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Perugia-Assisi. Sinistra antiglobal e volontariato assieme: un puro caso?
- Subject: Perugia-Assisi. Sinistra antiglobal e volontariato assieme: un puro caso?
- From: Piero Pagliani <p.pagliani at agora.stm.it>
- Date: Mon, 22 Oct 2001 19:32:24 +0200
Perugia-Assisi. Sinistra antiglobal e volontariato assieme: un puro caso? Dopo Genova, la sinistra antiglobal e il volontariato si sono ritrovati massicciamente insieme alla Marcia della Pace. Vale la pena rifletterci sopra. A) Il crollo delle Twin Tower e la guerra in Afganistan ci hanno fatto capire che essere di sinistra e' piu' scomodo di quanto credessimo. Il mondo era un disastro. Noi ce ne preoccupavamo. In pochi se ne occupavano. Ora dobbiamo occuparcene tutti e dobbiamo imparare da quei pochi. Diciamocelo pure. Tutti noi che protestavamo contro il capitalismo, tutti noi che almeno dalla guerra del Viet-nam abbiamo incominciato ad essere preoccupati dalla politica di potenza americana, tutti noi che pensavamo da tempo che ormai il mondo era diventato un vulcano che aspettava un'occasione per esplodere, ebbene tutti noi, per un comprensibile, ma colpevole, senso di paura speravamo che il redde rationem sarebbe avvenuto piu' tardi, molto piu' tardi. O magari un poco alla volta, in modo da poter cercare di cambiare gradualmente, molto gradualmente, molto comodamente, il corso della storia, o se non proprio il corso almeno il rivolo che ci stava piu' vicino. Abbiamo pensato che, tutto sommato, dopo la sconfitta in Viet-nam l'America si sarebbe adeguata al bipolarismo geopolitico. E cosi' noi ci siamo subito adeguati a un bipolarismo dell'anima: la giustizia e la pace come "sentimenti" da una parte, dall'altra il sistema occidentale per tutto cio' che sentimento non e'. Insomma, avevamo calcolato che alla fin fine si poteva stare comodamente con Dio e con Mammona. Che e' il modo migliore per disarmare le coscienze. E, fu cosi' che incominciammo a non capire, a fingere di non capire, quel che stava succedendo. Ad esempio non capimmo niente del conflitto in Afganistan. Percepimmo piu' o meno vagamente che i sovietici erano invasori (e feroci) e, con la stessa vaghezza, concordammo con la propaganda occidentale che i mujaheddin islamici, a libro paga del Segretario di Stato statunitense, erano i liberatori. A dire il vero delle faccende afgane ci interessava poco o niente, ma ci faceva comodo pensare che quei "cattivoni" degli Americani, ogni tanto qualcosa di positivo lo facevano, anche se per qualche ovvio interesse. Come ad esempio sostenere dei poveri montanari nella loro impari lotta contro gli elicotteri blindati sovietici. Ci voleva molto a capire che tra quelle montagne si giocava una sanguinosa partita dove l'unica cosa d'impiccio, sia per una parte in conflitto che per l'altra, era il popolo afgano e dove diecimila afgani non valevano nemmeno un chilometro delle future pipeline? No, bastava poco. Bastava un minimo di coerenza in piu'. Ma occorrevano due condizioni che non esistevano: avere un cuore meno duro ed essere consapevoli che la giustizia e la pace non sono dei sentimenti con cui baloccarsi, ma un'arma con cui lottare. Ci volle poco piu' di un decennio perche' gli Stati Uniti si riprendessero dalla sconfitta in Viet-nam, si sbarazzassero senza colpo ferire dell'Unione Sovietica e conducessero la prima guerra dell'unipolarismo, la Guerra del Golfo. L'ultima guerra, ci dissero. Quella per imporre definitivamente, per l'appunto, il nuovo ordine unipolare e monoculturale. Rimanemmo spiazzati. Saddam non ci piaceva per niente. Ma quella guerra era evidentemente arbitraria se messa insieme a tutte le altre situazioni d'illegalita' internazionale tollerate nel mondo o incoraggiate. Ci preoccupammo. Poi ci furono la guerra di Croazia, quella in Bosnia, quella in Kossovo. Eravamo sempre piu' preoccupati e sconcertati. L'ultima era addirittura condotta dalla Sinistra. Ci guardammo un po' piu' in giro. Fu dura scoprire che gli unici che erano rimasti "fedeli agli ideali" erano i missionari comboniani, i volontari della Caritas, quelli dell'Esercito della Salvezza, i medici di Emergency, gli operatori di questa o quella ONG. Quei pochi che guardavano le donne e gli uomini prima direttamente e solo in seguito attraverso le proprie categorie politiche, religiose e concettuali. Quei pochi che si mettevano in gioco. Quei pochi che non si preoccupavano, ma se ne occupavano. Abbiamo scoperto con stupore che indipendentemente da come la pensassero erano gli unici "di sinistra". E ora stiamo scoprendo che bisogna stare con loro e imparare da loro se veramente siamo intenzionati a essere "di sinistra". E' una rivoluzione culturale difficile, scomoda, ma inevitabile. Tra i partiti c'e' chi sembra lo abbia capito quasi istituzionalmente e chi individualmente. Purtroppo, come abbiamo visto recentemente, i piu' continuano a ripetere la solita formula fallimentare "Capisco i problemi morali, ma la politica e' un'altra cosa". B) La guerra durera' anni. Oneri e onori di chi ci partecipera'. Il prezzo e' (sempre) giusto. Si', e' vero: la morale e' tutt'altra cosa. Come ha sostenuto l'ex Segretario di Stato, Madeleine Albright, a proposito del mezzo milione di bambini iracheni morti a causa dell'embargo, "the price is worth it". Il prezzo e' giusto. In casa nostra si puo' litigare fino alla zuffa sulle rogatorie internazionali o sul diritto societario, ma se si tratta della guerra mondiale in corso, la parola d'ordine e' una sola: "Stringiamci a coorte". Per patriottismo tricolore? No. Perche' the price is worth it. Il prezzo di cosa? Come gia' durante la Guerra del Golfo e quella del Kossovo, i commentatori e i politici, di destra e di sinistra, ci fanno notare che e' una questione di prendere o lasciare. "Gli Americani", ci dicono testualmente, "alla fine faranno la conta degli alleati affidabili". E dopo la conta? Nessuno la dice cosi', ma dopo la conta, come e' ovvio, c'e' la spartizione del bottino: aree d'influenza, intraprese economiche, sfruttamento di risorse energetiche, costruzione e gestione di pipelines, mercati. Soldi, insomma. Quattrini. Mammona. Che altro ci puo' essere dopo la conta? La guerra durera' anni e anni, In questo gli Americani sono sinceri. Magari quarant'anni come la Guerra Fredda. The price is worth it. E non perche' sia impossibile catturare o eliminare i singoli terroristi, ma perche' non c'e' nessuna volonta' di sconfiggere il terrorismo come fenomeno. E soprattutto perche' l'obiettivo e' un altro ed e' in diretto contrasto con la sua rimozione (anche in questo gli americani sono schietti, basta leggersi i loro documenti strategici invece che sentire i nostri opinion makers). E' lacerante vedere da una parte migliaia e migliaia di uomini in tutto il mondo che magari non avrebbero mai sparato a nessuno e che ora si appellano all'avventurista sanguinario di turno (era gia' successo con Saddam) perche' esasperati dall'emarginazione economica, sociale e politica, inferociti da una politica estera americana che di quest'emarginazione globale e' il sostegno, e vedere dall'altra parte gli Stati Uniti che colgono al balzo l'occasione per espandere ancora di piu' il loro potere nel mondo e propagare quell'emarginazione a dismisura. E noi dietro, perche' the price is worth it. No, il terrorismo non e' l'obiettivo di questa guerra (cosi' come l'Occidente in quanto tale non e' l'obiettivo del terrorismo). Nemmeno l'opinione pubblica americana riesce piu' a capire cosa succede: il nemico e' bin Laden; no, sono anche i Talebani; no, sono anche certi stati canaglia limitrofi, come l'Iraq; no, ce ne sono in tutta l'Asia. E gia', perche' la posta in gioco e' l'Asia, mica il terrorismo. E per conquistarla bisogna fare e disfare alleanze, spostare truppe in Uzbekistan, spostare navi e aerei nell'Oceano Indiano, promettere a destra e a sinistra. All'Alleanza del nord ma anche ai loro mortali nemici, i generali pakistani. Ad Arafat e a Sharon. Ai Cinesi e ai Russi. Ai musulmani e ai cristiani. Ai civili e ai militari. Bisogna prospettare piu' democrazia, ma intanto sostenere le dittature e le autocrazie. Promettere "liberta' durature" e intanto incominciare a limitarle anche in casa propria. E, soprattutto, occorre fare le guerre. I principi non contano. La morale men che meno. The price is worth it. La partita e' grossa e si possono pagare anche prezzi alti. Anche qualche migliaio di morti in casa propria, a scadenze regolari. The price is worth it. Come ci illumina lo stratega americano Luttwack, e' ingenuo richiedere la rimozione del fenomeno terrorismo. L'importante e' riuscire a fare come hanno fatto in Israele: tenerlo sotto controllo, cosi' che "diventi un accidente come un altro nella vita quotidiana". Perche' no? The price is worth it. Cosi' venire ammazzato in ufficio da un aereo dirottato sara' piu' o meno come finire sotto una macchina quando si torna a casa. The price is worth it. Qualcuno ha gia' decretato che ne vale la pena. E poi (e quindi) altra soluzione non c'e'. A meno di far marcia indietro, rivedere tutto. Ad esempio rinunciando a una politica che viene prima della morale, senza pero' ricadere in pensieri totalitari (e questo, in effetti, richiederebbe una non semplice rivoluzione copernicana nel pensiero occidentale). Ad esempio, espandendo la democrazia in Occidente e nel mondo (cosa difficilissima quando la gente e' terrorizzata e quando si sono create forze politiche integraliste e totalitarie dappertutto). Infine, cambiando il tipo di sviluppo economico. O meglio, mettendo all'ordine del giorno veramente lo sviluppo, non l'espansione economica. Compiti enormi, complessissimi, che fanno venire le vertigini se solo ci si fa mente locale. Ma un credente, in cio', potrebbe essere addirittura facilitato. Basterebbero dieci parole della Lettera ai Romani per fargli mettere tutto in dubbio: "Non esser vinto dal male, ma vinci il male col bene". Il bene non e' uno stendardo di eserciti. Non e' un fortino, una nazione, un governo, un modo di produzione, una civilta', un'alleanza, un'area del mondo. Non esiste, come invece ci assordano, una lotta del Bene contro il Male, dove ogni mezzo e' permesso. L'apostolo Paolo non dice "vinci il male per il bene", ma "vinci il male col bene". Il bene e' quindi un mezzo, l'unica arma consentita: "se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere; poiche' facendo cosi', tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo". Utopie? Si', utopie. Ma il resto e' follia. E lo stiamo vedendo. Piero Pagliani Roma
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