito dell'Associazione Finanza Etica e poi vieni a Bologna, perche' la liberta' e' partecipazione. Programma: Ore 9 accoglienza e registrazioni. Ore 9,45 introduzione ai lavori: Vasco Errani (Presidente Regione Emilia Romagna), Marco Ghiberti (Presidente Afe), benvenuto scritto di Romano Prodi. Ore 10,15 saluti: Antonio Sambo (Coordinatore Civitas), Edo Patriarca (Portavoce Forum terzo settore), Fabio Roversi Monaco (Presidente Aiccon), Vittorio Prodi (Presidente Provincia di Bologna). Ore 10,30 "L'altra economia e la finanza etica": dibattito coordinato da Gianni Caligaris con interventi di Vera Zamagni (Universita' di Bologna) e Fabio Salviato (Banca popolare Etica). Ore 11,30 intervengono: Alessandro Azzi (Banche di Credito Cooperativo), Sandro Antoniazzi (Fondazione S. Carlo), Stefano Zapponini (Cosis), Tonino Perna (Cric). Ore 14,40 "Educare ad una finanza alternativa: esperienze e prospettive": dibattito coordinato da Francesco Terreri con interventi di Lapo Pistelli (Camera dei Deputati) e Mario Cavani ( Coop. Oltremare). Ore 15,30 intervengono: don Vinicio Albanesi (Cnca), Lorenzo Vinci (Mag4), Daniela Guerra (Consigliere Regionale), Paolo Crepet (Universita' di Siena), Roberto Vecchioni (musicista ed insegnante), Sabina Siniscalchi (Manitese). Ore 17,30 conclusioni di Beppe Grillo. L'evento sara' seguito in cronaca web da Unimondo (www.unimondo.org) ed Eticare (www.eticare.it). Saranno presenti stand espositivi dei soci Afe e di altre organizzazioni del mondo economico e culturale di riferimento, funzionera' un servizio di ristoro equo e solidale gestito dalla bottega ExAequo. Se vuoi partecipare, se credi di poter essere presente con uno stand e vorresti maggiori informazioni scrivi ad info at finanza-etica.org Se vuoi sapere dov'e' il teatro visita www.arenadelsole.it oppure chiama lo 0512910911. Associazione Finanza Etica per la promozione socio culturale del risparmio solidale, per contributi e sovvenzioni ccp 24032245, cc bancario 103347 di Banca popolare Etica, Padova ABI 5018 CAB 12100. 8. ALCUNE INIZIATIVE DI PACE NEL VITERBESE * Lunedi 5 novembre a Viterbo, presso il circolo ARCI "Il mulino", alle ore 21,30 consueta riunione settimanale di alcuni pacifisti per programmare nuove iniziative in citta'. * Mercoledi 7 novembre a Orte (VT), presso il liceo scientifico, alle ore 14, quinta lezione del corso di educazione alla pace promosso, come gia' negli scorsi anni scolastici, dall'istituto ortano. Il corso e' coordinato dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Per gli studenti la partecipazione vale anche ai fini dell'acquisizione del credito formativo. L'iniziativa e' aperta a tutti. * Venerdi 9 novembre ad Acquapendente (VT), presso la biblioteca comunale, dalle ore 14,30 alle ore 17,00, quinto incontro del corso di educazione alla pace promosso dal Comune e coordinato dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Per gli studenti delle scuole che hanno aderito la partecipazione vale anche ai fini dell'acquisizione del credito formativo. L'iniziativa e' aperta a tutti. * Sono previsti in settimana a Viterbo anche altri incontri informativi e formativi sulla nonviolenza curati dal "Centro di ricerca per la pace", come quelli gia' svoltisi nei giorni scorsi (sia in sede che in luoghi pubblici che presso istituzioni ed associazioni) con piccoli e fin piccolissimi gruppi di persone interessate. 9. MATERIALI. PROGETTO PER COSTITUIRE UN CENTRO DI DOCUMENTAZIONE E DI INTERVENTO PACIFISTA [Il testo seguente abbiamo estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra", pubblicato nel 2000, in cui abbiamo raccolto alcuni interventi stesi e diffusi nel 1999. Lo riproponiamo pur essendoci naturalmente del tutto evidenti la frettolosita' e la semplificazione con cui e' stato steso. Il testo integrale de "La nonviolenza contro la guerra" e' disponibile in rete all'indirizzo www.peacelink.it/users/crp/nonviolenza] Progetto per costituire un centro di documentazione e di intervento pacifista, in cinque semplici punti, per donne e uomini di volontà buona, di spirito critico e di tenace concetto. 1. Strumenti necessari - carta e penne per scrivere; - un tavolo e delle sedie; - un personal computer o almeno una macchina da scrivere; - un elenco telefonico; - se possibile telefono, fax, internet; - un dizionario della lingua italiana e se possibile alcuni dizionari bilingue italiano-principali lingue (almeno le più diffuse); - Agenda del giornalista (utile come indirizzario di mass-media e giornalisti); - Codice penale, di procedura penale, civile, di procedura civile (servono sempre); - rapporti annuali sui diritti umani di Amnesty International; - un annuario giornalistico di informazione generale, come ad esempio Il libro dei fatti, edito dall'Adn-kronos; - se possibile un registratore, per poter registrare dibattiti e conferenze, realizzare interviste, etc.; - se possibile una radio per poter avere informazioni dai notiziari radiofonici; - se possibile una fotocopiatrice (da usare con sobrietà). 2. Alcuni libri particolarmente utili - Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino (due volumi); - Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano; - Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano; - Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino (tre volumi); - Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino; - Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino; - Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria; - Charles Walker, Manuale per l'azione diretta nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia; -Francesco Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli, Milano; - la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; - la Costituzione della Repubblica Italiana; - Worldwatch Institute, State of the world, fondamentale rapporto annuale; ed anche il più agile Vital Signs; - una enciclopedia; - Centro di ricerca per la pace, Uomini di pace, fotostilato in proprio, Viterbo (non è un vero e proprio libro, ma una semplice serie di schede biobibliografiche su donne e uomini del Novecento che hanno contribuito alla cultura della pace; è utile per un primo orientamento; è disponibile gratuitamente); - Centro di ricerca per la pace, Progetto per un corso di formazione sui diritti umani, la legalità, la solidarietà, la pace e la nonviolenza, il servizio sociale e la specifica attività da svolgere nel corso del servizio civile, Viterbo (è un progetto di corso di formazione per obiettori di coscienza in servizio civile, ma può essere utilizzato da chiunque per organizzare attività formative sui temi indicati; è disponibile gratuitamente); - Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, Tea, Milano; - Franco Demarchi, Aldo Ellena (a cura di), Dizionario di sociologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo; - Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, Tea, Milano. 3. Alcune riviste indispensabili - "Avvenimenti", settimanale [nel frattempo ha cessato le pubblicazioni]; - "Le monde diplomatique", mensile; - "Azione nonviolenta", mensile; - "Nigrizia", mensile. 4. Alcune cose da fare - periodica programmazione dell'attività da svolgere e rendiconti periodici sull'attività svolta ed in corso; - dare primaria importanza alla formazione e soprattutto all'autoformazione: con incontri di studio, di discussione, di training nonviolento; con conferenze invitando relatori significativi; etc.; - tutte le riunioni devono essere convocate con sufficiente anticipo indicando nell'avviso di convocazione il luogo, il giorno, l'orario e l' ordine del giorno; tutte le riunioni devono avere un ordine del giorno che indichi tutti gli argomenti in discussione; tutte le riunioni devono avere delle conclusioni precise ed operative; di tutte le riunioni va steso un verbale sommario, che va conservato e deve essere consultabile; - occorre democrazia e trasparenza nel lavoro di un gruppo pacifista; se non vi è democrazia e trasparenza, è preferibile rinunciare ad impegnarsi per la pace; - non dimenticare mai che la cosa decisiva è sempre la comunicazione, e che per comunicare in modo efficace (cioè libero, rispettoso dell'altro, chiaro e preciso nei contenuti ed istitutivo di relazioni non oppressive) occorre impegno e modestia; - non dimenticare mai che la lotta contro l'ingiustizia, per la pace e i diritti umani, è senza fine: occorre quindi non solo rigore morale e intellettuale, non solo capacità di condivisione e senso di responsabilità, ma anche ironia e pazienza; - noi riteniamo che per impegnarsi coerentemente e concretamente per la pace occorre fare la scelta della nonviolenza, e che per fare questa scelta occorre innanzitutto impegnarsi per conoscere la nonviolenza: smascherando e ripudiando gli stereotipi e le caricature di essa (stereotipi e caricature assai diffusi anche tra coloro che di nonviolenza straparlano senza averne una idea adeguata) ed impegnandosi invece a studiarla seriamente. Come piccolo contributo per avviare una riflessione sulla nonviolenza proponiamo qui ancora una volta la carta programmatica del Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini: "Il movimento nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell' apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunità mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell' ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della libertà di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l' educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". 5. Alcune cose da non fare - non cominciare con i proclami; cominciare invece con la discussione aperta, il lavoro comune, un atteggiamento modesto: per scrivere i documenti programmatici o le dichiarazioni universali ci sarà sempre tempo; - non pretendere di occuparsi di tutto; occorre invece darsi obiettivi chiari, limitati, verificabili; - contrastare la logica dell'assalto alla diligenza dei soldi pubblici: non centrare la propria attività sulla richiesta di sostegno istituzionale e sulla presentazione di progetti agli enti pubblici; puntare invece sulle proprie capacità e risorse: essere autonomi dal punto di vista delle risorse è l'unica garanzia per essere autonomi nella capacità di giudizio e limpidi nei comportamenti; - non voler crescere in quantità di adesioni, ma preoccuparsi soprattutto di approfondire la riflessione e di costruire l'affinità, valorizzando lo stare insieme per costruire la pace a partire dalle relazioni umane, dalla pratica della democrazia, dalla crescita della fiducia, dall'uso delle tecniche della nonviolenza e del metodo del consenso; - non essere settari, anzi proporsi frequenti occasioni di confronto e discussione con persone e gruppi esterni al proprio movimento e su diverse posizioni culturali e politiche; - non gettarsi allo sbaraglio: quando si organizza un'iniziativa pubblica essa deve essere preparata in tutti i dettagli, tutti devono avere una informazione precisa, base indispensabile per una adesione convinta e consapevole; nessuno dei partecipanti deve essere messo o trovarsi in difficoltà; - non aver paura di non avere una risposta per tutto, è invece assai utile un atteggiamento di ascolto e accoglienza di opinioni diverse, e di discussione costante; spesso le persone vengono allontanate dall'impegno proprio dalla sicumera e dal dogmatismo di chi pensa di avere già le soluzioni di problemi sovente complessi; è molto più utile porre correttamente i problemi in tutta la loro complessità e secondo i diversi punti di vista e discuterne apertamente, piuttosto che dare risposte preconfezionate. Viterbo, 17/6/1999 10. RILETTURE. HENRY CORBIN: STORIA DELLA FILOSOFIA ISLAMICA Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1973, 1989, 1991, pp. 420, lire 20.000. Un'opera che vivamente raccomandiamo per uscire dalle angustie dell'ignoranza. 11. RILETTURE. PIERRE-JOSEPH PROUDHON: CHE COS'E' LA PROPRIETA'? Pierre-Joseph Proudhon, Che cos'e' la proprieta'?, Laterza, Bari 1967, 1974, pp. 348. Il capolavoro del 1840 del grande pensatore e militante socialista libertario. Chi non lo avesse mai letto, fara' una sorprendente scoperta. 12. RILETTURE. PAUL TILLICH: TEOLOGIA SISTEMATICA (VOLUME I) Paul Tillich,Teologia sistematica, volume I, Claudiana, Torino 1996, pp. 368, lire 49.000. Il primo dei quattro volumi dell'opera fondamentale del grande teologo. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 279 del 5 novembre 2001
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