Paolo Barnard, lettera ai pacifisti sul "fallimento" storico



Paolo Barnard, lettera ai pacifisti sul "fallimento" storico
Posted by data on 9/10/2001, 11:42:52

LETTERA A NOI PACIFISTI
di Paolo Barnard, Report, RAI 3
Non scenderò in piazza a manifestare, non parlerò ai dibattiti pubblici, non scriverò lettere ai giornali. Mentre le bombe piovono sull'Afghanistan uccidendo persone, scoperchiando tombe, polverizzando macerie antiche, mentre i profughi più torturati del mondo muoiono di fame e di febbre se non di mine o di bombe cluster, mentre infine la follia terroristica di Bin Laden è splendidamente fecondata dalla follia terroristica dei nostri eletti rappresentanti, io me ne starò a casa in silenzio. Ed è la cosa più giusta da fare. Il mio percorso di rifiuto della guerra è passato attraverso incontri forti: Africa, 1994, mi trovo a scrivere una corrispondenza, ho il computer portatile appoggiato al cofano di una jeep mentre coi piedi tento di non calpestare le migliaia di brandelli di carne umana che mi circondano; a pochi metri da me un militare solleva un polmone ancora aggrappato ai resti di una clavicola. Copenaghen, 1996, Nestor mi dice che lui "sa" cos'é la paura, l'ha incontrata durante 22 mesi di torture nelle carceri dell'Uruguay, e precisamente il giorno in cui gli squadroni della morte gli staccarono gli elettrodi dai piedi per attaccarli a quelli di suo figlio, di quattro anni. Washington, 1999, parlo con un veterano del Vietnam che da 25 anni vive nel giardino di casa sua dentro una gabbia di bambù; è identica a quella in cui fu rinchiuso dai Vietcong, ma la sua protesta è contro il governo del suo Paese, che dal '74 gli rifiuta un'udienza. E proprio col Vietnam in mente, domenica 7 ottobre sul treno che mi portava a Roma e che rumoreggiava di chiacchiere sull'avvio delle ostilità, ho sentito il nostro fallimento. Abbiamo fallito, in trent'anni di pacifismo non abbiamo fermato una singola guerra, non abbiamo scoraggiato una singola invasione, non abbiamo bloccato una singola covert-operation, o guerra sporca. Ma peggio: non abbiamo convinto adeguatamente neppure una buona minoranza della cosiddetta società civile. E ancora peggio: non abbiamo impedito che i nostri Ipermercati vendessero e continuino a vendere, per esempio, i frigoriferi della Westinghouse, che portano lo stesso marchio delle armi più devastanti mai prodotte dal genere umano. Vi invito a leggere oltre. Mi si dirà: la lotta pacifista ha tempi storici, e in quanto "fede" non può essere vincolata ad alcun rendiconto. Io credo che per ragionare in questo modo ci si debba innanzi tutto trovare all'estrenità innocua dei fucili e dei cannoni, perché chi si trova all'altra estremità, semplicemente muore. E allora saremmo, a dir poco, scandalosi se ci rifiutassimo di chiederci: ma che cosa abbiamo ottenuto in 30 anni di marce, di cortei, di seminari, di assemblee, di volantinaggi? E soprattutto perché scendiamo ancora in piazza? Non sarà forse che lo facciamo per spegnere la NOSTRA rabbia, per debellare la NOSTRA frustrazione, per allontanare il NOSTRO rimorso? E non sarà per caso che una volta placati rimorsi, rabbie e fustrazioni ci permettiamo di evitare proprio la sconsolante rendicontazione sul vuoto dei nostri risultati? Perché ripetiamo oggi, identiche fin negli striscioni, modalità di impegno che sono vecchie di trent'anni? Esiste ancora in tutto l'occidente un dentista col trapano a corda e puleggia? Noi che vorremmo fermare le stragi planetarie siamo esenti da aggiornamento?
Rispondetemi: perché siamo fermi al Vietnam?
Bush decide la guerra? Si fa la guerra. E chi lo ferma? (RABBIA). Dobbiamo per forza credere di essere "Le Nazioni Giuste" quanto invece abbiamo toccato le vette dell'ignominia terroristica per 600 anni di storia coloniale? Sì, la nostra opinione pubblica lo vuole credere. (PROSTRAZIONE).
La Ferrari mette a nero il musetto dei suoi bolidi per i nostri morti,
mentre tutto l'anno veste lo stemma della Shell sporco del sangue del
martire nigeriano Ken Saro-Wiva e di migliaia di Ogoni? Sì, e nessuno
obietta. (DOLORE). E dunque noi, i pacifisti, incapaci di reggere quella
rabbia, quella prostrazione e quel dolore corriamo in strada a lenirli nei cortei, nelle assemblee, nei sit-in, sperperando così un'energia preziosa. Ci liberiamo, e siamo a posto fino alla prossima volta. Fa la medesima cosa il turista occidentale che si confronta col bambino storpio che chiede l'elemosina a Calcutta; gli dà un dollaro e la stretta al suo stomaco si allenta. No! Chiudi il portafogli e portati a casa, nel tuo salotto, quel magone insostenibile, e usalo come fiamma che ti spinge e ti costringe ad agire nel profondo del sistema. Allo stesso modo amici pacifisti, questa volta mentre gli Afghani muoiono dilaniati, stiamo a casa e usiamo l'insopportabile strazio del nostro cuore per costringerci PENSARE a nuovi modi per veramente fermare le bombe.
Le luci delle candele della pace e i colori degli striscioni ci illuminano
di bellezza, ma fra le macerie di Kabul, nelle segrete dei torturatori, e
soprattutto nelle executive suites della Westinghouse, sono tragicamente invisibili. Peggio: sono insignificanti.
Paolo Barnard